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Intravidi delle fiamme sulla sua mano, stretta a pugno, che teneva ben nascosta dalla vista del suo rivale in combattimento.

La strinse con più forza e si preparò ad attaccarlo con essa.

Mi liberai all'istante dalla presa quasi soffocante di Helarã e tentai di mettermi in piedi in modo da poter evitare che il colpo della Semidea trasformata in Anima Oscura andasse assegno.

Tuttavia, i miei movimenti erano lenti e indecisi.

Non sarei mai riuscita ad arrivare a fermarla in tempo. Ero inutile.

Fu per questo motivo che decisi di urlare il suo nome in modo tale che il Dio della manipolazione potesse prestare attenzione a ciò che io potevo vedere e lui no. «VEL! ATTENTO!»

Nel preciso istante in cui Zōira tentò di sferrargli il pugno, il giovane Dio indietreggiò, evitando così di essere colpito brutalmente.

Con la coda dell'occhio, in quel momento esatto, vidi avvicinarsi rapidamente Mokosh alla mia figura, pronto a sferrarmi uno dei suoi, di pugni, mentre il suo potere distruttivo emergeva.

Sgranai gli occhi, sorpresa dalla rapidità con cui quell'essere si muoveva.

Non avrei mai potuto schivarlo, non avrei mai potuto evitare che esso mi colpisse in pieno petto.

Ero troppo lenta, troppo stanca, troppo... Mortale.

Chiusi gli occhi e mi rassegnai al fatto che, per lo meno, presto sarebbe tutto finito e che non avrei dovuto più soffrire.

Magari, ad attendermi, c'era il giardino degli Dei in cui tutte le anime pure andavano dopo la morte.

Tuttavia, quando notai che, dopo un paio di minuti, non accadeva assolutamente nulla, riaprii gli occhi e il mio cuore parve smettere di battere.

Il mondo intero si fermò e sembrò andare in frantumi.

Il colpo di Mokosh era andato a segno ma qualcuno aveva deciso di pararlo con il suo corpo per evitare che io fossi ferita.

Lo aveva promesso poco fa.

Aveva affermato che ci avrebbe pensato lei a me, che sarebbe andato tutto bene.

Gli occhi dolci di Helarã si riempiono di lacrime mentre mi guardavano e un sorriso amareggiato si distendeva sul suo viso.

Il suo petto era stato trapassato dal pugno distruttivo di Mokosh.

Quando lui lo ritrasse, un foro enorme mi consentiva di vedere oltre lei.

Il sangue colava.

Sembrava l'acqua che scorre da una sorgente limpida.

Si accasciò ai miei piedi.

Non urlava.

Non emetteva alcun suono.

Il tempo sembrava andare più lento mentre per lei volava via velocemente.

No.

No.

Non poteva essere vero.

Non poteva accadere una cosa del genere.

Non era possibile.

Non poteva essere.

L'Eterna dei sogni crollò sul pavimento logoro e impregnato del suo stesso sangue.

I suoi occhi erano vacui, non emettevano più la luce che mi era solito vedere nelle sue iridi azzurre.

Il suo corpo non si muoveva.

Lei rimane ferma, inerme.

Un guscio vuoto al cui interno non vi era assolutamente nulla.

«HELARÃ!» urlai, svegliandomi di colpo da quell'incubo spaventosamente reale che accompagnava tutte le mie notti da quando l'Eterna dei sogni era stata uccisa, giorni addietro.

Mi misi seduta sul soffice letto nel quale dormivo e, con il fiato corto, spinsi via le coperte che coprivano il mio corpo eccessivamente accaldato.

Sentivo caldo e, quando passai una mano sulla fronte, non mi sorpresi di sentirla imperlata di sudore.

Sospirai sonoramente e chiusi gli occhi, portandomi le gambe al petto e circondandole con le mie esili e nude braccia mentre vi poggiavo sopra le ginocchia la fronte ancora leggermente bagnata.

Era da quattro giorni esatti che non riuscivo più a chiudere occhio ed ero quasi certa che tutto ciò avrebbe finito col provocarmi un attacco di isteria, prima o poi.

Mi sentivo più stanca ad ogni giorno che passava e il ricordo costante della morte di Helarã non faceva altro che accuire il mio malessere fisico, facendolo diventare anche mentale.

Ogni volta che pensavo a lei non potevo fare a meno di sentirmi ripetere, nella mente, le parole pungenti della sorella gemella, Deka, accompagnate dal suo sguardo d'odio feroce.

"È tutta colpa sua se mia sorella è morta!"

Chiusi gli occhi di scatto e pregai affinché il Fato smettesse di tormentarmi in quel modo così tanto spregevole, concedendomi finalmente la pace che tanto desideravo e cercavo.

Mi sentivo in colpa, terribilmente in colpa per il destino ingiusto che era toccato all'Eterna dei sogni.

Ogni volta che il mio pensiero correva a lei, non potevo evitare che il suo viso comparisse davanti ai miei occhi. La immaginavo sorridente come suo solito e con quegli occhi azzurri cielo colmi di gentilezza e calore.

In un primo momento, mi veniva da sorridere e credevo che lei fosse ancora viva ma, subito dopo, guardavo dritta in faccia la realtà e mi rendevo conto di ciò che realmente fosse accaduto per colpa della mia stupidità e di mancanza di buon senso.

La mia immaturità mi aveva portata a veder morire dinanzi ai miei occhi un'Eterna alla quale ero, in qualche modo, legata.

La morte di un essere ritenuto invincibile ed Eterno era qualcosa di raro, unico ed ora che ciò era accaduto non potevo fare a meno di pensare che fosse cambiato quasi l'intero modo di concepire l'immortalità.

Nessuno era realmente eterno a questo mondo e nessuno doveva trincerarsi dietro la barriera di sicurezza che l'immortalità comportava.

Il destino trovava sempre modo di befarsi delle sue creature e dava sempre conferma che, tutto ciò che si riteneva impossibile, diventasse possibile.

Ad un tratto, qualcuno bussò alla porta e non potevo non pensare che, quello dall'altra parte della porta, fosse Veles.

Doveva, senza ombra di dubbio, aver sentito il mio urlo non appena era terminato il mio incubo, svegliandolo così dal suo profondo sonno.

Alzai il capo e fissai la porta che si apriva pian piano, facendo entrare così l'imponente figura della divinità in grado di manipolare qualunque mente umana o semidivina che fosse.

I suoi occhi fiammeggianti sembravano così simili a due fari lucenti nell'oscurità più totale di quella stanza.

«Astraea, tutto bene?» chiese con un tono di voce carico di preoccupazione.

Mi morsi il labbro inferiore e scossi delicatamente la testa. «No» dissi nel caso lui non avesse visto quel mio gesto nell'ombra.

Lo sentii sospirare. «Posso entrare e farti compagnia, se vuoi.»

Era proprio ciò di cui avevo bisogno in quel preciso istante.

«Non desidero altro...»

Senza farselo ripetere due volte, il giovane Dio entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, avvicinandosi subito dopo al letto e sedendosi al mio fianco.

Si distese completamente e mi trascinò con sé.

I nostri corpi aderirono perfettamente l'uno all'altro e, quando posai la mia testa sul suo petto nudo e caldo, mentre lui mi circondava con le due braccia il mio corpo snello, coperto solo dal leggero tessuto di seta della mia minuscola camicia da notte rosa cipria, non potei evitare di pensare che, finalmente, fossi nell'unico posto di quella Stella Pianeta in grado di sentirmi protetta, amata.

Nonostante avessi fatto più volte fatica ad accettarlo, Vel era l'unica persona in grado di farmi sentire pienamente me stessa.

Non mi vergognavo di mostrargli le mie paure e le mie fragilità perché sapevo perfettamente che a lui andavo bene così com'ero e che mi accettavo lo stesso, senza avere la costante voglia di cambiarmi.

Dopo attimi di silenzio opprimente, fui io quella che lo ruppe, dicendo: «Continuo a vederla morire, Vel... Continuo a rivivere quel tragico momento in cui la vita scivola via dal suo corpo e non posso fare a meno di sentirmi in colpa...»

Lui mi accarezzò i capelli con delicatezza e mi strinse più forte a sé, facendo avvicinare ulteriormente i nostri corpi. «Non mi sorprende il fatto che tu sia ancora destabilizzata dalla morte di Helarã, ma voglio che tu sappia che, a differenza di quanto ti sei sentita dire giorni fa, non è assolutamente colpa tua. Non sei tu ad averla uccisa e non sei tu ad averne causato la morte. Lei l'ha fatto perché voleva proteggerti, no perché sei stata tu a chiederglielo» disse calmo e pacato. «È stata una sua scelta, non puoi tormentarti per qualcosa che non potevi prevedere e non potevi evitare.»

Vel aveva ragione, in un certo senso.

Era vero: non avrei mai potuto evitare ciò che era accaduto, né avrei mai potuto prevedere ciò che Helarã avrebbe potuto fare pur di mantenere fede alla parola che aveva dato.

Lei aveva intenzione di proteggermi ed ero quasi convinta che persino lei non si sarebbe mai aspettata che Mokosh, risvegliato da Inara in Anima Oscura, avesse potuto provocarne la morte.

O, forse, ne era al corrente e aveva deliberatamente deciso di sacrificarsi pur di farmi vivere?

In tutta onestà, non sapevo da quale parte si trovasse la verità, non sapevo se Helarã comprendesse in pieno a cosa stava andando incontro quando ha scelto di parare, con il suo corpo, il colpo distruttivo del defunto Dio della distruzione.

L'unica cosa che potevo immaginare corrispondesse a verità certa era il desiderio che l'Eterna aveva di proteggermi.

Chiusi gli occhi e sospirai.

In qualche modo, le parole di Veles furono una sorta di consolazione per il mio animo tormentato.

Gli accarezzai il petto nudo con i polpastrelli delle mie dita e fissai il buio oltre le sue spalle. «Hemera ha detto una cosa quando Deka ha tentato di uccidermi nella sala del trono» dissi di getto.

Vel mugugnò in risposta, continuando ad accarezzarmi i capelli disordinati e infondendomi il calore del suo corpo grazie al nostro contatto fisico così ravvicinato.

Alzai il capo e cercai il suo sguardo fiammeggiante, nonostante il buio pesto e profondo rendeva impossibile vedere qualunque cosa.

Avrei voluto accendere una candela, ma non avevo voglia di muovermi dalle braccia forti e sicure di Vel. «Secondo te, cosa voleva dire la Regina di Alto Cielo quando ha chiaramente affermato che, secondo lei, Helarã si è sacrificata per il bene collettivo e perchè io "servo" a loro? Quali potrebbero essere i loro piani?»

Sentii i muscoli del corpo del Dio irrigidirsi non appena ebbi pronunciato quel pensiero. «Onestamente, non lo so» affermò, stringendomi ancora più forte contro il suo corpo caldo. «So solo cosa farei se osassero farti del male, Astraea.»

Il mio cuore, stupidamente, fece una serie di capriole ed iniziò a battere all'impazzata nel petto.

Ancora ricordavo perfettamente il modo in cui mi era sembrato che mi avesse chiamato quando era accorso in mio soccorso, pronto come non mai a strapparmi via dalle grinfie della perfida Inara.

«Cosa faresti, Vel?» domandai con un fil di voce a malapena udibile, così poco percettibile che quasi mi domandai se lui fosse riuscito a sentirmi.

Nonostante il buio, potei sentire il peso del suo sguardo su di me e ciò bastò a procurarmi una serie di brividi lungo tutto il corpo. «Ti difenderei anche a costo della mia stessa vita» affermò con convinzione, senza esitare un solo secondo, senza esitare neppure per un istante. «Farei bruciare l'intero mondo se questo servisse a tenerti al sicuro e a tenerti al mio fianco. Ora che ho finalmente compreso cosa provo realmente per te, piccola peste, non ho alcuna intenzione di perderti. Che il mondo crollasse su sé stesso, ma io senza te ho ben poche possibilità di continuare a vivere serenamente la mia vita. Sei l'ossigeno indispensabile per riempire i miei polmoni.»

Sentii i palmi delle mie mani iniziare a sudare e lo sciame di farfalle parassite riprendere a svolazzare fastidiosamente nel mio stomaco al suono di quelle parole, parole che quasi stentavo a credere di averle udite per davvero.

Improvvisamente, mi sentii arrossire e ringraziai il buio pesto che nascondeva il mio viso dal suo sguardo attento.

Deglutii nonostante avessi la bocca e la gola completamente secche, prosciugate anche della più piccola goccia di saliva. «C-c-cosa p-pro-vi pe-per me..?» domandai, balbettando.

Il forte suono dei battiti del mio cuore riempivano il silenzio di quella stanza occupata solo da noi due.

La mano che lui aveva posato sul mio fianco iniziò a farsi strada lungo la mia coscia sinistra, comodamente distesa tra le sue gambe. Mi accarezzò con estrema delicatezza, come se io fossi un fiore e lui avesse paura di toccarmi per non dover vedere cadere i miei delicati petali.

La mia pelle sembrò diventare bollente ovunque le sue dita esperte mi toccarono, tracciando sentieri roventi.

«Sei tutto per me, Astraea» disse, la voce rauca per un desiderio improvviso che non sarebbe mai riuscito a sopprimere.

La sua mano scese fino al mio ginocchio e poi risalì, infilandosi sotto la piccola gonna di seta leggermente sollevata.

Sentii un fremito lungo tutto il mio corpo e la mia parte più delicata e femminile si risvegliò di colpo, pulsando per la voglia che avevo di avere qualcosa in più di tutto ciò che lui mi aveva sempre dato fino a quel momento.

Volevo essere sua, interamente sua.

Volevo sentire i nostri corpi fondersi e divenire un tutt'uno.

«Ho avuto paura» disse, quasi come se non credesse nemmeno lui a ciò che il suo cuore gli stava facendo ammettere. «Per la prima volta in tutta la mia vita, ho davvero provato il folle terrore di dover perdere qualcuno. Non vederti più al mio fianco, quel giorno, mi fece mandare il cervello completamente fuori di testa. Qual'era il mio unico chiodo fisso? Ritrovarti e stringerti forte a me.»

Sospirò e mi accarezzò nuovamente, dopodiché, riprese a parlare. «Solo adesso, dopo anni ed anni, comprendo il perché ho passato tutto ciò che ho passato quando il mio cuore lo avevo donato ad Hipnôse e lei lo aveva gettato via come se nulla fosse. Non era lei la ragazza giusta a cui avrei dovuto donarlo, non era lei colei che mi avrebbe fatto battere il cuore in una maniera tale da rendermi quasi impossibile respirare, da togliermi il respiro. Non era lei che mi avrebbe strappato un sorriso che andava ben oltre il semplice gesto fisico. Tu riesci a far sorridere anche la mia anima, tu colori la mia esistenza, tu la abbagli con la tua luce» la sua mano mi strinse la carne della coscia con il quale si stava divertendo a mandarmi in pappa il cervello. «Ora come ora, ora che sono arrivato fin qui, ho finalmente preso coscienza dei miei reali sentimenti e posso affermare con assoluta certezza che io sono stato creato per stare con te, Astraea. Io sono fatto per te, così come tu sei fatta per me. Noi due insieme riusciamo a completarci come nessun'altro avrebbe mai potuto fare prima. Le nostre due anime riescono ad incastrarsi alla perfezione l'una a quella dell'altro e non c'è giorno che io non ringrazi il destino per aver fatto si che potessi incontrarti, che potessi incrociare i tuoi occhi violacei sul mio cammino. Io mi sono innamorato di te, piccola peste. Anzi, forse ho sbagliato ad esprimermi: io sono perdutamente innamorato di te, Astraea, e non sai quanto mi dispiace non averlo capito prima e averti fatto attendere così tanto per qualcosa che era chiaro fin dal principio.»

Rimasi senza parole, completamente senza parole.

Quelle sue parole furono in grado di marchiarmi a fuoco, di entrarmi dentro, incidendosi sul mio cuore battente all'unisolo con il suo.

Quasi non riuscivo a credere a ciò che le mie orecchie avessero sentito uscir fuori dalle labbra del Dio della manipolazione.

Era tutto così surreale... Un sogno...

Un sogno talmente tanto bello da farmi desiderare di non dovermi svegliare mai più.

Lo fissai nell'oscurità senza pronunciare nemmeno una sillaba. Non ne ero capace, in quel momento.

In qualche modo, questo mio modo innaspettato di reagire alla sua dichiarazione d'amore lo mise un po' in allarme.

«Per tutti gli Dei, Astraea, dì qualcosa o mi farai diventare pazzo con questo silenzio...» disse lui, venendo immediatamente interrotto dalla sottoscritta.

Mi spostai rapidamente, mettendomi a cavalcioni su di lui e, prendendogli il viso tra le mie mani piccole delicate, cercai all'istante le sue labbra, posandoci le mie sopra.

Lo baciai.

Lo bacia come se non lo avessi mai fatto prima e, in quel preciso istante, la mia mente fu completamente annebbiata dalla gioia e dal desiderio.

Dopo un breve momento di esitazione e di stupore da parte sua, Vel mi posò le mani sui miei fianchi e mi attirò a sé, baciandomi con lo stesso impeto con il quale lo stavo baciando io.

Sembravamo affamati, vogliosi di divorarci a vicenda, con quel bacio appassionato, persino l'anima racchiusa nei nostri corpi eccessivamente accaldato e frementi dal desiderio primordiale che avevamo d'averci.

Iniziai a sentire un leggero rigonfiamento tra le mie gambe, rigonfiamento dovuta alla sua erezione.

Le sue mani, prima posate sui miei fianchi da sopra il leggero tessuto della mia cortissima camicia da notte rosa cipria, si spostarono entrambe sulla pelle scoperta delle mie coscie e, risalendo rapidamente, si fermarono suoi miei glutei e li strinse tra le sue mani, provocandomi un brivido lungo tutto il corpo.

Gemetti contro le sue labbra e ciò bastò per fargli perdere completamente il controllo delle sue emozioni e dei suoi istinti primordiali: mi fece distendere completamente, la schiena premura contro il soffice materasso, con un rapido movimento, mentre lui si posizionava sopra di me, tra le mie gambe.

Le sue mani iniziarono a vagare su tutto il mio corpo, pazienti ma allo stesso tempo frementi di eccitazione.

Mi baciò nuovamente le labbra e, quando mi morse quello inferiore e mi fece sfuggire un'altro gemito di piacere assoluto, lui tolse immediatamente le sue labbra dalle mie e cercò il mio sguardo nel buio.

Io ansimavo, lui lo stesso. «Dimmi cosa senti per me, Astraea. Dimmelo. Ne ho bisogno per andare avanti con ciò che i nostri corpi chiedono a gran voce.»

Rimasi sorpresa sia da quella richiesta sia dal fatto che, dopo tutto questo tempo, non avesse ancora ben capito fino a che punto si era insinuato nel mio cuore e nella mia mente.

Una delle mie mani, posate sul suo petto nudo, si mosse di scatto e gli accarezzò la guancia coperta da un sottile strato di barba nera. «Io ti amo, Veles. Ti ho sempre amato e credo che questo sentimento ha iniziato a farsi strada dentro di me sin dal primo momento in cui i nostri sguardi si sono incrociati. Io...»

Non riuscii a terminare la frase che venni interrotta immediatamente dal bacio esigente di Vel.

Chiusi gli occhi e ricambiai il bacio che lui mi stava dando, facendo incontrare le nostre lingue, pronte come non mai ad accarezzarsi, a toccarsi.

La sua mano sinistra iniziò a farsi strada sotto il tessuto leggero della camicia da notte che indossavo e che mi copriva, ormai, solo il busto, fin quando le sue dita non si chiusero sul mio capezzolo destro.

Quel semplice gesto bastò per farmi perdere il controllo di me stessa.

Ansimai con forza, strinsi il suo labbro inferiore tra i miei denti e innarcai la schiena sotto di lui.

Anche Vel gemette e fu in quel preciso istante che compresi che non ne avremo mai avuto abbastanza di noi, di toccarci, di baciarci.

Volevo fare l'amore con lui e non perché i miei ormoni erano impazzito, bensì perché il mio cuore era impazzito per l'amore incontrollabile che sentivo crescere a dismisura nel mio petto per lui.

Senza perdere altro tempo, mi misi seduta sul letto e lasciai che lui mi sfilasse via la camicia di seta, lasciandomi semplicemente coperta dagli slip bianchi.

Un leggero venticello, entrante dalla finestra appena aperta, fece muovere di poco la tenda spessa e dorata, permettendo così alla luce soffusa della luna di illuminare leggermente quella stanza prima avvolta nella più completa e totale oscurità.

Con il chiarore di essa, Vel poté ammirare il mio corpo tremante sotto quel suo sguardo ardente e passionale mentre guardava ogni singolo centimetro di pelle esposta.

Quando ebbe terminato di imprimere la mia immagine nella sua mente, alzò nuovamente lo sguardo su di me, incrociando i miei occhi violacei.

Arrossii violentemente quando vi lessi dentro le sue iridi tutto il desiderio che lui aveva di farmi sua, solo ed esclusivamente sua.

«Credo che tu sia la cosa più bella che i miei occhi abbiano mai avuto il piacere di poter ammirare» affermò. Il suo tono di voce era rauco, carico dello stesso desiderio che lampeggiava nei suoi occhi rossi come le fiamme ardenti di un incendio.

«E sono tua...» dissi, deglutendo.

Le sue mani si fermarono all'altezza della mia vita sottile, stringendo la carne di essa. «Solo mia» pronunciò, per poi fiondarsi nuovamente sulle mie labbra, attirandomi a sé prepotentemente.

Una mia mano finì tra i suoi capelli neri e scompigliati, mentre con l'altra mi aggrappavo saldamente alle sue spalle mentre mi faceva nuovamente sedere sulla parte del suo corpo eretta.

La parte più delicata del mio essere iniziò a diventare sempre più bagnata man mano che gli slip bianchi sfregavano contro quella sua protuberanza.

Ero pronta per accoglierlo e a concedermi per la prima volta all'unico uomo che avrei mai amato in tutta la mia vita.

Ero pronta a perdere la mia verginità con Vel.

Il Dio della manipolazione mi attirò ancora più a sé ed io iniziai a sentirmi ancora più accaldata nel momento esatto in cui le sue labbra iniziarono a baciarmi il collo.

Mi fece nuovamente distendere sul letto e lui baciò prontamente il mio capezzolo turgido mentre con una mano mi stringeva forte il piccolo seno sinistro.

L'altra sua mano, invece, si insinuò nelle mie mutandine, iniziando a giocherellare con l'epicentro della mia femminilità, completamente bagnata a causa sua.

«Vel...» pronunciai il suo nome come se fosse una supplica, una preghiera che desideravo fosse ascoltata.

Arrivati a quel punto, lui fece entrare due dita dentro di me ed io sentii un'esplosione di piacere quando lo fece, un'esplosione così tanto intensa da farmi urlare, ancora una volta e ancora più forte, il suo nome.

Sentii il suo corpo rabbrividire. «Accidenti...» iniziò col dire, la voce sommessa dalla voglia di farmi sua. «Tu mi farai impazzire, Astraea... sei già sulla buona strada se continui a pronunciare così il mio nome.»

Ansimavo.

«Vel... Baciami!»

Lo spinsi nuovamente verso di me e le nostre lingue si incontrarono nuovamente.

Quel bacio sembrava sul punto di togliermi il fiato, di togliermi il respiro per quanto esigente fosse.

Veles si alzò leggermente, interrompendo il contatto delle nostre labbra, e, in breve tempo, tutti i nostri indumenti sparirono, lasciando i nostri corpi completamente nudi.

I miei occhi si incatenarono ai suoi mentre lui, tacitamente, mi chiedeva il permesso di andare avanti.

Arrivati a quel punto, me lo domandava anche?

Annuii e lui ritornò su di me.

Mi baciò dolcemente e, con un movimento fluido e deciso, iniziò a entrare dentro di me.

Sentii ogni centimetro del mio corpo irrigidirsi all'istante nel momento in cui la sua erezione iniziò a farsi strada dentro di me.

Un lieve dolore si mescolò al piacere che tutto ciò mi stava provocando, fin quando non scomparve del tutto nell'esatto momento in cui lui fu completamente dentro di me e iniziava a muoversi avanti e dietro pazientemente.

Aspettava che io mi abbittuassi a tutto ciò.

Una volta che non ci fu più traccia di dolore e il desiderio regnava sovrano, gli circondai la vita con le gambe, costringendolo così ad entrare ancora più in profondità dentro di me.

Lui ansimò sonoramente e quel suo modo di manifestare il piacere intenso che stava provando insieme a me, in quel momento, bastò per farmi desiderare ancora di più, sempre di più.

Lo spinsi ancora più dentro e sia lui che io iniziammo a muoverci sempre più velocemente, con movimenti sempre più forti e decisi.

Una volta che aumentò il ritmo in cui lui entrava ed usciva da dentro di me, affondando sempre di più, una serie di brividi mi di propagavano lungo tutto il corpo.

Urlai.

Anche Vel urlò.

Il piacere era assoluto, dirompente, e, nel momento in cui quest'ultimo arrivò all'apice ed io mi sentii inondare completamente l'interno della mia parte intima dal suo sperma, entrambi iniziammo a tremare, pronunciando i nostri nomi, come a voler fare in modo che questi ci legassero indissolubilmente l'uno all'altra.

Quando lui rotolò al mio fianco, ancora ansimante e con i polmoni che chiedevano a gran voce di riempirsi sempre di più di aria, si voltò a guardarmi e mi sorrise, felice e soddisfatto.

Ricambiai il suo gesto e mi accoccolai a lui, poggiando la mia testa sul suo petto.

Vel afferrò le coperte e mi coprì il corpo nudo fino alle spalle, abbracciandomi e stringendomi a sé.

Alzai lo sguardo su di lui e ci scambiammo un rapido ed innocente bacio.

Quando i nostri occhi si incontrarono nuovamente, lessi nel suo sguardo tutto l'amore che sentivo che lui provava per me, solo ed esclusivamente per me. «Voglio che tu sappia che non ti ho amato da subito, ma che ho sempre avuto bisogno di te. Ti amo ora, e senza di te non so vivere.»

Sentii le lacrime in procinto di bagnarmi gli occhi che immaginai essere già lucidi.

Il mio cuore continuò a battere forte e le farfalle non volevano proprio saperne di smettere di sfarfallare nel mio stomaco in subbuglio.

«Ti prometto di amarti fin quando il fato non deciderà di separarci per sempre, Vel» dissi. «Rimarremo l'uno accanto all'altra per sempre.»

Le sue labbra si distesero in un sorriso meraviglioso, quello in grado di lasciarti completamente senza fiato. «L'uno accanto all'altra per sempre.»

Mi strinsi ancora di più a lui, felice come non lo ero mai stata in tutta la mia vita.

Con l'eco di quella promessa, chiusi gli occhi e lasciai che sprofondassi in un sonno profondo e senza incubi.

Dormii per non saprei dire quanto tempo quando, improvvisamente, iniziai ad avvertire un dolore sordo e crescente ai palmi delle mie mani.

Aprii gli occhi di scatto e mi misi immediatamente a sedere sul letto.

Il dolore fisico non faceva altro che aumentare e mi ritrovai ad urlare come se fossi divenuta pazza, mentre gocce di sangue iniziavano a bagnare il lenzuolo bianco con il quale Vel mi aveva coperta.

Il Dio al mio fianco, sentendo il mio urlo quasi disumano, si svegliò di soprassalto e, con lo sguardo ancora annebbiato dal sonno, fissò, come me del resto, incredulo i miei palmi delle mani rivolti verso il mio viso.

Nei suoi occhi c'era paura, una paura feroce, un terrore profondo che si insinuava fin dentro le ossa.

Nel giro di pochi secondi su di essi apparvero due nuovi marchi a forma di mezza luna, segno le cui punte, questa volta, erano rivolte verso destra e non verso sinistra come le prime che mi erano apparse solo una settimana prima.

Il sangue, anche questa volta, colava come se fosse acqua, riversando il suo liquido rosso e quasi denso sulle coperte e sul soffice letto.

La testa iniziava a girarmi e la vista iniziava a farsi offuscata alla vista di tutto quel sangue rosso intenso e scarlatto.

«Che diamine...» borbottò Vel, incredulo dinanzi a ciò a cui i suoi occhi fiammeggianti stavano assistendo.

I tagli profondi e freschi mi provocarono un'altra fitta di dolore lancinante che mi costrinse ad urlare, come se ciò bastasse a poterlo espellere o a porvi fine una volta per tutte.

Prontamente, Vel afferrò il lenzuolo bianco, lo strappò in due lunghe e spesse striscie e iniziò ad avvolgerle intorno ai miei palmi squarciati.

Il tessuto bianco fu in breve tempo imbevuto di sangue e i miei lamenti iniziarono a fare da sottofondo, insieme a delle lacrime che non mi ero neanche resa conto di iniziare a versare, in quella stanza ancora immersa nel buio.

Il giovane Dio della manipolazione si risedette al mio fianco e mi strinse forte a sé mentre io continuavo a piangere disperata.

Che cosa erano quei marchi?

Perché stavano apparendo proprio sul mio corpo?

Mi strinsi le mani doloranti e sanguinanti al petto nudo e premetto il mio viso su quello di Vel, bagnandolo di lacrime.

«Perché mi sta accadendo tutto ciò, Vel?» domandai, pianuccolando. «Perché tutto ciò sta accadendo proprio a me?»

I muscoli del ragazzo di origine divina si irrigidirono all'istante mentre mi accarezzava i capelli per calmarmi e mi portava sempre più vicino a sé. «Non lo so, piccola... so solo che, in questo momento, vorrei che questo marchi apparissero sul corpo di qualcun'altro, persino sul mio, pur di non doverti vedere soffrire in questo modo.»

Piansi.

Piansi ancora più forte mentre Vel cercava di calmarmi, con scarsi risultati.

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