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Veles

Al mio arrivo, le guardie, dalle loro armature dorate, aprirono le doppie porte che mi avrebbero concesso l'entrata nella Sala del Trono in cui Hipnôse mi attendeva da un bel pezzo.

Era sempre stato così da poco più di millennio a questa parte: ogni qualvolta che la mia Regina aveva bisogno di me, io accorrevo istantaneamente al suo cospetto.

Ormai, sembravo un suo burattino, ma la cosa non mi dispiaceva affatto.

Il mio dovere era quello di servirla fino alla fine dei miei giorni.

Quell'enorme sala era illuminata a giorno da quelle grandi finestre che si alternavano sulla parete alla mia sinistra e nell'aria c'era già un buon odore di fiori freschi.

Non ci misi molto a localizzarla, in fin dei conti, la conoscevo da così tanto tempo che avrei sempre saputo dove trovarla.

La prima cosa sul quale i miei occhi si posarono fu la sua folta chioma rosa pallido che, sorprendentemente, ogni qualvolta ero nelle sue vicinanze, emanava un meraviglioso profumo vanigliato. Era così buono che, a volte, mi avvicinavo quanto più possibile a lei solo per drogarmene, per un solo altro istante, di quell'irresistibile fragranza.

Sembravo un vero e proprio sciocco.

Davvero patetico da parte mia tutto ciò, ma, del resto, cosa potevo farci se non riuscivo ancora a cacciarla del tutto dal mio cuore?

Mi fermai a qualche passo da lei e congiunsi le mie mani dietro la mia schiena, guardandola attentamente in modo da continuare ad aggiornare costantemente l'immagine che avevo di lei, immagine che avevo memorizzato fin nei minimi dettagli nella mia testa.

La sua folta chioma era sciolta e i boccoli rosa le ricadevano sulla sua schiena delicatamente. La corona in oro rosa era sul suo capo ed era mantenuta ben salda da un paio di treccine che si congiungevano dietro il capo.

Indossava un abito semplice, verde pastello così chiaro da sembrare quasi sbiadito.

Nonostante fosse la Regina da più di un millennio, lei non era come tutte le altre e non amava vantarsi della sua posizione sociale all'interno di quel maestoso Palazzo che aveva fatto ricostruire tempo a dietro.

Sorrisi.

Continuare a mantenere la sua semplicità la rendeva ancora più bella ai miei occhi, nonostante avesse deciso di mostrare più anni di quando l'avevo conosciuta.

Ora come ora, con quell'aspetto da trentenne, sembrava molto più matura anche se sapevo perfettamente che era sempre la stessa dentro quel corpo da urlo che, in passato, avevo desiderato più volte avere tra le mie mani.

Stava annusando i fiori che stava contribuendo a far sbocciare, dono meraviglioso che, tutt'ora, mi vantavo di aver aiuto a farle scoprire.

Tolse una foglia secca, ormai morta, e, al suo posto, ne fece crescere ben altre tre, tutte verdi luminose e rigogliose.

«Hipnôse» la chiamai per nome in modo tale che lei sapesse che io ero arrivato, che io ero lì per lei.

Lei si voltò e i suoi occhi tempestosi entrarono subito in collisione con i miei, tuttavia, con mia grande sorpresa, al posto delle sue iridi blu avio e bianche, vidi, per un istante che mi parve lungo un'eternità, un paio di iridi violacee che mi guardavano con curiosità ed estrema attenzione. Scossi il capo per eliminare dalla mia mente l'immagine degli occhi ipnotici di Astraea.

Madre e foglia erano talmente simili fisicamente che, a volte, facevo fatica a distinguere persino le emozioni che provavo per ognuna di loro.

«Vel» disse la mia Regina, pronunciando il mio nome in maniera così soave. Le sue labbra sembravano fatte apposta per pronunciare il mio nome, peccato solo che lei avesse deciso di pronunciare ripetutamente quello di un altro. Nei momenti in cui ero solo con me stesso, rinchiuso nella mia stanza, mi domandavo il perché lei avesse preso quella decisione, perché non avesse scelto di amare me anziché Aedyon.

Non nascondo che, in più di una circostanza, mi ero chiesto cosa avesse lui più di me.

In parecchie occasioni, solo al pensiero del passato, avevo rotto qualunque cosa mi capitasse a tiro. Ora, al contrario, non avvertivo più quel bisogno impellente di scacciare via la rabbia che si covava dentro di me al pensiero di aver perso l'unica donna che avessi mai potuto amare nella mia miserabile vita immortale.

L'unica cosa che percepivo era il fastidio di non essere stato scelto, di essere stato rifiutato, di essere arrivato secondo nel cuore di una donna.

"Astraea, al contrario della madre, ti ha scelto ma sei tu lo stupido che non l'accetta", mi ricordò la fastidiosa voce che si era instaurata nella mia testa fin dal momento in cui ero venuto alla luce migliaia e migliaia di anni prima.

Arricciai il naso al pensiero di quella piccola peste dai capelli viola e mi augurai vivamente per lei che fosse rimasta chiusa in stanza come le avevo ordinato, altrimenti sarebbero stati guai sia per me che per lei.

Sua madre mi aveva dato un compito da portare a termine ed io ero intenzionato a compiacerla in tutto e per tutto. L'unico ostacolo era appunto il soggetto della mia "missione".

«Hai fatto in fretta» continuò a dirmi Hipnôse, distogliendomi bruscamente dai miei pensieri con il suono melodioso della sua voce quasi angelica.

Fissai nuovamente i suoi occhi e le feci un piccolo accenno di sorriso. «Non volevo farti attendere ancora a lungo». Ed era vero, odiavo il solo pensiero che lei potesse attendermi per un lungo periodo di tempo.

Hipnôse ricambiò il mio gesto, regalandomi un splendido sorriso. «Non sarebbe comunque stato un problema per me, attenderti.»

Lo sapevo benissimo, tuttavia, sapevo perfettamente quanto fosse snervante l'attesa di qualcuno che tarda ad arrivare.

In fin dei conti, io l'avevo attesa per anni, invano.

«Astraea è nella sua stanza?» mi domandò.

Annuii. «Si. Le ho chiesto con estrema gentilezza di rimanere nella stanza che ci hai assegnato. Spero solo che mi abbia dato ascolto.»

Hipnôse ridacchiò. «Non sarà una ragazza abbastanza facile da proteggere, voglio che tu lo sappia. Lei è tanto spericolata quanto lo ero io alla sua età. Nessuno sarebbe in grado di fermarla se si prefissa un'obbiettivo.»

"Mia cara Hipnôse, lo so e come."

Lei inclinò la testa e mi guardò perplessa.

Aveva sentito la risposta che le avevo dato nella mia mente ed ora si stava domandando sicuramente quale tipo di rapporto si fosse instaurato tra me e la sua secondogenita.

Quasi mi dimenticavo che lei poteva assorbire i poteri di chiunque le fosse accanto e li utilizzasse.

«Spero che non ti renda la vita impossibile.»

Innarcai un sopracciglio. «Ne dubito. Tuttavia, di cosa volevi parlarmi? Ancora non conosco il motivo per il quale mi hai fatto convocare.»

Il suo bel viso da bambola di porcellana si incupì di colpo. «Ormai credo che l'argomento tu già lo sappia.»

Astraea.

«Ti ascolto.»

Lo sguardo che la mia Regina mi stava rivolgendo era estremamente serio e solenne. Che fosse accaduto qualcosa di cui io non ero ancora a conoscenza? «Come credo che tu abbia già avuto modo di capire, mia figlia non ha ancora manifestato neanche un briciolo dei suoi poteri da Eterna e il suo risveglio si fa sempre più imminente» iniziò col dire. «Tra meno di due settimane compirà i fatidici diciassette anni stellari e, il fatto che lei non sappia ancora attingere al suo potere per difendersi da sola, mi fa preoccupare e non poco. Temo per lei e per la sua incolumità. Ti ho chiesto di farle da guardia del corpo non solo per tenerla d'occhio e proteggerla, bensì anche per il semplice motivo che io voglio che tu l'aiuti a scoprire il dono che il Fato gli ha concesso il giorno della sua nascita.»

Ah.

Di bene in meglio insomma.

«Sei riuscito a farlo scoprire a me, quando ero io con lei ad averne bisogno, e confido in te affinché tu riesca in questa nuova impresa» continuò a dire.

Credo che non fosse ben consapevole di ciò che mi stava chiedendo, tuttavia, non potevo di certo dirle di no.

«Ti prometto che proverò a far scoprire ad Astraea quali siano i suoi reali poteri, Hipnôse» dissi.

Lei annuì. «Te ne sono grata, Vel.»

Feci un accenno di capo. «C'è qualcos'altro di cui tu voglia parlarmene?»

«In effetti, qualcosa ci sarebbe» rispose.

«Sono tutto orecchi.»

Vidi che lei iniziava a stringere le sue mani a pugno, sgualcendo così la stoffa delicata del suo meraviglioso e semplice abito verde pallido. «Vorrei che tu mi venissi a riferire se qualche Eterno, che ho deciso di ospitare qui a corte, si avvicini a mia figlia e il motivo. Come penso sia chiaro ormai a tutti, non mi fido neanche un po' di loro e credo che non abbiamo delle buone intenzioni. Ci deve essere un motivo ben preciso se, dopo tutti questi millenni che hanno passato a nascondersi da noi, hanno deciso di venire proprio qui, in questo palazzo.»

Non potevo fare a meno che a concordare con lei.

C'era qualcosa di losco in quegli individui che non mi faceva stare tranquillo e mi faceva costantemente sentire in allerta ogni qualvolta che loro erano nelle vicinanze della principessa di Aracieli.

«L'ultima volta che tua figlia si trovava da sola, ho sorpreso l'Eterno con quegli strani orecchini con l'intento di baciarla.»

Al solo pensiero di ciò che era accaduto il giorno prima, provai nuovamente un senso di rabbia feroce.

Questo sentimento mi investì appieno.

Strinsi con forza le mani, che tenevo congiunte dietro la mia schiena, fino a punto di sentirle doloranti.

Dinanzi ai miei occhi sembrò come se quella scena si stesse ripetendo nuovamente e non potevo fare a meno di sentire una profonda affitta di gelosia crescere a dismisura dentro di me.

Vederlo a così breve distanza da quella ragazzina sconsiderata dai capelli violacei, mi aveva fatto uscire fuori di testa.

Se non fosse stato per la presenza di Astraea, non so cosa sarebbe potuto accadere e non so cosa avrei potuto fare alla faccia di quel bellimbusto che aveva osato avvicinarsi così tanto alla fanciulla.

Sapevo solo che il desiderio di vederlo morto per mano mia era stato così tanto forte da farmi dimenticare che ero dotato dell'uso della ragione.

Perché avessi reagito così?

Ad essere sincero, non ne avevo idea.

Astraea non mi interessava affatto, non ero legato a lei sentimentalmente e non provavo il benché minimo sentimento che avevo provato per tanti anni per sua madre, tuttavia, la vista di un'altro al suo fianco mi faceva sentire strano.

Non lo accettavo.

Non volevo che nessuno le fosse così tanto vicino come aveva provato a fare Xzander.

La cosa peggiore in tutto ciò? Mi stavo comportando in maniera irrazionale e senza senso.

Mi ero convinto del fatto che questa mia gelosia fosse dovuta, solo ed esclusivamente, al fatto che volessi proteggerla da qualunque cosa potesse farle del male e, nella mia mente contorta e manipolatoria, Xzander era una possibile minaccia per la felicità della Principessa dal manto violaceo.

Gli occhi di Hipnôse erano due braci di terrore. «E? Cosa è successo dopodiché?»

La guardai dritta negli occhi, cercando di nascondere i reali sentimenti che mi si stavano alimentando dentro. «L'ho spinto il più lontano possibile da lei. Avrei voluto ucciderlo con le mie stesse mani per aver provato a toccarla.»

Hipnôse mi guardò per un lungo momento sorpresa per le parole che avevo usato e, dopodiché, sorrise maliziosa. «Sono felice di sentirti dire una cosa del genere. Noto con piacere che, in fin dei conti, non ti è mai passata la voglia di aiutare delle damigelle in difficoltà.»

Se voleva metterla in questi termini... Le feci l'occhiolino. «È un vizio che non perderò mai.»

Lei mi sorrise. «Bene. Ti consiglio di tornare da mia figlia per vedere cosa sta combinando, non vorrei che fosse in pericolo.»

Mi inchinai dinanzi a lei, alla mia regina e dissi: «Ai suoi ordini, mia signora.»

Iniziai a fare dei passi nella direzione delle doppie porte che le guardie, di natura umana, prontamente mi aprirono, quando Hipnôse mi fermò.

I nostri sguardi si incrociarono. Lei stava tenendo tra le sue mani una rosa rosa. «Dimmi, Hipnôse.»

Il suo sorriso scomparve e il suo viso era una maschera di impassibilità. «Non far soffrire mia figlia, Vel. È un consiglio il mio.»

Quelle parole furono in grado di congelarmi lì, sul posto.

Dopo un lungo periodo di tempo in cui mi ero limitato semplicemente a fissarla, deglutii e le dissi: «Proverò a fare del mio meglio.»

«Lo spero vivamente.»

Ci guardammo per un altro lungo istante, dopodiché, uscii fuori dalla sala del trono e iniziai a dirigermi verso le due stanze comunicanti che avremo condiviso io e la principessa.

Ero quasi arrivato a destinazione quando vidi mia sorella, Devana, ferma dinanzi ad una grande parete finestra lungo il corridoio.

Appena sentì il suono dei miei passi, si voltò istantaneamente a guardarmi con il suo solito sorriso malizioso sulle sue labbra rosse e carnose.

«Ti stavo aspettando, fratellino adorato» esordì.

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai sonoramente. «Che cosa vuoi, Devana? Non ho tempo per le tue solite sciocchezze quindi ti pregherei di risparmiarmi dal di arti sentire parlare di chissà cosa.»

Lei iniziò a giocherellare con una lunga ciocca rossa dei suoi capelli. Il sorriso non le abbandonò mai il bellissimo viso da Dea. «Sicuro di non voler sentire ciò che ho da dire?»

Il mio sopracciglio sinistro scattò istintivamente verso l'alto. «Sicurissimo.»

Il suo sorriso s'accentuò ed io iniziare a fare dei passi verso la metà che avevo intenzione di raggiungere quanto prima. Tuttavia, quando sentii le parole seguenti che usciranno fuori dalla bocca di mia sorella, non potevi fare a meno di fermarmi di colpo. «Neanche se ciò che ti devo dire riguarda ragazzina dai capelli violacei che sta continuamente nella tua testa?»

Mi voltai a guardarla e assottigliai lo sguardo, guardandola quasi in cagnesco mentre lei se la rideva di gusto. «Cosa sai riguardo ad Astraea?»

Lei rise a crepapelle nel sentire la domanda che gli avevo posto. «Ora ti interessa ciò che ho da dirti, fratellino?»

Se non avrebbe parlato entro tre secondi contati, giuro che l'avrei fatta fuori io stesso. «Parla» la intimai.

Lei mi guardò con un'espressione divertita in volto. «Ah però, vedo che della piccola principessina ti interessi davvero.»

Stavo per perdere la pazienza.

«Devana.»

Dopo un'altra risata, lei finalmente si decise a parlare e il suo sguardo divenne più serio rispetto a quello precedente. «Ho visto qualcosa in una delle mie visioni.»

La saliva nella mia bocca sembrò prosciugarsi al suono di quelle parole dette in tono così serio da mia sorella, una Dea dal sorriso costantemente dipinto sul suo viso. Il mio cuore iniziò a battere a mille in attesa di conoscere il contenuto della sua visione. «Cosa hai visto?»

Lei fissò il suo sguardo sul pavimento e rimase in silenzio per quella che mi parve un'eternità. La mia ansia aumentava a dismisura così come diminuiva la mia capacità di mantenermi calmo.

Alla fine, parlò riprendendo a guardarmi dritto negli occhi. «C'era un sacco di gente. Era tutto molto caotico e confuso e facevo fatica a capire ciò che stessa accadendo» iniziò col dire. «Astraea era sola. Era buio, non riuscivo a distinguere i dettagli del luogo in cui si trovava, tuttavia, riuscivo a percepire tutto il suo dolore e le ombre che tentavano di divorarla. Dopodiché, la scena cambia e la vedo in giardino, sotto un salice piangente dalle foglie quasi blu, tra la neve. Si guarda le mani e queste sono piene di sangue. Le gocce di esso sporcavano il bianco manto che ricopriva il prato, gocciolando dai suoi palmi. Lei piangeva. Si inginocchia sul prato e si porta le mani in volto. Urla. Urla dal dolore. Il suo corpo completamente ricoperto di sangue rosso scarlatto mentre la vita inizia a scivolare via dal esso.»

Mi immobilizzai.

Mi bloccai.

Tutto il mondo sembrò bloccarsi in quel preciso istante.

Fu come se, all'improvviso, non esistesse più niente e nessuno al di fuori di me e mia sorella.

Il silenzio era quasi assordante e veniva squarciato soltanto dai miei pensieri che non volevano lasciarmi in pace.

Le sue parole continuavano a ripetersi ininterrottamente nella mia testa e, il battito cardiaco dal mio cuore, non faceva altro che aumentare dismisura man mano che gli istanti passavano.

Deglutii e, solo allora, mi resi conto che stavo trattenendo il respiro da chissà quanto tempo, ipnotizzato dalle parole che erano uscite fuori dalla bocca di mia sorella, dalla bocca di una Dea che aveva come dono il privilegio di prevedere il futuro e di conoscere il destino di qualunque individuo di razza umana o semidivina.

«Cosa stai dicendo, Devana?» riuscii a dire quasi sussurrando, ancora incredulo a ciò che le mie orecchie avevano appena udito.

«Ti ho raccontato ciò che ho visto nelle mie visioni riguardanti Astraea, Veles» rispose lei con un tono apparentemente pacato.

Deglutii nuovamente nonostante la mia bocca fosse completamente a secco di saliva. «Cosa vuol dire tutto ciò?»

Lei scosse il capo. «Non ne ho la benché minima idea se devo esserne sincera. L'unica cosa che so per certo è che la principessa è in grave pericolo e che rischia di non arrivare sana e salva al suo diciassettesimo compleanno...»

No, tutto ciò non era ammissibile.

No, tutto ciò non lo avrei permesso.

Non avrei permesso che mi portassero via Astraea da sotto gli occhi.

Senza dire una parola in più a mia sorella, mi voltai di scatto e iniziai a camminare a passo spedito nella direzione in cui si trovavano le nostre nuove stanze.

Dovevo andare da lei, dovevo accertarmi che fosse al sicuro e che non le fosse accaduto assolutamente niente.

Ad un certo punto, non sapevo come né il perché, iniziai a correre a perdifiato.

Il mio unico scopo era quello di arrivare il prima possibile da lei, di arrivare il prima possibile per poterla proteggere da qualsiasi cosa che potrebbe farle del male.

"Si inginocchia sul prato e si porta le mani in volto. Urla. Urla dal dolore. Il suo corpo completamente ricoperto di sangue rosso scarlatto mentre la vita inizia a scivolare via dal esso..."

Nella mia mente si ripete sempre la stessa cantilena e non posso evitare all'ansia di rischiare di divorarmi dall'interno.

Astraea.

Astraea.

Astraea.

Il suo nome, il suo viso, i suoi occhi... La vita che scivola via dal suo corpo.

No.

No.

No.

L'avrei protetta anche a costo della mia stessa vita.

L'avrei protetta fino alla morte e non perché a chiedermelo era stata la mia Regina, perché a chiedermelo era stata Hipnôse, bensì perché io non volevo perderla, perché io non volevo che lei morisse.

Girai l'angolo e finalmente mi ritrovai dinanzi alla porta marroncina dell'appartamento che avremmo imparato a condividere.

Come un'uragano aprii la porta e mi fiondai dentro quelle quattro mura.

«Astraea?» la chiamai ma non ci fu alcuna risposta da parte sua.

Aprii con prepotenza la porta della sua camera e con lo sguardo la cercai in ogni angolo di essa.

Lei non c'era.

Aprii anche la porta della mia camera e anch'essa era vuota.

Il panico iniziava a farsi strada dentro di me con una prepotenza disarmante.

Dov'era finita?

Dove accidenti si era andata a cacciare?

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