Capitolo 3 - I - Non ci credo
E siamo a tre.
«Ci sono!» Sun compare alla mia destra.
Chiudo con un tonfo l'armadietto, nascondendo la tuta fradicia. Sono riuscite a capire di nuovo la combinazione per farmi un dispetto. Per fortuna me ne sono accorta solo a fine giornata, mi avrebbe seccato se fossero riuscite a condizionarmi la giornata.
«Tieni, questo è per te». Mi porge un sacchetto bianco con la sinistra, oggi il polsino s'intona al vestito chiaro.
«Che cos'è?» domando prendendolo.
Sorride. «Hai detto che ti piaceva».
Slego il laccetto e lo apro. Spalanco gli occhi, tirando fuori l'elastico per capelli fucsia, arricciato come le balze di una gonna. «Me l'hai preso uguale al tuo».
«È il mio, ma preferisco darlo a te. Con il tuo biondo starà benissimo».
Un tepore mi scalda il petto. «Oh, beh... grazie. Non era necessario. Sta bene anche a te».
«Ultimamente preferisco lasciare i capelli sciolti, mentre tu ti fai la coda ogni volta che vai a ballare. E poi in questi giorni sei molto indaffarata, così ti porterai dietro un pezzo di me». Ammicca, gli occhi verdi risplendono dei raggi di sole che penetrano dalla porta d'ingresso spalancata.
Il dispetto che sono certa sia opera di Ruby e delle sue amichette viene eclissato. Sun non ha idea di quanto mi tocchino nel profondo questi gesti spontanei, sinceri. Ancora mi sento in colpa per come la giudicai la prima volta che mi parlò. Ma ero diversa allora. Non avrei mai creduto di poter trovare un'amica.
«Mi dispiace per queste giornate frenetiche. A causa del Festival le lezioni di ballo iniziano sempre a orari diversi per le prove con gli altri gruppi e poi c'è lo studio, il lavoro in spiaggia – anche se adesso siamo in pausa...»
«E gli appuntamenti».
«E gli appuntamenti...» ripeto a disagio. «Parlando proprio di questo...»
Sun apre il suo armadietto. «Vai e speriamo che almeno questa volta riuscirai a divertirti. Ammiro la tua caparbietà. Vuoi trovare una persona speciale e non ti accontenti. È giusto. Meriti quella persona». Posa due libri e prende quello illustrato che ha lasciato lì perché non aveva spazio in borsa.
«Pensi sia un errore?»
Inarca un sopracciglio. «Cercare una persona speciale? Assolutamente no. Se stai avendo difficoltà, forse l'unica motivazione è che non è il momento. In tanti dicono che gli amori alla nostra età non durano».
«E tu ci credi?» Metto l'elastico al polso e il sacchettino in borsa.
Chiude l'armadietto. «Credo che siamo tutti diversi e che al mondo può capitare di tutto».
D'improvviso Sun s'irrigidisce. Punto lo sguardo dov'è il suo e stringo i denti. King sta scendendo le scale del primo piano, scuro in viso e nell'aspetto come un avvoltoio. È bello, non c'è dubbio, ma è inquietante. Non riesco a capire come possa piacere a Sun, che è dolce e solare. Non c'entrano niente l'uno con l'altra. Lei, però, tiene a lui, quindi continuerò a chiudere un occhio.
Se la farà soffrire saranno cazzi suoi.
«Vuoi andare al campo? Fra poco ci sarà l'allenamento, io oggi non vado in palestra e l'appuntamento è alle 5».
Sun si stringe nelle spalle, non schioda lo sguardo dal suo ex-amico. «N-No, forse è meglio di no».
«Se c'è Chapman lo distraggo io così puoi entrare».
«No. Non è per l'allenatore». Tre giocatori dei Royal raggiungono King, che inizia a parlare con loro come se non avesse alcun pensiero al mondo. «Oggi è meglio di no. Tornerò a casa».
Ringhio, detesto che quello stronzo la faccia sentire a disagio. «Come vuo...»
È il mio turno d'irrigidirmi.
Blake Harper si avvicina al suo amico. Gli parla sorridendo, quello annuisce un paio di volte. Sono così diversi. Opposti, direi. Eppure, sono sempre insieme, King e Prince. Persino la radio sportiva locale parla di loro e del talento che hanno nel ruolo di piloni.
Harper saluta un ragazzo, voltandosi nella mia direzione. Il suo sguardo si posa su di me e mi fa l'occhiolino. L'occhiolino! Quante fan avrà steso con quell'atteggiamento da rubacuori? Detesto quelli come lui, che sfruttano la propria bellezza per far cedere gli altri. È un bel ragazzo e quella sera in spiaggia continua a tornarmi in testa, ma ha preso di mira la persona sbagliata.
«Oh, Dante vuole portarmi in libreria» dice Sun, fissando il cellulare.
Alzo gli occhi al cielo e conto fino a cinque per non insultare quell'idiota. «Dopo l'atteggiamento di merda dell'altra sera, io lo avrei mandato al diavolo. Capisci perché non devi mai salire sull'auto di qualcun altro? Non sarebbe successo».
Sun scrive qualcosa sul telefono e lo ripone in borsa. «Il fatto è che... per tutti sembra così facile lasciarsi andare. Così normale».
«Tu non sei tutti. Se non volevi, non volevi. Fine. E quell'idiota è stato davvero pessimo a farti credere che il problema fossi tu». Quella brutta caccola pastosa! Sapevo che avrebbe portato problemi, non mi ha mai convinta. Ce l'ha scritto in faccia che non tiene davvero a lei, so riconoscere i bugiardi.
Sun sorride, gli occhi verdi risplendono. «Mi accompagni al parcheggio?»
«Certo» dico, voltandomi verso l'ingresso. «Ancora grazie per l'elastico, me lo metterò subito e non lo perderò».
Ridacchia. «È solo un elastico».
No. È molto, molto di più. E lo custodirò con cura.
Stringo la coda alta, avvicinando l'elastico fucsia alla cute, e accelerò il passo. Ryan – sono quasi certa che si chiami così – è appoggiato con il fondoschiena a un'auto sportiva blu, il capo chino verso il cellulare fa scivolare le ciocche castane nel vuoto. Dunque, se non ricordo male, è iscritto a Scienze Umane. Ci siamo parlati alcune volte in passato, ma mi è sempre parso uno troppo attento all'estetica – la sua. I narcisisti sono il demonio. Però dopo quello che ho scoperto su di lui ho deciso di richiamarlo. Sono passati mesi da quando mi ha dato il suo numero, se ha accettato vorrà dire che non se l'è presa, no?
«Ehi» mormoro a pochi passi da lui.
Ryan alza il capo e sorride, gli occhi verde scuro spiccano sul volto abbronzato. «Ehi, splendore». Mette il dispositivo nella tasca dei jeans grigi. «Davvero, non sai quanto sono felice che mi hai chiamato. Wow, sei davvero incredibile...» Mi fa una radiografia dal lieve trucco sugli occhi ai sandali dorati con il tacco, soffermandosi alcuni istanti sul seno fasciato dal vestito. «Da dove vuoi cominciare?»
Quello "splendore" è stato un pugno allo stomaco, ma si è ripreso chiedendomi cosa preferisco. «Per me è uguale. È la seconda volta che vengo al Festival quest'anno, ma la volta scorsa non ho visto granché».
«Va bene, ci facciamo un giro». Si guarda intorno. «Dici che questo parcheggio è sicuro? Non vorrei mi danneggiassero la bambina». Ridacchia, posando una mano sul tetto dell'auto.
Ahi. La bambina. Spero sia solo un tipo impacciato all'inizio di un appuntamento che ha pensato di elogiare la sua macchina per rompere il ghiaccio. So che c'è qualcosa di molto interessante in lui.
«Non faccio la parcheggiatrice, ma non ho mai sentito di danni o furti. La sicurezza è rigida».
Annuisce, anche se non pare molto convinto. «Vuoi andare al concerto? Credo che siamo ancora in tempo per prendere dei posti buoni».
«Preferisco dare un'occhiata alle bancarelle». Quando si esibiscono i gruppi rock non ci sono sedie sotto il palco, diventeremmo sardine nella folla, un'ottima occasione per palpatine con la scusa della vicinanza. No, grazie.
«Va bene». Mi fa strada verso il passaggio fra i banchi, gremito di gente. «Allora, dimmi di te. Sei stupenda, studi Arte, sei al secondo anno, e poi che fai? Progetti per il futuro? Lavoro?»
Domande semplici, insomma. «Ho un lavoro part-time, in genere a quest'ora sono di turno ma l'alta marea mi ha regalato dei giorni di ferie – lavoro in spiaggia. E per il futuro? Chissà. È ancora presto. E tu? Ho sentito che ti piacciono gli anziani».
Scoppia a ridere. «Oddio, "piacere" è un parolone, non sai quanto possono essere invadenti e inopportuni. Ma sì, lavoro part-time in una casa di riposo da gennaio di quest'anno. Sei fra quelli che mi prendono in giro oppure hai un debole per gli anziani?» Oscilla le sopracciglia, strappandomi un sorriso.
«No, macché debole. Però è una bella cosa. In genere la gente fugge da questi incarichi».
«Sarei fuggito anch'io, se avessi potuto. Ma avevo bisogno di qualcosa da mettere sul curriculum. Studio Scienze Umane e questo genere di cose aiuta molto in campo lavorativo. Non che voglia lavorare con gli anziani, dopo aver proseguito con le lingue vorrei tentare la carriera di mediatore culturale».
Ah. Beh, in un secondo ha distrutto il pensiero che mi ero fatta di lui, una persona altruista, buona, che aiuta il prossimo. Ma potrebbe ancora essere così. Il mediatore culturale è un lavoro che può aiutare tante persone.
Scruto un banco pieno di gioielli fatti a mano, sono tutti di varie sfumature di marrone. Non mi piacciono. «E oltre a lavorare controvoglia per gli anziani, cosa fai?»
«Faccio parte di un gruppo, io suono il basso, e mi piace il tennis. Tu fai qualche sport?»
Mi avvicino alla bancarella che vende bracciali per il braccio, li ho sempre trovati esotici e sensuali. «Faccio danza moderna da dieci anni, hip hop da cinque. Con la mia crew faremo uno spettacolo per le strade fra qualche giorno, qui, al Festival». Prendo un bracciale dorato appeso a una mano di legno, ha tre strisce ondulate, mi fa pensare all'Egitto. Ho visto diversi film con mia madre ambientati in quei territori. L'ultimo parlava degli dèi: Horus, Iside, Ra, Thoth...
«Davvero? È fantastico!» Guardo Ryan, mi sorride raggiante. «Adoro questo tipo di esibizioni. Posso solo immaginare quanto sarai sexy con gli abiti attillati che vi fanno indossare per questi eventi». Ammicca.
Lo so, so che è normale per la gente fare complimenti sull'aspetto fisico, ma io non lo sopporto. So di essere bella, non ho bisogno che me lo dicano gli altri. Perché non si è fermato all'entusiasmo per l'esibizione? Forse sono troppo prevenuta o troppo puntigliosa, eppure non posso ignorare che ha già fatto due complimenti al mio corpo in cinque minuti. Tre, se conto quello "splendore" con cui ha esordito.
Schiudo le labbra per replicare, ma non emetto parola. Dietro di lui, a non più di una decina di metri, c'è Harper con una moretta che gli arriva alla spalla. Spalanco gli occhi per lo stupore mentre le stringe una braccio per scambiare le loro posizioni e non farla scontrare con un gruppetto che avrebbe potuto travolgerla. Wow, ha preso davvero troppo sul serio il nome di principe.
Però, è stato un gesto molto carino.
I nostri sguardi s'incrociano e fisso di colpo la bancarella. «Prendo questo» dico alla ragazza bionda con i lock. Annuisce e afferra il mio bottino per incartarlo. Tiro fuori il portafogli dalla borsa.
«Lascia, pago io» dice Ryan, prendendo il suo dalla tasca dei jeans.
«No no. Non c'è alcun bisogno». Estraggo la carta.
«Voglio farti un regalo, posso?» Sorride, ammiccando.
«No». Pago il mio bracciale e lo scarto subito per metterlo al braccio.
Ryan mi fissa un po' seccato. Non ho bisogno che qualcun altro compri ciò che voglio, soprattutto se è un tentativo di rimorchio. Se c'è una cosa che ho imparato da tutti questi appuntamenti è che i ragazzi spendono più che possono per assicurarsi di concludere la serata nel loro letto. Non sto cercando qualcuno che mi mantenga.
Ci voltiamo e sobbalzo.
«Ma che coincidenza». Sul volto sbarbato di Harper si apre un gran sorriso. «Non sapevo ti piacesse il Festival, Davis».
La moretta gli si è incollata al braccio, ha la tipica espressione vittoriosa di chi ha per le mani il primo premio. Contenta lei di essere solo una mutanda in più da togliere...
«Dev'essermi sfuggito di dirtelo mentre proseguivo per la mia strada, ignorandoti».
Invece d'infastidirsi, sorride di più. Sembra quasi che non esista nulla che gli dia fastidio.
«Non sapevo vi conosceste» dice Ryan.
«Infatti non ci conosciamo» preciso subito mentre Harper replica: «Stiamo facendo amicizia».
Cosa? Amicizia? Ma è impazzito?
«Io sono Lawrence». Ryan allunga la destra...
Aspetta, Lawrence? Ma che cavolo, questa volta ero sicura di essermi ricordata un nome! Magari si chiama Lawrence Ryan.
«Lawrence Flynn» puntualizza, stringendo la mano di Harper.
E vabbè.
Sua Maestà Prince dei Royal sorride, non replica con il suo nome perché è ovvio che lo conosce. Che arrogante.
«Io sono Caroline» dice la moretta, allungando la destra verso di me.
Inarco un sopracciglio. «Bene, direi che ognuno può andare per la propria strada. Addio». Spingo Ryan, cioè Lawrence sulla spalla per schiodarlo dal posto.
«Ehi, Flynn!» esclama Harper. «Ti piace il tiro a segno? Che ne dici di una partita?» Con un cenno del capo indica la bancarella di fronte.
Spalanco la bocca. Ma che cavolo...? Okay, è ubriaco. Non c'è altra motivazione per la sua intromissione.
«Ry... Lawrence non è interessato ai giochini scemi che piacciono te. Continua il tuo appuntamento con... lei». La indico, inutile perdere secondi preziosi per provare a ricordare il suo nome.
«Veramente non mi dispiacerebbe» dice Ryence.
No. Non ci credo...
«E il nostro appuntamento?» brontolo allibita.
«Su, Davis, non essere così triste» dice Harper. «Ti porto via il cavaliere solo per due tiri. Poi sarà tutto tuo, se lo rivorrai». Il sorrisetto compiaciuto che mi rivolse alza alle stelle il mio nervosismo.
«Faccio presto». Ryan – ormai mi sono abituata a chiamarlo così – mi fa l'occhiolino prima d'incamminarsi insieme a Harper.
Ma. Che. Cazzo!
«Uomini». La moretta ridacchia, seguendoli.
Resto immobile. Sconvolta. Scioccata. Sbigottita.
Chiudo gli occhi e conto fino a cinque. Li riapro, ma sono ancora qui, in mezzo alla folla mentre Blake Harper rovina il mio appuntamento.
Sconfitta – quale dio vendicativo avrò fatto incazzare? –, mi avvicino alla bancarella con i fucili per il tiro a segno.
«Due» dice Harper all'uomo barbuto dietro il banco.
«E se volessi giocare anch'io?» brontolo, fermandomi a un passo da loro con le braccia conserte.
Harper mi sorride, gli occhi blu sembrano frammenti delle profondità dell'oceano. «Al prossimo giro. Adesso vediamo un po' chi è più bravo fra me e lui».
Inarco un sopracciglio. Ma non si stanca di mettersi sempre in mostra? Che bisogno ha di...
Un momento. Non starà cercando di farmi vedere che è meglio di Ryan? No. Non può essere folle fino a questo punto.
A circa sei metri davanti al banco ci sono una ventina di palette che scorrono su cinque file. Il proprietario del banco spiega: i cerchi più grandi valgono 1 punto, quelli medi 3 e quelli piccoli 5. Ce n'è anche uno molto piccolo, della dimensione di una medaglia, che vale 10 punti e si muove più veloce.
«Avete trenta secondi» dice l'uomo, caricando i fucili con cui giocheranno. «Le palette si rialzeranno subito dopo essere state colpite. È inutile dirvi che vince chi fa più punti. Da cento punti in poi vi aggiudicherete dei premi. Pronti?»
Harper imbraccia l'arma come un militare. «Prontissimo».
«Pronto» dice Ryan, chiudendo un occhio per mirare.
Il proprietario schiaccia il pulsante rosso al centro del banco, il cronometro sospeso dal soffitto inizia il conto alla rovescia dei trenta secondi.
Parte una mitraglia di colpi a salve dai fucili e un susseguirsi di ding ogni volta che uno va a segno. Le palette da un punto si abbassano più volte, ma calano anche le altre. Ogni arma è collegata a un piccolo schermo rettangolare sul banco che segna il numero di pallini emessi, quelli andati a segno e il punteggio. Quello di Ryan indica: sedici colpi sparati, quattordici bersagli centrati e quarantanove punti. Wow, va alla grande! Mentre Harper...
Spalanco gli occhi. Dopo venti secondi trascorsi, ha sparato trentasei volte, trentasei bersagli centrati e un punteggio di centottanta. Cazzarola! Ciò che mi sconvolge di più è lo sguardo serio che ha sul volto. Non l'avevo mai visto. Dubitavo persino potesse assumere un'espressione del genere.
Il timer suona, i pallini smettono di fuoriuscire dai fucili.
Risultato finale: Ryan 97, Harper 328. Che esagerato!
«Caspita, ragazzo, sei in gamba» l'uomo si rivolge a Harper, prendendo i fucili per lasciarli sui supporti ancorati al banco. «Scegli un premio. Tu, invece», guarda Ryan, «non ci sei arrivato per poco, mi dispiace».
Ryan alza le spalle. «Ti prenderò un premio da un'altra parte» dice guardandomi. Non gliel'ho chiesto, ma evito di dirlo a voce alta.
«Sei fantastico!» La moretta si butta addosso a Harper. «Hai sparato senza fermarti un attimo, proprio come un soldato! Te lo meriti proprio il premio. Se poi invece vuoi darlo a me, saprò ringraziarti». Ammicca.
Ecco qui, è così che funziona. I ragazzi spendono soldi e le ragazze li ringraziano come fossero grandi eroi. E va bene che al college c'è tanta gente che è pronta a fare sesso anche senza nessuna scusante, ma trovo terribile questo meccanismo.
«E che premio vorresti?» domanda Harper. Anche se la frase si presta volentieri a un doppio senso scontato, nel suo tono non c'è alcuna malizia. Strano.
La moretta osserva i peluche appesi e i vari oggetti esposti sugli altri banchi. «Voglio qualcosa di bello». Guarda la merce come fosse in cerca di un gioiello prezioso.
«Tu cosa sceglieresti?» Gli occhi blu si puntano su di me.
«Scusa?» mormorò confusa, presa in contropiede.
«C'è qualcosa che ti piace qui?» Indica la bancarella con un gesto vago.
Lo fisso ancor più perplessa. Che razza di domanda è? «Quando c'è qualcosa che mi piace, lo prendo da sola. Non ho bisogno che nessuno lo faccia per me». Se Ryan avesse vinto, non avrei accettato nulla. Piuttosto, avrei preso il fucile e ci avrei provato da sola.
Harper sorride. «Non ne dubito. Ma non ti ho chiesto una massima sulla tua filosofia di vita. C'è qualcosa che ti piace a questa bancarella sì o no? La risposta è semplice, Davis».
L'irritazione sale a fior di pelle, facendomi irrigidire. «Non c'è assolutamente nulla che mi piace nell'arco di diversi metri da me».
Quell'odioso d'un Prince ridacchia, rivolgendo un'occhiata veloce a Ryan. «Mi stai dicendo che non sei una ragazza da peluche? Tutti amano i peluche».
«Io non li amo» sentenzio, serrando di più le braccia al petto.
Inarca un sopracciglio. «Chi ti ha fatto odiare i peluche? Forse è per questo che sei così... pungente. Ti serve un peluche. Magari questo?» Indica un coso nero che ha la forma di...
«I topi mi fanno schifo». Rabbrividisco. «In qualsiasi forma. Gli animali in generale non mi dicono nulla. Forse solo i pesci». Penso all'acquario di mamma in soggiorno; dacché ho ricordi, ha sempre avuto pesci di tutti i colori. Non abbiamo mai avuto un cane o un gatto, perciò non ho alcuna esperienza con esseri viventi di quel tipo. L'unica eccezione è il ratto peloso di Sun.
Un attimo. Ma che sto facendo? Invece di mandarlo al diavolo, sto conversando con Harper?
Seccata, prendo Ryan sottobraccio e lo trascino via, ignorando quell'arrogante e la sua conquista per la sera.
Mi auguro di non incontrarlo più.
Angolo Autrice
Anche qui vediamo quanto sia importante per Aki l'amicizia di Sun. Lei le ha fatto un semplice regalo e Aki adesso lo considera un tesoro.
Continua la ricerca di Aki, questa volta tocca a Ryan... cioè Lowrance! Che, diciamolo, non si presenta benissimo, non è neanche un personaggio tossico. Peccato che la sua presenza venga del tutto eclissata dall'arrivo di Harper. Cosa si è messo in testa? Mi sono divertita molto a scrivere questo capitolo, soprattutto la seconda parte!
Aspetto le vostre impressioni, ma intanto..
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