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Dopo aver passato non so quanto tempo a piangere sul petto del Dio della manipolazione, lui si era proposto di accompagnarmi nella mia stanza in modo che potessi riposarmi.
In tutta onestà, anche se avessi - ipoteticamente - voluto continuare ad allenarmi, sapevo che non sarebbe stato il caso. Sentivo di avere un disperato bisogno di restare da sola.
Tutte quelle lacrime mi avevano fatto venire un mal di testa atroce e le mie povere tempie pulsavano incessantemente, rendendomi quasi impossibile ragionare lucidamente.
Avevo bisogno di una bella dormita.
Avevo bisogno di tranquillità.
Al diavolo gli allenamenti.
Dopo tutto ciò che era accaduto, volevo semplicemente stare il più lontano possibile da quel luogo e soprattutto dal Dio che mi stava complicando, e non poco, la vita.
Lo guardai di sottecchi, sperando che lui non mi sorprendesse a guardarlo da un momento all'altro, e mi domandai cosa ci fosse di così tanto sbagliato in me ai suoi occhi e il perché lui non potesse iniziare a provare qualcosa di più profondo per la sottoscritta.
Possibile che mia madre fosse ancora la padrona incontrastata del suo cuore infranto e che non ci fosse la benché minima possibilità da parte mia di usurpare il suo posto?
Riportai il mio sguardo dinanzi a me e compresi che, forse, non c'era niente che potessi fare per ribaltare questa situazione a mio favore. Non avrei mai potuto competere contro la mia stessa madre, la favolosa Regina Hipnôse.
Come dice il suo stesso nome, lei era in grado di ipnotizzare chiunque con la sua bellezza ed era logico pensare che io non potrò mai e poi mai essere al suo livello nonostante sia sua figlia, la sua secondogenita.
Sarei sempre stata all'ombra di un'Eterna potente e dalla bellezza disarmante.
Non valevo nemmeno la metà di quanto valesse lei.
Mia madre era riuscita ad arrivare fin dove era adesso con le sue sole forze, con la sua tenacia e con la sua determinazione, io, al contrario, cosa avevo ottenuto fino ad adesso per merito mio e mio soltanto?
Nulla.
Non ero neanche riuscita a scoprire quale fosse il dono che il Fato mi aveva gentilmente concesso il giorno della mia nascita.
Non servivo a niente.
Mi sentivo inutile e anche molto frustata per una serie di cose.
Il corridoio iniziava ad essere illuminato da una tenue luce del sole che, finalmente, era riuscito a liberarsi dalla prigionia delle nuvole grigie che, in questi giorni, non avevano fatto altro che far cadere la neve su questa Stella Pianeta.
La Stella Invernale stava quasi per concludere e il mio compleanno si avvicinava sempre di più.
Ero nata l'ultimo giorno di questa Stella.
In pratica, il mio risveglio avrebbe chiuso definitivamente il periodo più freddo che si alternava qui ad Aracieli.
Meraviglioso.
Almeno, con l'avvento del mio compleanno, sapevo che, ad attendermi, ci sarebbe stata una lunga e meritata Stella Primaverile.
Amavo quell'anno stellare.
Vedere i fiori sbocciare e dipingere il mondo con tutti quei meravigliosi colori, tenui o accesi che fossero, mi metteva non poca allegria in corpo e, in un certo senso, mi faceva sentire in pace con me stessa.
In quel periodo, era come se vivessi in un mondo incantato fatto solo di luci e colori.
A volte, mi sono ritrovata a chiedermi se l'Altare Degli Dei non fosse così, proprio come il nostro mondo nella Stella Primaverile.
Lì ci finivano tutte le anime di coloro che ci avevano lasciati quaggiù.
Ovviamente, non tutti gli esseri mortali o apparentemente immortali vi finivano lassù. Solo coloro che aveva un cuore puro e limpido poteva andarci una volta passato a miglior vita.
Io non ci sarei mai andata.
Io non avrei mai visto il nostro paradiso ultraterreno perché sarei diventata molto presto un'Eterna immortale a tutti gli effetti.
In quel preciso istante, mi tornarono alla mente le parole che mi disse mia madre, quando ero solo una bambina, riguardo alla nostra speciale razza: "Solo un Eterno può uccidere un altro Eterno".
Per tutti questi anni abbiamo vissuto con la convinzione che non saremo mai morti, tuttavia, tutto ciò era stato demolito nel momento in cui abbiamo scoperto dell'esistenza di ben altri cinque Eterni oltre alla nostra famiglia.
Se loro avessero voluto, avrebbero tranquillamente potuto intraprendere uno scontro mortale.
Che gran bel casino.
Venire a conoscenza di altri nostri simili non ci voleva affatto, così come sarebbe stato meglio se loro non fossero mai scesi su Aracieli.
Erano un pericolo per la nostra stessa vita.
Mia madre aveva ragione quando affermava che era meglio che loro si considerassero degli ospiti sgraditi a Palazzo piuttosto che nemici giurati.
«Astraea, siamo arrivati» disse la voce calda e profonda di Vel che, in un battibaleno, mi distolse dai miei pensieri.
Mi voltai a guardarlo e notai che, a furia di farmi vorticare nella testa mucchio di pensieri tutti contemporaneamente, avevo addirittura superato di un bel pezzo la porta della mia stanza a forma di cupola in vetro.
«Oh...»
Ritornai sui miei passi e mi fermai dinanzi alla porta bianca con le rifiniture in oro, abbassando lo sguardo sulla maniglia di essa in modo tale che non correresti il rischio di incrociare lo sguardo fiammeggiante del Dio della manipolazione.
Mi sentivo ancora in imbarazzo per ciò che era accaduto in palestra e per tutte le lacrime che avevo versato sulla sua canotta, rendendola quasi del tutto fradicia.
Chissà cosa avesse pensato di me.
Posai una mano sulla maniglia e, mentre stavo per ruotarla in modo che la porta si potesse aprire io potessi nascondermi dentro la mia stanza, Vel mi bloccò, posando una sua mano sulla mia.
Il tocco della sua pelle sulla mia era caldo, bollente, e non poteii evitare di sentire quel brivido scorrermi lungo tutto il corpo.
In tutti i miei diciassette anni stellari, lui era stato l'unico a suscitarmi determinate reazioni sul mio corpo.
Sospirai al solo pensiero di essere ufficialmente perduta.
Alzai lo sguardo su di lui, trovando finalmente il coraggio di poterlo guardare dritto negli occhi senza sprofondare dalla vergogna.
Le sue iridi rosse mi guardavano con attenzione e il suo viso sembrava una maschera di sofferenza e dolore. Sapevo perfettamente qual'era il motivo di quel suo stato d'animo così tormentato e sofferente: io e il mio smisurato desiderio di farmi del male da sola per un amore che non potrà mai essere ricambiato.
Vedendo che lui continuava a tacere e a far gravare ulteriormente il silenzio tra noi, decisi di prendere io l'iniziativa di iniziare un ipotetico discorso. «Cosa c'è, Vel?»
La mia voce sembrava quasi quella di una bambina: infantile.
Deglutii. «Mi dispiace» disse dopo un lungo attimo di silenzio insopportabile.
Sentii una fitta dolorosissima al petto, precisamente, all'altezza del mio cuore infranto. «...per cosa?»
Vel sembrava non riuscire a mantenere il suo sguardo fisso sul mio volto senza trasmettermi il suo dolore. «Per tutto» affermò, con ancora la sua mano sulla mia. «Io non voglio vederti soffrire e mi sento terribilmente in colpa sapendo che sono io la causa di tutte le tue pene. Se potessi, vorrei cancellare dalla faccia dell'universo tutto ciò che potrebbe nuocere alla tua persona. Vorrei poterti eliminare il sentimento che provi per me.»
Sentii gli occhi iniziare a bruciarmi e le lacrime premere dietro i miei occhi in modo tale che potessero essere liberate.
Lo fissai per quello che mi parve un tempo decisamente infinito, dopodiché, trovai il coraggio di riprendere a parlare senza avere la voce strozzata da un pianto che stentavo a trattenere. «Anche se lo volessi, non potresti, Vel.»
Lui deglutì nuovamente. I suoi occhi brillavano di determinare ma anche di senso di colpa. «In realtà, potrei se solo tu me ne dessi il consenso.»
Di cosa stava parlando?
Lo guardai confusa. «Non riesco più a seguire il tuo ragionamento.»
Per un breve istante lui distolse lo sguardo dal mio per portare guardare il pavimento sotto i nostri piedi. «Io sono il Dio della manipolazione e, in quanto tale, ho il potere di controllare il corpo e la mente di qualsiasi individuo di rango inferiore al mio. Tu sei ancora un essere umano, dunque un essere facilmente manipolabile. Se tu lo volessi, io potrei costringerti a cancellare l'amore che stai sentendo per me con la sola forza della mia volontà. Basta solo che tu me lo dica ed io esaudirò il tuo desiderio. Sarai finalmente libera di poter regalare il tuo amore a chiunque altro tu ne riterrai degno, escluso me» fece una piccola pausa, passandosi l'altra mano libera tra i suoi folti capelli corvini. «Io non lo merito...»
Rimasi senza parole, completamente esterrefatta da ciò che aveva appena detto e le mie orecchie avevano appena udito.
Veles era in grado di cancellare persino i sentimenti di qualunque essere semidivino o umano che fosse e, in quel momento, stava chiedendo se io volessi che lui facesse una cosa del genere su di me.
Ritrassi di scatto la mano dalla sua presa, eliminando così il contatto fisico che si era venuto a creare tra di noi.
Lo guardai basita, sconcertata, infuriata. Non avevo le parole per descrivere le sensazioni che stavo provando in quel preciso istante, sapevo solo con certezza che non erano delle sensazioni positive. «MI STAI CHIEDENDO SE VOGLIO CANCELLARE DEFINITIVAMENTE L'AMORE CHE PROVO PER TE?» gli chiesi, quasi urlando.
Lui sembrò ferito dalla mia reazione, ma si limitò semplicemente a dire, in tono secco, un: «Si.»
La mia rabbia, come se fosse possibile, aumentò di colpo.
«Perchè lo faresti? Spiegamene il motivo perché io ancora non ci arrivo.»
Serrò la mascella. «Te l'ho detto, voglio evitarti la sofferenza di ricevere un "no" come risposta.»
Le mie sopracciglia scattarono istintivamente verso l'alto e incrociai le braccia al petto, dopodiché scoppiai in una risata amara ed isterica. «Solo per questo motivo vorresti farlo?»
«Si.»
«Non ti credo.»
«Per quale motivo?»
Mi avvicinai pericolosamente a lui. I nostri visi erano a pochi centimetri di distanza nonostante lui fosse decisamente molto più alto di me. I miei occhi credo lo guardassero con un tono rimproveratorio. Le sue pupille erano dilatate a tal punto che le sue iridi rosse quasi scomparvero. «Tu non lo faresti per me, bensì per te stesso» gli sputai in faccia la verità.
Corrucciò la fronte. «Di cosa stai parlando?»
Un sorrisino di scherno si dipinse sul mio viso. «Vorresti poter ritorcere il tuo stesso potere su di te, concedendoti così la possibilità di avere un nuovo inizio, tuttavia, sai benissimo che non è possibile tutto ciò. È per questo motivo che ti proponi di aiutarmi a cancellare il sentimento che sto provando nei tuoi confronti. Tu sei ancora innamorato di mia madre e sai perfettamente che nel tuo cuore non ci sarà mai spazio per me. Ti senti in colpa nei miei confronti.»
Vel rimase spiazzato da ciò che avevo detto e, oltre a deglutire, non mosse un solo muscolo del suo corpo e non proferì parola.
Gli guardai le labbra che erano a pochi centimetri di distanza dalle mie e provai una sensazione irrefrenabile di volerlo baciare, tuttavia, facendo appello a tutto il mio autocontrollo, mi tirai indietro, facendo una manciata di passi nella direzione opposta alla sua.
Lo guardai dritto negli occhi. «Se tra di noi ci deve essere solo un rapporto basato sul senso di colpa, posso tranquillamente farne a meno e dirti che me la caverò benissimo anche senza di te. Prima o poi passerà tutto ciò.»
«Cosa vuoi dire con tutto ciò adesso?»
Veramente non ci arrivava? «Voglio dirti che sei libero di starmi lontano, Vel. Non voglio la tua compassione e non voglio nemmeno doverti avere intorno sapendo che, ogni volta che mi guardi, vedi soltanto una tua vittima dal cuore spezzato. Ho una dignità ancora e non ho alcuna intenzione di perderla per nessuno.»
A quelle parole, lui sobbalzò, come se a colpirlo fosse stato un pugno in pieno volto.
Sembrava triste per ciò che avevo detto e, in quel momento, pregai che lui non volesse lasciarmi andare perché, in fin dei conti, a me ci teneva davvero.
Tuttavia, non disse una parola in risposta e l'unica cosa che fece fu limitarsi a guardarmi con dissapunto.
Un sorriso triste mi fece incurvare leggermente le labbra verso l'alto.
"Come immaginavo: sei ancora legato sentimentalmente a mia madre", gli dissi mentalmente.
Nonostante non mi aspettassi una sua risposta, ci tenevo ugualmente che a lui arrivasse quel mio pensiero.
Il silenzio gravava tra di noi e, per quanto fosse impossibile, in quel momento, mi sembrava una barriera insormontabile che, pur volendo, non avrei mai potuto abbattere.
Non avevo gli strumenti adatti e non avevo neanche le forze neccessarie per poterlo fare.
L'unica cosa che mi restava da fare era mettermi da parte e tentare di placare ciò che sentivo con la distanza che volevo ci fosse tra di noi.
Solo così avrei avuto la possibilità di dimenticarmi di lui.
I nostri occhi erano incatenati gli uni in quelli dell'altra, tuttavia, nessuno dei due faceva un passo verso l'altro.
Ad un tratto, il silenzio di quel corridoio lungo e ampio fu spezzato dal suono di tacchi che toccavano il pavimento in marmo con gran velocità.
«Astraea!» sentii urlare il mio nome dalla voce inconfondibile della mia amica Vanya.
Mi voltai nella direzione in cui la sentii arrivare e, quando lei fu a pochi passi da me, continuò dicendo: «È da un pezzo che ti cerco! Ho girato tutto il Palazzo Reale per poterti trovare.»
Aveva un leggero fiatone, elemento che mi confermava ciò che aveva appena detto a parole: doveva avermi cercato in lungo e in largo senza trovarmi, ma la vera domanda era il perché lo avesse fatto. «Come mai mi stavi cercando, Vanya?»
I suoi occhioni verdi mi scrutarono con attenzione, per poi posarsi anche su quelli del Dio a cui stavo dando le spalle. Li riportò su di me, palesemente dubbiosa e confusa sul fatto che ci avesse trovati insieme. «La Regina vorrebbe parlare ad entrambi. Vi aspetta nella sala del trono» disse, continuando a spostare freneticamente lo sguardo dall'uno all'altra.
Sentii una leggera tensione irrigidirmi tutte le terminazioni nervose del mio corpo.
Perché mia madre voleva che io e Vel la raggiungessimo nella sala del trono?
Di quale questione così urgente, che richiedeva addirittura una convocatura nella sala più importante di quel castello, voleva parlare la Regina con entrambi?
Sentivo l'ansia accrescere dentro di me e, potevo starne certa, che non era semplicemente la mia quella che si agitava dentro il mio corpo. Avvertivo chiaramente anche quella del Dio alle mie spalle.
Guardai Vanya per un lungo periodo di tempo e, subito dopo, annuii in risposta, iniziando ad incamminarmi verso il luogo in cui si trovava mia madre ad attenderci.
Ovviamente, Vanya ci accompagnò.
Stavo guardando dritto davanti a me quando lei mi si avvicinò rapidamente e, guardando brevemente il Dio alle nostre spalle, mi domandò bisbigliando: «Cosa ci facevate voi due insieme, poco fa?»
La guardai di sottecchi per poi concentrarmi nuovamente su ciò che avevo di fronte a me. «Mi stava accompagnando nella mia stanza» risposi, evasiva.
Vanya corrucciò la fronte. Era chiaro che non si sarebbe mai bevuta una spiegazione del genere. «Tutto qui?»
Annuii.
Lei mugugnò in risposta. «Sai che non devi mentire con me, Astraea. Non ne vedo il motivo. Era chiaro che tra voi stava succedendo qualcosa di importante mentre io sono arrivata. Vi stavate guardando in un modo decisamente molto insolito.»
Ci stavamo davvero guardando in un modo molto insolito per i gusti di Vanya?
«In che senso?»
«Sembravano gli stessi sguardi che ci scambiavamo io e Zaedyn prima che entrambi ci concedessimo la possibilità di essere felici insieme.»
Inspiegabilmente, il mio cuore fece una serie di capriole. «Non dire sciocchezze.»
Lei provò a fulminarmi con lo sguardo ma non vi riuscii nel suo intento. Aveva un viso e uno sguardo troppo dolce per incutere timore con una sola occhiataccia. «Non sto dicendo sciocchezze.»
Vel tossì fintamente per farci capire che ci stava ascoltando.
Lo ignorai anche se Vanya sembrava un po' turbata dal fatto che uno dei suoi Dei avesse ascoltato la nostra conversazione. Era meglio deviare il discorso su qualcos'altro. «Sai di cosa vuole parlarci mia madre?»
La bella Semidea scosse il capo. «In tutta onestà, non ne ho la più pallida idea. So solo che mi ha mandato a chiamarvi con una certa urgenza.»
Arricciai le labbra, chiaro segnale che non credevo ha fatto tutto quel mistero.
Non mi restava altro che scoprirlo una volta arrivati nella sala del trono, cosa che sarebbe avvenuta di lì a poco dato che le guardie di natura umana ci stavano già spalancando le doppie e pesantissime porte.
Appena vi entrai, notai immediatamente la figura di mia madre accanto alla finestra, intenta a guardare tutto ciò che avveniva fuori da quel palazzo reale.
Aveva una strana espressione cupa in volto che, come se fosse possibile, la invecchiava di un paio d'anni rispetto ai trentadue che ne dimostrava da quella che mi sembrava una vita. Mi parve preoccupata per qualcosa anche se non riuscivo a capirne il motivo di tale turbamento.
«Volevate vederci, madre?» chiesi, richiamando la sua attenzione con il suono della mia voce.
La Regina Hipnôse si voltò istantaneamente a guardarci. I suoi lunghi capelli rosa pallido erano raccolti in una lunghissima e spessa treccia, la sua corona a motivi floreali era come sempre posata sulla sua testa e indossava un abito viola scuro che le rendeva ancora più chiara la sua carnagione pallida. «Astraea, Vel, sono contenta che Vanya sia riuscita a trovarvi» iniziò col dire. «Ho bisogno di parlarvi.»
"Questo lo avevamo capito, Hipnôse", sentii dire dalla voce di Veles nella mia mente.
Mia madre lo guardò e roteò gli occhi.
Sembrava che lei lo avesse udito tanto quanto me.
Ero confusa.
«Mamma, possiamo arrivare al dunque? Perché ci hai fatto convocare?»
Gli occhi tempestosi della Regina di Aracieli si puntarono su di me. «Impaziente come sempre, figliola. Dovresti comprendere che la calma è una virtù essenziale per quelli come noi.»
Sbuffai ed incrociai le braccia al petto. «Sai perfettamente che la pazienza è una delle doti che non ho, mamma.»
Alzò gli occhi al cielo. «Sei impossibile.»
«Hipnôse, vorrei avere anch'io delle risposte» disse Vel. Il suo tono di voce era severo e il suo viso una maschera inespressiva. «Perchè sia io che Astraea siamo qui?»
«Siete entrambi qui perché avevo bisogno di dirvi una cosa di massima importanza, specialmente a te, Vel» iniziò col dire. «Come sapete, qui a corte si aggirano altri Eterni oltre a noi e non so ancora con la precisione quali siano le loro reali intenzioni. Ho il sospetto che siano venuti fin qui per Astraea e vorrei tenerla al sicuro.»
Okay... Tutto ciò iniziava a non piacermi affatto.
La piega che aveva preso quella conversazione non prometteva assolutamente nulla di buono.
«Ha bisogno di qualcuno che la protegga costantemente e tu, Vel, sei l'unico di cui mi fido realmente» sganciò la bomba. «Sei la persona più adatta a ricoprire il ruolo che ti sto per affidare: badare a mia figlia e tenerla al sicuro da chiunque possa nuocere alla sua persona, anche a costo della tua stessa vita.»
Sia io che il Dio rimanemmo completamente immobili a guardare la figura snella ed elegante di mia madre come se, all'improvviso, dal suo corpo, fossero sbucate fuori altre due teste.
«COSA?» dissi, quasi urlando.
Mia madre corrucciò la fronte e mi guardò con dissapunto. «Credo che tu abbia capito bene, Astraea. Ho appena dato a Vel l'incarico di proteggerti. Sarà la tua ombra, verrà ovunque tu deciderai di andare e sarà costantemente al tuo fianco. Non voglio che ti lasci sola un solo minuto.»
Incrociai le braccia al petto e la guardai come se fosse impazzita e ciò a cui avesse pensato fosse del tutto e innattuabile. «Sai benissimo che tutto ciò non è possibile.»
«Perchè? Sentiamo.»
«Perchè lui non potrà essere costantemente al mio fianco dato che dormiamo in stanze separate.»
«Ho pensato anche a questo.» Come, scusa? «Vi verrà assegnata una stanza comunicante in modo che lui possa tenerti sott'occhio in qualsiasi istante della tua giornata. Non voglio che nessuno ti si avvicini mentre se sai sola.»
Stava scherzando?
Perché tutto ciò mi sembrava decisamente molto esagerato.
Cosa pensava che potesse accadermi? Non potevano di certo rapirmi, dico bene?
«So badare benissimo a me stessa, mamma. Non ho alcun bisogno di un baby sitter personale che mi stia perennemente appicicato.»
In realtà, non volevo che fosse lui colui che aveva il compito di sorvegliarmi.
Mi ero finalmente convinta a mettere una certa distanza tra di noi ed ecco che mia madre cancella i miei buoni propositi con il solo schioccare delle sue dita affusolate.
Non potevo permettere che il mio cuore patisse ancora le pene d'amore a causa di un Dio che era ancora alle prese con i suoi sentimenti burrascosi nei confronti di una donna che non avrebbe mai potuto avere.
No.
Non lo avrei permesso.
«Credi che non sappia che tu puoi tranquillamente badare a te stessa da sola?» domandò mai madre con un tono di voce frustato a causa dei miei capricci. «So che sei in grado di farlo, ma il punto è un altro: ho paura che possano farti del male e il mio dovere di madre mi impone di proteggerti ad ogni costo.»
Capivo perfettamente la posizione di mia madre, tuttavia, se solo lei avesse saputo ciò che stava accadendo tra me e il Dio alla quale mi stava fidando, credo che avrebbe capito anche il mio punto di vista e, soprattutto, il perché mi stessi ribellando a quella sua scelta.
Aprii la bocca per protestare ma una mano mi si posò sulla spalla, rendendomi quasi impossibile ragionare con lucidità. Alzai lo sguardo su colui che aveva nuovamente instaurato un contatto fisico tra noi due e mi persi in quel mare di fiamme che potevo vedere, solo e soltanto, nelle sue iridi rosso fuoco. Vel mi stava guardando con una certa insistenza e sul suo viso c'era un leggero sorriso, palesemente di cortesia. «Per me non c'è alcun problema, Principessa» disse. «Posso prendermi questa grande responsabilità e prometterti che ti terrò al sicuro da qualunque cosa che possa farti del male.»
"Perché a chiedertelo è la tua Regina, giusto?", gli domandai mentalmente.
Nei suoi occhi lessi un lampo di rabbia. "Anche se fosse, non abbiamo altra scelta. Quindi ti chiedo il favore di collaborare e di non rendermi le cose più complicate di quanto già non lo siano."
"Non voglio che sia tu a starmi appiccicato."
"Credimi, non lo voglio nemmeno io."
Quella sua risposta mi spiazzò e mi provocò l'ennesima ferita al mio cuore già malandato a causa sua.
Un dolore sordo e costante si fece largo in me e dovetti sbattere più e più volte le palpebre per evitare alle lacrime di sgorgare dai miei occhi violacei.
Distolsi lo sguardo dal suo viso, puntandolo sul pavimento in marmo lucido e levigato.
Avrei tanto voluto sprofondare o scomparire dalla faccia di quella Stella Pianeta in un solo istante.
Sentivo lo sguardo di mia madre e di Vanya fisso su di me, tuttavia, non mi azzardai nemmeno a pensare di poter incrociare i loro occhi incuriositi dalla reazione che avevamo avuto sia io che il Dio.
«Sarò l'ombra di tua figlia, Hipnôse.»
«Sono lieta di sentirtelo dire, Vel. Chiederò ai servitori di sistemare tutti i vostri effetti personali in due stanze comunicanti.»
«Come desideri, mia Regina.»
"Mia Regina".
Quelle due parole continuavano a ripetersi ininterrottamente nella mia testa senza darmi tregua.
Chiusi gli occhi e cercai di prendere dei respiri profondi in modo tale che non scoppiassi, da momento all'altro, in un pianto isterico.
Tuttavia, una frase continuava a ronzarmi nella testa:
"Lui non sarà mai mio".
"Lui non sarà mai mio".
"Lui non sarà mai mio".
Dovevo farmene una ragione.
Quella era la pura e semplice verità, la realtà dei fatti.
Volevo eliminare il suo pensiero costante dalla mia mente ma sapevo per certo che, d'ora in avanti, sarebbe stato molto difficile riuscire a cacciarlo fuori dal mio cuore nel quale aveva preso residenza.
Come ci sarei potuta riuscire se sarei stata a contatto con lui ventiquattr'ore su ventiquattro?
Sarebbe stata un'impresa ardua, tuttavia, ero intenzionata a riuscirci in un modo o nell'altro.
Non volevo più farmi del male.
Non volevo più dargli l'opportunità di farmi del male.
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