Capitolo 5 - I - Una bella idea
La musica risuona forte attorno a noi, i bassi scandiscono i passi, il battito delle mani di Izac ci incita a restare nel tempo. L'orologio sopra la porta indica che stiamo provando da più di due ore, con piccole interruzioni per un sorso d'acqua, e non ce la faccio più. A breve le mie gambe si staccheranno, o si scioglieranno, o tutte e due le cose. Mi fanno male anche le braccia a furia di agitarle e il movimento sbagliato che ho fatto prima con il collo ora si sta facendo sentire, tirandomi il muscolo.
La stanchezza è tanta che attendo un secondo prima di afferrare il polso di Fred e togliere la sua mano dal mio culo. «Smettila» sibilo infastidita.
Mi spinge a sé con la sinistra sulla mia schiena e oscilla il bacino come faccio io. «Stiamo ballando, può capitare».
Faccio una piroetta con le braccia alzate e torniamo corpo a corpo. «Può capitare una volta, forse, non otto».
Alza gli occhi al cielo. Ci scambiamo con la coppia di destra e adesso mi è alle spalle, con le mani sulla mia vita. Mi solleva sopra la testa e mi fa girare così come fanno anche gli altri con la loro partner. Scivolo sul suo corpo, siamo di nuovo faccia a faccia, bacino contro bacino.
«Sei una tipa difficile, eh? È solo una mano sul culo, cazzo».
Invece di piroettare ancora, lo spingo sul torace, lui indietreggia confuso.
«È solo una mano sul culo, è solo una strizzatina alle tette... Scuse di merda in bocca a gente di merda. Potrei denunciarti, lo sai? C'è una grossa differenza fra tocchi casuali durante un ballo e palpate da molestia sessuale» sbotto, fregandomene di tutto e tutti.
La musica cessa. «Che sta succedendo?» domanda Izac, comparendo al mio fianco. Ha il fiatone a causa dei giri continui attorno alla pista per tenere d'occhio tutti, i capelli scuri sono umidi di sudore.
«Mi ha toccato il culo. Otto volte».
Fred solleva le mani in segno di difesa. «È capitato! È un interludio sexy, ragazzi. Dobbiamo sembrare affiatati, no?»
«Dovete essere sensuali, non molesti». Hylda affianca il maestro, il caschetto biondo scuro si agita attorno alle guance scarne.
«Siamo molto severi su queste cose e tu lo sai» aggiunge Izac con tono duro. «Dato il tipo di danza che facciamo, assicuriamo sempre a tutti i membri rispetto e professionalità».
«Ma è la sua parola contro la mia!» Mi indica. «Lei dice che ho esagerato, io l'ho ritenuto normale dati i nostri passi».
«Vorrà dire che la prossima volta ti terrò d'occhio» dice la coreografa. «Guarderò solo te e vediamo un po' se durante questo pezzo è normale che le palpeggi il culo. Qualcun altro ritiene normale palpeggiare il sedere della propria compagna durante questa sequenza?» alza di più la voce, scorrendo lo sguardo su tutti i presenti. I ballerini scuotono il capo. «Bene. Se possono farlo gli altri, ci riuscirai anche tu» sentenzia, tornando a fissare Fred.
Izac batte le mani. «Per oggi basta. Ci vediamo domani alla stessa ora. Tenete d'occhio la chat per le variazioni».
I ragazzi si disperdono, Fred va via con rabbia repressa a segnargli il volto.
«Grazie» mormoro guardando Hylda. «So che alcune cose sono inevitabili, ballo da anni ormai, ma lui l'ha fatto apposta ogni volta».
La coreografa sospira. «Non devi giustificarti e hai fatto bene a dirlo. Certo, magari la prossima volta vieni da me o da Izac e ne parliamo, ma forse un'umiliazione pubblica potrebbe servire a quel ragazzo. Non sei la prima che si è sentita a disagio con lui, sai?»
Spalanco gli occhi. «Sul serio?» E io che l'avevo giudicato premuroso nell'aiutare le altre ballerine. Mi era sfuggito un dettaglio essenziale. Vai a vedere che sono davvero pessima a farmi un'idea degli uomini, ecco perché ne scelgo uno peggio dell'altro.
Mi torna in mente Kevin. Lui non era affatto male, però.
«Pattie». Solo quel nome basta a farmi capire.
Scuoto il capo, incredula. «Allora è per questo che è andata via. Scusa, eh, ma doveva andare via lui, non Pattie. Questo non è garantire rispetto alle ballerine».
Hylda mi afferra un braccio e mi trascina verso lo stereo, lontano dall'ingresso. «Io e Izac le abbiamo suggerito di denunciarlo, ma lei non ha voluto. Allora abbiamo detto a Gregor che non lo volevamo più nella crew perché ci erano giunte voci del suo comportamento scorretto. Lui ha voluto sapere da chi, ma noi non abbiamo voluto fare il nome di Pattie per la sua privacy e allora lui ha detto che lo stavamo diffamando e che avrebbe denunciato lui noi». Sospira, amareggiata. «Speravamo se ne andasse comunque e invece è rimasto. Al momento abbiamo le mani legate».
Non le faccio notare che ha violato la privacy di Pattie raccontandomelo, ma ho capito perché l'ha fatto. Vuole farmi sapere che mi crede ed è dalla mia parte.
Non riesco a trattenere una smorfia di disgusto. E pensare che in tante lo idolatrano, ma sono abbagliate solo dal talento di ballerino. L'ammirazione può bastare per essere ciechi davanti a una brutta persona? Per me assolutamente no.
M'irrigidisco mentre un dubbio mi riempie la mente. «L'avete passato a me perché stava molestando la vecchia compagna?»
Hylda mi osserva dispiaciuta. «Leia è molto timida, quando ce l'ha detto è scoppiata a piangere e voleva abbandonare tutto. L'abbiamo messo con te perché tu hai un carattere forte. A differenza delle altre tu non sei tipa da farti mettere i piedi in testa. Come poco fa».
Non so se sono più incazzata o inorridita. Di certo sono a un passo dal mollare tutto. «E quindi avete avuto la bella idea di scaricarlo a me? Che cazzo di discorso è? Devo sacrificarmi per gli altri perché io sono forte? Certo che non mi faccio mettere i piedi in testa, ma questo non vuol dire che una prepotenza mi faccia meno male. E non sono io a dover risolvere i vostri problemi. Ci sarà un modo per allontanarlo senza che molesti qualcun'altra».
«Non volevo in alcun modo intendere che per te sarebbe stato meno traumatico, solo che tu hai più probabilità di gestirlo finché non riusciamo ad allontanarlo». Gli occhi scuri rimandano l'agitazione che la pervade.
«Io non devo gestire proprio nessuno! Essere forti non significa essere indifferenti, significa aver preso così tante batoste da aver eretto un muro per difesa. E difendersi non può essere discriminante». Non si finisce mai con il peggio. Essere forti non vuol dire non prendere mai pali in faccia, vuol dire essere bravi a nascondere quanto la botta ha fatto male.
Hylda giunge le mani in preghiera davanti al petto, o è una brava attrice o è davvero molto afflitta. «Hai ragione e mi dispiace. Ti chiedo solo di avere un po' di pazienza. Vogliamo allontanarlo dalla scuola, ma abbiamo bisogno di prove».
Mi balzano in mente: «Le registrazioni di queste lezioni. Non servono davvero per farcele studiare in un secondo momento. Ed ecco perché lui è sempre in prima fila, a portata massima del video».
«Esatto. Ora lui starà più attento dopo la tua accusa di oggi, ma tu non sei la sua unica ballerina nella coreografia. Lo teniamo d'occhio, lo butteremo fuori presto».
Scuoto il capo, incapace di essere meno arrabbiata. Ci sono così tante cose che non vanno in questo discorso che non saprei neanche da dove iniziare per elencarle. E sono maledettamente stanca. Puzzo anche e il mio sudore diventa nocivo all'olfatto solo in casi estremi.
Certo è che questa situazione ha solo confermato quello che tutti non fanno che ribadirmi: sono soltanto un corpo da palpeggiare.
«Se mi tocca ancora, gli do una ginocchiata nelle palle e poi un'altra in pieno viso» sibilo, prima di rigirarmi e uscire dalla sala.
Che disgusto. Ne ho davvero abbastanza. Di tutti.
Inseguo Zeke per riprendere il pallone. È lento, per questo è relegato al ruolo di riserva. Mi fa ridere la sua convinzione di poter arrivare a meta con me alle spalle.
Mi mancano pochi metri per placcarlo. Balzo su di lui, rotoliamo a terra e gli porto via la palla. Mi rialzo per tornare verso la mia meta, ma vengo travolto da qualcuno, che mi afferra dal torace e mi butta giù con violenza. Sbatto la spalla, mi scappa un lamento e anche il pallone. Chapman fischia.
«Che cazzo stai facendo, Roberts?» urla l'allenatore, avvicinandosi. «Neanche le matricole sbagliano il placcaggio».
Mi metto seduto e massaggio la spalla sinistra, la rabbia mi fa ribollire gli acidi nello stomaco. Ho preso una bella botta, cazzo.
«Non volevo arrivargli addosso così, sono scivolato, coach».
Scivolato un cazzo! Pezzo di merda!
Chapman si ferma a un paio di metri da noi. «Sei fortunato che ero lontano, ma comunque non ti credo. Hai pisciato sotto le scarpe?»
Zeke passa una mano sulla pelata. «No, signore. Ho solo perso l'equilibrio».
Il coach lo scruta, per nulla convinto, e fissa me. «Harper, la spalla?»
Mi rimetto in piedi e la muovo un po'. «Come nuova» replico, ignorando il chiodo che mi sta attraversando da parte a parte.
«Sei sicuro?»
«Sicurissimo».
Scruta anche me, perplesso. «Riprendiamo» dice a gran voce e s'incammina verso il centro del campo.
Zeke si allontana, prima di darmi le spalle mi guarda con un sorrisetto. Scatto verso di lui per fargli vedere come si butta sul serio qualcuno a terra e come gli si riempie la faccia di pugni, ma vengo trattenuto per un braccio.
«Non fare il suo gioco». Gli occhi grigi di Elián mi ammoniscono.
«Quel pezzo di merda l'ha fatto apposta! Di nuovo! Ha rotto il cazzo!» sbotto a voce alta, scacciando il suo gesto. Non m'importa nulla se mi sentono tutti.
«Lo sai tu, lo so io, lo sa il coach. Ma se lo riempi di botte non sarà lui a essere punito».
A volte invidio il suo modo gelido di fare, come se non avesse a cuore nulla, e altre volte mi dà tremendamente ai nervi. Soprattutto quando ha ragione.
Il senso di colpa mi stringe il petto. «Scusa, non volevo fare quel gesto lì, come se mi avessi infastidito. Ce l'ho con quei tre e poi sono nervoso per fatti miei».
Elián annuisce nello stesso istante in cui il coach fischia. «Gioca, parliamo dopo».
Passo una mano fra i capelli, frustrato, e corro verso il portatore di palla. Michell passa il pallone al compagno più vicino alle sue spalle, ma viene intercettato da Nelson che corre subito verso i pali per consegnare alla nostra squadra una meta. Tuttavia, non è un tipo che riesce ad andare a mille dall'inizio alla fine e stiamo giocando da un'ora e mezza. Gli sto dietro e infatti mi passa la palla prima di essere placcato da due avversari.
Bene.
Corro verso i pali, restando vicino alla linea di touche. Mi stanno alle calcagna, una rimessa laterale potrebbe essere una buona idea se dovessero riuscire a placcarmi. Ma sono veloce, molto più di tutti.
O quasi. C'è un solo giocatore che riesce a darmi del filo da torcere. Elián sbatte la spalla contro la mia per farmi cadere, ma è stato più delicato del solito, non vuole infierire dopo il colpo che ho preso poco fa. E questo è un errore, però al tempo stesso so che non si preoccuperebbe per gli altri. Preferisco averlo come compagno invece che come nemico nell'allenamento, quando formiamo due squadre da quindici non possono esserci due piloni insieme.
Resisto alla sua seconda botta, che mi avvicina troppo alla linea di touche. Lo spingo a mia volta e approfitto del suo lieve sbilanciamento per buttarmi a terra in una scivolata e allungare le mani verso l'area di meta. Chapman fischia.
Mi volto sulla schiena, ansante. Elián mi offre la sinistra, batto il palmo contro il suo e mi tira su.
«Non hai voluto rischiare di più, eh? Ci sei arrivato per un pelo» mi prende in giro.
Sbuffo. «Con te attaccato al culo? Sono il più bravo qui, ma tu a volte sei una spina nel fianco».
Riesco nella rara impresa di strappargli un sorriso vero, nelle ultime settimane pare impossibile. «Sempre il solito modesto».
«Per oggi abbiamo finito!» urla l'allenatore dal centro dell'arena.
Mi sposto con Elián verso le panchine per bere un lunghissimo sorso di intruglio energetico all'arancia rossa e fare stretching. I miei quadricipiti stanno urlando e la spalla pulsa dal dolore, la ruoto da una parte e dall'altra. Faccio scivolare il piede destro indietro, piego il ginocchio sinistro e resto in tensione più che posso, allungando i flessori dell'anca.
Sollevo lo sguardo su Elián per raccontargli i disastri della mia vita, ma ingoio le parole. Con in mano la sua borraccia, fissa un punto indefinito fra gli spalti. Seguo il suo sguardo, credo stia fissando il corridoio che conduce all'uscita. A parte le solite ragazze di turno dei Royal, non c'è chi vuole lui. Né chi sta tormentando me.
«Posso chiederti una cosa?» gli domando, cambiando posizione per allungare l'altra gamba.
«Da quando in qua chiedi se puoi domandare?» Si rigira e avvicina alla panca per prendere l'asciugamano.
«Siamo amici e gli amici non hanno bisogno di tante formalità, tranne in situazioni delicate. E ormai ho capito che questa lo è tantissimo» dico un po' in difficoltà. Ispiro dal naso e butto fuori l'aria dalla bocca, cercando di ignorare le urla dei muscoli doloranti.
Elián sospira. «La risposta è no».
«Ehi, ehi, non è così che funziona! Te l'ho chiesto per cortesia, perché è ovvio che hai bisogno di parlarne. Perciò, per quale diavolo di motivo continui a tenerti lontano da White? Se ti fosse stata davvero indifferente, l'avresti ignorata come fai con le altre». Ho sempre avuto l'impressione che la sua testa fosse altrove anche quando pareva divertirsi. Dall'inizio di quest'anno scolastico ho capito dove. Su chi.
Mi fulmina con lo sguardo. «Ti ho già detto più di una volta che non c'è niente da dire». Osserva i dintorni, immagino per essere certo che nessuno ci senta. Se non lo avessi praticamente costretto a diventare mio amico, sono più che certo che non avrebbe stretto legami con nessuno, escludendo le chiacchiere di circostanza.
«Eccome se c'è». Mi tiro su e passo ad allungare i muscoli delle braccia. «Guarda che non ti giudico, lo sai. So per esperienza che parlare aiuta a schiarirsi le idee».
Inarca un sopracciglio scuro. «È per questo che non smetti mai di farlo?»
«Sei simpatico come un cactus nel culo».
Ridacchia, ma lo sguardo resta spento. «Allora, a che punto è la tua nuova ossessione?»
Alzo gli occhi al cielo, sia per il cambio d'argomento che per quello scelto. «A nessun punto. Non l'ho più vista dopo quella sera. Credo mi stia evitando».
«Non avevi detto di voler fare lo stesso?» domanda, prendendo le sue cose dalla panca.
«Certo. È solo tempo sprecato» borbotto infastidito, afferrando la mia roba.
Elián mi affianca mentre camminiamo verso gli spogliatoi. «Perciò, quando vedi una bionda passare e ti giri subito è solo un caso, no?»
Mi fermo, lui fa lo stesso. «Hai deciso di fare il simpatico solo per prendermi per il culo? Non hai idea della tragedia che è per me! Non funziona così. La norma è capire di piacersi a vicenda, uscire a mangiare un boccone, scopare e ognuno per la sua strada. È questo che voglio. Una cosa semplice. Lineare».
«È quello che hai fatto ieri, no? E puoi farlo ancora. Fuori di qui ci sarà il solito nugolo ad aspettarti».
«Lo so. E infatti stasera me ne porto un'altra in dormitorio. Rugby e sesso sono i miei sinonimi per il college. Non è quello che vogliono tutti? Divertirsi?»
Elián alza le spalle. «Non mi è mai importato di quello che vogliono tutti». Riprende a camminare.
Neanche a me. Faccio quello che voglio. Me lo sono ripromesso dal primo giorno del primo anno.
Entriamo nello spogliatoio, otto docce su dieci sono già occupate. Troviamo un angolo vuoto su una panchina centrale. Io butto il mio borsone senza alcun interesse, Elián lo poggia con cura. E sempre meticoloso con le sue cose, sono certo che abbia qualche mania strana dell'ordine.
Mi tolgo la maglia, grugnisco in risposta a una fitta di dolore alla spalla. Punto lo sguardo su Zeke in automatico, sta ridendo con gli altri due coglioni che girano sempre con lui. Si accorge che lo sto guardando e ridacchia, attirando l'attenzione di West e Michael su di me.
«Oh, Harper. Non ti sarai offeso per una piccola spinta, eh?» Sghignazza, sbattendo la mano sulla pelata.
L'irritazione mi brucia le cellule celebrali. Vorrei solo spaccargli la faccia, ma Elián ha ragione. Otterrei soltanto quello che vuole: liberare un posto nella rosa dei titolari. «Credevo che le regole del gioco fossero un requisito fondamentale. Anche i bambini sanno che non potevi buttarmi a terra in quel modo. Hai bisogno di ripassare le basi, Zeke?»
Il sorriso su quella faccia squadrata di cazzo sparisce. Michael gli dà una pacca sulla spalla, smettendo per un attimo di frizionare i capelli neri con l'asciugamano. West sghignazza, incapace di trattenere il largo sorriso esaltato dalla pelle scura. Zeke lo spinge facendolo sbattere contro gli armadietti. L'amico smette di sorridere, massaggiandosi il braccio con cui ha colpito l'anta di ferro.
«Tu ti credi forte, ma sei solo fortunato» mi provoca.
Mmh... Ora mi hai sfracellato i coglioni.
«Io non mi credo forte, sono forte» dico andandogli incontro. «Ho la massa muscolare giusta, sono veloce, reattivo, con un milione di strategie nella testa apprese davanti a video e partite viste dalle tribune. Studio gli avversari, prevedo le loro mosse e coordino le mie. Tu che fai invece, eh? Te ne stai fra le riserve a rigirarti i pollici e giochi solo durante gli allenamenti, ma soltanto perché servi a far numero. Chi è che crede qualcosa fra me e te, mh?» Oscillo la destra dal mio al suo petto.
Zeke gonfia il torace, lo faccio anch'io. Siamo alti uguali, però la sua forma fisica è inferiore alla mia. E io sono così stufo dei tentativi suoi e degli amici di farmi perdere il ruolo che valgo il doppio.
Elián mi allontana da lui spingendomi una spalla. Faccio un passo indietro e sto per rifarlo in avanti, ma il mio amico si frappone tra noi. «Va a farti la doccia, Roberts. Se lo placchi un'altra volta in quel modo, puoi salutare anche le riserve».
Zeke sposta il suo sguardo rabbioso su di lui. «Ecco un altro che si crede. Da quando avete quegli stupidi soprannomi, ve ne fregate del gioco per stare dietro a tutte le puttanelle che si calano le mutandine».
«Sei invidioso? Da quando non scopi?» non riesco a trattenermi dal dire.
Elián si volta e mi trascina via stringendomi la piega del gomito. «Sei proprio una testa di cazzo».
Ridacchio. «È ovvio che gli girano perché nessuno se lo fila. Non è il primo e non sarà l'ultimo che è in squadra o vuole entrarci solo per le ragazze che vogliono farsi un giocatore».
Mi lascia andare e riprende a spogliarsi. «Così lo indispettisci soltanto. Sei troppo nervoso in questo periodo. Controllati». Parla con un tono quasi privo di emozioni.
«Sto benissimo» ma sento che è una bugia appena l'ho pronunciata. Ho bisogno di scaricarmi, questo è certo. «Stasera andiamo dal pelato? Balliamo un po'».
Prende le sue cose dalla panca. «Ci siamo stati l'altra sera. E comunque, no. Devo tornare a Mount Barker per aiutare i miei». S'incammina verso le docce e sparisce oltre il muretto per la privacy.
Seccato, prendo i miei flaconi di shampoo e bagnoschiuma e vado a farmi la doccia. Amo l'acqua calda che picchietta sui muscoli provati. Ci starei le ore, se non dovessi sottostare ai cinque minuti del gettone.
Esco dal box e indosso un paio di bermuda blu e una T-shirt bianca. Elián mi saluta con un cenno prima di uscire dallo spogliatoio e correre per non perdere il passaggio per la sua città.
Un po' lo invidio. A volte mi manca Canberra, altre la detesto. Soprattutto se ripenso ad alcuni posti in cui ho passato molto tempo. Anzi, buttato molto tempo.
Afferro il borsone ed esco in corridoio. Davanti all'entrata dell'arena c'è il solito gruppetto di ragazze urlanti. Potrei sceglierne una e scaricarmi con lei. Sarebbe una bella idea.
Fra loro c'è una moretta che ho già visto da qualche parte. «Ehi, ciao. Tu sei...?»
Sgrana gli occhi scuri, incredula, e si guarda intorno. «Ahm... Lucy?»
Inarco un sopracciglio. Non lo sa? «Fai l'assistente in segreteria, vero? L'ultima volta che ci sono stato ti stavi occupando della sistemazione nei dormitori».
Arrossisce. «S-Sì, sono proprio io».
Sorrido. Questo è magnifico.
Angolo Autrice
Per motivi diversi, i nostri protagonisti devono gestire problemi con gli sport che hanno scelto. Aki è stufa di essere palpeggiata e trattata come una bambola da sfruttare per bassi istinti e Blake deve tenere a bada la sua indole istintiva per non riempire di botte chi lo minaccia in campo. Entrambi sono parecchio nervosi. Aspetto le vostre impressioni!
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