.𝟙𝟛.
Mai, in tutta la mia vita, avrei potuto immaginare che mi sarei trovata di fronte ad una cosa del genere.
Strabuzzai gli occhi e cercai di convincermi che ciò a cui stavo assistendo fosse del tutto vero e non frutto di una fervida immaginazione: una parte del nostro giardino era occupato, oltre al nostro, da un'ulteriore grosso castello azzurro cielo.
Quest'ultimo era enorme e visibilmente antico, così tanto che non potei fare a meno di chiedermi quanti secoli fa fosse stato costruito.
Era interamente fatto di mattonelle celesti ed aveva un perimetro quadrangolare. Ad ogni angolo vi era una torre altissima e una quinta si ergeva altissima all'interno delle mura che proteggevano il castello, decorate da regali decorazioni in oro che conferivano un tocco di modernità alla struttura.
Non potei fare a meno di pensare che almeno ci avevano provato a rendere questa costruzione il più possibile a passo con i tempi.
Infine, all'ingresso, c'era un grande portone di legno riverniciato di bianco e, oltre ad esso, si poteva chiaramente intravedere un giardino innevato in cui spiccavano i colori dei fiori tipici della Stella Invernale.
In quel momento, ebbi il sospetto che si trattasse proprio di...
«Ma che diamine...» sentii dire dal Dio al mio fianco mentre guardava quello spettacolo inusuale davanti a noi.
Era chiaro che nessuno dei presenti avesse mai potuto immaginare che sarebbe mai potuta accadere una cosa del genere.
Guardai in alto, per trovare la conferma di ciò che stavo iniziando a sospettare, e vidi che, affacciata ad una balconata rotonda e bianca, c'era lei: Helarã. «Alto Cielo» bisbigliai, tuttavia, anche se avevo detto quelle due semplici parole sottovoce, in modo tale che nessuno potesse udirle, il Dio della manipolazione al mio fianco riuscì comunque a sentirmi.
Sentii la sgradevole sensazione di essere osservata e intuii che Vel si fosse voltato a guardarmi, chiaramente perplesso. Tuttavia, io non mi girai nella sua direzione bensì continuai a fissare il volto rilassato di Helarã, intenta a sorridermi calorosamente proprio come aveva fatto le volte precedenti in cui avevo creduto si trattasse solo di un sogno.
In quel momento, ebbi finalmente la conferma che, tutte quelle sensazioni fin troppo realistiche e quei dettagli esageratamente minuziosi, fossero davvero reali.
Non sapevo ancora come, tuttavia, ormai sapevo che io l'avevo incontrata davvero e che lei esisteva realmente.
Bene.
Molto bene.
«Alla fine» iniziò col dire la ragazza dai capelli color arancio. «Sono riuscita a mantenere la promessa che ti avevo fatto: ci siamo finalmente incontrate dal vivo, principessa Astraea.»
Corrucciai la fronte e avvertii gli occhi di tutti i presenti puntati su di me, come se fossi io ad essere cascata sul giardino del palazzo reale.
«Lo vedo» iniziai col dire. «Tuttavia, non avrei mai immaginato che, per incontrarmi, avresti fatto cadere Alto Cielo nel nostro splendido giardino reale.»
Scrollò le spalle. «Piccolo inconveniente.»
Piccolo?
Io lo avrei definito enorme.
«Se questo lo definisci così...» borbottai.
Lei sorrise e, ad un tratto, accanto alla sua figura snella e slanciata, apparve anche quello dell'altra donna dalla carnagione scura che avevo visto durante il nostro primo "incontro" ad Alto Cielo.
La corona dorata con le sette stelle che spiccavano sulla sua chioma nera, abbellita da un'acconciatura riccia e vaporosa, l'abito era interamente dorato e, in quel momento, mi ritrovai a pensare se fosse interamente fatto d'oro visto quanto lucicasse alla luce del sole.
Il suo vestito aveva con colletto alto, così tanto alto da coprire quasi interamente il suo collo lungo, ma scendeva a V verso la giuntura dei suoi seni prosperosi, lasciando intravedere il minimo indispensabile. Le maniche erano a sbuffo, ma corte. Quello che aveva indosso sarebbe stato un'abito perfetto se indossato nella Stella Primaverile o in quella Estiva.
Come faceva a non sentire freddo con quelle temperature così tanto basse? Io mi sentivo completamente congelata fin dentro le ossa.
I suoi occhi, quasi innaturali e - lo avrei ribadito fino alla fine dei miei giorni - decisamente inquietanti dato che aveva le iridi gialle circondate all'estremità da uno strato di colore marrone scuro, mi stavano guardando con una certa insistenza mentre le sue labbra carnose erano strette in una linea quasi sottile.
Non distolsi mai il mio sguardo e non interruppi mai il contatto visivo che si era venuto a creare tra di noi.
Se lo avessi fatto, sarebbe stata una sconfitta per me dato che le avrei fatto capire che il modo in cui mi stava guardando mi metteva a disagio e mi incuteva un certo terrore.
Non potevo permettermi di mostrarmi fragile.
Non potevo permettermi di mostrarmi debole.
«Non mi piace il modo in cui ti guarda» esordì Vel, al mio fianco. «Mi sembra lo sguardo di un lupo che sta puntando un piccolo agnellino e si stia immaginando in quale modo poterlo uccidere per cibarsene.»
"Grazie mille, Vel. Questo si che è un ottimo metodo per infondere coraggio...", pensai, stupidamente, non calcolando il fatto che lui avrebbe sicuramente percepito quella mia risposta nella sua mente.
Lo sentii ridere nella mia testa e immaginai che, in quel momento, in mezzo a tutta quella gente che si era radunata per vedere cos'era accaduto al giardino, stava sorridendo.
"Pensavo ne fossi piena, di coraggio. In fin dei conti, poco fa mi sei saltata addosso e desidevai con tutta te stessa che io ti baciassi. Per fare una cosa del genere ci vuole coraggio anche", disse.
Sbuffai, continuando a guardare dritta negli occhi la donna in abito dorato che, se non ricordavo male, rispondeva al nome di Hemera.
"Potresti smetterla di ricordarmi ciò che è successo poco fa, in palestra?"
"No. È troppo divertente torturarti."
Alzai gli occhi al cielo e desiderai con tutta me stessa di poter avere la possibilità di strozzare lo con le mie stesse mani.
Questo sperai che lui lo percepisse come risposta a quanto aveva affermato qualche secondo prima.
Lo sentii sogghignare e mi voltai nella sua direzione per lanciargli un'occhiata assassina che lo avrebbe messo in guardia dalla fine che avrebbe fatto, di lì a breve, se non avesse smesso di prendersi gioco di me.
I suoi occhi fiammeggianti incontrarono istantaneamente i miei e, inspiegabilmente, mi sentii avvampare e la mia anima iniziò a vibrare come se fosse una foglia attacca ad un albero e mossa da una leggera brezza.
Mi sorrise divertito ed io distolsi subito lo sguardo dal suo in modo tale che, ciò che stavo avvertendo dentro di me, non diventasse palese agli occhi di chiunque, visibile.
Ripresi a guardare Hemera.
Mi fissava con astio.
«Un'entrata trionfante, la vostra, signore» esordì ad alta voce mio padre, il Re Aedyon, di fronte alle mura di Alto Cielo.
Hemera ed Helarã spostarono di scatto lo sguardo sulla figura di mio padre sotto di loro.
Mi misi in punta di piedi per poter vedere se anche mia madre era al suo fianco.
Si, era accanto a lui con la corona di fiori sulla sua testa e con un'espressione tesa e seria in volto tanto quanto quella di mio padre.
Helarã iniziò a parlare con i suoi soliti modi dolci e gentili. Quella ragazza credo che fosse dotata di una bontà innata che nessuno avrebbe mai potuto toglierle. «Perdonateci, Re Aedyon. Sfortunatamente, non avevamo previsto un'atterraggio così disastroso. Abbiamo perso i comandi di Alto Cielo e non abbiamo potuto evitare l'impatto con il vostro giardino.»
«Non credo che serva che tu ti scusi, Helarã» disse acida Hemera al suo fianco.
«Infatti» iniziò col dire una nuova voce maschile che non credo di aver mai sentito prima d'ora. Non riuscivo ancora a capire a chi appartenesse ma percepivo che si trovasse sul terrazzo insieme alle due ragazze. Ne sentivo i passi pesanti che si avvicinavano alla balconata. «Non dovrebbe.»
A quelle ultime due parole, ecco che comparve il proprietario di quella voce quasi melodica e virile: era un ragazzo decisamente molto affascinante. I suoi capelli quasi del tutto rasati erano neri, proprio come le iridi dei suoi occhi, a mandorla, che si fondevano perfettamente con le sue pupille. Aveva una carnagione decisamente chiara che entrava in netto contrasto con il nero della sua chioma quasi inesistente e dei suoi occhi e con il rosa acceso delle sue labbra carnose e piene.
Portava una specie di orecchino all'orecchio sinistro, ampio e voluminoso, che prevedeva una palla in oro situata sul lobo e dal quale partiva un filo, che sembrava molto simile allo stelo di un fiore, che gli circondava tutto l'apparato uditivo, arrivando a toccare le tempie.
Da questo stelo, apparivano una serie di foglie dorate di varia grandezza.
Un oggetto decisamente molto insolito, ma che aveva un non so chè di accattivante, un po' come il suo aspetto da ragazzo decisamente molto, ma molto cattivo.
Con tutta l'arroganza che trasudava sia dal suo aspetto sia dalla sua voce, lui posò le sue braccia sulla balconata e si sporse in avanti con nonchalance, guardando prima il Re e la Regina con estrema strafottenza. «In fin dei conti, cos'hanno loro in più di noi? Te lo dico io, assolutamente niente». Detto ciò, sorrise in un modo così tanto arrogante che avrei voluto salire su quella balconata e dargli un pugno dritto nei denti.
Cafone e maleducato.
Come se avesse sentito ciò che avevo pensato di lui nella mia testa, il ragazzo si voltò a guardarmi dalla balconata, come se sapesse già come fossi fatta esteticamente e chi fossi, e, senza alcun preavviso, mi fece l'occhiolino, sorridendomi maliziosamente.
Il mio sopracciglio sinistro scattò istantaneamente verso l'alto e lo guardai come se non avesse tutte le rotelle al suo posto.
Qualche istante dopo il suo gesto spavaldo, iniziai a sentire una leggera sensazione di fastidio dentro di me che mi sembrava quasi estranea, come se non dovessi provarla e non mi appartenesse affatto. Inoltre, mi sentivo osservata dal ragazzo di origine divina al mio fianco.
Mi voltai nella sua direzione e lo sorpresi a guardarmi di sottecchi prima di distogliere lo sguardo per puntarlo sul ragazzo appena apparso sulla balconata di Alto Cielo.
Il suo corpo trasudava rabbia che, in tutta onestà, non riuscivo a spiegarmi e lo potevo dedurre questo suo stato d'animo soprattutto dal modo in cui i suoi muscoli erano tesi e dalla sua mascella serra, così come dai suoi pugni stretti lungo i fianchi.
Sembrava pronto per uccidere qualcuno.
Corrucciai la fronte.
"Che ti prende, Vel?", provai a chiedergli usando il nostro speciale canale di comunicazione mentale.
Lui non rispose.
Mi ignorò completamente e continuò a guardare il ragazzo con aria assassina.
Rimasi sorpresa da quel suo modo di comportarsi, tuttavia, decidi di non farci troppo peso visto che lui si era sempre comportato in maniera strana e del tutto inspiegabile.
«In base a cosa affermi che voi siete nostri pari, ragazzo?» chiese con tono decisamente poco amichevole, mio padre. «Non siete nostri pari dato che noi siamo i sovrani di Aracieli e una razza superiore a quella di qualsiadi altro essere presente qui, in questo giardino che voi avete quasi distrutto.»
L'interlocutore di mio padre spostò nuovamente il suo sguardo da me a lui, sorridendogli con arroganza. «Aedyon, se non mi sbaglio, è così che ti chiami, giusto?» l'espressione infuriata di mio padre bastò come risposta e contribuì ad accentuare il sorriso sul volto di quel giovane sfrontato. «Quando capirai che non sei l'unico ad appartenere ad una razza fuori dal comune e che non devi sfidare apertamente quelli come te, soprattutto se sono decisamente molto più vecchi della tua età immortale?»
Al solo sentire quelle parole, tutti i presenti si bloccarono di colpo, trattenendo il fiato.
Soprattutto mio padre.
Mia madre ne sembrava sconvolta ma non così tanto da farle avere la reazione che avevano avuto tutti gli altri. Evidentemente, in un certo senso, si aspettava ciò che il ragazzo aveva appena detto.
Io, ormai, lo avevo iniziato a sospettare già da un bel pezzo.
«Cosa stai dicendo?» urlò mio padre, quasi ringhiando come un cane rabbioso.
Hemera prese la parola. «Ciò che ha appena detto Xzander corrisponde a verità, Aedyon, Re di Aracieli» il suo tono di voce era imperioso come se non provasse alcun senso di disagio o di sottomissione nel parlare a mio padre. «Non dobbiamo inchinarci a voi in quanto noi siamo come voi.»
Il viso di mio padre divenne una maschera inespressiva. «Vuole dirmi che...?»
Mia madre rispose al posto della donna dalla carnagione scura. «Loro sono Eterni tanto quanto noi, Aedyon.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top