Capitolo 14.2
Il Mheàn s'incamminò sullo strato duro e gelato che ricopriva il lago, muovendosi in modo tranquillo su di esso, come se sapere che sotto di lui avrebbe potuto aprirsi una trappola d'acqua non lo disturbasse affatto, e continuò dritto verso il centro, senza fiatare.
Io cercai di imitarlo, anche quando la riva si faceva sempre più lontana e non avrei più potuto arrivarci se la lastra che ci teneva sollevati si fosse rotta, ma a un certo punto suoni bassi e lunghi si propagarono sotto i miei piedi, e io mi aggrappai al braccio di Mirko, in tensione.
«Ehi, tranquilla», bisbigliò, e mi diede un bacio sulle labbra che mi riscaldò, calmandomi. «Sono rumori normali.»
Renard si fermò poco più avanti, e a sorpresa, si sedette a gambe incrociate sul pavimento ghiacciato, mentre noi ci stavamo ancora avvicinando.
«Accomodatevi al mio fianco, tutti e due», ci esortò, serio e autoritario.
Guardai Mirko, insicura, e lui restituì l'occhiata annuendo.
«Non è pericoloso?» domandai, facendo come ci aveva chiesto. «Siamo distanti da terra e non c'è nessun altro oltre a noi tre qui.»
«No, e c'è sempre qualcun altro», mi corresse l'anziano. «Solo che tu non lo vedi.»
Rimasi senza parole, con gli occhi lucidi, e il pensiero subito a Rydios. Dove si trovava adesso? Cosa stava facendo?
«Confermo», sospirò Mirko.
«Ascoltami bene, Psichica», mi richiamò Renard, cristallizzando gli occhi su di me. «Ti darò un solo esercizio da fare per indurti a liberare il corpo astrale da quello fisico.»
«Uno solo», ripetei.
«E' il più efficace e tu avrai l'intera giornata per provare a eseguirlo in modo corretto», proseguì. «Io e Mirko lo cominceremo con te, ma stando per i fatti nostri e senza valutare i tuoi progressi.»
«In che cosa consiste?»
«E' chiamato "la meditazione del lago"», mi rispose, in procinto di illustrarlo. «Si basa sul parallelismo mente-lago, in sostanza si lascia che la mente si identifichi con esso, in modo totale.»
«Diventare il lago», commentò Mirko, guardandomi con i suoi occhi scuri come la foresta di abeti che si ergeva attorno a noi. «Ecco cosa dovremo fare.»
«Il lago qui sotto», aggiunsi, sfiorando con le dita la lastra su cui ero seduta.
«Io e il ragazzo faremo solo quello», spiegò Renard, alzando una mano verso Mirko, a intendere di lasciarlo finire di parlare. «Tu, invece, dovrai fare qualcosa in più, dovrai provare a rompere lo strato di ghiaccio che lo ricopre, e scendere in basso, nelle profondità delle sue acque.»
«Se ci riuscirò, avrò finito l'esercizio?»
«Sì.»
«Ho capito.»
«Sei pronta?» mi chiese Mirko, sorridendomi con fiducia.
«Sì, tu?»
«Anche io.»
«Chiudete gli occhi, ora, e prendete un respiro profondo», diresse Renard, facendo da esempio. «Siete in un posto di pace e di armonia nella Valle di Non. Inspirate ed espirate lentamente, non c'è nessun obbligo o disordine qui, lasciate andare ogni problema, non vi riguarda più. Voi siete potenti ed eterni, come l'acqua e lo spirito, e il lago sotto di voi. Siete liberi di essere chi volete...»
La voce dell'anziano si affievolì, diventando un sussurro nel vento, e presto fui in grado di sentire il volo di un'aquila nel cielo, il fruscio delle foglie sugli alberi, l'eco di un tuono tra le montagne, suoni della natura a cui di solito non badavo. Li ascoltai, catturata; infine, spostai l'attenzione sul compito che Renard mi aveva dato.
Iniziai a visualizzare nel pensiero il lago, dalle sue sfumature blu, alla consistenza della sua superficie ghiacciata, udendo nella mente lo sciabordare delle sue correnti. Mi rilassai, e lo invitai a entrare in me, mentre il tempo trascorreva inesorabile, e io persi la cognizione del tempo.
Poi, finalmente, avvertii il gelo delle sue acque che mi attraversava, un'onda che s'infrangeva fluida, il corpo sempre più liquido, ma non riuscii a sopportarne l'invasione.
Riaprii gli occhi, cosciente di aver fallito il mio primo tentativo di viaggio astrale indotto, mentre accanto a me, Mirko e il suo Maestro erano ancora nel pieno del loro stato meditativo.
Mi scoraggiai, ma non volevo arrendermi, perciò riallineai la mia mente al lago, e mi aprii ancora a lui, esortando le sue acque a riempirmi e a trasformarmi, e quando il loro gelo tornò a farsi sentire, mi sforzai di tenere le palpebre serrate e di resistere.
Avvertii il mio io spinto verso il basso, schiacciato dal peso dei litri azzurri che stavo accogliendo. Ormai era già parte del lago, e quando lo realizzai, ebbi paura di non poterlo più tirare fuori, di averlo perso per sempre nell'acqua.
Rimasi inerme per un periodo incerto che sembrò infinito, in seguito trovai il coraggio di muovermi, di spingere e di colpire con forza, e tutto il ghiaccio che mi avvolgeva si venò fino a frantumarsi.
Si ruppe sotto i miei colpi ripetuti, e io caddi all'indietro in un buco limpido e profondo, colma di speranza, precipitando sempre più in basso.
La discesa finì in modo brusco, e quando strizzai gli occhi, vidi una scia luminosa immersa nell'acqua, che risaliva fino al varco che mi aveva condotta lì: la mia corda d'argento.
L'esercizio di Renard aveva funzionato. Tesi le braccia in avanti, e verificai che erano evanescenti come quelle di uno spirito, così come il resto del mio corpo.
Ero fiera di me. Ero uscita nell'Astrale senza alcuna forzatura esterna, unicamente di mia volontà; non vedevo l'ora di dirlo a Mirko e di ringraziarlo!
Sul fondale, svariati metri sotto la lastra trasparente su cui ci eravamo seduti, era nascosta una foresta fossile, un paesaggio fatto di spessi tronchi piantati nel terreno, pietrificati dal freddo, e agglomerati di roccia davanti a cui nuotavano pesci dal colore chiaro.
Era probabile che tanto tempo fa la piena del lago avesse inondato parte della flora nelle vicinanze, mutandola nel luogo lacustre e incontaminato che era adesso.
Mi mossi in verticale, per raggiungere la superficie ghiacciata, seguendo il percorso di luce della mia corda vitale, senza mai notare alcuno spirito di persona nell'acqua, soltanto quelli di rettili che dovevano essere bisce, e di altri pesci che somigliavano a trote.
Attraversai lo strato di ghiaccio, uscendo fuori dall'acqua, e fu solo allora che mi resi conto di quanto fosse divenuto tardi.
Nel parco era calata l'oscurità del pomeriggio inoltrato, avrebbero potuto essere già le tre o le quattro. Non avevo mangiato, e non mi ero fermata neanche un istante da quando avevo fallito il primo tentativo.
Vidi il mio corpo protetto in un giaccone pesante, e provai una sensazione di stanchezza e di amore. Anche se avevo fatto esercizio per abbandonarlo, in realtà non avrei mai voluto separarmene a lungo, e l'idea che un giorno lo avrei dovuto fare in modo definitivo, non mi piaceva per niente.
Mi avvicinai a Mirko, che aveva ancora gli occhi chiusi nella quiete vigile della meditazione, e con le ciglia madide di gioiose lacrime, gli diedi un bacio sulle labbra.
«Sofia», mi riconobbe subito, allungando una mano, che io socchiusi nella mia. «Sei qui, ti sento. Sono contento di te. Ce l'hai fatta.»
Andai davanti a Renard, di modo che potesse notare anche lui la mia presenza, e l'anziano mi sorrise, come per dire "lo sapevo".
«Sei stata brava, Psichica», disse solo, ma a me sembrò di aver ricevuto il complimento migliore della mia vita.
«Dai, rientra dentro il corpo», mi esortò Mirko, aprendo quei suoi occhi così dolci. «Torniamo alla baita insieme.»
«Sì», risposi con la voce astrale, e m'incamminai verso me stessa.
Una volta davanti al camino, mi gettai tra le braccia di Mirko, felice e soddisfatta, e lui mi sollevò dal pavimento, facendomi girare in tondo.
«Hai fatto un bel progresso», disse.
«E' merito tuo», ribattei, sorridendogli da vicino. «Ti sono grata per avermi fatto incontrare una persona come Renard.»
«Lui è speciale.»
«E' anche riservato, misterioso, e molto saggio», aggiunsi.
«Non ha facilità a entrare in confidenza con le persone che non ha mai visto prima, ma vedrai che già dai prossimi fine settimana, cambierà nei tuoi confronti.»
«Magari», commentai. «Sarei interessata a sapere qualcosa della sua vita.»
«Ti darà occasione, forse.»
Ci confrontammo sulla meditazione, mangiando cena, ma alla fine le parole si esaurirono, e i nostri occhi tradirono altre curiosità, che nessuno dei due osava esprimere.
Invece di darci la buonanotte, iniziammo a baciarci con foga, le carezze tra di noi sempre più intime, mentre salivamo le scale per arrivare al secondo piano, e i cuori battevano all'unisono con un ritmo forsennato.
Quando giungemmo ai piedi del letto, sopra il quale ci stavamo per stendere insieme, Mirko fece un passo indietro.
«Non sai quello che stai facendo», disse, con cupidigia.
«Sì che lo so.»
Si levò il maglione con un gesto sicuro, e lo lanciò su una sedia, poi passò i suoi bicipiti muscolosi attorno alla mia schiena, e si sdraiò sulle coperte, portandomi sopra di lui.
«Non lo sai», ribadì, e io sentii il rigonfiamento dei suoi pantaloni premere contro il mio bacino. «Ieri non ho chiuso occhio, mi sono girato e rigirato nel letto, pensando a come fare per non cedere e salire da te.»
Infilò le dita sotto la mia maglia, arrivando a slacciarmi il reggiseno, poi mi prese entrambi i seni con le mani, e fece scorrere la punta della lingua sui capezzoli.
«Ti voglio», dichiarò, sollevando la testa per guardarmi in viso. «E non intendo solo adesso. Ti voglio quando mi sveglio la mattina, ti voglio quando studio, ti voglio quando esco con gli amici, ti voglio quando sono sotto la doccia, e ti voglio quando mi corico per dormire.»
«Sempre», riassunsi.
«Ti voglio per tutto il giorno, tutti i giorni», confermò, passando un dito sul contorno della mia bocca.
Il suo sguardo era rassicurante, lo conoscevo da anni, suscitava in me ricordi d'infanzia; era il passato che avrei voluto conservare, e che invece era cambiato bruscamente.
«Anche io ti voglio.»
«Ma pensi sia solo un'illusione», affermò, senza che avessi aggiunto altro.
«Io... non escludo neanche che potrei morire da qui a qualche settimana.»
Mirko temporeggiò, guardandomi come se si aspettasse una risposta simile da parte mia, poi si tirò indietro, e mi prese per le spalle.
«No, tu vivrai, Sofi», mi smentì, così fermo da sembrare arrabbiato. «Non importa cosa accadrà, tu vivrai bene e al massimo. Io farò di tutto per proteggerti come posso.»
Si allontanò da me, e cercò il suo maglione, con l'intenzione di tornarsene nel suo letto al piano di sotto, mentre io mi sentii in colpa per aver fatto calare la passione tra noi.
«Che cosa stai facendo?»
«Non dobbiamo farlo oggi», mi disse, ormai completamente rivestito. «Avremo tanti altri giorni davanti a noi.»
«Possiamo sdraiarci lo stesso insieme, però», gli feci notare. «Per favore, resta.»
Mirko mi guardò dubbioso, esitando alcuni secondi, poi annuì. Si stese accanto a me, abbracciandomi stretta, e io spensi la luce.
Restammo in quella posizione senza parlare, illuminati dalla luce fioca della luna che entrava dalle tende, fino a quando il sonno ci colse, e presto fu un nuovo giorno.
Momenti intensi, questi tra Sofia e Mirko, ma anche dubbiosi sul futuro. Vi aspettavate tutto questo fuoco tra loro? E soprattutto... la meditazione! Con questa parte mi sono messa alla prova, cercando di far sentire cio' che sente lei nel diventare il lago. Ammetto che e' la mia prima scena di questo tipo, spero di averla resa decentemente❤ a domani!
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