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«Appena vi avranno fatto vedere le vostre nuove stanze» disse mia madre quel mattino a colazione. «Vorrei che tu Vel mi raggiungessi nella sala del trono. Ho bisogno di parlarti.»

Il "piano" di mia madre per tenermi al "sicuro" - anche se non aveva capito che con Veles non sarei mai stata al sicuro da una profonda ferita sentimentale - era stato messo in atto sin dal giorno precedente, dopo che ci aveva comunicato la sua intenzione di farmi seguire come un'ombra dal Dio della manipolazione.

Non avevo potuto oppormi nonostante lo avessi voluto disperatamente. Così come avrei voluto mandare tutti all'inferno e ritornare a rintanarmi nella mia meravigliosa stanza di vetro.

Oltre a non voler condividere due stanze comunicanti con il ragazzo dagli occhi fiammeggianti, non volevo nemmeno abbandonare la cupola dal quale, in tutta la mia vita fin da quando ero venuta alla luce, avevo sempre visto il sorgere e il tramontare del sole, l'alternarsi delle stagioni e il movimento delle stelle mentre il nostro pianeta ruotava intorno a quella grande palla di fuoco che ci regalava, ogni giorno, la luce.

Sbuffai.

Mi ero svegliata con il piede sbagliato quel mattino e, di certo, farmi mostrare la mia nuova stanza da un gruppo di dame di origine umana non mi avrebbe sicuramente migliorato il pessimo umore.

«Siamo arrivati, Principessa» disse con quella boccetta smielata, la ragazzina con le treccine che ci aveva accompagnato dinanzi ad una porta marroncina con intagli e decorazioni geometriche. «Nobile Dio, questa sarà la stanza che condividerete con sua grazia.»

«Vi ringrazio per averci condotto fin qui» disse cordialmente Vel, sorridendo alla domestica come se fosse sempre stata una sua stretta amica.

La dama si inghinò al nostro cospetto e si dileguò nel nulla, impaurita a morte dalla presenza di una divinità e di un'umana in procinto di divenire un'Eterna.

«Noto che sei molto carino con le ragazze. Hai spezzato il cuore anche a loro con la tua stupida ossessione per la Regina?» dissi con l'unico intento di infastidirlo.

Il Dio mi fulminò con lo sguardo. «Smettila» mi avvisò. «Cerchiamo di rendere questa convivenza forzata il più pacifica possibile.»

Evitai di guardarlo per un solo istante in volto e lo ignorai volontariamente.

Senza attendere oltre, aprii la porta di quella che mi sarebbe sembrata essere una vera e propria gabbia e vi entrai. Dinanzi a me vi era un solotto grazioso, ben illuminato ed arredato. Al centro vi erano due divanetti azzurro cielo e un grande tavolino bianco con un vaso di fiori freschi posatovi sopra.

Le grandi finestre, di fronte alla porta dal quale eravamo entrati, illuminavano quell'ambiente caldo ed accogliente.

Ai due lati di essa vi erano due porte bianche che immaginai essere le porte delle nostre rispettive camere.

Tutto ciò mi stava infastidendo e non poco.

Ero irritata.

Molto irritata.

«Non me ne sono reso conto, sai?» domandò Vel, entrando spudoratamente nella mia mente e leggendovi i miei pensieri.

Si era posizionato al mio fianco e mi stava guardando in un modo che non avrei saputo ben descrivere.

Lo guardai di sottecchi. Ero abbastanza sicura che potesse leggere nei miei occhi un certo tipo di risentimento nei suoi confronti. «Sai qual è il significato della parola "privacy" oppure te lo devo davvero spiegare io?» gli chiesi, acida.

Lui alzò gli occhi al cielo e sospirò, palesemente esasperato dall'atteggiamento che avevo iniziato ad avere nei suoi confronti.

Del resto, che cosa si aspettava?

Che avessi fatto finta di nulla come se niente fosse accaduto tra noi? I-M-P-O-S-S-I-B-I-L-E.

Avevo messo le cose ben in chiaro l'ultima volta che avevamo parlato e, ritrovarmi nella condizione di dovergli restare accanto giorno e notte nonostante i miei buoni propositi di cancellarlo dalla mia vita, mi mandava letteralmente in fumo il cervello.

Volevo stargli il più lontano possibile ma ero costretta a sopportarlo costantemente.

Era una vera seccatura tutto ciò.

Non riuscivo a sopportarlo.

«Mi dispiace, ma, anche se non posso mantenere lontani i tuoi pensieri dalla mia testa, so cosa vuol dire il termine 'privacy'» affermò. «Come ti ho già spiegato, non posso premere un pulsante per accendere o spegnere il potere che il Fato mi ha concesso.»

Arg.

«Allora imparerò a creare delle difese che ti impediscano di accedere alla mia mente» ribattei.

Lui fece spallucce. «Puoi provarci. Anche se so che fallirai, non sarò di certo io a dirti cosa devi o non devi fare.»

«Infatti non sei nessuno per farmi degli ordini» borbottai in tono stizzito.

A quelle mie parole seguirono attimi interminabili di silenzio e quasi mi convinci del fatto che lui si era dileguato da quel salotto, tuttavia, quando mi voltai nella direzione in cui lo avevo visto poco prima, mi sorpresi a trovarlo ancora lì, intento a fissarmi con dissapunto e con un pizzico di tristezza negli occhi fiammeggianti.

Le sue labbra carnose erano ridotte ad una fessura quasi invisibile.

"Cosa c'è, mio caro Veles, non ti piace sentirti dire che non sei nessuno per la vita di qualcuno? Bhe, ingoiai anche tu questa pillola amara come ho dovuto farlo io quando a dirmelo sei stato tu stesso."

Lui assottigliò lo sguardo e mi parve l'espressione di un grande felino sul punto di sbranare la piccola ed indifesa vittima di turno.

«Sarà meglio che vada a vedere la mia stanza se non vogliamo finire in un bagno di sangue questa mattina.»

«Credo che sia la cosa più sensata che tu abbia detto fino ad adesso.»

Un moto di rabbia mi risalì lungo la spina dorsale e dovetti fare appello tutto il mio autocontrollo per non voltarmi nella sua direzione e saltargli addosso per staccargli la testa del meraviglioso busto scolpito che si ritrovava.

Tirai un profondo respiro per calmare la mia ira e mi diressi verso la porta che stava sulla mia destra.

La aprii bruscamente e guardai attentamente tutto ciò che era stato messo al suo interno.

Le pareti erano bianche come la neve che, ormai, non ricopriva più i verdi prati della Stella Pianeta sul quale vivevamo. Di fronte a me vi era un grande letto a baldacchino in oro massiccio, con morbide coperte rosso sangue che finivano per toccare il pavimento tirato a lucido, in marmo bianco e grigio.

Alla mia sinistra c'erano ancora due grandi finestre che toccavano entrambe l'estremità di quel muro, addobbate da un paio di tende dorate con le rifiniture e decorazioni floreali realizzati con dei tessuti rossi.

Alla mia destra, ancora, vi era una piccola porta che sicuramente avrebbe condotto nel bagno privato di quella stanza quasi asfissiante nonostante la sua grandezza.

Okay, tutto era al suo posto ed ora? Cosa avrei dovuto fare?

Sospirai.

Perché mia madre mi stava facendo questo?

Stavo valutando seriamente la possibilità di correre da lei e di spiegarle la situazione che si era venuta a creare, tra me e il Dio della manipolazione, in quel preciso istante.

Chissà, magari avrebbe rivalutato la cosa e avrebbe preso una decisione decisamente differente rispetto a quella attuale.

Scossi il capo.

No, ma cosa mi saltava in mente?
Stavo davvero prendendo in considerazione questa eventualità? Con quale coraggio sarei andata da lei a dirle: "Mamma, mi sono innamorata del baby-sitter personale a cui mi hai affidato e, dato che lui è ancora stracotto di te, mi ha detto chiaramente che non potrà mai ricambiare ciò che provo io per lui. Potresti gentilmente liberarmi della sua costante presenza ora che ho preso la decisione di allontanarmi da lui?"

Avanti, sarebbe risultato sicuramente molto ridicolo da parte mia, per non parlare del fatto che non saprei come potrebbe reagire mia madre nel sentirsi dire un'affermazione del genere.

Avrebbe riso o mi avrebbe dato un paio di sberle?

Era piu probabile che accadesse la seconda opzione.

Arricciai il naso nel dare un'ultima occhiata a quella camera e, subito dopo, mi avvicinai al grande letto per constatare se fosse anche solo in minima parte comodo come quello che avevo lasciato nella mia stanza a cupola.

Mi ci sedetti sopra una volta arrivata vicino ad esso e notai che, tutto sommato, non era niente male.

Mi distesi interamente, lasciando che le mie gambe penzolassero oltre il bordo del letto, e allargai le braccia, fissando il mio sguardo sul soffitto.

Il mio corpo sembrava sprofondare nel materasso.

Se già così mi sembrava che da un momento all'altro potessi toccare il pavimento, cosa sarebbe accaduto se ci fosse stata un'altra persona con me nel letto?

In quel momento, mi viene in mente la possibilità di ritrovarmi in una situazione decisamente molto sconveniente con il bellissimo ragazzo di origine divina che si trovava dall'altra parte di quel grande appartamento che ci era stato assegnato.

Me lo immaginai su di me, pronto a baciarmi con delicatezza ogni centimetro di pelle scoperta del mio corpo, mentre ne scopriva altra, fino a lasciarmi completamente nuda davanti ai suoi occhi.

Mi sentii avvampare e un desiderio feroce si impossessò di me.

Accidenti.

Dovevo dare un taglio netto a tutto questo.

Scossi il capo e mi dissi che, se continuavo a fare tutti questi pensieri inappropriati, non sarei mai riuscita a togliermi dalla testa il Dio della manipolazione così come non sarei mai riuscita a eliminare tutto ciò che sentivo riempirmi il petto ogni qualvolta che incrociavo i suoi occhi.

Chiusi gli occhi di scatto e maledissi il giorno in cui lui aveva messo piede a Palazzo Reale ed io avevo fatto congiungere i nostri due cammini.

Se non fossi andata ad accoglierlo nella sala del trono, forse, tutto questo non sarebbe mai accaduto ed io, ora, non mi troverei in questa spiacevole situazione dove, a soffrirne, ero solo e soltanto io.

«Hai già fatto amicizia con il tuo nuovo letto?» disse ironicamente Vel.

Al solo sentire il suono della sua voce, sbarrai gli occhi e mi alzai di scatto da quella soffice nuvola.

Lo fissai e, per la prima volta da quando lo avevo visto quel giorno, mi stava sorridendo veramente.

Lo sciame di farfalle impazzite ripresa svolazzare nel mio stomaco con una violenza tale da farmi quasi trattenere il fiato.

Per non parlare del fatto che il mio cuore stava battendo ad un ritmo decisamente molto accelerato e mi stava facendo quasi male il petto per quanto esso battesse contro la gabbia toracica.

Mugugnai in risposta e mi domandai se fosse la cosa più saggia proferire parola. «Tu no?» dissi infine.

Il suo sorriso si allargò giusto un pochino ma tanto bastò per farmi aumentare le palpitazioni. «Non ancora. Il tuo è comodo? Se non ti piace potresti andare a provare il mio e, nel caso, fare a cambio di stanza. Per me non sarebbe un problema. Metterei sempre davanti il tuo benessere al mio dato che è l'unica cosa che realmente mi interessa.»

Okay, non mi aspettavo tutto ciò che uscì fuori dalle sue labbra.

Rimasi completamente esterefatta e a bocca aperta, tanto che mi ci vollero una manciata di minuti per riprendermi dal mio stato di trance.

Deglutii e scossi il capo. «Grazie, ma sto bene così.»

«Come vuoi» disse, dandomi le spalle e dirigendosi a passo spedito verso l'entrata principale di quel grande appartamento che avremmo condiviso d'ora e in avanti.

Mi alzai di scatto e lo seguii. «Dove stai andando?»

Vel aprì la porta e si voltò a guardarmi. «Tua madre stamattina è stata chiara: mi ha detto di raggiungerla una volta che avessi visto la stanza e ti avessi accompagnato.»

"Se mia madre chiama, Veles risponde", mi ritrovai a pensare.

Il ragazzo che mi era dinanzi alzò gli occhi al cielo. «Ora devo andare non ho tempo per discutere con te» disse. «Ti chiedo il favore di rimanere qui in camera e di non mettere naso fuori da questa porta fin quando non sarò tornato. Sono stato chiaro?»

Innarcai un sopracciglio e, stringendomi le braccia al petto, lo guardai con un'aria strafottente, di sfida.

Quella fu l'unica risposta che gli diedi prima che lui sospirasse ed uscisse fuori dalla porta dal quale era appena entrato in quel salotto.

Si richiuse la porta alle spalle e mi lasciò lì, da sola, mentre continuava a fissare il punto che aveva occupato con il suo corpo qualche istante prima.

Mi aveva davvero dato degli ordini? Ma, domanda ancora più logica, credeva davvero che io li avrei eseguiti alla lettera e sarei rimasta lì ad aspettarlo come una brava bambina ubbidiente?

Bhe, se pensava questo era davvero un povero sciocco che ancora non aveva compreso chi aveva di fronte.

Avrei fatto l'esatto opposto di ciò che lui mi aveva detto di fare.

Dopo un paio di minuti, infatti, guardai la porta e decisi che sarei uscita da quella camera.

Se lui fosse tornato prima che io rientrassi in stanza pazienza, gli avrei dato l'onore di cercarmi per tutto il castello e su una cosa poteva star ben sicuro: non sarebbe stato facile trovarmi.

Lui aveva deciso di accettare questo incarico, bene, ora si prendeva le responsabilità di ciò a cui aveva acconsentito.

Aprii la porta e sgusciai fuori da quelle quattro mura.

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