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«Cosa stai facendo, Astraea?» iniziò a tempestarmi di domande Vanya. Faticavo quasi a sentire le sue domande in mezzo a tutto quel tranbusto provocato da un acceso combattimento. «Dove vuoi andare?»
Continuai a trascinarla e a correre fino alle scuderie nonostante la stanchezza e il dolore causato dalle ferite e, quando vi arrivammo, slegai immediatamente un Dravallo bianco e gli misi sul dorso una delle delle che vi erano appese al muro in legno, agganciandola velocemente sotto la sua pancia rotonda.
Vanya guardava ad intermittenza sia me che l'entrata di quella scuderia, aspettandosi di veder arrivare qualcuno da un momento all'altro.
«Mi rispondi!» disse lei, quasi urlando.
Era ovvio che stesse perdendo la pazienza nell'aver a che fare con il mio silenzio quasi opprimente e snervante.
Afferrai il dravallo per le cinghie e iniziai a tirarlo fuori dalla scuderia nonostante la sua scarsa voglia di collaborare con la sottoscritta. Ero abbastanza sicura che percepisse chiaramente ciò che stava avvenendo fuori di lì e non avesse alcuna intenzione di mettere zoccolo all'aria aperta.
Tuttavia, o collaborava o collaborava. Non vi erano altre alternative. A lui la scelta.
«Dobbiamo andar via di qui» dissi in risposta, finalmente, alla mia amica Semidea che mi guardò come se fossi divenuta una pazza a tre teste.
«Dove vuoi andare?»
Salii in sella al dravallo non appena questo varcò la soglia della scuderia. Stringendo le cinghie tra le mie mani ferite, mi voltai a guardarla. «Devo attirare almeno uno di quei mostri lontano di qui.»
Lei sgranò i suoi grandi occhi verdi per lo stupore di sentirmi dire una cosa del genere. Arrivate a quel punto, iniziare davvero a pensare che mi consoderasse del tutto fuori di testa.
Scosse il capo furiosamente mentre diceva: «No, no, e ancora no, Astraea! Sei forse uscita fuori di senno? Sei umana e, se uno di quei mostri ci seguisse, io non sono sicura di poterti difendere adeguatamente da sola! Non posso permetterti di compiere questa follia!»
Tentò di mettermi giù dal dravallo ma furono sforzi vani: non mi lasciai disarcionare.
Avevo preso una decisione e l'avrei portata avanti fino alla fine.
Le bloccai il polso di una mano e la costrinsi a guardarmi negli occhi. «Ascoltami, Vanya, ho bisogno del tuo aiuto...»
«No, Astraea! Io non sono disposta a farti ammazzare» interruppe lei il mio discorso, tentando nuovamente di farmi scendere dal dravallo su cui ero seduta in groppa.
«Ascoltami!» urlai, disperata mentre il dolore ai palmi delle mani non faceva altro che aumentare. «Io sono già spacciata, Vanya» iniziai col dire quando ebbi nuovamente la sua attenzione. Le misi davanti il palmo della mano destra libera e le mostrai nuovamente le ferite che iniziavano a riaprirsi poco a poco. «Questo è il marchio di un salice piangerte nato millenni fa. È lui a creare gli Eterni e, in cambio di ciò, chiede un pagamento: il sangue dei figli nati umani di questi ultimi. Io sono una dei predestinati che deve compiere questo gesto e, non appena saranno nuovamente tutte aperte le ferite sulle mie mani, io morirò.»
Vanya scosse nuovamente il capo, guardandomi innorridita mentre ascoltava quella dura verità che persino io avevo fatto fatica ad accettare. «Non può essere... non è vero...»
«Vanya, ti prego! Vieni con me e aiutami ad eliminare almeno uno di loro» dissi, quasi supplicandola. «Io sono già un morto che cammina ma, se deve morire come fu profetizzato, voglio portarmi quei mostri nella tomba. Il mio sangue è l'unica cosa che può ucciderli ed è la mia unica occasione, questa qui...»
Lacrime calde iniziarono a sgorgare sul suo viso, mentre un nodo alla gola tentava di rendermi difficile persino respirare.
La Semidea del ghiaccio non rispose alla mia supplica e sì limitò a rimanere in silenzio mentre mi guardava completamente senza parole.
«Vanya...»
«Accidenti...» disse, piangendo disperata, e, subito dopo, salì anch'essa in groppa al Dravallo sul quale vi ero io, posizionandosi dietro la sottoscritta.
«Grazie, amica mia...» sussurrai e sperai che lei avesse udito quelle mie parole nonostante il gran trambusto che vi era intorno a noi.
Tirai le redini e costrinsi all'animale, dotato di grandi ali che gli consentivano di volare come un uccello, a spiccare il volo, librandosi nell'aria fredda di quell'ultima notte di Stella Invernale.
Sentivo il freddo penetrarmi nelle ossa e il dolore divenire sempre più insopportabile.
Strinsi i denti e cercai di non urlare per le ferite che si riaprivano.
Il sangue grondava sul mio bel abito bianco, macchiandolo di un rosso scuro ed intenso.
"Astraea, il tempo è giunto", mormorò Lacrime del Fato Oscuro nella mia mente.
Sentivo i suoi lamenti di dolore andare di pari passo con i miei.
Voleva essere rigenerato ed io ero l'unica che potesse placare la sua insaziabile sete.
Dovevo sbrigarmi o non sarei riuscita nel mio intento.
Volai fino al punto in cui Mokosh continuava a combattere contro Vel ed Xzander.
L'Eterno era in piedi a fatica e aveva un braccio ferito, completamente insanguinato. Stava tentando di tramutare nuovamente un bastone di legno in metallo.
Vel, invece, aveva la gola stretta tra le mani nere e grandi dell'anima oscura.
Scalciava a fatica e boccheggiava, chiaro segno che, di lì a poco, le forze lo avrebbero abbandonato.
Dovevo intervenire immediatamente.
Fermai il Dravallo mentre era ancora in volo e lasciai che esso ci facesse levitare sopra la zona di battaglia, pronto a riprendere il volo disperato.
«MOKOSH» urlai, attirando l'attenzione del mostro che stava tentando di porre fine alla vita dell'unico ragazzo che io abbia mai amato.
Come prevedibile, lui alzo il capo nella mia direzione e sorrise come un bambino che finalmente riceveva il suo regalo di compleanno.
«Principessina, mi stavo giusto chiedendo che fine avessi fatto» ribatté lui con quel ghigno malefico stampato sul suo volto tumefatto. «Non è stato carino da parte tua abbandonare la festa quando era appena cominciata.»
«Se ci tieni tanto ad uccidermi, vieni a prendermi, mostro!»
Il suo sorriso malvagio si allargò a dismisura. «Con grande piacere.»
Liberò Vel dalla stretta al collo e lasciò che cadesse al suolo.
Il Dio della manipolazione tossiva e si massaggiava il punto in cui, fino a qualche istante prima, erano presenti le mani dell'anima oscura sul suo collo.
Mi concessi il privilegio di ammirare il suo viso un'ultima volta e, con le lacrime agli occhi che iniziavano a venire a galla, ripresi a far volare il Dravallo nella direzione in cui sapevo che si trovava il Salice piangente al quale avrei dovuto donare la mia vita.
Le ali grandi e maestose dell'animale schiafeggiavano l'aria fredda, aumentando notevolmente la velocità.
Sentii la pelle del terzo marchio, il primo che mi era apparso a forma di mezza luna, che iniziava ad aprirsi e mugugnai per il dolore sordo e crescente che tentava di far vacillare la mia lucidità mentale.
Dovevo resistere.
Dovevo farcela.
Arrivati a quel punto, mancava davvero poco affinché arrivassimo ai piedi del salice piangente e compissi il mio destino.
Ad un tratto, sentii Vanya urlare, chiaramente spaventata.
«Che succede...?» tentai di domandarle, mentre il mio respiro diveniva sempre più affannato.
«Un fantasma mostruoso è dietro di noi» disse, guardandosi indietro.
Incurvai leggermente gli angoli delle mie labbra verso l'alto, sorridendo.
Mokosh, che poteva liberamente decidere se assumere l'aspetto di uno spettro o se assumere l'aspetto di un'anima Oscura, stava volontariamente cadendo nella mia trappola mortale.
Con molte probabilità, nemmeno lui si stava rendendo conto di ciò a cui stava andando incontro.
La fine della sua miserabile di inutile esistenza stava per giungere ad un punto di non ritorno.
Una volta morto per la seconda volta, non ci sarebbe stato più nessuno in grado di riportarlo in vita neanche sotto forma di fantasma.
Le risate stridule di quell'anima dannata iniziarono a riempire l'aria intorno a noi, riecheggiando nella mia mente come un canto di morte e di terrore.
Quei versi agghiaccianti si facevano sempre più vicini e, ad un tratto, vidi il fantasma di Mokosh, bianco come il lenzuolo e con il volto che aveva l'aspetto di un teschio umano, volare al mio fianco.
Il suo sguardo era rivolto verso di me e un sorriso spaventoso gli addobbava il cranio.
Le mani prive di consistenza e trasparenti tentavano di toccarmi per provocarmi lo stesso dolore che mi aveva provocato la prima volta che me lo ero ritrovata di fronte, in quel vicolo buio del villaggio Vryst in cui avevo incontrato Inara e avevo appreso chi lei fosse in realtà.
Mossi leggermente il piede contro la pancia del Dravallo e questo, in risposta, nitrì e volò ancora più velocemente.
Dovevo avere un leggero vantaggio sul fantasma di Mokosh.
Ad un certo punto, la vista mi si offuscò.
Una nebbiolina grigia mi rendeva impossibile guardare ciò che vi era davanti a me con chiarezza.
Sentivo le forze abbandonarmi ma non potevo cedere proprio in quel momento, non a quel punto in cui mi trovavo così vicina alla mia meta.
Un altro paio di metri e saremmo finalmente giunte ai piedi del Salice piangente.
C'ero quasi...
Mancava davvero...
Sentii un dolore agghiacciante all'altezza del petto iniziare ad espandersi lungo tutto il mio corpo debilitato.
Sapevo perfettamente ciò che mi era successo e non avevo alcun dubbio che il responsabile, di quel dolore improvviso e feroce, fosse Mokosh.
Urlai per il dolore ma riuscii comunque a confermare ciò che mi era successo nel momento in cui riaprii gli occhi che avevo serrato: l'anima maledetta di Mokosh aveva attraversato il mio corpo con il suo spirito, provocandomi lo stesso ed identico dolore, seppur leggermente più leggero, di quando sia lui che le sue due amichette mi avevano stordita nel vicolo del villaggio.
Come allora, anche in questa circostanza la sua unica volontà era quella di indebolirmi più di quanto già non lo fossi.
Non glielo avrei permesso.
Respirando con sempre più affanno, costrinsi il Dravallo ad accelerare.
Quando la nebbiolina che mi impediva di vedere si dissipò, fui in grado di comprendere a grandi linee dove mi trovassi: pochissi metri mi dividevano dal grande albero millenario che si innalzava al cielo in tutta la sua maestosità.
Le foglie che pendevano verso il centro della terra, di quel colore insolito, tendente al blu avio scuro, splendevano e riflettevano, come la neve che ancora copriva la terra, gli ultimi raggi del chiarore di luna che stava per lasciar posto a quelli del sole.
Il cielo era una tavolozza di colori variopinti e vivaci che passavano dalla gradazione dell'arancio chiaro, fino ad arrivare a quelli del blu scuro della notte.
Non vi era traccia di nuvole bianche che avrebbe evitato al sole di splendere su Aracieli o che avrebbero fatto cadere nuovamente la neve sui verdi prati.
I miei occhi violacei divorarono la bellezza di quello spettacolo e fu allora che il nodo alla gola riprese ad impedirmi di respirare.
Le lacrime spinsero dietro ai miei occhi, desiderose come non mai di fare scorrere le loro gocce calde sul mio viso pallido.
Quelli erano i miei ultimi istanti di vita ed io li volevo davvero passare piangendo?
Non potevo permettere tutto ciò.
Cercai di sorridere ma, non appena compii quel gesto, due dolori diversi ripresero a togliermi il fiato: il quarto marchio iniziava a riaprirsi e a fare gocciolare il sangue, mentre, l'altro dolore, quello all'altezza del petto, era dovuto al fatto che lo spettro di Mokosh aveva nuovamente trapassato il mio corpo.
Il dolore fu tale e insopportabile che urlai ancora più forte e persi l'equilibrio del Dravallo che, in men che non si dica, iniziò a precipitare al suolo, insieme a me e a Vanya.
L'impatto fu devastante e il mio corpo rotolò fino a sbattere contro il tronco robusto del salice piangente che reclamava la fine della mia vita.
Un dolore sordo alla schiena rischiò quasi di spezzarmi in due.
Dei lamenti uscirono fuori dalle mie labbra e, nonostante mi sentissi completamente distrutta fisicamente e mentalmente, rotolai fino a far aderire la parte frontale del mio corpo al suolo ghiacciato e issandomi con le braccia deboli, riuscii a sollevarmi.
La prima cosa che feci fu assicurarmi che Vanya stesse bene.
La vidi rialzarsi a qualche metro di distanza da me.
I nostri occhi si incrociarono ma, nello stesso istante in cui vidi quelle iridi verdi chiari riempirsi di terrore e le sue urla, sentii qualcuno afferrarmi i lunghi capelli violacei, che mi si erano sciolti dall'acconciatura, e strattonarmi all'indietro.
Urlai anch'io per il dolore al cuoio capelluto che quel brusco movimento mi stava recando e scalciai a vuoto quando il mio corpo fu completamente sospeso a mezz'aria.
Sentivo i capelli sul punto di strapparmisi uno ad uno, accentuando le mie sofferenze.
Alzai le braccia e, con le mie mani ferite, andai alla ricerca di quelle di Mokosh per tentare di togliermele di dosso, in modo tale che potessi liberarmi da lui una volta per tutte.
Non appena trovai le sue mani fredde come quelle della morte, posai le mie sulle sue e, istantaneamente, sentii che il mio sangue bruciava la sua pelle nera.
Lui urlò e, dopo un lungo momento di resistenza in cui mi aveva fatto intendere che non aveva alcuna intenzione di lasciarmi andare, dovete cedere e mollare la presa su di me.
Caddi nuovamente al suolo, bruscamente.
Cercai di mettermi nuovamente in piedi ma le mie gambe non avevano alcuna intenzione di collaborare, così dovetti accontentarmi di mettermi seduta.
Quando lo feci, cercai nuovamente lo sguardo di Vanya che stava accorrendo a darmi una mano.
Lei non doveva intervenire per alcuna ragione al mondo.
«Non avvicinarti, Vanya!» le urlai, o, per lo meno, ci provai.
Il risultato, chiaramente, fu abbastanza deludente e la mia voce parve, perfino alle mie orecchie, fin troppo bassa e gracchiante.
Lei si immobilizzò sul posto e mi guardò con occhi impauriti, emozione che non fece altro che aumentare nel momento in cui Mokosh si mise a ridere.
Mi voltai a guardarlo e notai che vari strati di pelle delle sue mani erano stati completamente bruciati.
Delle gocce di liquido nero, qualcosa di simile al sangue umano, fuoriusciva da quelle brutte escoriazioni che gli avevo procurato con il semplice contatto dei miei palmi con la sua pelle dura.
Lui era ancora in piedi al mio fianco e guardava Vanya con un sorriso agghiacciante, sorriso che lasciava intuire una serie di azioni malvagie che avrebbe tanto voluto compiere sulla mia amica nel momento in cui avrebbe finito di occuparsi di me.
Non sarebbe mai accaduto.
«Tranquilla, Semidea» iniziò col dire con la sua voce abominevole. «Presto arriverà anche il tuo turno.»
Vanya deglutì sonoramente ed io mi voltai nuovamente nella sua direzione.
La guardai e lei fece altrettanto.
Le mimai con i movimenti delle mie labbra ciò che lei avrebbe dovuto fare non appena glielo avrei ordinato e, come previsto, la sua reazione fu quella di riprendere a piangere e di scuotere freneticamente la testa.
Era chiaro che si opponeva a ciò che avevo in mente, ma non avevo altra scelta e lei nemmeno.
"Ti prego", le dissi con le labbra senza che quelle due paroline fossero pronunciate dalla mia voce.
Vanya scosse di nuovo la testa.
Non poteva e non voleva farlo.
Fu allora che le sorrisi, gesto che serviva solo ad incoraggiarla. «Andrá tutto bene, vedrai...» dissi, con un fil di voce che sperai che lei avesse udito.
A quel punto, Mokosh non ci pensò su due volte a mettermi le mani intirno al collo e sollevandomi nuovamente da terra, lasciando che il mio corpo rimanesse sospeso a mezz'aria.
Scalciava come una dissennata e non riuscivo più a respirare.
L'ennesima fitta di dolore acuto e atroce mi percorse interamente il corpo partendo dal punto in cui era situato il marchio, il primo che mi era apparso settimane prima, che di era riaperto completamente.
Un urlo mi rimase strozzato in gola.
"È giunto il momento, piccola ed innocente creatura umana", disse la voce del salice piangente.
Riuscii a sollevare a fatica la palpebra dell'occhio destro e guardai le foglie penzolanti di Lacrime del Fato Oscuro muoversi, trasportate dal venticello tipico del periodo della Stella Primaverile.
"Perdonami, Vel..."
«VANYA!» urlai con tutta la voce che ancora avevo in corpo e nonostante avessi la gola stretta dalle grandi mani dell'anima oscura.
Lui mi sorrise malevolo. «La tua amichetta non potrà fare nulla per aiutarti, stupida.»
«Lo... vedremo...» boccheggiai.
Lo guardai dritto negli occhi mentre gli posavo sulle mani le mie e un fumo grigio riprese a prodursi da quel contatto scottante.
Sul suo viso malvagio comparve una smorfia di dolore.
Fu in quell'esatto momento che il mio debole corpo mortale venne trapassato da un oggetto freddo e affilato che, con stupore della creatura del male, trapassò anche quello di Mokosh.
Sussultai e sputai sangue nel momento in cui lui mollò la presa sulla mia gola.
Abbassò lo sguardo e si guardò il petto ferito da un'enorme e affilata lancia di ghiaccio bagnata con il mio sangue.
Del fumo fuoriusciva da quella ferita ed io gli sorrisi, nonostante il dolore che avvertivo per tutti i miei organi che stavano collassando ad uno ad uno, quando lui lo rialzò per guardarmi negli occhi.
La sorpresa fu l'unica emozione che vi si leggeva in quegli occhi inquietanti e dalle iridi rosse senza pupille.
«Cosa hai fatto...» borbottò e tentò di indietreggiare, ma io non glielo acconsentii.
Mi spinsi verso di lui con le ultime forze che mi rimanevano e gli conficcai ancora di più la lancia di ghiaccio nel corpo, nonostante quel movimento non fece altro che prolungare anche la mia sofferenza.
Avvicinai il mio viso al suo e gli sussurrai all'orecchio: «D-d-devi... Mo-mo-morire...»
La mia voce tremava così come tutto il mio corpo scosso dai spasmi e, quando lui udì quelle parole, lanciò un urlo agghiacciante, dopodiché, il suo corpo di dissolse nel nulla.
Mokosh era nuovamente morto e, da questo momento e in avanti, non avrebbe mai più potuto fare male a nessuno.
Tentai di reggermi in piedi ma finii per cadere ai piedi dell'albero a cui avrei dovuto sacrificare la mia vita, i miei sogni, le mie speranze.
La mia guancia sinistra toccò l'erba soffice che vi circondava il grande albero millenario.
Vidi il sangue bagnarla e tingere il verde con il rosso.
Sentii le urla di Vanya e, successivamente, vidi la sua figura sfocata raggiungermi.
Mi prese tra le due braccia e sentii le due lacrime bagnarmi il viso freddo.
«Astraea...» disse lei, singhiozzando. «Perché...? Perché l'hai fatto...?»
Deglutii per bagnarmi la gola secca ma non vi era alcuna traccia di saliva nella mia bocca. «Perché... il mondo sarà un...» tossii e sputai ancora una volta sangue. «posto... migliore...»
Il suo viso si cortorse per il dolore. «Non lo sarà mai se tu non ci sei...»
Avrei tanto voluto risponderle ma non avevo la forza di farlo, così mi limitai a guardarla mentre versava tutte le sue lacrime.
«ASTRAEA!» sentii il mio nome pronunciato a gran voce da Vel e, subito dopo, il viso di Vanya sparì e comparve il suo nel mio campo visivo.
Era meraviglioso come sempre nonostante il livido sotto la mascella e le varie piccole ferite sul suo volto.
Allungai una mano per toccargli il viso ma questa non riuscì ad arrivargli nemmeno vicino, così fu lui ad afferrarla e a portarmela sulla sua guancia mentre me la teneva stretta tra la sua, così tanto calda a contatto con la mia che sembrava essere divenuta di ghiaccio.
Tossii nuovamente e quel semplice gesto bastò per farmi nuovamente avvertire un dolore indescrivibile all'altezza del petto e dei palmi delle mani.
Il sangue continuava a fuoriuscire dalle ferite e mi bagnava interamente con la sua sostanza calda e appiccicosa.
Quando tossii per la seconda volta nell'arco di due secondi, dell'altro sangue mi bagnò le labbra, uscendo fuori da esse.
Mi sembrava di star per aggire nel mio stesso sangue.
Vedendo le mie condizioni, delle lacrime iniziarono a fare capolino dai bellissimi occhi rossi di Vel e, se avessi potuto, le avrei volentieri asciugate.
«Astraea...» disse. Anche se, il mio nome, pronunciato da lui in quel preciso istante, sembrava una tacita supplica.
Mossi leggermente le dita della mia mano sulla sua guancia e iniziai a piangere anch'io.
Stavo morendo...
Stavo morendo tra le braccia di Vel e il pensiero di lasciarlo solo mi distruggeva ma, allo stesso tempo, ero felice del fatto che lui avrebbe continuato a vivere nonostante tutto, anche senza di me.
«V... Ve... Vel» riuscii a pronunciare il suo nome.
Il dolore non faceva altro che aumentare e le forze stavano iniziando ad abbandonarmi.
Facevo quasi fatica a sentire le gambe e sapevo perfettamente che, presto, avrei perso la sensibilità anche del resto del mio corpo.
In fin dei conti, doveva essere così che ci si sentiva nel momento in cui la vita iniziava a scivolarti via, no?
Le palpebre dei miei occhi si fecero sempre più pesanti e faticavo a tenerle aperte.
Le chiudevo e le riaprivo ad intermittenza e, quando i secondi che passavano chiusi, i miei occhi, divennero nettamente superiori a quelli che li passavo aperti, Vel mi strinse ancora di più a sé.
Mi prese il viso freddo tra la mano che, fino a quel momento mi aveva sorretto la mia sul suo viso, e lo mosse leggermente, costringendomi ad aprire gli occhi e a non lasciarmi andare. «Non morire, Astraea. Non morire, te ne prego!» disse, quasi singhiozzando. «Avevamo una promessa da mantenere, ricordi? Noi due dobbiamo affrontare insieme qualsiasi ostacolo che la vita ha intenzione di porci davanti e questa è una di quelle.»
Lo sapevo.
Lo sapevo perfettamente ma non potevo combattere contro la morte.
Lei mi chiamava a gran voce.
Lei mi reclamava, mi voleva tra le sue braccia e, in quel momento, avrei tanto voluto cedere solo per porre fine a tutto quel dolore che mi stava rendendo gli ultimi istanti della mia vita atroci e insopportabili.
Facevo fatica a respirare.
Pochi fili d'aria riempivano i miei polmoni che stavano iniziando a collassare.
Il mio cuore batteva ad un ritmo sempre più lento e percepivo il mio petto alzarsi e abbassarsi sempre con meno frequenza.
Non avevo più forze e sentivo il mio corpo svuotato completamente di quel liquido rosso che era simbolo di vita.
«Ora e per sempre, Astraea» continuò a dirmi Vel, cercando di farmi rimanere sveglia nonostante la mia voglia di precipitare in quel baratro nero che mi attirava a sé. «Ora e per sempre, rimarremmo l'una accanto all'altro.»
Quanto avrei voluto dirgli che anch'io avevo creduto in quel "per sempre" fino a quel momento, ma, ormai, era persino inutile sperare in qualcosa che non poteva più accadere.
Ero spacciata, anzi, lo ero stata sin dal momento in cui avevo emesso il mio primo vaggito.
Il mio destino era scritto da anni.
Avrei voluto che le cose andassero diversamente.
Avrei voluto non morire.
Avrei voluto continuare a vivere al fianco dell'uomo che avevo iniziato ad amare sin dal primo momento in cui avevo incrociato il suo sguardo.
Volevo aver la possibilità di amare, di sognare, di sperare.
Volevo semplicemente vivere ma ciò non mi era concesso.
Lacrime più copiose scesero giù dai miei occhi, cadendo sull'erba già bagnata del mio sangue.
"Non voglio morire...", gli dissi mentalmente dato che non avevo più voce da far udire alle sue orecchie e a quelle di chiunque altro.
Vel mi accarezzò il viso e cercò il mio sguardo con urgenza.
I suoi occhi erano rossi e lucidi e le sue guance completamente bagnate per il pianto disperato che io ero riuscita a provocargli.
"Non morirai, amore mio. Farò di tutto per salvati", iniziò col dire. "La felicità ci attende ed io non ho alcuna intenzione di farmela sfuggire o di vederla andar via da me un'altra volta. Io ti amo, piccola mia. Non posso vivere in un mondo in cui tu non esisti, in un mondo in cui non mi è concesso vedere il tuo viso, pronunciare il tuo nome, vederti sorridere oppure sentire il tuo respiro caldo sulla mia pelle quando stai dormendo. Io non posso e non accetto di dover vivere senza te. Sei la mia unica ragione di vita, Astraea. Combatti, combatti per il nostro amore..."
Oh, Vel...
Avrei tanto voluto combattere ed essere io la felicità che aveva sempre cercato e desiderato, tuttavia, ciò non era possibile...
Iniziai a sentire altre voci urlare il mio nome ma non riuscivo a distinguerle né a capire a chi appartenessero.
Ad un tratto, il silenzio assoluto era l'unica cosa che io fossi in grado di udire con le mie orecchie.
Il mio corpo era diventato una piuma e, per quanto ci provassi, non riuscivo a muovere più nemmeno un muscolo di esso.
Sembrava come se ne avessi perso il controllo.
La vista iniziò a divenire offuscata e, anche se battevo le palpebre per dissipare quella fastidiosissima nebbiolina, essa non accennava ad andarsene e, improvvisamente, le immagini iniziarono a divenire confuse, sempre meno nitide.
Non avevo più forze, non avevo più volontà.
Il mio capo iniziò a penzolare di lato ma Vel continuava a mantenermelo dritto e a dirmi e ad urlarmi qualcosa che io non riuscivo più a sentire.
Sembrava non esserci più nulla intorno a me.
Era come se, nella mia vita, avessero spento il tasto del volume ed ora fossi intenta a galleggiare in una sorta di mondo parallelo dove non vi era più voce o melodia.
Fissai il mio sguardo dritto di fronte a me.
Non sentivo più nulla intorno a me e il mio sguardo era catturato dal movimento ondulatorio delle foglie blu avio del Salice piangente che mi aveva dato e tolto ogni cosa.
Ad un tratto, il suono delle sue tenere e fragili foglie che si sovrapponevano era l'unica cosa che potesse essermi concesso di udire.
In quel momento, mi parve una ninna nanna, una ninna nanna talmente simile a quelle che mi canticchiava mia madre quando ero bambina per farmi addormentare.
Voleva cullarmi verso il sonno eterno?
Non lo sapevo.
Arrivati a quel punto, non sapevo più nulla.
Vel continuava a muovere le labbra e a dirmi qualcosa che non riuscivo a comprendere.
Forse mi chiedeva di lottare ma era troppo tardi.
Era davvero troppo tardi.
Avrei voluto dirgli che lo amavo ma era divenuto troppo tardi anche per quello.
Non avevo più voce.
Puntai il mio sguardo nuovamente verso le foglie del Salice che ondeggiavano e, innaspetatamente, il dolore scomparve e mi sentii... in pace.
"Chiudi gli occhi e lasciati andare, dolce fanciulla".
Feci come mi disse l'albero.
Chiusi gli occhi e lasciai che un'ultima lacrima cadesse giù dal mio viso.
L'obblio mi accolse ed il mio ultimo pensiero fu rivolto a Vel.
"Ti amerò, Veles, ora e per sempre."
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