.𝟚𝟡. (𝕡𝕒𝕣𝕥𝕖 𝟙/𝟚)

Più ci provavo più sembrava che un buio senza fine tentasse di inghiottirmi, privandomi della possibilità di vedere un ultimo spiraglio di luce.

Mi sentivo debole, stanca e facevo quasi fatica a respirare a causa di un dolore sordo e costante all'altezza del petto che non ricordavo nemmeno come me lo fossi procurato.

Cosa mi era successo?

Non lo ricordavo e, anche se mi stavo sforzando, non riuscivo a recuperare la memoria delle ultime ore in cui ero stata vigile, sveglia.

Rimembravo solo il vuoto e... Un volto, anche se non riuscivo bene a identificarne i tratti e le caratteristiche facciali.

Provai ad aprire gli occhi, sollevando la palpebre pesanti, ma i primi tentativi furono del tutto inutili.

La voglia di continuare a rimanere ignara di ciò che mi stesse accadendo, in quel preciso momento, era decisamente più forte di qualunque altra cosa, persino della mia ostinata e sconfinata curiosità e determinazione.

Tuttavia, non potevo arrendermi e fu questo pensiero a spingermi a riprovarci più di una volta finché, finalmente, non riuscii a risvegliarmi completamente dal sonno profondo nel quale ero piombata.

La prima cosa che notai, una volta che i miei occhi si adattarono perfettamente alla luce soffusa di quella casa, che poteva essere solo definita come una catapecchia in procinto di accasciarsi su sé stessa, fu il fatto che avessi mani e piedi legati da corde spesse e ben strette, mentre era adagiata su un piccolissimo letto.

Ma cosa...?

Per quale inspiegabile ragione avevo le mani e le gambe legati?

Cosa mi era successo e dove ero andata a finire?

Ci volle un po' ma alla fine riuscii a fare mente locale sulle ultime ore che avevo passato sveglia e ricordai con estrema esattezza cosa mi fosse accaduto qualche istante prima che perdessi conoscenza: mi ero persa e, stupidamente, mi ero fermata a prendere fiato in un vicolo buio e deserto.

Ed era stato proprio in quel momento che erano iniziate le mie sciagure dato che, ironia della sorte, avevo incontrato Inara, una ragazza misteriosa in grado di poter evocare gli spiriti dei defunti.

Arricciai il naso ed increspai le labbra al solo ricordo di quei fantasmi spaventosi, con il "corpo" bianco, quasi del tutto trasparente, che producevano una risata stridula, una risata che, alle mie orecchie, sembrava essere il canto della morte.

Il loro macabro e terrificante ricordo mi avrebbe accompagnato per chissà quanto altro tempo e non ci sarebbe stata volta che non mi si sarebbe accapponata la pelle o temessi di ritrovarmeli nuovamente davanti agli occhi.

Per tutti gli Dei di Araceli, mi augurai vivamente che ciò non accadesse mai più.

Quei... cosi erano in grado di incutermi una paura feroce.

Con lo sguardo iniziai a guardare la modesta stanzetta nel quale mi trovavo legata e cercai ogni possibile oggetto che potesse essere usato come arma per slegarmi da queste corde fin troppo strette, così strette che quasi mi impedivano la regolare circolazione sanguigna.

Inoltre, avrei avuto sicuramente bisogno di qualche arma affilata per difendermi nel caso avessi tentato di uscire fuori, illesa, da quella catapecchia.

Non avevo intenzione di rimanere lì un solo secondo in più.

Tuttavia, qualsiasi piano di fuga potesse venirmi in mente era quasi del tutto innattuabile e il motivo principale era che non vi era assolutamente nulla tra quelle quattro mura oltre il letto e una finestra sbarrata con strisce spesse di legno.

Ero fregata ma ciò non era sufficiente a darmi per vinta.

Guardai con più attenzione quel letto, nonostante la scarsa luce che mi impediva di poter imprimermi nella memoria anche il più piccolo dettaglio di esso.

Fu solo allora, assottigliando lo sguardo, che notai che, ai lati di esso, vi erano due sbarre con una punta aguzza.

Per il mio istinto di sopravvivenza, quella era un'ottima occasione per tentare di liberarmi dalle corde soffocanti.

Dato che avevo i polsi legati dietro la schiena e il mio corpo era adagiato sul lato sinistro di esso, avvicinare prima le mani per liberarmele sarebbe stato quasi del tutto impossibile con le caviglie conciate nella stessa maniera, dunque, la mia sola possibilità era quella di slegarmi prima i piedi per poi passare alle mani.

Mi avvicinai il più possibile ad una delle sbarre, strisciando, e iniziai a muovere freneticamente, su e giù, le gambe legate nonostante mi stessi ferendo anche la pelle delicata intorno a cui vi era la corda.

Sentii il sangue che iniziava a colare dalle microferite che mi stavo provocando, ma ciò non va Sto per dissuadermi dall'intento di liberarmi definitivamente.

Con quella punta ben appuntita stavo riuscendo a tagliare, poco alla volta, l'intreccio del materiale con il quale ero stata legata.

Dopo un paio di minuti e numerosi tagli alle caviglie, ecco che quest'ultime furono finalmente liberate.

Riuscendo a muoverle, riuscii a mettermi seduta composta e ad avvicinare anche le mani a quella punta ben affilata. Iniziai a fregare la corda contro quest'ultima e in brevissimo tempo anche i polsi furono liberati.

Li strinsi leggermente tra le mani per cercare, in qualche modo, di calmare il dolore che avvertivo ancora a causa della stretta morsa della corda e, subito dopo, mi alzai dal letto.

In una circostanza come quella la cosa migliore era non rimanere ferma ad attendere che il nemico arrivasse ad attaccarti.

Ripresi a guardarmi insistentemente intorno e, ancora una volta, non riuscì a trovare assolutamente nulla che potesse essere usato come arma per difendermi da eventuali attacchi da parte di Inara e dei suoi fantasmi raccapricciante.

Anche se, usando la ragione, non avrei potuto utilizzare comunque nulla contro questi ultimi dato che non avevano un vero e proprio corpo da attaccare e colpire.

Erano inconsistenti.

Sospirai, rassegnata, mentre il mio cuore iniziava abbattere frenetico per l'adrenalina che stavo iniziando a sentire in circolo nel mio esile corpo.

Fu in quel momento che il mio sguardo si posò nuovamente sulla finestra sbarrata da pezzi di legno.

Forse, avevo un'idea...

Sorrisi raggiante nel poter vedere una possibilità per la mia salvezza.

Quelli si che, se staccati, potevano essere usati per difendermi.

Non ci pensai più di una volta e corsi verso quella finestra, pronta come non mai a lottare con le unghie e con i denti per la mia sopravvivenza.

Afferrai un'estremità di uno delle grosse aste di legno e iniziai a tirarle verso di me, sperando che i chiodi saltassero via in fretta e, magari, senza produrre alcun rumore sospetto che potesse cacciarmi ancor più nei guai.

Come se non avessi già un sacco di grattacapi per la testa.

Nonostante ci stessi provando con tutte le mie forze, non riuscii a smuovere quel pezzo di legno.

Dovevo assolutamente trovare un modo per riuscirci.

Non potevo demordere proprio adesso.

Afferrai nuovamente quell'unica possibilità di non essere del tutto indifesa di fronte ad Inara e lo tirai verso di me con tutta la forza che avevo in corpo, non badando a tutte le schegge di legno che mi entravano nella carne tenera dei palmi delle mani, lacerata a causa delle ferite, e delle dita.

Misi un piede al muro mentre con l'altro mi tenevo ben piantata a terra e tirai ancora. «Avanti...» borbottai fin quando i chiodi non cedettero e il pezzo di legno non fu finalmente libero tra le mie mani, anche se leggermente sporco del mio sangue.

Lo rigiri tra le mani e guardai l'unica porta presente in quella camera, leggermente più illuminata ora che quel pezzo di legno era stato scardinato.

Non dovevo perdere altro tempo.

Mi tolsi le scarpette bianche, in modo tale che non si sentisse alcun mio movimento, e mi avvicinai rapidamente alla piccola porticina in legno scuro e ormai vecchio.

Posai la mano sulla maniglia logora, arricciando il naso in segno di disgusto per ciò che le mie mani stavano toccando, e la mossi pian piano, facendo in modo che essa non cigolasse nemmeno un po'.

Quando fu completamente aperta, sgusciai immediatamente fuori da quella stanza e iniziare ad addentrarmi nel piccolo corridoio buio che vi era oltre quelle quattro mura nel quale ero stata rinchiusa e legata.

Le pareti di quel piccolo e stretto spazio erano di un grigio così scuro da sembrare quasi nero e non vi era nemmeno una sola finestra o qualunque tipo di "addobbo". Quadri? Inesistenti, ovviamente.

Iniziai a pensare che il tutto fosse stato fatto apposta per rendere l'atmosfera di quella piccola abitazione ancora più macabra e inquietante di quanto già non lo fosse.

Non potevo evitare di maledirmi ancora una volta per quella stupida scelta che avevo preso quando mi ero ritrovata da sola nel villaggio Vryst.

Se fossi filata dritta alla carrozza tutto ciò non sarebbe mai accaduto.

Ad un tratto, nel silenzio assoluto di quell'abitazione, ecco che si udirono nuovamente le risate agghiaccianti e spaventose di quelle creature richiamate dall'oltretomba.

Mentre il mio corpo iniziava ad essere scosdo da brividi di terrore puro, il mio cuore non poté evitare di perdere un bel po' di battiti a causa di quel modo stridulo di ridere.

Accidenti...

Dovevo andarmene via di lì il più in fretta possibile.

Non volevo in alcun modo rischiare di trovarmi nuovamente faccia a faccia con quei fantasmi raccapriccianti.

Iniziai a muovere dei passi incerti lungo quel corridoio stretto e, una volta arrivata quasi a metà strada, mi resi conto che c'erano ben tre porte: una alla mia sinistra, una di fronte a quest'ultima ma a destra, ed una dinanzi a me.

Okay, ora sì che ero davvero nei guai.

Bastava scegliere la porta sbagliata per ritrovarmi nuovamente nei guai, faccia a faccia con la morte.

Spostavo freneticamente il mio sguardo da una porta all'altra e dall'altra ancora, tuttavia, non riuscivo a decidermi quale fosse la porta che mi avrebbe condotto definitivamente alla salvezza.

L'unica cosa che mi restava da fare era quella di aprire una ad una le porte e sperare che il Fato fosse dalla mia parte e non mi gettasse in pasto ai leoni.

Non volevano alcun modo di provare quella terrificante esperienza di essere trapassata anche solo da uno spirito.

Credo che essi fossero in grado di congelare davvero i loro bersagli dall'interno.

Ancora sentivo il dolore che mi avevano procurato al petto nel punto esatto in cui mi questi mi avevano trapassata.

Il mio corpo fu nuovamente scosso da un brivido al pensiero.

Deglutii e guardai nuovamente le tre porte.

Una di queste mi avrebbe, senza ombra di dubbio, portata fuori da quella catapecchia e il reale problema risiedeva proprio nel fatto che dovessi affidarmi al mio sesto senso e andare ad intuito.

Quale dovevo scegliere?

Oh, al diavolo tutti!

In fin conti, sarei stata comunque spacciata se fossi rimasta ancora lì ferma a scegliere quale porta aprire.

Tanto valeva darsi una mossa e rischiare.

Strinsi con più forza il pezzo di legno tra le mie mani e decisi di aprire la porta che stava dinanzi a me.

Senza perdere altro tempo, lo feci e mi ritrovai, fortunatamente, di fronte ad una piccolissima scalinata che conduceva al piano di sotto, pianerottolo che, per grazia divina, era leggermente illuminato dalla scarsa luce della luna che penetrava fuori dalle finestre.

Misi un piede sul primo scalino ma, quando sentii quest'ultimo cigolare leggermente, lo ritrassi di scatto.

Mediazione.

Ma era possibile che tutte le ire del Fato venissero ritorte contro di me?

Che diamine avevo fatto di male nella mia miserabile vita mortale?

Ancora non riuscivo a capirlo.

Sbuffai.

Se avessi riprovato a scendere dalle scale, sicuramente mi avrebbero colta in fragrante sia Inara che chiunque potesse abitare insieme a lei.

Cosa potevo fare?

Di certo non possedevo il dono del teletrasporto, anzi, per essere più precisa, non possedevo assolutamente alcun potere in grado di tirarmi fuori da quella situazione o di consentirmi di difendermi in qualche modo da eventuali attacchi.

Ero una sfigata totale.

I miei occhi tanzanite non poterono evitare di fissarsi sul corrimano che vi era alla mia sinistra.

Ci misi una mano sopra e provai a muoverlo leggermente.

Grazie a quel briciolo di fortuna che mi era rimasta, constatare con piacere che essa non scricchiolava e che era ben ancorata alla scala e al muro.

Passai la testa e il corpo sotto di essa e, tenendomi saldamente aggrappata con le mani ancora leggermente sanguinanti, mi lasciai penzolare oltre esso, tenendo con le gambe il pezzo di legno.

Guardai sotto di me e notai che non vi era un'enorme distanza.

Se mi fossi lasciata cadere c'erano buone possibilità che non mi rompersi l'osso del collo.

Guardai il corrimano al quale ero aggrappata e, tirando un profondo respiro e pregando non so quale Dio, mi lasciai andare.

Per mia grande sfortuna, nel momento in cui toccai il pavimento in legno, provocai un forte rumore che non poter riecheggiare in tutta la casa in un frastuono assordante.

Era impossibile che chi vi abitasse in quella casetta, in procinto di accatastarsi su sé stessa, non mi avesse sentito e fu per questo motivo che mi misi subito in piedi e, afferrando il pezzo di legno che mi era sfuggito dalle gambe, iniziai a guardarmi intorno freneticamente mentre le mie orecchie poterono udire i primi rumori di passi pesanti provenienti dal piano di sopra.

In quel salottino in cui ero finita vi era solo una stanza collegata, senza porta e completamente avvolta dal buio, e la porta in legno principale oltre i divanetti logori e sudici che puzzavano di muffa ed escrementi umani.

Per tutti gli Dei, che schifo...

Se non avessi avuto fretta, mi sarei sicuramente tappata il naso con le mani per evitare di sentire quel tanfo allucinante che rischiava di farmi venire da vomitare.

Iniziai a correre verso la porta di quella casetta mentre, al piano di sopra sentivo sbattere vario oggetti.

Senza ombra di dubbio, Inara stava controllando se io fossi ancora legata nella mia stanza e, a giudicare dal modo in cui sbatteva le porte, doveva essere molto arrabbiata del fatto che non mi avesse trovata ancora lì, inerme, tra le sue grinfie.

Mi avvicinai rapidamente alla porta ma, quando fui sul punto di mettere la mano sulla maniglia e aprirla, ecco che dei fantasmi bianchi mi appaiono dinanzi al viso, costringendomi ad indietreggiare bruscamente, brandendo la mia arma improvvisata.

Questi tre mostri iniziarono a volteggiarmi intorno senza però sfiorarmi.

Ridevano e, a giudicare da quelle risate stridule, sembrava come se quest'ultimi si stessero prendendo gioco di me.

«Principessina, andavi da qualche parte?» domandò Inara, con il suo ghigno beffardo e malefico, mentre mi guardava dall'alto delle scale cigolanti.

Mostrai i denti, quasi ringhiandole in risposta. «Cosa vuoi da me, Inara?»

Lei rise di gusto di fronte alla mia domanda che, a quanto capivo, sembrava estremamente stupida. «Pensavo di avertelo già accennato durante il nostro primo incontro al villaggio: voglio ucciderti nella maniera più lenta e dolorosa possibile.»

Questa era completamente uscita fuori di senno.

«Per quale motivo?» domandai. «Non mi sembra che noi ci fossimo già incontrati prima o che io ti avessi fatto qualcosa di così terribile da farti desiderare di uccidermi.»

I suoi occhi bianchi, privi di alcun colore che gli desse vita, si fissarono immediatamente nei miei violacei, guardandomi con un'aria impassibile. «Voi volevate uccidermi» disse, fremendo da una rabbia incontrollata a cui io non riuscivo a dare una spiegazione.

«Chi voleva ucciderti?» chiesi mentre quei tre fantasmi bianchi continuavano a ronzarmi intorno, ridendo di me.

Inara assottigliò lo sguardo. «Tua madre, gli Dei, tutti voi volevate vedermi morta solo perché avevate paura di me!» sbraitò.

Ero quasi convinta che questa ragazza soffrisse di qualche strana forma di protagonismo.

Era pazza.

Corrucciai la fronte. «Come potevamo desiderare la tua morte se neanche sapevamo della tua esistenza?»

I fantasmi mi si avvicinavano pericolosamente mentre lei stringeva forte i pugni delle mani e scendeva le scale cigolanti.

«Ah si?» iniziò col dire lei con un tono di voce decisamente molto minaccioso. «Se non sapevate ha fatto della mia esistenza, devi spiegarmi il motivo per cui tua madre mi ha cercata dal momento in cui sono venuta alla luce!»

Sì posizionò di fronte a me, ma a debita distanza.

Strinsi con più forza il pezzo di legno tra le mie mani mentre quelle creature demoniache continuavano a volarmi intorno e sopra il mio capo.

Quando le sentii pronunciare un'affermazione del genere capii che avevo ben intuito cosa lei fosse la prima volta che l'avevo vista, disegnata sul foglio bianco di un quaderno sgualcito e rovinato dal tempo.

Inara, l'Eterna nata nell'anno stellare 5'483 e risvegliatasi nella Stella Primaverile '500.

Ora che l'avevo trovata e che avevo scoperto chi fosse in realtà, c'era una domanda che continuava a ronzarmi ininterrottamente nella testa: perché credeva che i miei genitori e gli dei volessero ucciderla?

Mia madre e mio padre non avevano mai avuto intenzione di farle del male e, se gli Dei avessero anche solo pensato ad un eventualità del genere, sarebbero stati eliminati all'istante dal potere distruttivo della loro Regina indiscussa.

«Cosa stai dicendo?» le chiesi, cercando di farle recuperare il nume della ragione. «I miei genitori non hanno mai voluto ucciderti, loro volevano solo proteggerti per evitare che...»

«STA ZITTA!» urlò e, con quel semplice gesto, fu in grado di scatenare un vento fortissimo in grado di far volare via persino la catapecchia nel quale ci trovavamo.

Il pezzo di legno mi cadde dalle mani e mi paesi il viso dalle frustate del vento con le mani e le braccia.

Quando quest'ultimo si placcò leggermente, lei continuò a parlare, furiosa.

«Non voglio sentire tutte le sciocchezze che usciranno dalla tua bocca. So perfettamente da quale parte si trova la verità e non riuscirai mai ad ingannarmi» disse, rivolgendomi uno sguardo assassino.

Sembrava volesse provare ad uccidermi solo con il suo modo di guardarmi.

«Tua madre ha provato a farmi del male ed io le restituirò il favore facendo del male a te» continuò dicendo, sollevando le mani e invocando a sé i tre spiriti che mi volteggiavano intorno sin dal momento in cui aveva scoperto che stavo provando a scappare.

Un fascio di luce nera come la pece li avvolse mentre il vento continuava a sferzare senza sosta in quel piccolo angolo della casa.

Indietreggiai, palesemente spaventata da quanto i miei occhi stessero guardando in quel preciso istante.

Le anime di quei tre morti iniziarono a mutare.

Il loro corpo inconsistente, bianco, iniziò a divenire solido, concreto, con tanto di braccia, gambe e testa.

La loro pelle era nera e tutti e tre avevano delle striature rosse sul viso e su gran parte del corpo.

Uno di loro, quello al centro del trio, le aveva maggiormente e, quando aprì gli occhi, sentii il panico impossessarsi di me.

I suoi bulbi oculari erano neri e, al centro di essi, vi erano un paio di iridi completamente rosso sangue senza alcuna traccia di pupille nere.

Mi guardava e subito sul suo viso spaventoso iniziò a distendersi un sorriso maligno, malevolo, un sorriso che prometteva un sacco di atti crudeli e spietati, azioni di cui lui non si sarebbe mai pentito.

Mosse la testa, provocando un suono agghiacciante con le ossa del collo, e, subito dopo, strinse le mani a pugno lungo i fianchi.

Guardò Inara dietro di lui e sorrise. «Finalmente ti sei decisa a darci nuovamente alla vita, Eterna.»

La ragazza dai capelli color arancio e dalle punte bianche lo guardò con uno sguardo inespressivo. «Avevo già accennato alle tue amiche che io non prendo ordini da nessuno, nemmeno da quelli della vostra razza» affermò, calma e decisa. «Non sono io a fare un favore a voi, ma voi a me. Vi ho riportato in vita per una ragione e sappiate che siete rinati in Anime Oscure solo per servirmi e per portare avanti il mio piano di vendetta.»

«Forse non hai capito quale sia il tuo posto, Inara» disse, con una voce prettamente femminile, la creatura, definita dall'Eterna che padroneggia le anime dei defunti "Anima oscura", al lato sinistro della creatura al centro del trio. Quest'ultima aveva i bulbi bianchi e due iridi verdi chiari, senza pupille ovviamente, al centro di essi.

Mi guardava con un'aria furente, assassina.

Iniziai a credere che non vedesse l'ora di salutarmi addosso per staccarmi la testa con un colpo netto.

«Siete voi che non avete compreso che io vi ho creato e io posso distruggervi» disse l'Eterna in quella stanza, quasi ringhiando contro le sue creature. «Voi siete sotto il mio controllo, siete legati a me indissolubilmente e questo legame vi impedisce di nuocere alla mia persona. Non potete attaccarmi, non potete uccidermi, non potete farmi del male, ma io posso benissimo farlo a voi» li mise in guardia.

La terza Anima oscura, quella a destra, disse: «Non occorre precisarlo, mocciosa».

Anch'essa aveva un tono di voce tipico di una ragazza, tuttavia, era decisamente più arrogante della creatura che aveva parlato prima di lei.

I loro atteggiamenti sembravano tipici degli... Dei.

Inoltre, differenza degli altri due, il suo aspetto era quasi più "umano": oltre ad avere le pelle nera alla quale vi erano dei tagli rossi accessi, aveva le pupille al centro delle iridi blu.

Inara guardò tutte e tre le sue creature e, dopodiché, posò il suo sguardo su di me.

Cercai di mandare giù la saliva che, in realtà, non mi si era creata in bocca.

Deglutii a vuoto.

«Sei pronta a dire addio a questo mondo, piccola principessina?» domandò, rivolgendosi a me, l'Eterna.

Cosa si aspettava? Che le dovessi di si e che non vedevo l'ora di morire?

Roba da pazzi.

Non dissi nulla e l'Anima Oscura al centro mi guardò con lo sguardo e il sorriso più cattivo che avessi mai visto in tutti i miei sedici anni stellari. «Sei tale e quale a lei e per me sarà un vero piacere eliminarti con le mie mani» disse e, usando una velocità impressionante da non farmi nemmeno rendere conto che si fosse mosso, me lo ritrovai di fronte.

Sì ergeva su me in tutta la sua altezza.

Credo che fosse persino più alto dei due metri.

Il mio corpo tremò e sgranai gli occhi quando lui allargò il sorriso e mi sferrò un pugno all'altezza dello stomaco, facendomi volare dall'altra parte della stanza.

Sbattei contro il muro alle mie spalle con una violenza tale da rischiare di frantumarlo.

Caddi a terra subito dopo, sommersa dall'intonaco che si era staccato a causa del duro impatto con il mio corpo, e mi tenni stretta la stomaco tra le mani, gemendo dal dolore.

Delle lacrime minacciarono di uscire furiose dai miei occhi.

Tossii e cercai di rimettermi in piedi anche se le gambe non riuscivano a reggermi.

Alzai il capo quando riccardi nuovamente sul pavimento in legno e guardai, con la vista leggermente offuscata dal colpo che quella Anima Oscura mi aveva inferto, le tre creature che Inara aveva contribuito a creare.

Stava avanzando a passo spedito verso di me ed io mi morsi il labbro, maledicendo il fatto che non avessi ancora scoperto quali fossero i miei poteri da Eterna in procinto di risvegliarsi.

In un'occasione come questa, mi avrebbero fatto decisamente molto comodo.

Lui era mi era quasi vicino quando quella con le pupille e le iridi azzurre lo fermò, guardandomi con sete di vendetta. «Credo che tu non sia il solo a volerti vendicare» disse. «Anch'io desidero vederla perire per mano mia. Lei è il frutto della loro unione e credo che sia io quella che dovrà mostrare la sua testa ad Hipnôse. Tu ti occuperai della madre.»

La creatura degli occhi rossi rise di gusto. «Mia cara, non credi che, dopo più di un millennio in cui sono stato eliminato dal mondo dei vivi, io voglia distruggere con le mie mani tutto ciò che possa essere collegato a quella lurida umana?»

La terza Anima oscura dagli occhi verdi, ma senza pupille, si avvicinò al duetto, mettendo una mano nera sulla spalla della creatura maschile. Anch'essa mi guardava con un ghigno in volto. «Avanti su, non litigate. Potremmo sempre trovare il giusto compromesso, non trovate?»

Lui rise e guardò la sua compagna defunta con un sorriso divertito. «E quale sarebbe?»

Lei incrociò il suo sguardo e ricambiò il suo sorriso. «Potremmo sempre ucciderla tutti e tre insieme.»

Il sorriso sul volto della creatura maschile si allargò a dismisura. «Sono lieto di constatare che la tua cattiveria non sia affatto diminuita in tutto questo tempo. Sei sempre la solita Dea meschina e spregevole che ricordavo anche nell'aldilà.»

«Così mi lusinghi» ribatté lei, civettuola. «Tuttavia, in quanto a cattiveria credo che tu rimani comunque imbattuto.»

«Credo che tu abbia ragione, dolcezza» disse lui, spostando nuovamente lo sguardo su di me.

(Continua...)

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