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Veles
La porta della camera in cui ero si aprì dopo che, chiunque stesse dall'altra parte della porta, aveva bussato per chissà quanto tempo senza ricevere alcuna risposta da parte mia.
Non volevo vedere nessuno e, anche se avevo provato a dire un semplice "vattene" alla persona in questione, non mi era uscita fuori nemmeno una sillaba.
Mi sentivo anestetizzato.
Non sentivo più nulla dentro di me da quando Astraea aveva deciso di chiudere la nostra relazione e, nonostante i vari tentativi che avevo fatto durante quei due giorni di avvicinarmi a lei per un ulteriore confronto, mi evitava come se fossi la personificazione della morte.
Mi ero chiuso nella stanza che era stata complice del nostro amore per rimanere un po' da solo con me stesso ma, a quanto sembrava, questo non era un lusso o un privilegio che potessi permettermi.
Quando la porta fu completamente aperta, la prima caratteristica fisica che notai furono i lunghi capelli bianchi e lisci come seta, seguiti da i suoi occhi dalle iridi ocra e dalle sue labbra rosse, distese in un sorrisino di circostanza.
Sembrava triste.
Sol incrociò il mio sguardo ma, subito dopo, lo abbassò. Sì portò una ciocca di capelli bianchi dietro le orecchie e quel gesto bastò per farmi comprendere che, nonostante tutto il tempo che avessimo passato l'uno affianco all'altra, lei era palesemente in imbarazzo.
Appoggiai la testa al muro.
Ero seduto sul pavimento di quella camera, immersa nell'oscurità della notte, mia fedele amica, con la schiena interamente spalmata contro il muro dietro di me. Le mie mani erano congiunte e rimanevano sospese a mezz'aria grazie al contatto dei miei avambracci con le ginocchia flesse.
I miei occhi fiammeggianti rimasero puntati sulla figura della graziosa Semidea per un breve attimo, dopodiché, distolsi il mio sguardo, voltando il capo verso le finestre spalancate che facevano penetrare, nella camera, il freddo pungente di quella notte di fine Stella Invernale. «Cosa ci fai qui, Sol?» esordì, spezzando il silenzio che, in più di un'occasione mi era stato amico.
Con la coda dell'occhio vidi la giovane fanciulla muoversi in certa, spostando il peso del suo corpo da un piede all'altro, giocherellando con le sue mani, strette in grembo. «Credo che la risposta tu già la sappia, Vel...»
«Se sei venuta con l'intento di tirarmi su il morale, ti risparmio la fatica e ti chiedo la gentilezza di lasciarmi solo. Non ho bisogno del conforto di nessuno, in questo momento.»
Lei rimase in silenzio così a lungo che, ad un certo punto, pensai che, finalmente, avesse fatto come io le avevo chiesto e se ne fosse andata senza fare il benché minimo rumore, invece, quando la sentii sedersi alla mia sinistra, la cosa non mi sorprese minimamente.
Sol era sempre stata una ragazza che avrebbe fatto di tutto pur di fare star meglio gli altri nonostante non fosse mai invadente.
«Sbaglio o ti avevo chiesto di andartene?»
La sentii fare una leggerissima risatina. «Se non ricordo male, ci conosciamo da così tanto tempo che ormai dovresti sapere come sono fatta, o sbaglio?» domandò di rimando con il suo solito tono di voce tranquillo e pacato, a tratti estremamente dolce e smielato.
Sbuffai. «Ciò non toglie che, per una volta, avessi sperato che tu avessi dato retta ad una mia neccessità.»
«Il problema è che non è questo ciò che vuoi» disse, facendomi voltare di scatto nella sua direzione.
Stava stringendo le sue gambe contro il suo busto, con l'aiuto delle braccia, e aveva posato la guancia sinistra sulle ginocchia, rivolgendo il capo nella mia direzione.
I lunghi capelli bianchi erano scivolati lungo la sua schiena e lungo il lato sinistro del suo esile ed affascinante corpo.
Un sopracciglio scattò verso l'alto. «Ah si?»
Nella penombra che vi era in quella stanza scarsamente illuminata, notai che, quel lieve accenno di sorriso, era stato completamente sostituito da uno sguardo preoccupato ed estremamente triste. «Tu non vuoi rimanere solo con il tuo dolore, Vel» rispose.
«Tu non sai ciò che io voglia e non puoi neanche immaginare come io possa sentirmi in questo momento» dissi di getto, usando un tono di voce talmente tagliente che quasi mi stentai a riconoscere.
Dovevo sembrare irriconoscibile agli occhi di chiunque provasse a posare il suo sguardo su di me.
«Ed è proprio qui che ti sbagli, giovane Dio della manipolazione» iniziò col dire la Semidea della luce. «Ho imparato a conoscerti così bene che so perfettamente cosa tu voglia in questo momento ed è per questo che io sono qui nonostante tu affermò il contrario. L'improvviso abbandono di Astraea ti sta distruggendo e il suo seguente ed attuale comportamento non aiuta di certo il tuo stato d'animo tormentato e fragile. Mia nipote ti ha spezzato il cuore. Posso sentire i frammenti di esso far rumore mentre cadono. Nemmeno Hipnôse era riuscita a ridurti così... Sei davvero così tanto innamorato di lei, fino al punto di arrivare ad un passo dalla follia, che non riesci nemmeno a rimetterti in piedi e ad andare avanti con la tua vita come hai già fatto in passato?»
La fissai ma non dissi una sola parola.
Del resto, cosa avrei potuto dirle?
Era così.
Avevo completamente perso la testa ed il cuore per lei e, ancora una volta, il mio amore non era corrisposto.
Mi limitai semplicemente ad interrompere il contatto visivo che si era venuto a creare tra di noi, riportando il mio sguardo dinanzi a me, sulla porta lasciata aperta quando la Semidea era entrata nella stanza, invadendo il mio spazio vitale.
«Non puoi lasciarti andare così...» continuò a dire.
«Non ne voglio parlare» sputai fuori.
Una sua mano si posò sul mio braccio. Quel gesto bastò a risanare il nostro contatto visivo. Il chiarore della luna, che penetrava dalle vetrate, rendeva i suoi occhi gialli così simili a due fari di luce nell'oscurità.
In più di un'occasione, in passato, lei aveva creduto che potesse diventare la mia ancora di salvezza, la luce che mi avrebbe condotto fuori da un tunnel buio e oscuro nel quale mi aveva catapultato Hipnôse.
Per quanto riguardava il suo rifiuto, Sol c'era riuscita perfettamente nell'intento di salvarmi, ma, questa volta, le cose erano diverse e l'unica persona che poteva restituirmi la serenità era la stessa che me l'aveva tolta.
La bella Semidea mi sorrise calorosamente. Evidentemente cercava di infondermi un certo senso di "consolazione". Voleva farmi capire che lei c'era per me e che sarebbe sempre stata al mio fianco, peccato solo che non fosse colei che io desideravo.
«Vedrai che tutto, prima o poi, si risolverà» disse, accarezzandomi lievemente e dolcemente la zona del mio braccio in contatto con la sua mano. «In questo momento, hai due scelte davanti a te: puoi decidere di andare avanti e lasciarti indietro il dolore come sei già riuscito a fare una volta, o puoi benissimo andarti a riprendere il tuo grande amore e farle capire che, ciò che vi lega è decisamente più forte di qualunque sia il motivo della vostra discussione.»
«Io non la capisco.»
Lei scrollò le spalle con nonchalance. «È ancora molto giovane e ha tutta una vita davanti per maturare. Devi solo avere pazienza con lei e cercare di aiutarla a ritrovare la retta via.»
Mugugnai. «E se non mi amasse più?»
I suoi occhi ocra, così simili a quelli della precedente regina Crysalide, si rabbuiarono. «Puoi mostrarle che c'è ancora amore in lei nei tuoi riguardi. In caso questo non vi fosse e lei decidesse che tu non meriti di avere un ruolo fondamentale nella sua vita, sappi che io sarò sempre pronta ad accoglierti a braccia aperte nonostante tutto...»
Chiusi gli occhi e sospirai sonoramente.
Sapevo quali fossero i suoi sentimenti nei miei riguardi e, ogni volta, mi sentivo un verme per non aver mai sentito la benché minima parte dell'emozione che lei sentiva riempirle il cuore, quando incrociava il mio sguardo.
«Sol...» pronunciai il suo nome come se fosse una tacita supplica di porre fine a qualcosa di più grande di lei.
Al sentir pronunciare il suo nome, la Semidea serrò gli occhi e vidi un leggero tremolio delle sue labbra. Tristezza, dolore, rabbia per non essere mai stata abbastanza per qualcuno a cui lei teneva più della sua stessa vita, si mescolarono dentro di lei, creando un vortice dirompente che quasi mi tolse il fiato.
Erano sensazioni violente e che avevano un violento impatto su di me.
«Sol...» ripetei. Fu allora che la ragazza dai capelli bianco latte riaprì gli occhi.
«So cosa mi vuoi dire, Vel. Non ho mai avuto bisogno di un potere simile al tuo per capire cosa tu pensi o come tu ti senta...» distolse lo sguardo, poggiando il mento del suo viso perfetto, e reso ancora più pallido a causa del chiaro di luna, sulle ginocchia. Guardava la porta aperta e si mordeva con forza il labbro.
I suoi occhi erano lucidi.
Tratteneva le lacrime, lacrime causate dall'assenza di un'amore che non avevo mai sentito nei suoi confronti.
«Per più di un millennio sono rimasta nell'ombra, in attesa che tu, la persona alla quale ruotava intorno tutto il mio mondo, si accorgesse di me e iniziasse a considerarmi qualcosa di più di una semplice "amica"...» disse, la voce strozzata da un pianto che non riusciva più a trattenere. Le prime lacrime calde iniziarono a cadere sul suo viso. «Non sono mai stata notata nonostante ti fossi SEMPRE rimasta accanto anche nei momenti più difficili e delicati, in quei momenti in cui tutti se l'erano data a gambe, lasciandoti solo nella tua disperazione. Quando mi ero accorta che avevo finalmente cacciato via Hipnôse dalla tua testa, ho creduto, stupidamente, che tu potessi iniziare ad amarmi. Così non è stato e sai quali sono state le cose che mi hanno ferita di più?»
Si voltò verso di me con le lacrime agli occhi e mi guardò.
Mi sentii il cuore stretto in una morsa soffocante.
Scossi il capo, incapace di parlare.
Mi mostrò un sorriso triste. «La prima ferita me l'hai provocata quando ho notato che tu giardavi un'altra ragazza nonostante avessi me sotto i tuoi occhi. Mi sarei strappata il cuore dal petto e te lo avrei donato se so tu me lo avessi chiesto. La seconda ferita me la stai provocando adesso chiedendomi, egoisticamente e senza mezzi termini, di non amarti, di non provare questo forte sentimento che nutro dentro di me, semplicemente perché tu non riesci a gestirlo e ti senti oppresso, schiacciato dal senso di colpa...» quando finì di pronunciare quelle parole, scoppiò a piangere a dirotto e, singhiozzando, si nascose il viso tra le mani.
Non sapevo bene cosa stessi provando oltre ad un senso di amarezza e alla tristezza per aver ferito una persona a cui, in un modo o nell'altro, tenevo profondamente.
Agii d'istinto e la abbracciai, appoggiando il viso rogato dalle lacrime contro il mio petto mentre io lasciavo che la mia nuca venisse sorretta, in qualche modo, dal muro dietro di me.
Guardai il soffitto mentre Sol infrangeva il silenzio della notte con il suo pianto.
Avrei voluto che lei smettesse di piangere a causa mia.
Avrei voluto darle ciò che si meritava.
Avrei voluto amarla.
Avrei voluto vederla sorridere.
Avrei potuto costringermi a farlo, ma sarebbe stata una grande e colossale bugia.
Io le volevo bene, tuttavia questo non bastava per iniziare a provare un amore anche solo lontanamente paragonabile a quello che nutrivo per Astraea, la Principessa di Aracieli.
Sarebbe stata tutta una finzione e, alla fine, chi ci avrebbe rimesso sarebbe stata ancora una volta Sol.
L'amore non si decide, l'amore non si comanda.
Tutto accade per una ragione e, per quanto lo si voglia, non si può mettere un freno ai battiti del cuore.
È esso a scegliere per noi, la testa non comanda in amore, altrimenti non si chiamerebbe tale.
Rimanemmo in silenzio per non sapevo quanto tempo, stretti in un abbraccio carico di dolcezza e tenerezza, e, quando la ragazza di origini semidivine tra le mie braccia si fu calmata, dissi: «Vorrei che tu fossi felice...»
Lei tirò su col naso e, smettendo di singhiozzare, ribatté: «Puoi».
Chinai il capo per guardarla in volto e lei alzò il capo verso di me per far incontrare i nostri sguardi. Avevo lo sguardo carico di dolore, un dolore a cui io avrei voluto mettere la parola fine.
«Come?» chiesi.
Le palpebre si chiusero e mi impedirono per una breve frazione di secondo di poter ammirare le sue iridi ocra, di una tonalità così simile a quella dell'oro. «Hai un dono, usalo su di me per cancellare tutto questo grande sentimento che mi tiene ancorata a te...»
«Sei sicura di volere che io faccia ciò che mi chiedi, Sol?»
Lei si morse le labbra e annuì. «Si, Vel. Non voglio più soffrire nel vederti cercare lo sguardo di un'altra che non sia io... tutto ciò mi distrugge...»
Dopo un attimo di esitazione da parte mia e di silenzio, annuii, acconsentendo a fare ciò che lei mi stava proponendo di fare. «Va bene, farò ciò che tu mi stai chiedendo.»
Altre lacrime salirono a galla e bagnarono i suoi occhi ludici e arrossati, tuttavia, sorrise.
Non potevo biasimare la sua scelta: se avessi potuto, avrei fatto la stessa cosa.
Sol chiuse gli occhi ed io le misi una mano sulla guancia per raccogliere una lacrima che le solcava la pelle diafana.
Iniziai a cercare nella sua mente e nel suo cuore quella forte emozione pulsante che sentiva nei miei riguardi e, quando la trovai, iniziai a distruggerla, frantumandola proprio come se fosse un sassolino.
La ridussi in polvere, in cenere.
Lei rimase per tutto il tempo con gli occhi chiusi e con un leggero accenno di sorriso.
Il suo viso era rilassato.
La sua condanna ad una vita infelice era finalmente giunta a termine.
Le accarezzai ancora per un istante il viso umido. «Mi dispiace, Sol...» ammisi poco prima che tutto quell'amore venisse spazzato via, sostituito con un vuoto che solo lei avrebbe potuto colmare con un'altro tipo di emozione.
La Semidea riaprì gli occhi e vidi che nelle sue iridi era presente un profondo senso di gratitudine che, subito dopo, decise di esprimere anche a parole.
Sorrise calorosamente e i suoi occhi brillavano di luce nuova. «Grazie, Vel. Grazie per avermi restituito la felicità e la serenità.»
Ricambiai il suo sorriso, anche se il mio sembrava stanco. «Era ciò che meritavi, Sol: la pace.»
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