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Inizialmente, avvertivo caldo, molto caldo, così caldo che temetti che fosse arrivata nuovamente la Stella Estiva ed io non me ne fossi nemmeno resa conto.

Dopodiché, tutto d'un tratto, iniziai a sentire freddo, decisamente troppo freddo nonostante fossi sicura al cento per cento che, prima di andare a dormire, quella sera, avessi chiuso la porta finestra che consentiva l'ingresso sul piccolo balcone della mia stanza in vetro.

Stavo tremando ed ero quasi convinta che, di lì a breve, i miei denti avrebbero iniziato a battere tra di loro per il freddo polare che mi stava congelando perfino le ossa.

Dovevo assolutamente svegliarmi e chiudere quella dannata porta se non volevo morire assiderata prima di aver affrontato il risveglio in Eterna e aver assaporato il potere, che questo comportava, scorrere nelle mie mani.

Cercai di aprire gli occhi ma, stranamente, li sentivo pesanti come se fossi impossibilitata ad aprirli.

Strinsi forte i pugni lungo le braccia cercando di aggrapparmi con forza alle lenzuola del mio letto, tuttavia, invece di sentire la stoffa leggera di quest'ultima, sentii una sostanza strana tra le mani, una sostanza che sembrò frantumarsi una volta che io la strinsi con forza.

Era... Acquosa ma solida allo stesso tempo.

In un primo momento, se non comprendessi perfettamente che era del tutto impossibile, avrei creduto che fosse neve quella che stavo stringendo tra i miei pugni, soprattutto se ci aggiungevo anche il fattore congelamento delle mani.

Ma che diamine stava succedendo?

Dovevo assolutamente svegliarmi.

Cercai nuovamente di riaprire gli occhi ma, proprio come il primo tentativo, anche questo fallì miseramente.

Ritentai e, dopo svariati tentativi, finalmente riuscii ad aprire gli occhi anche se con uno sforzo decisamente sopraumano.

Mi alzai di scatto, mettendomi seduta, e sbattei più volte le palpebre per cercare di mettere ben a fuoco il luogo in cui mi trovavo, dissipando quella fastidiosa nebbiolina che mi appannava gli occhi ogni qualvolta che mi svegliavo.

Dopo un paio di minuti, riuscii ad avere il pieno controllo visivo e, con mio immenso stupore, la prima cosa che notai fu che quel posto non era la mia stanza, che, il mio soffice letto in realtà era un cumulo di neve proprio come avevo immaginato.

Spostai freneticamente lo sguardo intorno a me e l'unica cosa che vedevo erano alcuni fiori tipici della Stella Invernale e una enorme porta finestra dorata spalancata di fronte a me.

Ero in un grande terrazzo circolare il cui unico ingresso era consentito da quella grande finestra davanti a me.

Guardai in alto, corrucciando la fronte e notai che il cielo era azzurro chiaro, con sprazzi di tenui colori che si alternava tra il rosso e l'arancio.

Le nuvole bianche e candide passavano accanto a quel terrazzo sconosciuto nel quale mi ero da poco risvegliata.

Ma cosa...?

Dove mi trovavo?

Che posto era quello?

Ma, domanda più importante, come ci ero finita?

Un vento gelido mi sferzò sul viso e mi strinsi le braccia al petto quando sentii il mio corpo rabbrividire.

«Non trovi che sia bellissima la nostra reggia?» domandò una voce femminile e decisamente troppo smielata.

Mi voltai di scatto nella direzione in cui l'avevo sentita, alle mie spalle, e vidi una ragazza affacciata alla ringhiera di quel grande balcone, intenta ad accarezzare con delicatezza le nuvole bianche che scorrevano lente.

Sorrideva radiosa nel guardare quelle soffici nuvolette muoversi.

I suoi lunghissimi capelli erano di un insolito color arancio acceso, colore che subito entrava in contrasto con i due smeraldi che vedevo brillare sul suo volto pallido e delicato, ma estremamente grazioso. Indossava un abito verde che le arrivava fino ai piedi, ampio ma con le maniche che le arrivavano fino al gomito, decisamente troppo leggero per il periodo stellare in cui ci trovavamo.

Aveva una grande corona grigio scuro sul capo che le faceva acquisire ben venti centimetri in più di altezza.

Mi misi istantaneamente in piedi, e la guardai come se fosse pazza. Ero certa che avessi uno sguardo del tutto diffidente nei suoi confronti. In fin dei conti, non l'avevo mai vista e non conoscevo neanche il suo nome né il posto in cui ci trovavamo.

Mi misi subito sulla difensiva, allontanandomi leggermente da lei e con i muscoli tesi, pronti ad attaccare nel caso ce ne fosse stato il bisigno. «Chi sei tu?» iniziai col domandare con un tono di voce che si poteva definire in molti modi, fuorché amichevole. Era ostile. «Dove mi trovo?»

I suoi occhi verdi si spostarono rapidamente sulla mia figura snella, scrutandomi con attenzione, per poi rivolgermi un insolito sorriso cordiale.

Non ci sarei cascata nella sua finta gentilezza.

«Che stupida, non mi sono neanche presentata e ti chiedo scusa per la mia apparente mancanza di educazione» disse con quel suo tono di voce smielato ma decisamente troppo pacato. Si voltò completamente verso di me, lasciando perdere le nuvole che scorrevano accanto a noi. Si portò una mano al petto. «Io sono Helarã. Sono stata io a trasportarti fin qui, principessa Astraea della Stella Pianeta Aracieli.»

Assottigliai gli occhi. «Come fai a conoscere il mio nome? Inoltre, come hai fatto a portarmi fin qui senza che io nemmeno me ne accorgessi? Come sei riuscita a raggirare le guardie del palazzo per rapirmi?» le chiesi tutto d'un fiato.

Helarã mi guardò confusa, inclinando la testa di lato. «Tutti sul tuo Pianeta sanno chi sei ed è ovvio che anche qui, ad Alto Cielo, sappiamo chi tu sia.»

Alto Cielo?

«Dunque il posto in cui mi trovo in questo momento corrisponde a questo nome: Alto Cielo?» chiesi, guardandomi intorno, per poi riportare il mio sguardo sulla sua figura snella e slanciata accanto alla balconata.

Annuì. «Si. Benvenuta nel nostro piccolo Regno, Principessa Astraea. È un vero onore per me poterti ospitare qui, nella nostra umile dimora.»

«Non mi interessa del vostro palazzo!» urlai, sbattendo i piedi sul pavimento con rabbia. «In questo momento, l'unica cosa che desidero e avere delle risposte da parte tua in merito alle domande che ti ho rivolto prima! Chi sei tu? Come hai fatto a trascinarmi fin qui?»

Lei sospirò sonoramente. «Sei davvero come Brisey ti ha descritto» affermò. «Non c'è proprio verso che lei possa sbagliarsi.»

Continuavo a non capire e lei continuava a tergiversare.

Iniziavo a non poterne più di quella situazione.

Presto, molto presto, mi sarei trovata a perdere completamente la pazienza e a dare di matto se non ricevo le risposte che ancora stavo aspettando.

«Chi sarebbe questa Brisey? E tu chi diamine sei?» domandai, quasi ringhiando quelle parole.

Mi sentivo un animale domestico circondato da animali selvatici e decisamente molto più pericolosi di me.

Helarã tentò di avvicinarsi a me con movimenti leggiadri ma io feci una serie di passi indietro in modo da mettere bene in chiaro tra noi che non desideravo che lei mi si avvicinasse così tanto.

Non sapevo nulla sul suo riguardo.

Poteva tranquillamente trattarsi di uno dei nemici di mia madre, una di quelle due pazze a cui lei stava dando disperatamente la caccia da più di un millennio.

Sarei stata nei guai se la mia intuizione fosse stata corretta.

Nessuno sarebbe accorso il mio soccorso dato che, quasi sicuramente, nessuno sapeva dove io mi trovassi e che io fossi stata rapita da questa squilibrata.

Sospirò nuovamente, ritornando a concentrarsi sulle nuvole che stava accarezzando, con gentilezza, poco prima. «Brisey è mia sorella gemella. Noi siamo...» scosse il capo, evitando di concludere la frase che stava per pronunciare.

«Siete?» ripetei infastidita dal fatto che avesse lasciato la frase in sospeso. «Una Semidea o una dea?»

Helarã mi guardò di sottecchi, con ancora un sorriso caloroso dipinto sul suo viso fin troppo pallido per i miei gusti. «Una cosa del genere» disse.

Che razza di risposta era mai quella?

"Una cosa del genere" non significava niente per me. Io volevo una risposta chiara, che andava dritto al punto, non una cosa del genere.

Mi sembrava chiaro che stesse tergiversando pur di non rivelarsi quale fosse la sua reale natura.

«Perchè sono qui?» chiesi, infastidita e sul punto di scoppiare in una serie di imprecazioni che avrebbero fatto uscire fuori dalle orbite gli occhi di qualunque divinità presente su questa Stella Pianeta.

I suoi occhi luccicarono di emozione. «Sei qui perché volevo conoscerti personalmente» affermò con una voce che lasciava trasparire la stessa emozione chiaramente visibile nei suoi occhi verdi e gioiosi. «Ultimamente non si fa altro che parlare di te qui a palazzo e io volevo avere il piacere di poterti vedere dal vivo prima del nostro incontro effettivo che, credimi, avverrà a breve.»

Corrucciai la fronte. «Incontro effettivo? Ma di cosa diamine stai parlando?»

Lei sorrise ulteriormente ed io dovetti fare appello a tutta la forza che possedevo dentro di me per evitare di andare lì e romperle tutti i denti con un solo pugno. Avrei davvero voluto vedere se aveva ancora il coraggio di ridere una volta conciata per le feste. «Non posso rivelarti molto, però sappi che molto presto ci rivedremo, Principessa Astraea, anche se potrebbe risultarti decisamente poco piacevole il motivo della nostra visita.»

Una strana pressione nel petto iniziò a farmi sentire strana. Un lieve velo di panico si stava impossessando di me, rendendomi quasi difficile il semplice atto di respirare. «Perché dovrebbe essere spiacevole il motivo del nostro incontro? Inoltre, hai parlato al plurale: chi sono gli altri che verranno con te?»

Poco a poco, il sospetto che mi trovassi di fronte o a Velisy o a Zōira si faceva sempre più strada dentro di me.

Dovevo tenere gli occhi ben aperti e concentrarmi attentamente su ogni singolo movimento che lei faceva.

Mia madre aveva sempre reputato la Dea delle tenebre e la Semidea del fuoco come degli esseri divini decisamente troppo pericolosi e da cui dover stare attenti nel caso capitasse di ritrovarseli di fronte.

Il suo viso pallido si incupì e un velo di tristezza iniziò a velarle gli occhi verde smeraldo. Strinse forte il tessuto leggero del suo abito tra le mani. «Ci servi, Astraea. Tu sei la chiave per renderci indistruttibili.»

Di cosa stava parlando?

Che voleva dire con quella frase?

Come avrei mai potuto essere io la chiave per rendere la sua specie indistruttibile?

Sentii l'ansia accrescermi nel petto e i miei battiti cardiaci accellerare all'improvviso per la paura che quelle parole, da lei pronunciate, potessero rivelare qualcosa di decisamente più oscuro e sinistro.

Non mi piaceva per niente la piega che stava prendendo, in quel momento, quel discorso.

«Perché proprio io?»

Il suo sorriso si spense. «Perchè tu non sei come noi, perchè tu non sei uguale a nessun'altra creatura presente su questa Stella pianeta.»

Quelle sue parole continuarono a ripetersi nella mia mente senza sosta.

Cercavo di darci un senso, di trovare una spiegazione a ciò che esse potessero significare, tuttavia, non riuscivo a trovarlo.

"Perchè tu non sei come noi, perchè tu non sei uguale a nessun'altra creatura presente su questa Stella pianeta."

Io sapevo benissimo cosa ero e che vi erano altre creature come me su Aracieli.

Ero un essere umano che, a breve, si sarebbe risvegliata in un essere potentissimo e indistruttibile, un'Eterna. I miei genitori e mio fratello lo erano, dunque, come poteva questa ragazza sconosciuta affermare che non ci fosse nessun altra creatura come me su questo pianeta?

Non ero la sola ad avere il privilegio di appartenere ad una razza così potente, decisamente superiore a qualunque altra vi popolasse questo mondo in cui vivevamo da millenni, ormai.

Mentiva.

Era una tattica per deconcentrarmi sul fatto che lei potesse essere una mia nemica giurata.

«Non è vero» dissi con convinzione e guardandola con aria di scherno.

Non sarebbe bastato questo misero trucchetto per fare abbattere tutte le mie difese.

Il viso di Helarã si rattristò ulteriormente. Sembrava quasi che provasse pena per me e che sentisse dolore nel sapere qualcosa che io non sapevo riguardo al mio futuro. «Io ti sto dicendo la verità. Tu sei...» iniziò col dire prima che hai un'altra voce femminile interrompesse la frase che stava per pronunciare.

«Lei cosa ci fa qui, Helarã?» domandò imperiosa questa nuova voce.

Mi voltai nella direzione in cui sentivo i suoi passi arrivare e incrociai immediatamente il suo sguardo severo e colmo d'astio, un astio che, in tutta onestà, non riuscivo bene a comprendere.

Le iridi dei suoi occhi erano gialli ed erano circondati all'estremità da uno strato di colore marrone scuro che li rendevano quasi innaturali e decisamente inquietanti. Questi, spiccavano sulla sua carnagione scura e sulla sua chioma nera ed afro.

Portava anche lei una corona sul capo che le tirava indietro i capelli che, senza ombra di dubbio, le sarebbero ricadute davanti.

Era dorata e, dopo uno spesso strato d'oro, si ergevano ben sette stelle dello stesso ed identico materiale.

Si abbinava perfettamente al suo abito, anch'esso dorato, e ai grandi orecchini a forma di stella che le penzolavano dai lobi delle sue orecchie quasi minuscole al confronto.

Arricciai il naso e la guardai con la stessa circospezione con cui lei stava guardando me.

Sembrava una gara di sguardi che nessuno delle due aveva intenzione di perdere.

Il silenzio iniziò a riempire l'aria intorno a noi e la tensione divenne quasi un'entità a sé stante.

Fu Helarã a spezzare quel sortilegio tra me e la nuova arrivata. «Posso spiegarti, Hemera...» iniziò col dire, parandosi di fronte a me. Gli occhi di quella donna dalla carnagione scura, che avevo capito si chiamasse Hemera, si posarono sulla ragazza dalla chioma arancio, guardandola con estrema severità. «Io ero curiosa di conoscerla e non ho resistito alla tentazione di poterla incontrare.»

«Sai benissimo che molto presto avresti avuto l' "onore" di incontrarla insieme a tutti noi.» il modo in cui pronunciò la parola "onore", mi fece venire voglia di strozzarla e di renderla l'ultima parola che le sue labbra carnose avrebbero potuto pronunciare. I suoi occhi dorati si puntarono nuovamente su di me, tuttavia, non fu a me che rivolse le parole che seguirono il suo sguardo nella mia direzione. «Falla andar via.»

Helarã, seppur con grande riluttanza, annuì e si voltò a guardarmi con un sorriso incerto mentre io iniziavo a non sentire più il freddo che minacciava di congelarmi.

Mosse leggermente la mano in segno di saluto e l'ultima cosa che le sentii dire fu: «A presto, Principessa di sangue.»

Chiusi gli occhi e, dopodiché, li riaprii di scatto, ritrovandomi nuovamente nella mia camera.

Mi alzai di scatto, mettendomi seduta sul letto caldo e strinsi con forza le coperte in ciniglia color argento.

Mi guardai intorno e non vidi nessuno li dentro.

Il silenzio assoluto regnava nella notte di quel palazzo anche se il battito del mio cuore sembrava sovrastarlo.

La neve continuava a cadere incessante.

Avevo il respiro affannato.

Portai nuovamente il mio sguardo sulle mie mani strette a pugno e mi ritrovai a domandarmi se fosse stato solo un sogno o se ciò che avevo vissuto quella notte fosse tutto fuorché un incubo elaborato dalla mia mente.

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