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Giurai a me stessa che, se non avesse messo giù le mani dal mio braccio, a dargli un pugno sarei stata io.

Chissà, magari gli avrei fatto passare la voglia di mostrare quella pila di denti bianchissimi, che si vedevano ogni qualvolta lui sorrideva sfacciatamente al suo interlocutore.

Odiavo quel suo modo beffardo e arrogante di sorridere e, destino voleva che, in quel momento, lui lo stesse sfoggiando proprio con la sottoscritta.

Mi stava facendo venire i nervi a fior di pelle.

Oltrepassata la soglia della porta della palestra e, una volta che quest'ultima si fu richiusa spontaneamente alle nostre spalle, mi liberai immediatamente della sua presa fin troppo soffocante.

Prendermi sottobraccio era stato un modo come un altro per far andare su tutte le furie il Dio della manipolazione che, in questo preciso istante, ero sicura stesse combattendo contro l'istinto di correre nuovamente da me.

Sfilai il braccio da sotto il suo e incrociai le braccia al petto, guardandolo con uno sguardo omicida.

La mia fronte era aggrottata.

«Cosa c'è, pasticcino?» chiese lui, guardandomi con un'aria divertita. I suoi grandi occhioni neri e a mandorla mi osservavano interessati dal mio modo di pormi nei suoi confronti.

Mi stava decisamente facendo perdere la poca pazienza che avevo. Mi aveva disturbato in un momento cruciale e, per di più, aveva attentato alla vita di Veles. Questo non era di certo un gesto che avrei potuto perdonarglielo tanto presto. Forse, non sarebbe mai stato possibile.

«Che cosa vuoi da me, Xzander?» gli chiesi senza girarci troppo intorno. Avevo ben altro a cui pensare, in quel momento.

Lui sbuffò, come infastidito dal mio comportamento nei suoi riguardi. «Sempre così scontrosa?»

Assottigliai lo sguardo. «Si» dissi in tono seccato. «Odio quando le persone mi disturbano mentre sto facendo qualcosa di importante che mi condurrà ad un passo dal risveglio.»

«Ah bhe, pensavo si trattasse del fatto che ho disturbato qualcosa l'importante tra te e quella Divinità da quattro soldi» disse come se non fosse accaduto nulla di irrimediabile. «Se mi tratti male per questo, potevo benissimo darti ragione, ma se il tuo malumore dovuto al fatto che ho interrotto un allenamento che prevedeva di scoprire quali fossero i poteri che il fatto che aveva donato, non mi sento poi così tanto in colpa.»

«Perchè?» chiesi a denti stretti, sopprimendo la voglia di saltargli addosso e cavargli gli occhi.

Lui face spallucce. «Semplicemente perché ti ho risparmiato del tempo prezioso che ti sarebbe potuto servire per fare ben altro.»

«Ad esempio?»

Mi mostrò uno dei suoi migliori sorrisi maliziosi, quelli che, senza ombra di dubbio, avrebbero fatto cadere un sacco di ragazze sciocche ed ingenue ai suoi piedi. «Trascorrere un po' del tempo della tua misera vita mortale con me.»

Istantaneamente le mie sopraciglia scattarono verso l'alto. Non potevo credere che avesse davvero detto una cosa del genere e non riuscivo a capire se fosse un malato mentale o se fosse semplicemente affetto da una forma eccessiva arroganza e presunzione.

Se la seconda opzione fosse stata quella corretta, dovevo dargli atto che era, forse, la persona più detestabile dell'universo. «Non mi piace trascorrere del tempo con te e questa eventualità non è nella mia lista delle priorità.»

Xzander rise di gusto nel sentire ciò che avevo affermato.

Dal modo in cui rideva sembrava come che avessi raccontato una barzelletta davvero esilarante.

Per tutto gli dei, quanto era detestabile.

«Se fossi più furba ed intelligente, capiresti che io sono molto meglio di quello scarto della società con il quale tenti miseramente di far coppia.»

Quasi ringhiai in risposta. «Taci.»

Lui fece un passo verso di me e inevitabilmente finimmo per essere pericolosamente troppo vicini. Il suo sguardo era profondo, ardente, mentre il suo sorriso trasudava un fascino irresistibile. «L'unico modo che hai per mettermi a tacere, è uno ed uno solo, mia cara principessina: baciarmi...» iniziò ad inclinare la testa e ad avvicinare ancora di più i nostri visi.

A quel punto, mi spostai rapidamente e mi posizionai alle sue spalle, guardandolo con la voglia matta di ucciderlo.

Lui, inspiegabilmente, rise di gusto per quel mio palese rifiuto e iniziai a credere che forte, oltre ad essere dotato di una quantità eccessiva di arroganza, era anche pazzo.

Quindi, potevo tranquillamente affermare che entrambe le opzioni da me pensate erano corrette.

Era davvero uno sfrontato pazzo.

Misi di nuovo le braccia conserte quando si voltò a guardarmi con aria divertita. «Non ti bacerò mai e questo tu lo sai benissimo.»

Rise di nuovo, di gusto. Avrei tanto voluto capire che cosa ci trovava di così tanto divertente in tutto ciò che stava accadendo.

«Prima o poi cadrai tra le mie braccia, ne sono sicuro.»

«Illuditi pure quanto vuoi.»

L'Eterno mi fece l'occhiolino ed io alzai gli occhi al cielo. «Io non mi illudo mai. So cosa voglio e so che alla fine l'ottengo sempre.»

«In tutta onestà, ben poco mi interessa cosa vuoi. Inoltre, non hai ancora risposto alla mia domanda iniziale» dissi, fissandolo attentamente.

«Non ricordo la domanda, ero troppo impegnato a guardare come ti mette in risalto le tue forme quel meraviglioso completino nero che indossi» disse, picchiettandosi il mento con le dita della sua mano destra.

Sospirai, esasperata da quel ragazzo di origini Eterne.

Sembrava un bambino dalla scarsa concentrazione.

Bhe, del resto, doveva pur compensare la sua arroganza smisurata.

«Cosa volete da me, Xzander?» chiesi, stavolta il tono della mia voce era estremamente serio. Non stavo giocando e il mio intento non era quello di chiacchierare del più o del meno.

Avevo bisogno di risposte al riguardo e non mi sarei accontentata di affermazioni evasive.

Proprio come il mio tono di voce, anche il volto del bel ragazzo Eterno divenne serio e solenne. «Ancora con questa domanda? Non ti sei ancora arresa al fatto che non riceverai, per il momento, le risposte che tanto cerchi?»

Lasciai che le mie braccia si rilassassero lungo i miei fianchi. «Non smetterò mai di cercare le risposte alle mie domande, quindi, ti pregherei di rispondermi e questa volta senza girarci troppo intorno. Perchè voi Eterni siete qui dopo aver passato tutta la vostra esistenza su un castello galleggiante nell'aria?»

Xzander si limitò a fissarmi, senza aggiungere una sola parola.

Solo dopo un intenso scambio di sguardi lui si degnò di aprir bocca. «Credevo fosse chiaro che noi siamo qui per te, Principessa Astraea.»

Fin qui, c'ero già arrivata.

«La mia domanda è: perché?» domandai. «Perchè vi siete presi il disturbo di scombussolare la vostra vita per me, un'umana che, nell'arco di pochi giorni, diventerà come voi?»

I nostri sguardi continuavano a rimanere incatenati l'uno a quello dell'altra.

«Perché tu ci servi» fu l'unica risposta che io ricevetti da lui.

«Perché? Cosa c'è di così speciale in me che voi non possedete?»

Sospirò e volse lo sguardo altrove pur di non dover continuare a incrociare il mio sguardo interrogativo e carico di domande.

«Xzander» lo richiamai, vedendo che lui non accennava a rispondermi in alcun modo e preferiva tacere.

Forse, era in dubbio se rivelare quanto tutti gli altri suoi simili non avevano osato fare.

Riprese a guardarmi e quasi mi sorpresi che fosse dotato di tutta quella serietà che trapelava dal suo sguardo. Tutto ciò, però, non mi faceva sperare in qualcosa di buono.

Ci doveva essere qualcosa di grosso alla base di tutta quella storia ed ero quasi sicura che il risvolto non mi sarebbe piaciuto nemmeno un po'.

«Tu non sei una creatura comune, anche se puoi sembrarlo» iniziò col dire, scandendo perfettamente ogni singola parola che era e sarebbe uscita fuori dalla sua bocca. La tensione era alle stelle e non ero quasi più sicura di voler sentire il resto di ciò che mi avrebbe detto. «Tu non sei come nessuno in questa Stella Pianeta. Astraea, figlia di due Eterni, tu sei la chiave per la nostra immortalità assoluta.»

Dopo un lungo periodo in cui mi limitai semplicemente a fissarlo con la bocca spalancata, ripresi a respirare. Quasi non mi ero nemmeno resa conto di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo, tempo che lui aveva impiegato nel pronunciare le parole che continuavano a ripetersi nella mia testa ininterrottamente.

Cosa diamine voleva significare tutto ciò?

Che cosa stava blaterando?

Deglutii a fatica nonostante non ci fosse saliva nella mia bocca. «Se non sono come nessun'altra creatura presente in questa Stella Pianeta, allora cosa sono? Uno scherzo della natura!?» chiesi, quasi arrabbiata da tutto ciò che mi aveva detto.

Con tutta la nonchalance di questo mondo, lui scrollò le spalle e mi guardò come se non mi avesse detto nulla di così tanto importante che meritasse il mio stato di shock. «Se vuoi metterlo in questi termini, si.»

Senza pensare più a ciò che facevo e mettendo da parte il mio autocontrollo, mi fiondai su di lui e, afferrandogli il colletto della camicia rossa che indossava quel mattino, tirai indietro il braccio, pronta a terminare il lavoro che il Dio della manipolazione aveva iniziato.

Ero sicura che, ai suoi occhi, apparissi come una ragazza del tutto folle.

Avevo ancora il pugno a mezz'aria quando lui bloccò il mio misero tentativo, che stavo per compiere, per alleviare un po' la tensione che sentivo crescere a dismisura dentro di me.

Il suo sguardo si assottigliò.

Sembrava nuovamente un felino sul punto di attaccare la sua preda.

«Se fossi in te, non ci proverei, Principessa» mi avvisò con tono decisamente troppo pericoloso e tagliente.

La mia rabbia era quasi incontrollabile. «Voglio più risposte» ringhiai.

Il modo in cui mi stava guardando mi stava per fare accapponare la pelle, così come la serietà che trasudava da ogni poro del suo corpo scolpito. «Te ne ho già date più di quanto mi era consentito.»

Stringendo forte le mie labbra e riducendole in una linea sottile, mi allontanai di scatto da lui senza però smettere di stringere forte le mie mani a pugno lungo i fianchi. «Non sono sufficienti.»

Non si mosse di un centimetro e la sua espressione facciale era statica. «Dovrai fartele bastare, per il momento.»

Sospirai e mi portai una mano fasciata alla fronte, pronta a massaggiarmi le tempie doloranti che non stavano facendo altro che pulsare senza sosta, iniziando a dare vita ad un mal di testa di proporzioni gigantesche.

«Come mai quelle mani fasciate?» domandò e subito spalancai i miei occhi, concentrandomi sui suoi.

Stava guardando senza sosta le mie fasciature, fasciature che avevo messo per evitare che Vel notasse le cicatrici delle mie ferite che ancora non sapevo spiegarmi come fossero apparse.

«Mi alleno sempre con le mani fasciate adeguatamente» dissi di getto.

Quella non era del tutto una bugia: utilizzavo molto spesso quelle fasciature per evitare di farmi molto male alle mani.

Era per questo motivo che Vel non si era affatto insospettito nel vedermi le mani così tanto coperte.

Le sue iridi nere, un tutt'uno con le sue pupille, mi scrutarono con attenzione. Infine, vedi comparire un sorriso beffardo sul suo viso. «È un misero tentativo di coprire le tue ferite, Astraea. Prima o poi, queste non potrai più nasconderle e tutti sapranno ciò che ti sta accadendo. Manca poco, ormai. Stai giungendo, passo dopo passo, al motivo della tua effimera esistenza. Il completamento del tuo risveglio sta per giungere al termine e non ci sarà nulla che tu possa fare.»

Mi limitai a fissarlo con occhi sgranati mentre dentro di me iniziava a prendere sempre più forma una paura disarmante, un terrore che avrebbe rischiato di annientarmi.

Come faceva sapere delle mie ferite ai palmi delle mani e qual era il motivo ultimo della mia esistenza?

Perché c'erano ancora così tante cose che non conoscevo che nessuno sembrava avere intenzione di rivelarmi?

«C-cosa significa tutto ciò..?» domandai, quasi balbettando e con un fil di voce a malapena udibile alle sue orecchie e alle mie.

Il mio interlocutore chiuse gli occhi, sospirò e, quando sollevò le palpebre, mostrò due iridi colmi di una specie di tristezza e dolore. «Non ti meriti tutto ciò che ti accadrà. Per questo motivo voglio che tu sappia che, se fosse in mio potere, farei di tutto per risparmiarti il destino che il Fato ha scelto per te, il destino che il Fato ha scelto al posto tuo.»

Mi sentivo mancare la terra sotto i piedi e le gambe sembravano sul punto di cedere da un momento all'altro.

La mia testa iniziò a girarmi prepotentemente e dovetti reggermi al muro per evitare di cadere in ginocchio.

«Io...» iniziai col dire, deglutendo. «Non capisco...»

Lui scosse la testa. «Credo che sia la cosa migliore che tu, al momento, non comprenda la gravità della situazione e ciò che il Fato vuole che tu compia. Goditi la tua vita, Astraea. Goditela finché puoi.»

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