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Zōira era morta.

La Semidea che aveva sempre creato non pochi problemi a mia madre, nei primi mesi di permanenza a corte e quando si era venuta a scoprire che lei in realtà era la Prescelta per risvegliare Khione, era venuta a mancare misteriosamente a causa di un pugnale dritto nel petto.

Aveva trascorso più di un millennio nell'ombra insieme a Velisy - la Dea delle tenebre che appoggiava il Dio della distruzione, Mokosh - quasi inaccessibile alle visioni della Dea Devana ed ora ecco che il suo destino ci era stato finalmente rivelato.

La Semidea del fuoco era morta nelle vicinanze di un villaggio di esseri umani, il villaggio Vryst, nei pressi di un grande fiume dalle acque ancora ghiacciate a causa delle bassissime temperature che aveva quasi messo in ginocchio tutta Aracieli durante questa Stella Invernale.

In tutta onestà, non capivo il perché di tanto allarme da parte della Dea e dei miei genitori di fronte a tale scoperta.

Non dovrebbero essere finalmente entusiasti all'idea che una delle loro due acerrime nemiche fosse stata finalmente eliminata? A quanto sembrava, non erano del mio stesso avviso, anzi, mia madre aveva passato ben dieci minuti esatti a camminare avanti e indietro per la sala da pranzo quando Devana ci aveva dato la splendida notizia.

Non credo che non potrò mai dimenticare l'espressione preoccupata del suo viso perfetto quando si era venuto a sapere ciò che il Fato le aveva riservato dopo anni di malvagità.

La Regina Hipnôse, appoggiata dal suo tanto amato Re Aedyon, era convinta che ci fosse qualcosa di preoccupante sotto la sua misteriosa scomparsa. In fin dei conti, non era del tutto semplice poter uccidere una Semidea da parte di un comune essere umano.

L'unica che avrebbe potuto farlo era Velisy ma il perché ancora non ci era chiaro e, il fatto che a Devana non fosse consentito vedere appieno la scena dell'omicidio, non rendeva sicuramente più facile trovare una soluzione a questo enigma.

Aveva visto solo un volto nascosto nell'ombra mentre pugnalava a morte Zōira ma nulla di più.

Per questo motivo, mia madre aveva incaricato Vel, Sol e Devana di andare nel luogo esatto in cui quest'ultima aveva avuto la visione sul tragico destino toccato alla Semidea.

Voleva avere conferma di ciò che la Dea dal manto rosso aveva visto ed io ero più curiosa di lei di scoprire quale fosse la verità.

Infatti, a tale scopo, avevo insistito fino allo sfinimento per poter seguire anch'io il trio incaricato.

Inizialmente la risposta che mi fu data era un 'no' secco sia da parte dei miei genitori, sia da parte di Vel che era entrato nuovamente nella fase 'proteggere Astraea ad ogni costo e da ogni possibile ed eventuale pericolo', peccato solo che non aveva ancora compreso quanto io fossi testarda e quanto sapessi badare a me senza che a proteggermi ci fossero altri.

Tutto ciò era abbastanza estenuante, tuttavia, alla fine, ero riuscita a convincere mia madre e persino il bel Dio.

In fin dei conti, lui sarebbe sempre stato al mio fianco e non vedevo quale fosse il motivo di tutta questa sua preoccupazione.

Persino quando salimmo sulla carrozza lui continuò a fulminarmi con lo sguardo e a maledirmi mentalmente per aver osato fare la "bambina capricciosa" in una circostanza del genere.

Ricambia il suo sguardo assassino una volta che mi fui seduta comodamente sul comodo sedile rosso di quel mezzo di trasporto con il tettuccio, oggetto che serviva a ripararci dal freddo e da un eventuale tempesta di neve nel caso fossimo stati colti alla sprovvista dal maltempo.

Vel, seduto dinanzi a me in modo da potermi tenere maggiormente sotto controllo, assottigliò lo sguardo ed io sbuffai.

"Potresti smetterla di guardarmi in quel modo?", gli chiesi mentalmente. "Stai diventando eccessivamente esagerato."

Il suo sguardo si fece più duro e minaccioso. "Se essere esagerato vuol dire tenerti al sicuro il più possibile, sono ben lieto di esserlo."

Alzai gli occhi al cielo mentre che mia zia Sol ci guardava perplessa.

Devana, al contrario - dato che possedeva la stessa facoltà del fratello di poter leggere nel pensiero, avvertiva quali fossero le mie risposte alle affermazioni che non poteva sentire nella mente di Vel - sghignazzava, divertita da tutto ciò.

"Ancora non comprendo il motivo per il quale tu ti comporti così", affermai.

Le sue sopracciglia scattarono immediatamente verso l'alto. "Possibile che tu ancora non capisca quanto sei importante per me, Astraea?"

Accidenti... Certo che comprendevo perfettamente la portata dei suoi sentimenti nei miei confronti, tuttavia, non sapevo ancora per certo quali essi fossero.

Poteva tranquillamente trattarsi di una semplice infatuazione, di un'attrazione fisica quasi irresistibile, logorante, invece di quell'amore che tanto speravo che lui potesse iniziare a provare per me.

Anche se avvertivo in maniera decisamente molto approfondita le sue emozioni e le sue sensazioni ogni qualvolta era al mio fianco o la sua mente si concentrava al mio pensiero, io non potevo comprenderli fino in fondo.

Avevo classificato i suoi sentimenti in base a ciò che sentivo io, ma non in base a ciò che lui aveva capito di sentire per me.

Nemmeno lui riusciva a dare un nome a tutto ciò che provava per me e non si era mai sbilanciato nel definirlo con quel semplice nome che per me conteneva un enorme significato: Amore.

Il Dio della manipolazione non lo aveva mai definito così ed io non potevo essere certa di tutto ciò.

"Sono importante quanto lo era mia madre per te, all'epoca, Vel?", gli chiesi e quando lo feci mi sentii all'istante, soprattutto quando vidi l'espressione di ghiaccio che lui mi rivolse.

Sul suo viso si posò quasi immediatamente una maschera inespressiva, impassibile, una maschera che non lasciava trasparire la benché minima emozione.

Ero quasi certa di averlo ferito e ne ebbi la conferma quando lui interruppe la nostra conversazione e il contatto visivo, che avevamo instaurato, per guardare ciò che veniva fuori dal finestrino dalla carrozza in movimento, diretta velocemente verso il luogo in cui la Semidea era morta.

Mi morsi la parete interna della guancia sinistra, profondamente dispiaciuta da ciò che avevo osato dirgli mentalmente. Fu per questo motivo che decisi di mettere da parte l'orgoglio e di esternare apertamente quel mio stato d'animo.

"Mi dispiace, Vel... Non avrei dovuto..."

Tuttavia, non ci fu alcuna risposta da parte sua e il ragazzo di origine Divina continuò a guardare fuori dal finestrino come se nulla fosse, come se non avesse udito e percepito il mio tormento interiore per quanto appena accaduto.

Lo guardai per un po' e, dopodiché, mi concentrai anch'io sul paesaggio sottostante alla carrozza dorata in volo.

I Dravalli volavano veloci in modo da non dover sentire troppo freddo in volo.

La vegetazione era completamente ghiacciata, coperta da uno spesso manto bianco di neve, neve Che inevitabilmente copriva persino i tetti delle case semplici degli individui appartenenti alla classe sociale umana.

Vi erano un sacco di gente in giro per quelle stradine cupe e tetre e non potei evitare di paragonarli a delle formiche per quanto mi sembravano piccoli a quell'altezza.

Subito dopo, superammo quel piccolo paesino e fu nuovamente la natura ad essere la protagonista incontrastata di quello che i miei occhi stavano guardando, curiosi di poter vedere cosa vi fosse fuori, oltre le quattro mura dell'immenso palazzo reale nel quale ero nata e cresciuta.

Ad un tratto, iniziai a sentire una sorta di fruscio nelle mie orecchie, un ronzio che diventava man mano sempre più forte, sempre più insopportabile.

Lo fu a tal punto che dovetti coprirmi le orecchie con le mani e stringere forte gli occhi, mossa che comunque non evitò a quel suono stridulo, quasi simile ad un richiamo, che rischiava di farmi esplodere i timpani e le tempie.

Iniziai a respirare con sempre più affanno e difficoltà.

Mia zia Sol, spaventata da quanto mi stesse accadendo, posò una mano sulle mie gambe e provò a dirmi qualcosa, qualcosa che io non riuscii a sentire dato che era sovrastato da quel ronzio assordante.

Mi stava facendo impazzire.

Avvertivo una serie di movimenti dentro la carrozza e sapevo bene che tutti loro stavano provando a chiedermi cosa mi stesse accadendo, ma io non riuscivo a sentirli, no se tutto quel rumore rischiava di mandarmi in pappa il cervello.

«Fermiamoci...» riuscii a dire quasi in un lamento mentre continuavo a stringermi le mani alla testa per far in modo che quel suono potesse scomparire in fretta o potessi evitare di sentirlo.

Non fu così, anzi, quando la carrozza dorata atterrò sull'erba ghiacciata di una piccola distesa pianeggiante, questo ronzio non fece altro che aumentare.

Sentivo le lacrime pronte a fuoriuscire dai miei grandi occhi violacei, pronti a bagnarmi le guance fredde con le loro gocce calde.

Scossi il capo con vigore mi sorpresi del fatto che non mi fossi resa nemmeno conto di quando avevo iniziato ad urlare per il dolore in aumento.

Lo capii solo quando vidi Vel che mi prendeva il viso tra le mani e mi costringeva a guardarlo dritto negli occhi.

Le sue iridi erano colme di preoccupazione e vederlo ridotto in quello stato quasi mi fece scoppiare il cuore nel petto.

Le lacrime iniziarono a rigarmi il volto mentre lo guardavo in viso, accovacciato dinanzi a me con il corpo teso fino all'inverosimile, e tentavo di ovattare quel suono fastidioso e struggente.

«Aiutami, Vel...» bisbigliai con una vocina che sembrava simile a quella di una bambina.

Lui mi attirò immediatamente a sé e iniziò ad accarezzarmi il capo mentre io facevo sprofondare il viso nella sua maglietta impregnata del suo profumo di terra fertile e lenzuola pulite.

"Cosa ti sta succedendo, piccola?", domandò, agitato. Era chiaro che non riuscissi a comprendere cosa mi stesse accadendo.

"Sento un ronzio fastidioso che sembra quasi volermi far esplodere il cervello ed i timpani...", affermai.

Sentii il suo corpo irrigidirsi all'istante. "Fai dei profondi respiri, Astraea e cerca di tranquillizzarti. Andrà tutto bene, vedrai..."

Annuii e cercai di fare ciò che lui mi aveva consigliato nonostante inizialmente fu un'impresa quasi impossibile.

Dopo un paio di minuti in cui avevo provato di regolarizzare il respiro e di calmarmi, ecco che quel suono fastidioso parve quasi scomparire, diventando un semplice sussurrò quasi umano.

Sembrava volermi dire qualcosa, sembrava come se qualcuno stesse provando a parlarmi, a instaurare un collegamento con me.

"Avvicinati", sembrava bisbigliarmi una voce oltre quel ronzio quasi impercettibile al momento.

Era come se quel suono assordante che avevo sentito fino a quel momento fosse una specie di scarsa connessione.

Ora che esso si era dileguato nel nulla, potevo avvertire quella richiesta.

Mi spostai rapidamente e interruppi bruscamente l'abbraccio tra me e Vel, aprii la portiera della carrozza e mi guardai intorno, alla ricerca di quel qualcuno che provava a chiamarmi.

Guardai a destra, poi a sinistra.

Sembravo pazza agli occhi dei presenti.

«Astraea» iniziò a dire mia zia Sol, in tono agitato. «Cosa succede...?»

«Mi sta chiamando» dissi semplicemente, continuando a guardarmi intorno.

«Chi ti sta chiamando?» domandò questa volta Vel.

Non gli risposi.

Lo ignorai perché c'era qualcuno che mi stava chiamando ed era chiaro che loro non potessero sentirlo.

L'unica a udire la sua voce ero io.

"Astraea...", mi chiamò quest'ultima e, a quel punto, mi fu ben chiaro da quale parte mi stesse chiamando.

Iniziai a correre come non credevo di aver mai fatto in tutta la mia vita.

Le mie scarpette con il tacco bianco facevano scricchiolare l'erba ghiacciata sotto i miei piedi ad ogni passo che facevo.

Rischiai persino di inciampare più di una volta ma questo non mi dissuase dal mio intento di raggiungere il prima possibile quella voce quasi... antica.

Mi tirai su la gonna, mantenendola con entrambe le mani in modo da non rischiare di cadere a causa sua e continuai la mia corsa quasi folle.

Il ronzio si fece man mano meno forte, fin quasi a scomparire del tutto e la voce che sentivo nella mia testa si fece, al contrario, man mano sempre più forte, chiara.

Ad un tratto, non sentii più nulla e fu solo allora che mi fermai, respirando a fatica mentre mi guardavo intorno, alla ricerca di qualcuno del quale non sapevo assolutamente niente, né come fosse fatto esteticamente né chi fosse.

Intorno a me vi era solo un'immensa distesa di prati verdi ancora coperti dalla neve e un grande albero.

«Dove sei!?» urlai a chissà cosa. La mia voce fu portata via dal vento mentre sovrastava il silenzio che allegiava intorno a me. «Perchè mi stai chiamando?» continuai ad urlare, vedendo che nessuno usciva fuori allo scoperto nonostante io fossi giunta fin lì.

Il mio sguardo vagava in ogni direzione e, solo quando esso si posò sul grande albero a pochi passi da me, sentii dire nella mia testa: "Sono qui, Astraea. Non mi vedi?"

Allora compresi che a chiamarmi non era qualcuno, bensì qualcosa.

Era l'albero ma, guardandolo attentamente, dalle radici profonde che scomparivano nel suolo fertile, fino a posare lo sguardo sulle foglie pendenti blu avio, capii che quello non era un albero qualunque: quello era il Salice piangente, precisamente, quello era "Lacrime del Fato Oscuro".

Lo riconobbi all'istante dato che avevo già visto la sua immagine disegnata sul foglio del quadernetto nero, quadernetto appartenente all'Eterna del tempo, Brisey.

Lo guardai con estrema attenzione, cercando di memorizzare ogni minimo dettaglio delle sue foglie, della sua corteccia, del suo tronco e persino delle sue radici.

Era davvero maestoso.

Deglutii e, come se fossi completamente ipnotizzata da esso, iniziai ad avvicinarmici mentre nella mia testa continuava a parlare.

Invocava il mio nome, nome che sembrava riconoscere perfettamente.

Ero dinanzi a lui quando dissi: «Perchè mi stai chiamando?»

"Ho bisogno di te", disse.

«Per quale motivo?»

"Posa una tua mano sul mio tronco, accarezza la mia corteccia e tutto ti sarà estremamente più chiaro...", affermò.

Lo guardai.

Le mie labbra erano leggermente dischiuse.

Che fossi diventata pazza?

Come era possibile che un albero potesse parlarmi e chiedermi di toccarlo?

Ero quasi completamente sicura di non avere tutte le rotelle al proprio posto, non dopo ciò che stavo vivendo in quel preciso istante.

Deglutii nuovamente e mi sfilai con delicatezza uno dei guanti bianchi che avevo utilizzato per nascondere le ferite fresche sui palmi delle mani.

Con quest'ultima che quasi tremava, incerta se toccare quel salice piangente fosse la scelta più giusta da prendere, la avvicinai al suo grande tronco, pronta a sfiorarlo nonostante tutto.

Sembravo quasi in trance.

Per tutti gli Dei di Araceli, cosa diamine mi stava succedendo?

Era la stessa identica sensazione che avevo sentito sulla mia pelle quando Vel aveva utilizzato il suo dono divino su di me, tempo addietro, nella palestra nel quale eravamo soliti allenarci.

Sembravo... Manipolata, costretta a fare qualcosa contro la mia volontà.

Il mio corpo si muoveva autonomamente da solo senza che io lo comandassi.

Allungai due dita, pronta a toccarlo, ma, quando queste furono a pochi millimetri di distanza dal sfiorargli la corteccia di una intensa tonalità di marrone scuro, una mano forte e decisa allontanò la mia, evitando di portare a termine il mio intento o quello di qualcun altro.

Vel mi fece voltare all'istante nella sua direzione, facendomi dare le spalle a Lacrime del Fato Oscuro.

Mi stava guardando come se non riuscisse a credere a ciò che stessi per fare e la paura era ben visibile nei suoi occhi fiammeggianti, di un rosso così intenso da bruciarmi con un semplice sguardo.

«Astraea, cosa stavi per fare?» domandò, rompendo il silenzio intorno a noi con il suono della sua voce.

In quel preciso istante, fu come se il mio stato di trance fu finalmente scomparso e potessi tornare a ragionare lucidamente con la mia testa. Scossi il capo e mi guardai intorno, quasi spaesata. «Io... non lo so...»

Lui corrucciò la fronte. «Come sarebbe a dire che non lo sai?»

La mia mano era ancora sospesa a mezz'aria tra noi, sorretta dalla sua forte e dalla presa ben salda. Concentrai il mio sguardo sulle dita nude che, fino a pochi istanti prima, erano state pronte a toccare quel grande albero dietro di me.

Guardai nuovamente Veles. «Mi stava chiamando, Vel» affermai, guardandolo dritto negli occhi. «Il salice piangente mi stava chiamando. Sentivo la sua voce.»

Vel lanciò un rapido sguardo dietro di me, fissando il salice piangente come se fosse il suo peggior nemico. Sentii una strana sensazione di terrore e preoccupazione crescere in me, ma non mi appartenevano. Erano sue. «E cosa ti diceva!?»

Quando i suoi occhi furono nuovamente puntati sui miei, dissi: «Voleva che io lo toccassi.»

Il suo viso divenne una maschera inespressiva e, come se fosse possibile, il colorito della sua carnagione divenne eccessivamente più pallido. «Andiamocene, Astraea. Non voglio che tu rimanga qui un secondo in più, inoltre, mi hai fatto preoccupare poco fa e, sapere che tu senti la voce di un albero, non di certo un grande aiuto...»

Cercai di sorridere anche se, dentro di me, mi sentivo morire ed ero ancora frastornata da tutto ciò che era accaduto sin da quando ero all'interno della carrozza dorata. «Mi dispiace se ti ho fatto stare in pensiero, Vel» affermai, liberandomi dalla sua presa e accarezzandogli il viso con la mano sinistra. «Spero che, tutto ciò, non ricapiti...»

Le ultime parole che avevo intenzione di pronunciare rimasero incastrate tra le mie corde vocali quando vidi il viso perplesso del giovane Dio e lo sentii afferrarmi nuovamente la mano subito dopo che io stessa avevo instaurato quel contatto fisico.

Sgranai gli occhi e mi maledissi mentalmente da sola per la sciocchezza che avevo commesso senza pensare alle conseguenze.

Lui tolse immediatamente la mia mano dal suo viso e voltò il palmo nella sua direzione, guardando centimetro dopo centimetro entrambi i tagli, netti e precisi, che si trovavano solo su quest'ultimo.

Sentii il panico impossessarsi di me e la rabbia di Vel confondersi con essa.

Mi afferrò anche l'altra mano, mi tolse istantaneamente il guanto bianco, e osservò con attenzione le protuberanze che mi avevano causato quelle ferite tanto profonde.

Dopo un attimo di silenzio interminabile dove persino il mio cuore sembrava aver smesso di battere, il ragazzo dinanzi a me osò trovare il coraggio di guardarmi dritta negli occhi con uno sguardo quasi assassino.

Deglutii a fatica e potevo giurare che le pupille dei miei occhi erano leggermente dilatate.

Quasi non riuscivo a respirare, oppressa com'ero dalla rabbia incontrollata di Vel nel scoprire quel piccolo segreto che gli aveva tenuto nascosto per così tanto tempo.

Tuttavia, non era questo l'unico sentimento che potevo leggere nelle sue iridi fiammeggianti: c'era anche la paura di qualcosa che persino io non comprendevo e non conoscevo.

«Cosa sono questi?» domandò lui, quasi ringhiando.

Avevo la gola completamente secca, arida. «Io...»

«TI HO CHIESTO COSA SONO QUESTI SEGNI, ASTRAEA» ripeté lui, ormai completamente in balia di quei due sentimenti dirompenti.

Tolsi di scatto le mie mani, ancora strette tra le sue, e mi allontanai leggermente da lui, muovendo qualche passo incerto a ritroso. Ancora mi domandavo come potessi essere stata così tanto stupida da dimenticarmi completamente dei marchi per potergli accarezzare la guancia. «Io non lo so, Vel» dissi in tutta sincerità. «Sono apparsi automaticamente sulle mie mani qualche giorno fa senza che fossi io a causarli o qualsiasi altra cosa.»

Vel iniziò a camminare freneticamente nello spazio vuoto in cui ci trovavamo, avanti e dietro. Sembrava un animale selvatico costretto a stare in uno spazio ristretto.

Si passò entrambe le mani tra i capelli, pronunciando parole che nemmeno io riuscivo a sentire e a comprendere.

Si voltò nella mia direzione e mi chiese: «Hai la minima idea di ciò che questo significa, Astraea?»

Onestamente? No.

Scossi il capo, stringendomi le mani al petto quasi per paura che lui potesse decidere di vedere di nuovo i miei tagli decisamente insoliti. «Tu lo sai?»

Il Dio non rispose e si limitò a guardarmi.

Nei suoi occhi leggevo dei sentimenti travolgenti che nemmeno io riuscivo a comprendere e a definirli con un nome ben preciso.

Era chiaro, soprattutto dal modo in cui mi stava guardando, che sapeva qualcosa di cui nemmeno io ero a conoscenza ed ora ero intenzionata più che mai a scoprire di cosa si trattasse.

Vedendo che lui ancora non preferiva parola, ripetei la mia domanda: «Cosa sai, Vel?»

Il ragazzo distolse lo sguardo dal mio volto. «Credo che sia meglio se ora andiamo via di qui» disse. «Riprenderemo il discorso una volta tornate a Palazzo Reale. Al momento, abbiamo ben altro a cui pensare e il corpo di una Semidea da ritrovare.»

Lo fissai, domandandomi cosa mi stesse nascondendo.

Avrei voluto saperlo subito, ma sapevo benissimo che non ne avrebbe parlato e che, effettivamente, il nostro compito era ben diverso dal restare a chiacchierare in un angolo della Stella Pianeta disperso nel nulla.

Annuii e, senza protestare, lo seguii fino alla carrozza.

Percorremmo tutta la distanza che ci divideva da essa nel più completo e totale silenzio.

La preoccupazione sul suo viso non se n'era andata e guardava davanti a sé come se, di lì a breve, ci avesse trovato il patibolo sul quale sarebbe stato giustiziato.

Una volta arrivati al nostro mezzo di trasporto, non perdemmo tempo e vi salimmo nuovamente sopra, riprendendo il volo.

Fortunatamente, né Sol né Devana osarono fare domande in merito a quanto fosse accaduto e il viaggio si concluse nel silenzio assoluto.

Quasi non si sentivano nemmeno i nostri respiri.

Quando arrivammo al villaggio Vryst, fui ben felice di gettarmi immediatamente giù da quel abitacolo nel quale il silenzio e la tensione erano diventate due entità a sé stanti.

Il cocchiere si era fermato proprio nel bel mezzo della piazza principale della cittadina, super affollata da uomini e donne, quasi tutti uguali tra loro, di natura umana.

Mi guardavano attentamente, posando quei loro occhi castani o neri, circondati da occhiaie e rughe, su di me.

Sicuramente avevano ben compreso chi fosse realmente e non soltanto grazie alla coroncina argentata che portavo sul mio capo.

«Credo sia meglio chiedere delle informazioni alla gente del posto» propose mia zia, sistemandosi i lunghi capelli bianchi e lisci dietro la schiena. «Magari, qualcuno può darci qualche dettaglio in più e potremmo scoprire se, effettivamente, Zōira si trovasse da queste parti e con chi.»

Devana scrollò le spalle con nonchalance. «Per me non fa alcuna differenza. La cosa importante è trovare quella Semidea e tornare al castello con quante più notizie possibili. Sono certa che Hipnôse voglia sapere tutto fin nei minimi dettagli.»

Vel mi guardò, sospirò e, subito dopo, annuì, concordando con la Dea e la Semidea che ciò era la cosa più giusta e sensata da fare in una circostanza come questa. «Va bene. In tal caso, credo sia più opportuno se ci dividiamo. Avremo senza ombra di dubbio più opportunità di racimolare qualche informazione in più.»

Le due ragazze annuirono all'unisolo e Sol guardò prima Vel e poi me con uno sguardo interrogativo.

«Astraea viene con te?» chiese.

Sicuramente sperava in un 'no' come risposta, ma sarebbe stato sciocco da parte sua credere che ciò fosse realmente possibile che avvenisse.

Il Dio annuì. «Si. Devo proteggerla anche se ho forti dubbi sul fatto che qui ci possano essere delle concrete minaccie.»

Mia zia sorrise e concordò con lui sul fatto che quella fosse la scelta più giusta da prendere in una situazione del genere, anche se, nel suo sguardo vi leggevo un pizzico di delusione e tristezza.

Non potei evitare di sentirmi in colpa per il fatto che, in un certo senso, il bel Dio, a lungo conteso, avesse scelto me al suo posto nonostante tutti gli anni che avessero passato l'uno a fianco all'altra ad assecondare ogni capriccio di mia madre.

Subito dopo aver confermato il fatto che io sarei andata insieme a Vel ad ovest, mentre Devana e Sol a est, ci dividemmo, iniziando a camminare lungo le varie stradine della cittadina, intenti a chiedere informazioni ai vari passanti che evitavano come la peste di guardarci dritto negli occhi.

In passato, se un umano avesse osato fare una cosa del genere, sarebbe stato giustiziato seduta stante e credo che, quel timore popolare, fosse ancora ben radicato negli esseri mortali nonostante, ormai, al potere ci fosse mia madre.

Lei aveva abolito ogni tipo di legge che prevedesse la pena di morte per "reati" così stupidi e inesistenti.

Trascorremmo varie ore a camminare ed io iniziai a sentirmi leggermente stanca.

Forse, non mi ero ripresa del tutto da quell'enorme quantità di sangue che avevo perso nei giorni precedenti.

Ovviamente, di ciò non dissi assolutamente nulla al Dio al mio fianco.

Continuammo a camminare ancora per un po' nonostante la stanchezza e la spossatezza iniziassero ad avere la meglio su di me.

Iniziai a camminare sempre più lentamente fin quando, ad un certo punto, non mi persi tra la folla e non vidi più Vel nei paraggi.

Accidenti.

Ora sì che ero nei guai fino al collo.

Continuai a camminare per un altro bel pezzo di strada fin quando non mi arresi al fatto che mi fossi veramente persa e che la cosa migliore da fare forse ritornare indietro e aspettare tutti gli altri nella carrozza.

Feci marcia indietro ma, quando ad un tratto iniziai ad avere la vista offuscata, capii che avevo davvero bisogno di fermarmi un po', il giusto neccessario per riprendere un po' le forze.

Svoltai a destra, in una stradina quasi deserta, e appoggiai la schiena al muro di una delle palazzine.

Dopo un po', alzai gli occhi al cielo e vidi che il sole stava per tramontare.

Sospirai.

Dovevo fare in fretta a tornare alla carrozza.

Mi spostai dal muro dietro di me, pronta ad uscire fuori da quel piccolo vicolo buio e quasi spettrale quando, nell'ombra, vidi muoversi qualcosa o, per meglio dire, qualcuno.

Spostai lo sguardo nella direzione in cui avevo avvertito il movimento e guardai attentamente ogni centimetro di quel macabro posto.

Il mio cuore iniziò a battere freneticamente mentre la paura iniziato a farsi largo in me.

«C'è qualcuno?» domandai ma, dopo un paio di minuti che rimasi in silenzio, in attesa di una eventuale risposta, compresi che, forse, ciò che avevo visto era stato solo e soltanto un animale in cerca di cibo, spaventato dalla mia presenza.

Sospirai, profondamente sollevata al fatto che non ci fosse nessuno, e mi voltai nuovamente, pronta ad immergermi nella folla di umani intenti a tornare ognuno nelle proprie case.

Mossi un passo quando, nel silenzio di quel vicolo, sentii muoversi qualcosa e, questa volta, fui quasi sicura che non si trattasse di un animale spaventato: quel rumore che avevo sentito era chiaramente il suono di un paio di scarpe che toccavano il pavimento cosparso da pietroline.

Mi girai nuovamente e, quando lo feci, domandai per la seconda volta chi fosse presente in quel vicolo.

Ad un tratto, dopo un lungo momento di silenzio assordante, ecco che, dall'oscurità che si trovava in fondo a quella stradina deserta e buia, apparve la figura di qualcuno avvolto in un mantello blu notte.

Quest'ultimo la copriva quasi interamente e non riuscivo a capire se quella figura appartenesse ad un uomo ad una donna dato che aveva anche il cappuccio che le copriva il volto.

Il mio cuore perse un battito mentre un brutto presentimento iniziava a consigliarmi di andare via di lì.

SUBITO.

Tuttavia, ogni qualvolta che il mio buon senso mi dava un prezioso consiglio, io lo ignoravo spudoratamente.

«Chi sei? Mostrati alla tua Principessa» dissi, provando ad ulizzare un tono imperioso e a non far tremare la mia voce dalla paura.

La figura mosse il capo nella mia direzione e, grazie alla leggera luce che riusciva ad illuminare scarsamente quel macabro sentiero, vidi distendersi un sorrisino malevoloso sul volto bianco cadaverico del mio interlocutore.

«La Principessa di Aracieli è qui, proprio in mia compagnia?» dal suono della sua voce compresi che, quella figura nell'ombra, era una ragazza. «Ironia della sorte» disse, scoppiando successivamente in una risata di scherno.

Cercai di mandare giù la bile che mi si era incastrata in gola. «Cosa c'è di così tanto divertente?»

Lei smise di ridere. «Assolutamente nulla, Principessa di Aracieli, se non fosse per il fatto che, dopo tanto tempo, finalmente ho la possibilità di vendicarmi di coloro che hanno tentato di uccidermi.»

Corrucciai la fronte mentre stringevo forte il tessuto morbido della mia gonna azzurrina tra le mani.

«Di cosa stai parlando?»

Lei si tolse il cappuccio, rivelando finalmente il suo reale volto: lunghi capelli mossi color arancio che diventavano sempre più sfumate man mano che ci si avvicinava alle punte che erano completamente bianche; il suo viso raffinato era perfetto, pallido, caratteristica che entrava in netto contrasto con il rosso quasi acceso delle sue labbra a forma di cuore.

Tuttavia, la cosa più sorprendente del suo viso non era la bellezza sorprendente, bensì il suo sguardo agghiacciante: le iridi dei suoi occhi erano bianche, incolore. Sembrava come se il Fato avesse esaurito le meravigliose tonalità che si potevano vedere sui volti di tutti coloro che non appartenevano sicuramente alla razza umana.

Sgranai gli occhi e dischiusi le labbra, completamente scioccata da colei che avevo di fronte.

L'avevo già vista e quell'immagine non l'avevo affatto dimenticata.

Sapevo chi fosse e avevo un vago sospetto su cosa fosse.

Deglutii a fatica mentre, con fare incerto, feci un passo indietro. «Inara.»

Sul suo viso si distese un sorriso di scherno.

Era palesemente contenta del fatto che la sua presenza riuscissi ad incutere un certo timore nella sottoscritta.

«Mi sorprende il fatto che tu sappia chi sono» disse con fare arrogante. «Vorrei chiedertelo ma non credo che questo momento sia il momento adatto. Avremo modo di parlare, noi due.»

«Non abbiamo nulla da dirci». Persino la mia voce tremava.

Il suo sorriso maligno si allargò. «Oh mia cara Principessa, invece abbiamo molto di cui parlare.»

Feci un altro passo indietro e, quando mi voltai completamente per correre il più lontano possibile da lei, ecco che, dinanzi a me, apparvero delle creature terrificanti che non avrei mai creduto possibile che io potessi guardare in tutta la mia vita.

Sgranai gli occhi, terrorizzata, e fui costretta a fare un passo indietro, un passo verso quella ragazza, che senza ombra di dubbio, aveva invocato ciò che avevo davanti ai miei occhi.

Il mio cuore iniziò a battere impazzito mentre le mie gambe iniziano a tremare, sul punto di cedermi.

Le ombre bianche con la faccia da teschio iniziarono a fluttuare dinanzi a me, minacciose.

Quelli erano fantasmi, anime di defunti, e ne erano ben sette.

Sì avvicinavano sempre di più ed io non potevo fare a meno di indietreggiare.

Ridevano e la loro risata stridula e proveniente dall' oltretomba era in grado di farmi accapponare la pelle.

Ad un certo punto, senza nemmeno rendermene conto, andai a sbattere contro la ragazza dietro di me e subito mi allontanai dalla sua persona, spalmandomi contro il muro.

Guardai prima quelle anime bianche fluttuare alla mia sinistra, poi Inara. «Cosa vuoi da me?» le chiesi in balia della paura.

Lei inclinò il capo verso destra e mi guardò con un sorriso agghiacciante, malevolo. «Solo vederti soffrire.»

Guardò le creature che lei era in grado di controllare e queste si scagliarono contro di me, trapassandomi il corpo senza lacerarmi.

Non avevano un vero e proprio corpo dato che erano fantasmi, tuttavia, ogni qualvolta che uno di loro mi trappassava il petto, avvertivo una sensazione di gelo lungo tutto il mio corpo ed il mondo intorno a me iniziava a girare sempre più velocemente man mano che la vista mi si offuscava e le palpebre, diventate pesanti, cedevano.

Sentivo freddo, un freddo innaturale in grado di congelarmi persino l'anima.

Non riuscivo più nemmeno a reggermi in piedi.

Mi accasciai al suolo e guardai Inara un'ultima volta prima di chiudere gli occhi e di precipitare in un buio senza fine.

"Aiutami, Vel...", fu l'ultima cosa che pensai prima che il nulla mi accogliesse.

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