Capitolo 1.1
Le mie uscite
"L'indice di Gini-Goodman- Kruskal. Perfetto!" pensai con ironia, fissando la prima scoraggiante domanda del compito.
Non che le altre fossero meglio, gli esercizi di statistica erano tristemente conosciuti per essere incomprensibili, ma le formule di probabilità mi erano più facili da ricordare. Per quelle di descrittiva come quella, invece, avevo in testa un gran vuoto, nonostante mi fossi messa d'impegno a memorizzarle una a una le settimane prima.
«Aiuto», invocò Fabiana, dalla fila dietro.
Le domande non dovevano essere piaciute nemmeno a lei, che nelle materie scientifiche di solito ci sapeva fare di più. Non c'erano dubbi, all'appello di inizio dicembre, l'insegnante era arrivato con l'intenzione di fare una strage!
Mi rimboccai le maniche e con la calcolatrice da un lato e il righello dall'altra, mi dedicai a risolvere gli esercizi più semplici.
Dopo mezz'ora, mi sentii chiamare con una penna sulla schiena e mi voltai, facendo attenzione a non dare nell'occhio; per fortuna ero riuscita a trovare posto nella parte dell'aula più distante dalla cattedra.
Un ragazzo che avevo già incrociato nei corridoi indicò un foglietto per me, e io mi abbassai a raccoglierlo, facendo finta di dover prendere un fazzoletto dalla borsa.
Il biglietto era da parte di Nadia, seduta in una fila laterale alla mia; chiedeva quale fosse la risposta alla prima domanda. Sospirai e scrissi sopra lo stesso che non ne avevo idea, prima di esortare il ragazzo porta- messaggi a ripassarlo a lei.
Tornai sul mio protocollo: avevo tralasciato, oltre all'indice ostico e ad altre nozioni sconosciute, anche il disegno della Curva Normale.
Iniziai tracciarla come l'avevo studiata sulle dispense, proponendomi di essere precisa, ma le linee della matita divennero sempre più sottili, man mano che la completavo.
La vista mi si stava offuscando!
Non mi era mai successo così, di giorno e davanti a tutti, e ne ero preoccupata.
Fastidiose vibrazioni, simili a un solletico sottopelle, si ripeterono più volte, e nel giro di pochi secondi, non ci fu altro che buio.
Quando mi ripresi, ero fuori dal mio corpo, un metro più in alto di esso.
Da quella posizione avevo una visuale molto diversa dell'aula. Le persone erano avvolte dai colori: l'arancione era il più diffuso, insieme al verde e all'azzurro; una persona aveva un alone di rosso intorno a sé e un'altra aveva il giallo. Per alcuni i colori tendevano a cambiare lentamente tonalità, per altri rimanevano uguali.
Abbassai gli occhi, e mi spaventai come mi ero spaventata la prima volta.
La mia pelle era trasparente, diafana come quella di un fantasma, potevo vederci attraverso, e sembrava inconsistente come l'aria.
Stavo... sognando?
O forse... morendo?
Dovevo provare a muovermi, capire come fare a tornare dentro alla ragazza che pareva dormire così tranquilla sul banco, con il protocollo in parte nascosto dal corpo. Io.
Cercai di scendere a livello del pavimento e con qualche incertezza, ci riuscii. A quanto pareva, era bastato dare il relativo comando per giungere nel punto in cui volevo in modo semplice e veloce.
Mi osservai con attenzione dal di fuori, inseguendo il mio respiro, e solo quando lo trovai, costante e regolare, mi tranquillizzai un pochino.
Ero viva e stavo bene.
Mi ero solo... sdoppiata.
In che modo sarei rientrata dentro di me, però, era ancora un rompicapo dalla soluzione incerta.
Le uniche due volte in cui mi era capitato di separarmi dal corpo ero andata a tentativi. La prima avevo avuto una paura folle di essere morta durante il sonno e mi ci ero ributtata sopra, risvegliandomi, per miracolo, tutta integra. La seconda avevo avuto sempre paura, ma la consapevolezza di poter tornare dentro di me mi aveva fatto tergiversare prima di provarci.
Era un peccato che in università non passassero mai questo genere di informazioni!
Ma almeno adesso sapevo di potermi muovere più facilmente di quando ero nel mio corpo. Forse potevo osare e spostarmi di più?
Tentai di avanzare per l'aula, superando le quattro file davanti e notai che la corda luminosa spessa due dita che mi legava al corpo era flessibile e mi seguiva, allungandosi.
Quella strana corda argentea sembrava adattarsi alle mie esigenze e ai miei movimenti, mostrando il percorso che avevo alle spalle e di quanto mi ero allontanata.
Intorno a me, vi erano piccole masse mobili e informi simili a bollicine, che si formavano in aria e si distruggevano in continuazione. Erano dappertutto, sia in alto che in basso vicino agli studenti, e per quanto sembrassero innocue, non capivo che cosa potessero essere.
Mi fermai d'istinto accanto a Mirko, che stava ricontrollando il suo compito. Lo aveva quasi finito. Lessi le risposte che aveva scritto, compresa la formula dell'indice tanto sospirato e seppi che era davvero bravo.
Sembrava ancora concentrato, ma a un certo punto staccò gli occhi dal foglio e a sorpresa si voltò verso di me. Vacillai. I suoi occhi scuri mi travolsero di sensazioni, mi fecero pensare al tronco umido degli alberi e alla foresta nella stagione delle piogge.
Si rivolse al suo vicino per chiedergli un bianchetto e capii che si era voltato per questo. Focalizzai nella mente le risposte che mi servivano e a quel punto tornai indietro.
Riattraversai una fase di buio completo, prima di riappropriarmi del mio corpo. L'orologio segnava le undici e mezza; erano trascorsi cinque minuti, durante i quali ero stata assente e i miei vicini mi avevano vista dormire.
Cercai di non pensare ad altro che a statistica e riuscii a terminare il compito, inserendo le stesse risposte che aveva dato Mirko. Attesi che l'insegnante iniziasse a ritirare, dopodiché lasciai l'aula, seguita da un buon numero di studenti.
Nadia mi raggiunse veloce, come un piccolo tornado. Era bassa, e molto chic nel vestire. Un metro e cinquantacinque di stile. Aveva i boccoli biondi che le si adagiavano vistosi sulla camicetta, gli occhi azzurri e la camminata sicura.
«Ciao Sofia, come è andata?»
«Abbastanza bene.»
«Sul serio?»
«Non mi chiedere come sia possibile, ma sono riuscita a copiare anche l'incopiabile.»
«Che fortuna.»
«Mi spiace non esserti stata d'aiuto prima.»
«Tranquilla.»
Fabiana si avvicinò a noi con sguardo provato. Lei era alta e mora, più anonima di Nadia, semplice nell'abbigliamento e senza un filo di trucco.
«Come va, ragazze? Io ho fatto fatica a rispondere a tutto.»
«Anche io. Le domande mi hanno stesa, letteralmente.» risposi.
«Ho notato. A un certo punto sembrava quasi che dormissi.»
«Mi sono ripresa e sono riuscita a finirle.»
«Beata te!»
Eravamo iscritte al primo anno di Economia della Bicocca, all'indirizzo Marketing, comunicazione aziendale e mercati globali. Il corso di laurea ci aveva unite ancora di più, dopo cinque anni trascorsi nella stessa classe alle superiori. Il liceo scientifico ci aveva fatte conoscere e legare, ma era solo negli ultimi mesi che uscivamo spesso insieme, forse perché eravamo tutte e tre single.
Nadia aveva da poco lasciato il suo ragazzo, Fabiana preferiva impegnarsi nello studio e io uscivo solo con qualche amico, ogni tanto. Eravamo diverse di carattere: Fabiana era introversa, Nadia estroversa e io una via di mezzo, ma si poteva dire che ci compensavamo a vicenda.
Comprammo al bar tre panini e l'acqua, poi ci sedemmo fuori su una panchina all'ombra. Trovarne una libera era difficile solitamente, il giardino attorno alla facoltà era tenuto bene e se non pioveva o non faceva freddo gli studenti preferivano mangiare lì piuttosto che in mensa.
«Pomodori e lattuga», sorrise Fabiana, indicando il panino semplice di Nadia.
«Si tiene leggera», dissi, assaggiando il mio, farcito con gamberetti e salsa rosa.
«Ragazze, potrei vomitare dopo aver fatto un'ora di quella roba.»
«Ecco come mai niente pollo, rucola e formaggio, oggi.»
«Eh già.»
Scoppiamo a ridere, stemperando la tensione accumulata e poi finimmo di mangiare con calma, tra chiacchiere sui film usciti di recente al cinema e sulle nuove canzoni dei nostri artisti preferiti.
I discorsi di Fabiana e Nadia mi distrassero dal pensare a come avessi fatto in aula a uscire per la terza volta dal mio corpo, spostandomi a mezz'aria senza che nessuno lo vedesse.
Non volevo rifletterci sopra, altrimenti avrei dovuto riconoscere che c'era qualcosa di strano in me. Di molto strano.
Arrivò la voce che i risultati dell'esame erano già stati affissi, così andammo a cercarli. Passammo vicino a un gruppo di ragazzi che parlavano all'ingresso dell'edificio, tra cui Luca e Tommaso, due a cui notoriamente non importava della media sul libretto e Mirko. Lanciai un'occhiata a quest'ultimo, imbarazzata e lui mi salutò con un cenno del capo.
Salimmo le scale e arrivammo in corridoio. L'ansia iniziò a crescere. Alcuni fogli erano appesi alla porta dell'aula dell'esame e una folla di studenti li stava osservando con attenzione.
Mi sporsi a leggere la lista dei nomi e quando lessi il mio tra i primi, mi sfuggì un gridolino di gioia. Avevo passato statistica!
Mi girai a cercare le mie amiche e mi accorsi che loro non erano per niente contente. Nadia era stata bocciata, mentre Fabiana aveva preso un punteggio inferiore al suo solito.
«E' giusto che esulti, Sofia. Hai preso un votone.»
«Vero, sei stata brava.»
«Ho anche copiato.» replicai, sentendomi in colpa.
«Ti è andata bene, al contrario nostro.»
«Mi dispiace.»
Le salutai e rimasi a fissare ancora un po' i fogli con i risultati. Ero felice, ma non completamente. Avevo ottenuto un voto alto solo perché avevo giocato sporco. Se avessi rivelato da chi avevo copiato alcune risposte, mi avrebbero creduta? Mirko si era seduto in una fila distante dalla mia, sarebbe stato impossibile per chiunque nella mia posizione leggere il suo compito. No, non mi avrebbero creduta. Non avrei potuto essere sincera né con loro né con nessun altro, o mi avrebbero considerata fuori di testa.
«Gran bel voto, Sofi.»
Mirko comparve al mio fianco e non potei fare a meno di pensare a come fosse cresciuto bene dall'ultima volta che ci eravamo parlati. Aveva un viso marmoreo, con la barba corta e curata, i capelli marroni color dell'autunno e gli occhi scuri, caldi e ombrosi.
«Complimenti per il ventotto», continuò.
Era surreale sentirlo dire proprio dal ragazzo dal quale avevo copiato.
«Mi sono impegnata», riuscii a dire.
I suoi occhi mi osservarono a lungo, scivolando su tutto il mio corpo.
«Lo immagino. Sei sempre stata determinata.»
I suoi genitori erano amici dei miei, per questo da bambini giocavamo spesso insieme ai parchi vicino casa sua e quando mia madre voleva farmi andare via, io facevo sempre i capricci e mi nascondevo con lui nei posti più impensabili, pur di non obbedire.
«Vero.»
«Mi è mancata Milano in questi anni. Sono contento di essere tornato.»
Mirko aveva un anno più di me e si era dovuto trasferire all'età di quattordici anni a Tuenno, un paese del Trentino Alto Adige.
I suoi genitori si erano separati, concordando che lui andasse a vivere insieme alla madre nella sua casa tra le montagne e i laghi del Trentino. Da quel momento ci eravamo sentiti qualche volta per telefono, ma, purtroppo, nulla di più.
«Il posto dove si è cresciuti resta sempre dentro di noi. Comunque, complimenti anche a te per il trenta. Mi è caduto l'occhio sul tuo nome prima.»
In verità avevo letto ogni colonna della lista per trovarlo, ma non era il caso che lo sapesse.
«Ho seguito il primo anno di Economia a Trento, ma alcuni esami non me li hanno passati, facendo il trasferimento qui e li devo ridare. Statistica era tra quelli», spiegò, come se il voto alto fosse di poco conto.
Il suo viso e il suo corpo mi affascinavano più di quanto volessi e ciò limitò la mia facoltà di pensare e interagire in modo sensato.
Tommaso si avvicinò a noi, sorridente come non mai, e mi levò dall'impaccio. Era un ragazzo alto, dai capelli biondi e i grandi occhi azzurri, chiari come l'acqua di una sorgente.
«Che fai, Mirko? Luca, Paolo e gli altri sono già in mensa.»
«Adesso arrivo.»
«Sara ha detto che ci porta le prevendite del The Club, così per la serata di venerdì siamo a posto.»
«Ottimo.»
Mirko era tornato da qualche mese e si era già fatto nuove conoscenze. Adesso aveva un gruppo di amici milanesi con cui usciva a bere e a far festa nei locali. Non sembrava il ragazzino del passato, era un'altra persona, qualcuno che non conoscevo più.
«Devo andare», mi salutò con un largo sorriso. «A presto, Sofia.»
Lo guardai allontanarsi con Tommaso e uscii anch'io dall'università.
L'idea per questo romanzo mi girava in testa da anni, sono state le visite settimanali da un pranoterapeuta sensitivo a cementarla. Alla base vi è il mio amore per la città di Milano, che avrete modo di vedere sullo sfondo, e che ho visitato più volte nei luoghi che menziono nella storia, facendo foto e godendomi quei momenti di tempo libero. E il mio desiderio di trattare un tema spirituale, a modo mio, che sento vicino.
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