Capitolo 11 - I - Me la pagherà
«Ma guardalo, guardalo! Ho bisogno di un rosso con gli occhi azzurri nella mia vita». Mamma getta in bocca un mucchio di pop-corn, gli occhi chiari fissi su Jamie Fraser.
Ridacchio. «È per questo che Owen ha i capelli neri?»
«Gli ho chiesto di tingerli» replica con un'alzata di spalle.
Rubo dei fiocchi di mais dalla sua ciotola, sistemandomi meglio accanto a lei. Questo divano ha bisogno di un poggiapiedi, credo che il tavolino di vetro sia stufo dei nostri talloni. «È che non parliamo di lui. Come va fra voi? Quando me lo fai conoscere?»
Il sorrisetto di mamma sparisce. Mi guarda di sfuggita prima di tornare sulla TV. «Le relazioni dei grandi sono complicate».
Inarco un sopracciglio. «Che hai combinato?»
Mi fissa come fosse sconvolta. «Perché dovrebbe essere colpa mia?»
«Non sei uscita per anni con nessuno, che io sappia, ci sta che combini qualche casino spinta dai dubbi. Ma la vera domanda è: lui ti piace?» Scruto il suo viso in cerca di una risposta. Porta davvero bene i suoi anni, sembra più giovane, però quando è pensierosa si accentuano le rughe di espressione attorno alla bocca.
Manda giù un paio di pop-corn. «È un brav'uomo».
In altre parole, non lo ama. Mi rende molto triste saperla sola. Quel bastardo che non voglio in alcun modo chiamare padre le ha rovinato la vita. E anch'io. Forse, se non fosse rimasta incinta, avrebbe continuato a fare l'attrice invece di rinunciare alla carriera che a sedici anni era già lanciata. Sarà soddisfatta di fare la costumista? Sarà soddisfatta di aver scelto me invece dei suoi sogni?
Il malumore torna a investirmi come poco prima che mi invitasse a vedere la TV. Per quanto m'insulti da sola ogni volta che lo faccio, continuo a pensare all'ultima volta che ho visto Harper due giorni fa. Sono convinta delle mie idee, però... Se solo riuscissi a parlare con Sun, invece di scambiarci brevi messaggi. Ma non voglio romperle le scatole visto che sta ancora male.
Punto lo sguardo sullo schermo, la protagonista di Outlander sta pensando al marito che l'avrà data per morta.
Sospiro. «Scusa, ma non possiamo vedere altro? Abbiamo rivisto queste puntate così tante volte che ricordo tutte le battute, a momenti». Le rubo altri pop-corn. «Perché non ci vediamo una puntata di Scudo? È uscita quella nuova da un po', in genere ti ci fiondi all'istante. Non vuoi vedere quel gran figo del protagonista con la sua armatura da cavaliere... e senza?»
Solo per un attimo, lo sguardo di mamma si rabbuia. Torna subito normale, ma sono certa di averla vista triste per un istante. «Oggi no. Preferisco i rossi dagli occhi azzurri».
Rimugino su quello sguardo per alcuni secondi, sospiro e mi metto comoda. Alla fine, non m'importa nulla di quel che guardiamo. Mi basta stare in sua compagnia per sentirmi più leggera.
Il telefono squilla, sobbalzo quando leggo il nome sullo schermo. «Raggio di sole! Finalmente ti fai sentire!» esclamo contenta. Quanto mi è mancata!
«A-Aki...» il sussurro tremulo mi fa irrigidire. «Aki, scusami ma...»
«Che succede? È tutto okay?» incalzo drizzandomi in piedi. Brividi di paura mi scivolano sulla pelle in un secondo.
«S-Sono al campus e ho bisogno di tornare a casa, ma non riesco a guidare. Puoi aiutarmi? Per favore...» la voce spenta e supplichevole sull'orlo delle lacrime richiama le mie.
«Arrivo subito! Dove sei?» Aggiro il divano e schizzo verso le scale.
«Lala, che succede?» chiede mamma alle spalle.
«Io...» Sun esita, mi sembra di sentire un singhiozzo smorzato. «N-Non lo so. Vicino al campo di rugby, credo».
«Sto arrivando, sto prendendo la borsa! Mandami la posizione». Salgo le scale a due a due e spalanco la porta della mia stanza. La borsa è sulla scrivania, la prendo e mi rigiro.
«O-Oky...» Sun riattacca. Apro subito la sua chat in attesa di ricevere la posizione.
«Akielah, cosa sta succedendo?»
Sollevo lo sguardo su mia madre, ai piedi della scalinata con un'espressione preoccupata.
«Non lo so!» esclamo agitata, scendendo i gradini. «Sun è al campus, dalla voce mi è sembrata terrorizzata. Vuole tornare a casa però non riesce a guidare. Devo andare subito da lei».
Mi precipito verso l'ingresso, ma mia madre mi stringe un braccio, fermandomi. «Aspetta, vengo con te. Avrai bisogno di tornare a Adelaide dopo averla lasciata a casa. Tu guidi la sua auto e io vi seguo».
Il cuore mi batte in gola mentre la osservo avvicinarsi al guardaroba e prendere la sua borsa. Annuisco, grata a Dio per avermi reso sua figlia, e mi dirigo verso la nostra auto. Saliamo a bordo, mamma alla guida. Anche se conosco a memoria la strada per il campus, e per il campo di rugby, avvio l'applicazione che mi guiderà da lei nel minor tempo possibile.
La strada verso l'arena si libera man mano che ci avviciniamo, per fortuna siamo nel periodo di vacanza e la maggior parte degli studenti e degli insegnanti sono rientrati a casa. Superiamo una delle entrate ad arco dopo che ho mostrato il badge alla guardiola e proseguiamo verso il campo, ben visibile da quando abbiamo varcato la soglia.
«Quella è l'auto di suo padre!» esclamo, puntando l'indice verso la macchina grigia ferma in obliquo.
Mamma accosta. Scendo alla velocità della luce e mi avvicino. Di lei vedo solo i capelli rosa, è rannicchiata contro il volante.
«Sun!» urlo quando sono a pochi passi.
Lei alza il capo, strappandomi un singhiozzo. Anche da qui vedo quant'è dimagrita, gli occhi verdi tristi e il viso stravolto.
Esce dall'auto nello stesso istante in cui sollevo le braccia per stringerla. Si butta su di me e serra la presa, forte, come fossi un appiglio e lei sul ciglio di un burrone. Ricambio con tutto l'affetto che provo per lei, il cuore in gola mi secca la bocca.
«G-Grazie... grazie per essere qui» mormora con un filo di voce.
Le accarezzo la schiena sperando di calmare entrambe. «Che ci fai al campus? Cos'è successo?» Avrebbe dovuto essere a casa sua, malata come mi ha detto fino a ieri sera. E invece ha guidato fin qui. Perché?
Agita la testa come se stesse negando qualcosa con tutte le sue forze.
La stringo di più a me prima di allentare la presa. «Okay, tranquilla. Non c'è bisogno che mi dici niente. Adesso, io guido la tua auto e mamma ci segue così poi me ne vado con lei». L'unica cosa di cui ha bisogno ora è calmarsi, non delle mie domande.
Sun punta lo sguardo dietro di me. «S-Signora Davis». Si stacca da me e asciuga una lacrima incastrata nelle ciglia. «Mi dispiace averla disturbata».
«Macché!» esclamo. «Era a casa a rivedersi per l'ennesima volta la prima stagione di Outlander per sbavare su Jamie». Le sorrido, ma lei non ricambia. Il mio Raggio di sole sempre sorridente oggi sembra non avere neanche un barlume di calore dentro di sé.
Il pensiero mi distrugge.
«Ti ricordo che lo stavamo vedendo insieme, piccola mia. E non sono io che strillo quando lo inquadrano a petto nudo» replica mamma, saccente. «Non preoccuparti di nulla, gioia. E chiamami Kaisha, te l'ho detto tante volte».
Sun annuisce con un cenno timido. Entriamo nell'auto di suo padre, metto in moto e, dopo essermi assicurata che mia madre sia alla guida, ripercorro la strada per abbandonare il campus, diretta a Mount Barker.
Sun non emette fiato. Sbircio nella sua direzione più del dovuto, trovandola sempre nella stessa posizione contrita, di difesa. Schiude di poco il finestrino, gli occhi fissi sugli alberi che costeggiano le due carreggiate.
Controllo lo specchietto retrovisore, mamma si è fatta superare da un'auto pronta a passare anche me. Ora che la strada è più dritta ho accelerato un po', ma non voglio creare in Sun altra tensione andando più veloce. per fortuna non è la prima volta che guido l'auto di Moses, è più grande di quella di mamma e non ho l'occhio per un veicolo così.
Tiro un sospiro di sollievo appena scorgo il cartello di Mount Barker. Per fortuna i tre quarti d'ora necessari sono passati in fretta.
«Fra tre incroci a sinistra, giusto?» le faccio una domanda ovvia pur di sentirla parlare, come se non fossi andata a casa sua tante volte.
«Sì» sussurra, lo sguardo sempre fuori. Non dice altro.
Sospiro. Nello specchietto riconosco i fari di mamma quando svolta dopo di me.
«Ho baciato Elián».
Sobbalzo. La mia mente va in tilt permettendomi solo di gridare: «Che cosa?! Hai baciato King? Tu?» Le rivolgo diverse occhiate. Forse ho sentito male, troppo concentrata su cosa fare per darle un po' di serenità.
«Ho-Ho sbagliato» mormora con voce tremante. «È stato così istintivo che... non sono riuscita a fermarmi. E ora lui mi odia».
Scuoto il capo, confusa. «Aspetta, non ho capito. L'hai baciato e lui si è arrabbiato?»
«No. Quando l'ho baciato non si è arrabbiato, ma poi è sparito e oggi... oggi...»
Sollevo le sopracciglia. «Ecco perché eri vicino al campo. Sei andata a cercarlo». Ma quando l'avrebbe baciato? E che significa che è sparito?
«Non voleva parlarmi, era arrabbiato. E poi... È arrivata lei» la sua voce diviene un sibilo.
«Lei?» Corrugo la fronte. «Parli della cinese?» Sun non replica, e allora capisco. La rabbia mi pizzica la pelle. «Che cazzo ha fatto quella brutta stronza?! Io ti giuro che la tolgo di mezzo!» sbotto, svoltando a destra.
«È la sua ragazza».
Alzo gli occhi al cielo. «Non è la sua ragazza, Sun. Hai capito che tipo di rapporto hanno ed è solo quello. Quindi non conta un cazzo!» sbotto mentre imbocco la via di casa sua.
«Lo è! È molto più importante di me, ha voluto che lo capissi e io l'ho capito benissimo!» D'improvviso è arrabbiata, ma la voce le trema anche per la tristezza. Mi fa male sentirla così.
«Che significa? Che cosa...?»
«Basta!» m'interrompe. «Basta...»
La guardo, ha le mani sulle orecchie e il capo chino verso le gambe. Deglutisco un numero confuso di emozioni negative. Vorrei parlarne ancora e capire come aiutarla, ma adesso è troppo sconvolta. Deve calmarsi.
M'infilo nel vialetto di casa sua, spengo il motore di fianco all'auto automatica di sua madre.
Sun scende subito. Lascio le chiavi nel quadro come ho fatto altre volte e la seguo. «Raggio di sole». Volta il capo per guardarmi. Vorrei dirle tante cose: se posso stare con lei, se posso fare qualcosa, se vuole che vada a prendere a schiaffi quella cinese del cazzo. Ma riesco solo a mormorare: «Per qualsiasi cosa, anche di notte, chiamami». Provo a sorriderle.
Si avvicina e mi abbraccia, forte. Così forte da farmi bruciare gli occhi. «Grazie». Indietreggia d'un passo, saluta mia madre ed entra in casa.
Alterno il peso da una scarpa da ginnastica all'altra, torturandomi le unghie.
«Andiamo a casa». Mamma mi posa una mano sulla spalla.
«Pensi che dovrei entrare? Non mi va di lasciarla sola» sussurro senza distogliere gli occhi dalla porta chiara che ha richiuso alle sue spalle.
«Se c'è l'auto di Ivy allora c'è anche lei. Sua madre saprà cosa fare. E poi, quando starà meglio ti chiamerà, vedrai».
Annuisco, seppur un po' incerta, e la seguo in auto.
Il ritorno a Adelaide è silenzioso. Ho visto Sun in preda a momenti simili altre volte, ma non così. Devo capire se è colpa della cinese o di King.
Chiunque sia stato, me la pagherà.
Mamma parcheggia di fronte alla saracinesca del garage, mi rivolge uno sguardo indagatore ma non dice niente e scende dall'auto dopo di me.
«Ti va di vedere ancora la TV, Lala?» mi chiede mentre chiude l'ingresso.
Scuoto il capo. «No. Vado un po' in camera».
Mi rivolge un sorriso dispiaciuto. «Va bene. Allora io vado in studio a mettere quei punti».
Annuisco e salgo al piano di sopra. Mi chiudo in camera, resto in piedi per alcuni istanti non sapendo cosa fare, cosa pensare.
Mi siedo sul letto e prendo il diario. Con una mano cerco la prima pagina vuota, con l'altra tolgo la penna dalla linguetta. Appoggio la punta sul foglio, ma non scrivo niente. Fisso il bianco per alcuni istanti, rendendomi conto che adesso ho bisogno di altro. Ho bisogno di leggere.
Lascio Ventitré nel cassetto e mi piego per recuperare la scatola dei diari sotto il letto. Tolgo il coperchio rosso, portandoli alla luce. Tocco i dorsetti delle copertine, che variano nei colori dal bianco, al rosa al viola. Conto tenendo a mente il primo, quello che iniziai alle medie su suggerimento della dottoressa, e prendo Venti.
Mi siedo a terra e lo sfoglio finché non trovo ciò che cercavo.
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Caro Venti,
devo ammettere che avevo temuto molto di peggio. La prima giornata al Ken non è andata male. Noiosetta, ma non è andata male. Indovina un po'? Fra tutte le scelte che poteva fare, Ruby si è iscritta al Ken. Per fortuna fa un altro corso, ma avrei preferito non vederla mai più. La eviterò, lei eviterà me e tutto andrà per il meglio. Spero. Cioè, le conviene starmi alla larga. Se prova a farmi terra bruciata come l'anno scorso, sono cazzi suoi!
E poi ho conosciuto una tipa strana. Parla molto, anche se a bassa voce, sorride a denti stretti come se si costringesse a farlo e ha i capelli bianchi. Ma come l'è venuto in testa di schiarirli tanto? È un modo per attirare l'attenzione? Timida com'è, non mi sembra una in cerca di scopate facili dopo essersi messa in mostra. Anzi, sembrava fin troppo preoccupata degli sguardi degli altri. Ma allora perché si è schiarita tanto i capelli? E anche le sopracciglia. Cioè, non saranno capelli naturali? È albina? Non dovrebbero avere anche gli occhi rossi, tipo? E le ciglia molto chiare? Le sue non sono scure scure ma... cazzo, è albina! E io che le ho dato della pazza per tutta la mattina pensando ai suoi capelli.
Comunque, ha provato a fare amicizia con me, ma non ci casco. Anche se mi è parsa una tipa molto introversa, ormai non ci casco più. Quelle che si fingono amicone e timide sono le peggiori. Vogliono sempre qualcosa. Per emergere sono disposte anche a spingerti nella merda. Non grazie. Non ho bisogno di altre persone false.
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Il fastidio per le mie stesse parole mi contorce le viscere. Non avrei potuto sbagliarmi di più e mi odio per i pensieri che ho avuto. Oggi più di altri giorni.
Sfoglio qualche pagina prima di fermarmi a leggere ancora.
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Ehi Venti,
il college fa schifo. L'anno è iniziato solo da un mese e già c'è una festa ogni settimana. Il lunedì c'è un sacco di gente in ripresa dalla sbronza. Mi sono sempre domandata quanto tengono alla loro vita le persone che passano il weekand a sballarsi. È un controsenso, no? Vanno al college per studiare e investire nel loro futuro, ma poi si bruciano la salute e gli anni riempiendosi di alcol.
Contenti loro.
Per quanto riguarda Sun, continua a sembrare sul serio interessata alla mia amicizia. Voglio dire, è un mese che prova a darmi corda ed è un mese che le rispondo un minimo solo per non essere maleducata. Lei però continua a salutarmi ogni mattina, continua a chiedermi se si può sedere accanto a me e continua a fare quel sorriso a denti stretti finto come una banconota da 21 dollari australiani. Almeno a pranzo mi lascia in pace. Non so dove vada, non c'è mai in mensa. Forse consuma il suo pasto da qualche parte. Ormai ho capito che non le piace la gente, come darle torto? Però continua a parlarmi. Cosa vorrà?
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Gli occhi mi bruciano, l'odio verso me stessa cresce, mentre giro ancora le pagine.
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Caro Venti,
sto per fare una cazzata. Mi ero ripromessa che non ci sarei cascata mai più, che sarei stata furba e mai più una stupida credulona. Ma forse quando uno nasce credulone resta per sempre un credulone, anche se crede di essere cambiato. E da gran credulona quale sono ho deciso di provare a conoscere Sun.
Sono passati due mesi dall'inizio della scuola e niente, ti giuro davvero niente in lei mi fa pensare che abbia un secondo fine. Mi aiuta quando dimentico un libro o un quaderno, mi aiuta con i nomi degli altri che mi rifiuto d'imparare, mi aiuta con i compiti, a volte persino si mette in mezzo quando rispondo male a qualcuno che mi ha rotto le scatole per fare da mediatrice. Cosa ci ricava? Non ci conoscevamo prima d'incontrarci al Ken e lei non sembra conoscere nessuno al campus, a parte quel ragazzo dai capelli neri che guarda spesso ma lui la ricambia di rado. Un amore non corrisposto?
Comunque, la verità è che mi sembra una brava ragazza. Un po' strana con quei capelli così chiari e l'atteggiamento sommesso, però è buona. E io ho paura. Paura di sperare, di fidarmi, di essere tradita. Ancora. Ma lei è... Insomma, mi piace. In tutti questi giorni non mi ha mai chiesto niente. Si limita a starmi accanto e domandarmi se sto bene, se ho dimenticato qualcosa, se voglio andare in libreria con lei. Ho sempre detto di no.
Però ho deciso che ci andrò. E ho deciso che, ovunque si nasconda, non la farò più pranzare da sola. Verrà a mensa con me oppure troveremo un posto.
Sono una stupida, lo so. Mi sento una stupida. Però voglio provarci. Me ne pentirò? Spero di no. Lo spero tanto.
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Passo una mano sugli occhi umidi. D'improvviso mi sento soffocare. Metto a posto il diario, striscio la scatola sotto il letto ed esco di corsa dalla mia stanza.
«Ma'! Vado a fare un giro!» grido mentre scendo le scale.
«Okay!» mi risponde in lontananza. «Portati il cellulare!»
Alzo gli occhi al cielo e risalgo per prenderlo. Non tanto per me, ma per Sun. Se vorrà chiamarmi, ci sarò. Sempre.
Angolo Autrice
Chi ha letto CPN ha già vissuto la scena raccontata all'inizio e sa cos'è successo a Sun. In questa storia un punto fondamentale è l'amicizia. Sono convinta che l'amicizia, quella vera e profonda, non si altro che una forma d'amore. A parte il desiderio fisico, amicizia e amore sono uguali: rispettano, si prendono cura, condividono felicità e dolori, sostengono. Per Aki l'amicizia di Sun è fondamentale, se li non sta bene anche Aki sta male, vivendo la sofferenza in modo molto profondo. Come avrete capito dagli stralci dei suoi diari, lei fa molta fatica a fidarsi e si difende con la spavalderia, ma in fondo vuole solo avere accanto una persona onesta che le vuole bene.
Il prossimo aggiornamento sarà lunghetto perché vi pubblicherò le restanti 3 parti di questo capitolo. Aspetto le vostre impressioni!
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