.𝟚𝟚.

Veles

«Se continui così, non riusciremo più a continuare ciò che stavamo facendo» disse Astraea, ridacchiando, mentre io le mordicchiavo il lobo dell'orecchio sinistro, lasciato scoperto a causa della lunga coda di cavallo nel quale si era legata i capelli violacei.

Sorrisi mentre la stringevo a me. «Di certo non potrai dare la colpa a me per questa piccolissima pausa» affermai.

Ed era vero: la colpa di tutto questo era da dare al suo piccolo sedere messo notevolmente in evidenza con quei pantaloni ginnici neri estremamente aderenti al suo corpo perfetto.

Non che non mi fossi accorto prima del suo aspetto fisico decisamente paradisiaco.

Quella piccola parte di lei l'avevo già notata tempo addietro, solo che, adesso che ne avevo l'occasione, potevo tranquillamente attrarla a me e magari stringerlo tra le mie mani.

Da quando vi era stata la festa in onore degli Eterni scesi da Alto Cielo, erano già trascorsi un paio di giorni ed io e la bella Principessa dagli occhi tanzanite eravamo in una strana fase del nostro rapporto.

Erano giorni che non riuscivamo a stare distanti l'uno dall'altra per più di mezzo secondo e non c'era occasione che perdessimo per baciarci o, semplicemente, per rimanere accoccolati l'uno all'altro per un tempo che poteva sembrare decisamente infinito.

La piega che aveva preso il nostro strano rapporto non mi dispiaceva affatto, anzi, aveva dato modo ai miei sentimenti di venire finalmente alla luce, anche se, dovevo ammettere, che non sapevo ancora quali essi fossero con chiarezza.

Sapevo solamente per certo che non riuscivo a non pensare a lei prima di chiudere gli occhi la notte e che non ci fossero sogni o incubi in cui lei fosse la protagonista.

A volte, mi capitava di fare sogni talmente bello da farmi desiderare di correre nella stanza comunicante solo per poterla stringere ancora un altro istante a me.

Altre volte, invece, i miei sogni su di lei si facevano tenebrosi e assolutamente angoscianti.

Vivevo il momento della sua morte.

Ormai potevo dirmi ossessionato da ciò che mi aveva riferito mia sorella Devana qualche giorno fa.

Capitava raramente che qualche sua visione non si avverasse per via di scelte diverse degli individui in questione che, inevitabilmente, finivano per cambiare il loro stesso destino.

Per questo non riuscivo a smettere di pensare all'eventualità che lei morisse proprio tra le mie braccia.

Non volevo assolutamente che ciò accadesse.

Astraea si voltò a guardarmi con bocca spalancata, scandalizzata. Quasi mi venne da ridere per il modo in cui aveva sgranato i suoi grandi ed irresistibili occhi violacei. «Piccolissima pausa? È da un'ora che ci baciamo senza fermarci nemmeno per un solo istante, Vel.»

Ops.

Forse, non mi stavo poi comportando così tanto da bravo ragazzo con lei.

Inevitabilmente mi ritrovai a sorridere. «Se vuoi che la smetto, puoi dirmelo tranquillamente e non sentirai più le mie labbra posarsi sulle tue per un casto e semplice bacio.»

In realtà, i nostri baci erano tutto fuorché casti e semplici.

Più di una volta l'avevo sentita gemere tra le mie labbra e non posso nascondere che la cosa mi eccitasse e non poco.

Sentivo un gran desiderio di andare oltre quel "semplice" contatto, ma sapevo perfettamente che non sarebbe stato corretto nei suoi confronti, non se ancora non conoscevo la portata dei miei sentimenti per lei e fossi riuscito a metterci su un'etichetta.

Lei meritava qualcosa di più e non lo dicevo solo per il fatto che era figlia di Hipnôse, bensì perché non volevo illuderla fino a quel punto.

Già sentivo di comportarmi in una maniera inadeguata con lei, non volevo aggiungere anche un altro peso sulla mia coscienza.

Lei riuscì a liberarsi dalla mia presa e si allontanò quanto bastava per mettere una leggera distanza tra noi.

Sì strinse il laccio tra i capelli con le sue mani, adeguatamente fasciati da una leggera stoffa di cotone, mentre mi guardava con un sorrisino malizioso.

Mi stava sfidando a correrle dietro.

Peccato che non avesse ben compreso che, ciò che io volevo e desideravo, lo andavo a prendere a discapito di chiunque o di qualunque cosa.

«Possiamo riprendere il nostro "allenamento speciale"?» domandò, incrociando le braccia al petto con disinvoltura mentre mi guardava con quel suo sguardo da bambina birichina.

«Se è ciò che desideri, tuttavia, prima di riprendere da dove abbiamo interrotto vorrei che tu mi dessi un altro piccolo bacio» affermai.

I suoi occhi violacei si accesero di interesse e, come se fosse possibile, divennero ancora più luminosi del solito.

La adoravo... Oppure avrei dovuto utilizzare un altro termine che, forse, sarebbe risultato più adatto date le circostanze?

«Solo uno» disse in tono quasi minaccioso.

Annuii. «Solo uno.»

Lei mi si avvicinò rapidamente e, quando mi provò a dare un semplice bacio che prevedeva solo ed esclusivamente il toccarsi delle labbra, la tirai a me e le diedi un vero bacio.

Sentivo il mio cuore battere così tanto forte che temetti che mi si potesse esplodere nel petto come una bomba ad orologeria.

Quando lei dischiuse le labbra per accogliermi, sentii un brivido percorrermi interamente il corpo proprio come se avessi preso una scarica elettrica e a provocarmela fosse stata solo ed unicamente lei.

Le nostre lingue si toccarono ed ecco che io la sentii fremere tra le mie braccia e mugugnare dal piacere che le stavo provocando con quel semplicissimo gesto.

Non avrei osato immaginare cosa avesse fatto se ci fossimo ritrovati in un'altra circostanza che prevedeva molto più contatto fisico.

Qualcosa laggiù si risvegliò istantaneamente e faticai notevolmente a tenere a bada la voglia di lei che avvertivo appena sotto lo strato della mia pelle.

Quando interrompemmo quel contatto lei notò che avevo le pupille leggermente dilatate a causa di un bisogno fisico e mentale che non riuscivo in alcun modo a placare.

I suoi occhi vispi e vivaci mi guardarono con curiosità mentre inclinava la testa di lato. «Qualcosa non và, Vel?»

Che le avrei potuto dire?
Che morivo dalla voglia di spogliarla e farla mia seduta stante?

No.

Era assolutamente fuori discussione.

Tossii per schiarirmi la voce, in modo che non risultasse eccessivamente rauca, e dissi: «No, assolutamente nulla che non vada, piccola.»

Bugia.

Qualcosa che non andava c'era e premeva contro il tessuto dei mie pantaloni.

Fortuna vuole che quel giorno avessi indossato una maglia a maniche corte più larga del normale e che quindi il mio amico era ben coperto e nascosto alla sua vista.

Dopo un lungo attimo di esitazione, lei annuì. «Va bene» iniziò col dire, staccandosi da me. Il mio corpo già ne sentiva la mancanza. «Dunque... dove eravamo rimasti?»

«Devi cercare una strana energia dentro di te e cercare di tirarla fuori. In poche parole, devi convertire l'essenza del tuo potere in qualcosa di materiale che tu possa utilizzare a tuo vantaggio durante uno scontro corpo a corpo contro chiunque abbia almeno una goccia di sangue divino nelle vene» le ricordai.

Astraea sbuffò sonoramente. Ancora non riusciva a capire come ci potesse arrivare dato che non si era ancora manifestato alcun segno del dono straordinario che il Fato le aveva concesso. Tuttavia, dovevo ammettere che era una ragazza coraggiosa e testarda che non si abbatteva mai di fronte alle difficoltà.

«Ci riprovo.»

Sorrisi. «Questo è lo spirito giusto.»

Sospirò e, subito dopo, iniziò a concentrarsi su ciò che le avevo spiegato durante quasi tutta la mattinata.

Chiuse gli occhi e si portò le mani al petto.

Credo che lì percepisse essere l'essenza di tutto il suo potere, ma, nonostante tutti gli sforzi che stesse facendo, ancora una volta, non riuscì a sprigionarla.

Sembrava come... Bloccata.

Distese i muscoli del suo corpo e sospirò nuovamente, frustata da tutto ciò. «Ancora nulla non capisco perché il mio potere tardi a manifestarsi...» disse.

Aprii la bocca per risponderle ma venni anticipato.

«Forse perché non c'è nessun potere che debba venire a galla.»

Chiusi gli occhi di scatto e iniziai a sentire la rabbia accrescere in me non appena udii il suono della voce di quel Eterno da quattro soldi.

Astraea si voltò nella direzione in cui lo sentimmo arrivare ed io feci lo stesso, fulminando Xzander con il mio sguardo quando lo vidi fermo sull'uscio della porta, ben adagiato allo stipite e con le braccia conserte.

Per la seconda volta in tutta la mia vita, desiderai poter avere qualcosa che Aedyon possedeva ed io no: il suo potere di sparare fulmini.

Sarebbe stato bello vedere Xzander fulminato o completamente bruciato ai miei piedi.

«Cosa vuoi?» chiesi in tono brusco e fin troppo tagliente.

In tutta risposta, lui spostò il suo sguardo su di me e mi guardò con quegli occhi neri come la pece, mentre le sue labbra si di stendevano in un sorriso di scherno. «Rilassati Divinità, non so certamente venuto qui per te, bensì per la dolce e piccola Principessina.»

Come previsto, sapere che lui era lì per lei, per Astraea, mi fece ribollire dalla rabbia e andare su tutte le furie.

Non doveva avvicinarsi a lei, così come non doveva neanche concedersi il lusso di pensare a lei.

Lei non gli apparteneva.

Fine della storia.

«In tal caso, credo che tu non abbia ben compreso l'avvertimento che ti avevo dato la volta precedente, quando ti avevo sorpreso a stare nelle sue vicinanze e a respirare la stessa aria che respira lei: devi starle lontano, Eterno» ringhiai come se fossi diventato improvvisamente un cane rabbioso sul punto di divorate il povero malcapitato che gli capitava a tiro.

Il suo sorriso maligno e perverso non poté che accentuarsi al suono di quelle mie parole. Xzander iniziò ad avvicinarsi e, dal modo in cui camminava, non poteva non sembrare un felino pronto a rendere un'agguato. «Forse, sono io quello che non è stato chiaro la volta precedente:...» eravamo con i nostri visi a pochi centimetri di distanza e ci guardavamo in cagnesco. «Io non prendo ordini da annullità come quelli della tua razza. Vi ricordo che siete una categoria facilmente estirpabile. Basterebbe uno solo di noi per farvi fuori uno dopo l'altro. Vedervi cadere come mosche è la cosa che più desidero a questo mondo.»

Non ebbi il tempo di dire la mia battuta che Astraea si fiondò da noi, pronta a dividerci con la sua sola presenza.

Mi guardò con uno sguardo d'avvertimento, uno che stava ad indicare "non fare sciocchezze o ti uccido" e, dopodiché, si voltò a guardare Xzander con sguardo inespressivo. «Cosa ci fai qui? E che vuol dire che io non ho alcun potere da manifestare? Io sono un'etern...»

«"Io sono un'Eterna e bla bla bla"» mimò il ragazzo il tono di voce di Astraea. Tutto ciò mi fece infuriare ancora di più e non potevo fare a meno di desiderare che non ci fosse la ragazza tra di noi per potergli fare vedere come ero in grado di mettergli le mani intorno al collo con l'unico intento di staccargli la testa dal busto. Continuò a rivolgersi alla Principessa. «Tuttavia, non credi che ci sia un motivo ben preciso se sei ancora senza i tuoi poteri, zuccherino?»

Okay, ora ne avevo davvero abbastanza.

Spostai rapidamente Astraea alle mie spalle e guardai Xzander con uno sguardo omicida. Caspita. Mi maledissi per essere diventato un Dio. Avrei voluto essere un'Eterno solo per farlo soffrire e per essere in grado di ammazzarlo con le mie stesse mani. «Potresti gentilmente ripetere come hai osato chiamarla, piccolo sbruffoncello?»

Sul viso del mio rivale scomparve qualsiasi traccia di umorismo ed ironia. Il suo sguardo si assottigliò a tal punto da far scomparire quasi le sue iridi, divenute un tutt'uno con le pupille dei suoi occhi neri. «Zuccherino. Hai qualche problema, per caso?»

Strinse le mani a pugno lungo i fianchi. «Più di uno, se è per questo.»

Imitò il mio gesto. «E quale sarebbe? Anche se lei crede di essere follemente innamorata di te, non vuol dire che io non possa tentare di portarmela a letto e di farla urlare come tu non sapresti far...»

Senza pensarci su due volte, sconnettendo completamente il cervello e mettendo a tacere la ragione, gli tirai un pugno in pieno viso con una tale potenza che riuscii a farlo barcollare per un paio di metri.

Non aveva alcun diritto di parlare di Astraea in quel modo e non gli era concesso fantasticare sul suo corpo.

Lei era mia.

Lei era parte della mia anima e del mio cuore ed io non gli avrei permesso mai e poi mai di portarmela via.

Ero stanco di vedere come chi era intorno a me riusciva a portarmi via da sotto il naso le persone a cui tenevo veramente.

Questa volta avrei lottato fino alla mia morte per quel po' di felicità che mi era stata concessa.

Xzander si voltò immediatamente a guardarmi e nel suo sguardo lessi tutta la sua determinazione a farmi fuori per il gesto che avevo osato fare.

I suoi occhi, così come tutto il suo corpo, emanavano una malvagità tale da riuscire ad uccidere chiunque si trovasse nel suo raggio d'azione.

Afferrò uno dei suoi strambi orecchini e, improvvisamente, il materiale di cui era fatto, l'oro, cambiò all'istante, diventando di acciaio. Nel giro di un nano secondo, questo fu lanciato con una velocità tale da riuscire a penetrarmi lo sterno se non mi fossi spostato all'ultimo secondo.

L'oggetto andò a conficcarsi nel muro bianco alle mie spalle e quasi un bel pezzo di quel muro si frantumò all'impatto con esso.

«Padroneggia il metallo...» bisbigliò Astraea al mio fianco, con gli occhi violacei sgranati per la sorpresa.

Sentivo il suo cuore battere nel mio petto per la paura che aveva avuto che io fossi ferito dall'Eterno del metallo dinanzi a noi.

Mi voltai nella direzione in cui si trovava il ragazzo e lo guardai mentre si preparava a lanciarmi il suo secondo orecchino.

Volava davvero farmi fuori e aveva tutti i mezzi per farlo.

Anche quest'ultimo si trasformò immediatamente in metallo al suo tocco e, quando si portò indietro il braccio per potermelo lanciare contro, Astraea corse da lui e gli afferrò la mano, evitando così che questa volta il colpo andasse a segno.

«FERMATI!» urlò. «NON OSARE FARGLI DEL MALE!»

Xzander si voltò a guardare la ragazzina dai capelli viola che gli stava impartendo degli ordini ben precisi. «Anche tu ora ti concedi il lusso di dirmi cosa fare?» le chiese con un tono di voce che non prometteva nulla di buono.

Lei non si fece intimorire dal suo tono di voce aggressivo e gli tenne testa. «Se ti permetti anche solo a prendere la mira, ti giuro su ciò che ho di più sacro che ti distruggo.»

Innaspetatamente, fece nuovamente capolino sul viso del giovane quel sorriso arrogante che gli conferiva l'aria da sbruffone. «Piccola ma temeraria» affermò.

Astraea lo fulminò con lo sguardo. «Posa quel coso e porta fuori di qui le tue chiappe se non vuoi che ti sbatto a pedate.»

A quel punto, l'Eterno non poté evitare di scoppiare in una flagolosa risata, una risata di gusto. «Accidenti, sei brava a dare ordini, ragazzina, tuttavia, me ne vado solo se tu vieni via con me» disse una volta che terminò di sghignazzare come un porco pronto ad essere sgozzato.

Dio, quanto lo odiavo.

Astraea si voltò un attimo a guardarmi e sentii dentro di lei il desiderio che aveva di sentirmi al sicuro nonostante l'Eterno sembrava aver sbollito la rabbia momentaneamente.

"Non lo faccio perché me l'ha chiesto lui, lo faccio per evitarti guai, Vel", disse, usando il nostro speciale canale di comunicazione.

Serrai le labbra e contrassi la mascella.

Capivo il perfettamente il motivo che la spingeva a seguire quello sbruffone, tuttavia, non potevo evitare di sentire una fitta acuta di gelosia e preoccupazione nel sapere che lei sarebbe stata sola con lui.

Non potevo assolutamente permettere che ciò accadesse e non per via di un'ordine che mi era stato impartito dalla mia Regina, bensì perché la rabbia e la gelosia mi stavano logorando dall'interno al solo pensiero di non poterla proteggere nel caso l'Eterno tentasse di fargli del male.

Lei percepì il mio turbamento e mi sorrise con estrema dolcezza.

Quando mi sorrideva in quel modo quasi perdevo la testa e, qualunque sia la mia volontà, questa veniva immediatamente piegata al suo volere.

"Ho bisogno di risposte alle mie domande e non le riceverò se ci sarai anche tu. Starò attenta e tornerò qui una volta che mi sarò liberata di lui", continuò lei. "Te lo prometto."

Accidenti a lei.

Seppur fossi completamente contrariato a questa sua genialità, mi ritrovai a dirle mentalmente un "va bene" incerto.

Astraea si voltò a guardare cupamente il ragazzo al suo fianco, ragazzo che io desideravo con tutto me stesso poter allontanare da lei. «Andiamo fuori di qui prima che cambi idea.»

Xzander si voltò ad incrociare il mio sguardo e sorrise trionfante, mostrandomi addirittura i denti perfettamente bianchi mentre lo faceva. Guardò nuovamente la ragazza, in procinto di risvegliarsi in un essere uguale in tutto e per tutto a lui, e si asciugò un rivolo di sangue che gli usciva fuori dal labbro inferiore che gli avevo leggermente rotto. «So che non vedi l'ora di trascorrere un po' di tempo con me, da sola, senza la presenza opprimente della tua guardia del corpo ed è, solo ed esclusivamente, per questo motivo che ti accontento.»

Chiusi gli occhi e resistetti alla tentazione di fiondarmi nuovamente su di lui per rompergli la faccia definitivamente.

Li riaprii giusto in tempo per vedere Astraea su tutte le furie e lui che le metteva un braccio sotto quelle esili di lei.

Si voltò a guardarmi un'ultima volta prima di andarsene via insieme alla Principessa Eterna e mi sorrise in un modo tale da farmi ribollire dalla rabbia.

Per la prima volta, pregai che Aedyon portasse a termine un lavoro che avrei volentieri portato a termine da solo, se ne avessi avuto la possibilità.

Lui la portò via da me ed io strinsi forte i pugni, combattendo contro il desiderio di corrergli dietro e trasportare Astraea con la forza fino nella nostra camera comunicante.

Solo lì, al mio fianco, l'avrei saputa al sicuro.

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