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Veles
Era da giorni che Astraea era completamente irriconoscibile e non potevo di certo evitare di essere eccessivamente preoccupato per il suo stato di salute precario.
Vedere il suo viso pallido, più bianco di quello di un cadavere, e la luce dei suoi grandi occhioni violacei, quasi spenti, mi faceva star male, talmente tanto male da desiderare di frantumare qualunque cosa mi si capitasse a tiro.
Tre giorni precisamente.
Tre giorni in cui lei non faceva altro che rimanere nella sua stanza, rintanata nel suo letto, a dormire.
Iniziavo davvero a temere che avesse contratto una chissà quale strana malattia di natura tipicamente umana.
Avevo intenzione di fare qualcosa per lei, per poterla aiutare, tuttavia, ogni qualvolta di proponevo di farla visitare da un guaritore, lei si opponeva categoricamente e affermava di star bene, nonostante entrambi sapessimo che era una vera e propria bugia.
Aprii la porta della sua camera, quasi completamente avvolta dall'oscurità creatasi grazie alle spesse tende dinanzi alle finestre, e immediatamente i miei occhi si soffermarono su quel piccolo corpicino avvolto dalle soffici coperte del suo letto.
Stava ancora dormendo.
Entrai nelle quattro mura di quella stanza e, chiudendomi la porta alle spalle, con massima attenzione per evitare di fare qualche rumore che potesse disturbare il suo sonno rigeneratore, mi avvicinai leggiadro al letto.
Mi ci sedetti sopra e il mio sguardo preoccupato fu subito adagiato sul viso pallido e rilassato di Astraea.
Aveva entrambe le mani posate sotto la sua guancia sinistra e le coperte che le lasciavano scoperte le spalle e buona parte della schiena.
Era rannicchiata su sé stessa e questo voleva dire che sentiva freddo.
Senza pensarci su più di una volta, afferrai la stoffa morbida e calda della coperta e la spostai leggermente, coprendola completamente fino alle spalle.
Inevitabilmente finii per accarezzarle i capelli setosi che le stavano coprendo la guancia destra e glieli spostai con massima attenzione, sistemandoli dietro il suo capo per evitare che le dessero fastidio durante il sonno.
Compiendo quel semplice gesto, il suo viso fu del tutto scoperto e non potei evitare di fissarlo come un maniaco, lasciando che la sua immagine si imprimesse a fuoco nella mia memoria: le sue guance avevano recuperato un leggero colorito roseo, le sue folte ciglia nere stavo accarezzando i suoi zigomi con estrema delicatezza mentre le sue labbra rosse erano leggermente dischiuse.
Accidenti...
Nonostante la drastica situazione fisica in cui si trovava, non potevo fare a meno di pensare che era semplicemente bellissima e che il mio desiderio di stringerla a me e di posare le mie labbra sulle sue mi stava quasi uccidendo.
Deglutii a fatica e, nel frattempo che il mio cervello andava in tilt solo a vederla, continuai ad accarezzarle i capelli viola per poi arrivare ad accarezzarle le guance con i polpastrelli delle mie mani tremanti.
A volte, capitava che sentissi la paura emergere ogni qualvolta che la toccassi.
Avevo come la sensazione che lei potesse rompersi da un momento all'altro e che io non potessi fare niente fuorché guardarla andare in frantumi.
Nonostante mi limitarsi quasi sempre a sfiorarla, sentivo che tutto ciò non era abbastanza.
Sapevo perfettamente che lei aveva un carattere forte e coraggioso, tuttavia, non potevo fare a meno di vederla come una bambina fragile da proteggere a qualunque costo.
Arricciai il naso quando la mia mente la definì come una "bambina".
Cavolo, sapevo meglio di chiunque altro che lei non era affatto così.
Me lo dimostrava ogni volta che ci ritrovavamo l'uno tra le braccia dell'altra e avvertivo la tacita supplica del suo corpo ad andare oltre il semplice sfiorarsi e non aversi.
Una parte di me iniziò a prendere vita, premendo fastidiosamente contro il tessuto dei pantaloni blu scuro che avevo deciso di indossare quel giorno.
Ancora mi domandavo quali fossero i miei reali sentimenti nei suoi confronti.
Sapevo perfettamente che lei non mi era assolutamente indifferente. Ciò che ci attraeva l'uno all'altra era un fuoco indomabile che non saremo mai riusciti a spegnere nonostante lo desiderassimo con tutte le nostre forze.
Sentivo la passione accrescere dentro di noi e, inspiegabilmente, con lei accanto mi sentivo completo.
Era come se, dopo millenni passati a vivere una vita immortale senza alcuna traccia di emozioni come queste che stavo provando ultimamente con lei, avessi finalmente trovato il mio posto in questo mondo.
Chiusi gli occhi e sospirai ma, una volta che li riaprii, non potei fare a meno di guardare ancora una volta il suo dolce visino.
Sorrisi quando la vidi increspare le labbra e strusciare la sua guancia contro il palmo della mia mano.
Sapevo perfettamente che quello era stato semplicemente un gesto involontario, tuttavia, il mio cuore non poté evitare di fare una serie di acrobazie nel pensare che lei percepisse la mia presenza nel sonno.
Trattenni a stento una risata.
Stando accanto a quella ragazza stavo diventando pazzo, forse più di lei.
Mi avvicinai a lei e, prestando massima attenzione, le lasciai un casto bacio sulla fronte fredda. Dopodiché, mi alzai dal letto e mi diressi a passo spedito verso la porta, uscendo fuori da quella camera al cui interno c'era il motivo principale che mi avrebbe condotto alla follia più totale.
Ancora sovrappensiero, iniziai a vagare per i corridoi, illuminati dai tiepidi raggi del sole mattutino, d castello senza meta.
Mi domandavo ancora il perché fossi uscito dal nostro appartamento. Lo avevo fatto senza nemmeno rendermene conto.
Forse, avevo semplicemente bisogno di mettere una certa distanza tra me e Astraea per evitare che perdersi completamente il nome del ragione e finissi con il cedere alla tentazione irresistibile e irrefrenabile di averla tra le mie braccia, magari senza alcuna barriera fisica a dividere i nostri corpi.
Chiusi di scatto gli occhi quando nella mia mente iniziò a prendere forma l'immagine della principessa con indosso un bel niente.
Accidenti...
Odiavo il modo in cui sembravo sempre sul punto di perdere il controllo delle mie azioni ogni qualvolta che si trattava di lei.
«Veles» disse la voce facilmente riconoscibile della mia adorata sorella.
Aprii gli occhi di scatto e immediatamente incrociai il suo sguardo. Le sue iridi, di un azzurro così intenso da sembrare quasi tendenti al blu zaffiro, mi fissavano con una certa insistenza mentre uno dei suoi sopraccigli era scattato verso l'alto.
Mi guardava con un'espressione perplessa in volto.
Evidentemente, anche lei credeva che fossi diventato pazzo se mi fermavo all'improvviso nel corridoio e chiudevo gli occhi per tentare di calmare la mia sete insaziabile di avere Astraea tra le mie mani.
«Cosa stai facendo, fratellino?» chiese Devana, incrociando le braccia al petto coperto da un abito a tubino nero come la pece. «Ti riscaldi sentendo il calore dei raggi del sole, che filtrano dalle finestre, sulla tua pelle?»
Magari fosse davvero questo il motivo del mio comportamento...
Le rivolsi un sorriso beffardo. Non volevo che sospettasse che ci fosse ben altro che mi turbasse e che ciò era inevitabilmente connesso con la secondogenita di Hipnôse. «Dopo un lungo periodo trascorso a vedere cadere la neve su Aracieli, credo che sentire nuovamente il calore del sole sulla propria pelle sia legittimo, non credi, Devana?»
Lei fece spallucce. «Non posso darti torto.»
Non aggiunse altro e si limitò a spostare il suo sguardo altrove, il più lontano possibile dal mio viso, mentre le sue labbra erano ben strette, serrate.
Corrucciai la fronte e stavolta fu io a guardarla perplesso: non sembra essere la solita Devana, la Dea dalla battuta sempre pronta e dal sorrisino malizioso perennemente stampato in volto.
Aveva un'espressione cupa e seria, così tanto seria da farmi credere che fosse accaduto qualcosa di spiacevole a mia insaputa.
Quando la vedevo in quelle condizioni, non potevo evitare di sentire la morsa feroce della paura.
«Cosa è successo?» dissi di getto, senza attendere oltre e far dilungare ancora per molto il silenzio tra noi.
Mia sorella strinse ancora più forte le sue labbra le une alle altre e, solo dopo un lungo istante che passò indecisa se guardarmi o meno, voltò il viso nella mia direzione. Quella maschera di serietà e preoccupazione non le si addiceva affatto.
L'avevo vista una sola volta ridotta in quello stato e subito dopo era avvenuta una catastrofe nella sua vita che le aveva fatto perdere l'unico vero amore: Sekhmet, il Dio delle acque.
«Continuo a vedere istanti fugaci del destino di Astraea senza capirci assolutamente un bel niente» affermò con la voce quasi impregnata di preoccupazione.
Il mio cuore ebbe un sussulto.
Deglutii a fatica, cercando di ingoiare una saliva che non avevo in bocca.
«Cosa vedi?» chiesi con un tono apparentemente calmo. In realtà, dentro di me, stavo urlando.
Lei strinse le sue mani a pugno. «Continua ad esserci un sacco di gente, lei la vede e poi c'è il vuoto più totale. Non riesco a vedere più di tutto ciò.»
«Vede chi?»
Vedo Devana corrucciare la fronte e stringere ancora più forte le mani a pugno. «Non lo so chi sia. Il suo volto non mi è concesso vederlo, so solo che questa persona ha una nube oscura avvolta intorno a sé, una nube così nera in grado di divorarci, inghiottirci tutti, se solo lo volesse.»
Al suono di quelle parole cui quasi sicuro che il mio cuore si fermò definitivamente.
Trattenni il respiro.
Cosa voleva significare che non poteva vedere la persona in questione?
C'erano solo due possibilità che spiegassero questo insolito fenomeno: questa "lei" o era una divinità oppure era un'Eterna.
Altre opzioni non erano contemplate.
Devana poteva vedere chiaramente il destino di cui chiunque appartenesse al genere umano o ad un individuo appartenente al mondo semidivino.
Solo il futuro di quelle due creature non era accessibile al suo potere.
Tuttavia, non ero sicuro che fosse tutto ciò ciò che aveva visto e aveva intenzione di dirmi.
«C'è dell'altro, non è così?» la mia voce quasi tremava quanto tutto il mio animo agitato.
Lei smise di stringere le mani a pugno e le sollevò, mostrandosi i palmi delle mani. Stava vedendo qualcosa che io non avrei mai potuto vedere e la tristezza che traspariva dai suoi occhi mi mise ancor più in allarme. «Il sangue cola, la vita scivola via come la speranza di una vita eterna. Due marchi, uguali, identici, sono incisi sulla pelle delicata dei palmi delle sue mani. Una linea orizzontale che lì copre quasi interamente, divisa da due mezzelune opposte al cui centro inizia ad apparire un quarto simbolo. Questa volta, la linea dritta è corta e verticale. Nell'aspetto assomiglia ad una sorta di stella stilizzata ma essa non porta luce nell'ombra, la spegne.»
Un brivido mi percorse interamente il corpo da cima a fondo.
Mi si accapponava la pelle solo a sentirle pronunciare una cosa del genere.
Di cosa stava parlando, oltrettutto?
Di quali segni si riferiva e cosa essi rappresentavano?
Non riuscivo a capire.
Gli occhi azzurri di Devana si spostarono dai palmi delle sue mani per potermi guardare dritta in volto mentre deglutivo nuovamente sotto quello sguardo talmente tanto serio. «Il suo destino sta per compiersi» dice, alzando leggermente gli occhi al cielo per poter vedere qualcosa che io chiaramente non potevo. Stava vivendo, in quell'istante, ciò che avrebbe ipoteticamente vissuto Astraea. «Il salice piange lacrime di sangue. Le sue radici ne sono imbevute e l'odore metallico di esso alleggia nell'aria mentre le urla disperate riempiono il silenzio. Una voce stridula, carica di sofferenza e dolore indicibile. Qualcuno la chiama, lei urla qualcosa mentre una creatura nera e malvagia tenta di sopraffarla. Ma proprio come il fuoco, il sangue della fanciulla prescelta brucia e ustonia la pelle di coloro che non sono più di questo mondo.
Basta un colpo e quest'ultimo si dissolve in una densa nube nera mentre lei si accascia al suolo, tra le braccia delle radici del suo padre eterno» termina di raccontare la sua visione mentre si guarda intorno come se tutto ciò stesse realmente accadendo in quell'istante.
Il suo sguardo vacuo ritorna ad essere vigile e mia sorella mi guarda traumatizzata e con un senso di panico opprimente.
Ero in balia della paura e della confusione più totale.
Che cosa aveva visto?
Che cosa voleva dire tutto ciò?
Chi erano queste ombre oscure?
«Devana...» dissi, pronunciando il suo nome con estrema fatica.
Lei deglutì mentre il suo corpo era scosso da brividi e respirava quasi a fatica.
Chinò il capo.
«Devana» la richiamai e allora lei alzò nuovamente il capo verso di me.
Le sue pupille erano talmente tanto dilatate dalla paura che quasi le nascondevano del tutto le iridi azzurre. «Astraea non diverrà mai un'Eterna, Veles. Il suo destino è quello di morire.»
Trattenni il fiato e sentii che tutto il mondo si era immediatamente bloccato di fronte a quella rivelazione.
No.
Non poteva essere.
Non potevo accettarlo.
Il mio cuore iniziò a battere impazzito e il mio desiderio di tornare dalla Principessa si fece impellente.
"Astraea non diverrà mai un'Eterna, Veles", continuava a ripetermi la voce della Dea del destino. "Il suo destino è quello di morire."
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