Te ce porto io


Simone non era molto convinto di quello che stava per fare. Doveva scendere, entrare in garage, e poi?

Ci aveva pensato attentamente prima di scendere. Aveva pensato anche se doveva portare qualcosa, magari un bicchiere d'acqua? Un panino? Con che scusa sarebbe andato lì? Mio padre m'ha mandato da te a socializzare visto che so' tre settimane che stai qua e che siamo pure in classe insieme ormai. Non era certo il modo adatto di iniziare una conversazione, proprio no. Così alla fine era sceso, dopo un buon quarto d'ora di domande optando per sembrare quello che passava di lì. Si era avvicinato lentamente e <<Che stai a fa' co' Paperella?>> aveva chiesto - semplicemente - cercando di attirare l'attenzione del riccio.

<<Co' chi?>> Manuel si era girato verso di lui mentre si ripuliva le mani con uno strofinaccio che poco dopo si appoggiò sulla spalla destra.

<<Co' la moto di mio padre>>

<<Cioè tu hai chiamato, 'sto gioiello, Paperella?>> Sembrava incredulo a quelle parole. Com'era possibile, ma poi che nome era paperella dai. Non si addiceva nemmeno ad un cinquantino, figurarsi ad una moto del genere.

<<Cose nostre>> aveva ribattuto Simone. Ci aveva messo due secondi per pentirsene, aveva detto che ci avrebbe provato e invece nella sua testa aveva nuovamente fatto danni. Fortunatamente non se ne era andato via ma era rimasto lì, sperando con tutto se stesso che non fosse un problema per l'altro.

<<Ah, nun le vojo sape'>> aveva detto alzando le mani e tornando a guardare in direzione della moto. Manuel non aveva aspettato una risposta, aveva ripreso poco dopo ricordando che non aveva risposto alla domanda iniziale. <<Comunque tu' padre crede sia 'n caso perso, io 'nvece no. Quinni eccome qui>>. Simone aveva annuito per poi ritrovarsi a giocherellare con una chiave inglese e sedersi su un mobiletto basso accanto all'entrata del garage. Non sapeva esattamente perché si fosse messo lì, né perché stesse aspettando in garage. Non sapeva cosa dire, se intavolare un altro discorso o meno, non sapeva se interessava davvero. Magari a Manuel era solo di impiccio averlo lì. Anche se in tal caso era convinto glielo dicesse. Sembrava un tipo diretto.

Era stato il più grande ad intavolare un discorso <<Certo che dev'esse' bello avecce 'n gemello>>

<<Lo è>> sì, lo era. Simone l'avrebbe detto senza ombra di dubbio, anche se nel periodo delle medie non facevano altro che scontrarsi perché iniziavano a prevalere le differenze tra loro. Simone era certo che Jacopo fosse la sua metà mancante, quello che lo completava e lo faceva diventare quello che era, quello che gli tendeva la mano ancora prima che lui stesso si accorgeva di essere caduto.

<<Sei de molte parole tu, ve'? Er contrario de Jacopo 'nsomma>> Manuel l'aveva notato sin da subito. Non era stato un ottimo inizio quello con lui a differenza di quello con Jacopo. Certo, Jacopo l'aveva già conosciuto, ci aveva già passato del tempo assieme, ma non credeva fossero così tanto differenti come caratteri. Simone sembrava sempre sulle sue, come se il mondo che lo circondava non lo toccasse più di tanto. Almeno non dava quell'impressione finché non veniva toccato in qualcosa di privato. Un po' come era successo quella mattina.

<<Non parlo volentieri co' chi non conosco>> aveva ribattuto.

Manuel si era messo a ridere prima di rispondere <<D'artra parte c'abito solo co' voi, che vòi che sia>>. Mica era un buon motivo per parlarsi, essere sotto lo stesso tetto, aveva pensato Manuel ironicamente. Manuel non era abituato ad avere una famiglia vera. Erano sempre stati lui e sua madre. Era stato pronto a raccogliere qualsiasi coccio, qualsiasi problema la madre avesse avuto perché potevano contare solo su loro due. Manuel, a volte, era arrivato anche a pensare che forse sua madre sarebbe stata meglio senza di lui, che avere lui non gli aveva permesso di vivere, di essere felice.

Si era ridestato dai suoi pensieri non appena Simone gli aveva detto <<Che cojone che sei>> sorridendo e scuotendo leggermente la testa.

Manuel non se l'era fatto ripetere due volte.

<<Ma ce sarai te. Da', passame 'a chiave inglese>> aveva detto allungando la mano e aspettando che gli venisse data.

*

Erano passate circa due settimane da quando Simone aveva fatto quel passo avanti verso Manuel. Non era più abituato ad avere qualcuno con cui parlare che non fossero i suoi genitori, suo fratello o la psicologa. La cosa non gli pesava assolutamente, anzi, si sentiva protetto nei suoi silenzi, nel suo isolamento. Sapeva che non era un bene, più volte ne aveva parlato con la psicologa, eppure ancora non era riuscito a modificare quel suo comportamento "salva vita", l'aveva definito lui più volte. A volte gli pesava, anche parecchio, però allo stesso tempo lo faceva sentire terribilmente al sicuro e non poteva fare altro che lasciarsi abbracciare da quella solitudine, da quella protezione.

Il fatto era che nonostante avesse fatto qualche passo verso Manuel, questo non significava riuscire a metterlo in mezzo in caso di necessità.

<<'Aco, cazzo, lo sapevi>> Sì, lo sapeva, era mercoledì. Jacopo sapeva di doverlo accompagnare alla seduta, come tutte le settimane, eppure si era ritrovato in quel casino. Il fratello era seduto sul letto davanti a lui mentre lo guardava.

Simone non aveva mai preso il patentino per la moto, diceva che poteva benissimo cavarsela con i mezzi e l'aveva sempre fatto, almeno fino a che non era diventato un problema prenderli. Di solito Dante e Jacopo erano pronti a portarlo dove doveva andare quelle rare volte che si spostava, peccato che Dante quel pomeriggio non ci fosse.

<<'o so, Sim, ma nun è corpa mia se 'a Girolami me fa 'n interrogazione solo pe' 'n uscita che ho fatto>> Jacopo sfidava chiunque a non aver pensato la sua stessa cosa durante l'ora di fisica. Per carità, a lui piaceva la materia, quasi quanto a Simone piaceva la matematica, però quello gli sembrava leggermente troppo.

<<Magari se non dicevi che 'a legge di gay-lussac è una legge der cazzo, non stavi a questo punto?>> aveva ribattuto. Il fatto era che il fratello non riusciva proprio a tenersi un cecio in bocca quando qualcosa non gli andava giù. A differenza sua che quando sbottava era tardi.

<<Eddai, oh. Te pare che ce deve esse' 'na legge pe' ogni cosa ovvia che ce sta in natura?>>

<<Ovvia 'o sarà pe' te>> era intervenuto Manuel dal corridoio. Entrambi i gemelli si erano girati verso di lui anche se con sguardi completamente differenti. Simone era sconcertato mentro Jacopo aveva appena trovato la soluzione a tutti i problemi e si era ritrovato a sussurrare un bingo.

<<Scusate, passavo de' qua>> aveva appoggiato una mano sulla maniglia della porta ed era rimasto lì.

<<No, hai fatto bene 'a passa' de qua. Senti, nun è che potresti accompagna' tu Simone da->>

Il fratello non l'aveva fatto finire di parlare, l'aveva interrotto mentre gli lanciava un'occhiataccia <<Ma direi anche no, Jacopo>>

Jacopo aveva capito di aver oltrepassato la linea di confine dal fatto che era stato chiamato col suo nome per intero. Il fratello lo faceva solo nelle rare occasioni in cui si arrabbiava.

Manuel aveva alzato le spalle <<Nun so' dove ma nun ce stanno problemi, te ce porto io>>

<<Ma anche no, io non te l'ho chiesto>>

<<Scusa tanto se volevo aiutatte, eh>> Il maggiore l'aveva detto prima di girarsi ed uscire dalla camera.

<<Bravo genio. Mo come ne usciamo?>> Simone aveva sentito la pressione nella voce del fratello, ma quello era un problema suo. Soltanto suo, non vedeva perché doveva parlarne al plurale.

<<Disdico, semplice>> Per lui era davvero semplice, perché spesso non aveva voglia di andarci, spesso si sarebbe sotterrato nel letto pur di non farlo, ma sapeva l'importanza di farlo nonostante la sua testa cercasse sempre una via di fuga per soffrire meno.

Per allontanarsi.

Per scappare a gambe levate dalla realtà.

Ci aveva già provato più volte anche se non ce l'aveva mai fatta perché Jacopo era lì e Dante era sempre pronto a fargli un discorso filosofico interminabile. A volte rimpiangeva di non essere partito con sua madre.

<<Sim... no. Te ce manno a carci in culo>> Simone aveva sorriso prima che il fratello continuasse <<Ora vai da Manuel e accetti l'offerta sua>>

<<Sì... e che je dico? Scusa non è che me porteresti dalla psicologa che me segue perché so' difettoso>> E in effetti era così che si sentiva. Un giocattolo difettoso sotto tutti i punti di vista e che, forse, non si poteva nemmeno aggiustare. Sapeva quanto suo fratello non accettasse questa sua visione, non l'aveva mai fatto, ma lui non era ancora riuscito a vedersi diversamente. C'era sempre quella vocina che gli si insinuava in testa e continuava a ripeterglielo ogni volta.

Aveva visto Jacopo avvicinarsi a lui e <<Sim, mettitelo bene in quella zucca, non sei difettoso. Sei normale quanto me. Nun je dì nulla, dije solo 'a via e stop>>.

Era tutto facile visto così, ma il cartello sul portone l'avrebbe visto comunque. Si era portato una mano alla bocca e aveva iniziato a mordicchiarsi un'unghia cercando di allentare la tensione e pensare ad un modo per uscire da quel problema senza rimetterci. Non voleva dire una cosa così personale a Manuel. Però quello che aveva detto Jacopo poteva essere giusto, si faceva lasciare la via prima ed aveva risolto, no? Solo che, ora, come andava a dirglielo?

Si era passato una mano sul volto e aveva preso un profondo respiro prima di girarsi verso Jacopo, il quale lo incitava a fare quel passo. Simone aveva scosso la testa ed era uscito dalla camera salutandolo leggermente.

Non ci aveva messo poi tanto a capire che Manuel fosse in garage. Raramente era altrove quando era in casa.

*

Manuel non capisce proprio. È vero, non è mai cresciuto in una famiglia normale, non ha mai avuto fratelli, però ha imparato molte cose nei suoi diciassette anni di vita. Molte le ha imparate a sue spese, facendo errori clamorosi, ma fortunatamente aveva sempre trovato il modo di cavarsela.

Anche nelle situazioni peggiori.

Non sapeva le dinamiche di una famiglia normale, se ce ne fosse stata qualcuna che si poteva definire tale. Ma sapeva come funzionava nella sua. Nella sua ci si aiutava.

Certo, lui non diceva nulla che potesse far preoccupare la madre però c'era sempre per lei. Quante volte era andato a portarla a lavoro, quante volte l'aveva recuperata in giro per Roma quando le rubavano la bici, quante volte le aveva messo una coperta sulle spalle quando si addormentava davanti al computer mentre concludeva traduzioni?

A modo suo si prendeva cura di lei, come lei faceva per lui.

Più volte aveva pensato che avrebbe fatto una vita migliore se lui non fosse mai nato, se non avesse incontrato quello stronzo di suo padre, eppure si ritrovava a non poter fare niente. Per quello l'unica cosa che riusciva a fare era esserci a modo suo, per lei. Anche se si scontravano parecchio, trovava sempre il modo per tornare ad esserci, anche quando era arrabbiato. Forse anche di più, quando era arrabbiato, perché a lui - la rabbia - faceva uno strano effetto.

La rabbia lo divorava dentro e prendeva il sopravvento senza che se ne accorgesse, finendo per dire qualcosa che non pensava davvero e ferendo chi gli stava attorno.

Era quasi sicuro che sarebbe stato uno di quei momenti anche quello, che sarebbe finita male non appena aveva visto entrare Simone dalla porta del garage, grattandosi leggermente la testa e guardando in basso.

<<Che vói?>> non aveva aspettato che dicesse qualcosa l'altro, perché lui si era sentito come uno che passava in quella conversazione per caso e se da una parte era così davvero, dall'altra lui abitava con loro da più di un mese e non capiva quale fosse il problema.

A dirla tutta credeva anche di guidare pure meglio di Jacopo, però il suo aiuto non era stato apprezzato. Per quello si era ritrovato a pensare a chi glielo avesse fatto fare, alla fine lui non aveva nessun obbligo con Simone, no?

Il più piccolo si era stretto nelle spalle mente lo guardava e aveva portato le mani nelle tasche dei jeans per poi abbassare di nuovo lo sguardo e <<Manu... senti, mi dispiace per prima, ero solo agitato>>

Grazie ar cazzo, Simò.

Avrebbe voluto dirglielo a voce quello, ma non l'aveva fatto perché c'era qualcosa che gli sfuggiva. Qualcosa nello sguardo di Simone che non capiva.

Ed essere cresciuto con sua madre l'aveva aiutato a comprendere gli sguardi, quante volte aveva compreso quelli di sua madre quando le parole dicevano tutt'altro.

<<Dovresti rivedè 'n attimo er modo de accetta' l'aiuto dell'artri>> si era limitato a punzecchiarlo, allora.

<<Sì... io... scusa>> l'aveva sentito borbottare e riprendere a dire in modo più nitido <<Non è che mi daresti ancora quel passaggio?>>

Aveva annuito alzando leggermente la testa <<'Nnamo, va>> gli aveva detto, pulendosi le mani nello straccio.

Perché sì, Manuel era stronzo quando voleva, però aveva un cuore che faceva vedere a poche persone e lui - quella seconda opportunità dalla vita - voleva costruirsela bene e non far pentire sua madre né, tantomeno, Dante. Quest'ultimo aveva creduto in lui sin dall'inizio dell'anno precedente. L'aveva aiutato quando tutto andava male, l'aveva tirato fuori dai guai e quello che restava - di quei guai - sapeva di poterlo affrontare, di prendersi le sue responsabilità, anche grazie a lui.

Aveva passato il casco a Simone non appena l'aveva visto ritornare lì con il giubbotto. Il più piccolo l'aveva preso, l'aveva indossato e gli aveva riferito la via.

Manuel conosceva quella zona, ci andava spesso un tempo, quando sua madre lavorava in un bar lì vicino. Aveva pensato di potersi fare un giro nei dintorni, visto che non sapeva quando l'altro finisse ciò che aveva da fare. In qualche modo doveva tornare anche a casa, quindi lui aveva mentalmente deciso che sarebbe rimasto per non sbagliarsi e lasciarlo in mezzo ad una strada. Anche se - a dirla tutta - un po' ne aveva voglia visto come era cominciata quella storia.

L'aveva lasciato giù poco dopo, nella via indicata. Ne aveva approfittato per rollarsi una sigaretta. Fumava raramente, la maggior parte delle volte lo faceva solo quando era nervoso, perché il suo non era un vizio, era più un modo per buttare fuori la tensione. Anche quando era passato a fumare altro, lo faceva sempre per lasciar andare la tensione, per rilassarsi. Ogni volta che buttava fuori un po' di fumo, gli sembrava come di buttar fuori anche i pensieri.

Era proprio perché si era fermato a rollare che si era accorto che in realtà Simone non era entrato nella palazzina che gli aveva indicato.

L'aveva visto allontanarsi di un po', arrivare in fondo alla via e infilarsi nel portone della palazzina all'angolo. Non gli sembrava corretto andare a sbirciare sui citofoni, quindi aveva lasciato correre. Aveva finito di fumare ed era andato a prendere qualcosa al bar.

Aveva ricevuto la chiamata di Simone esattamente un'ora dopo. Per un attimo aveva creduto che il ragazzo se ne fosse tornato con i mezzi, perché non gli sembrava possibile non averlo sentito per un'ora.

Era arrivato davanti al portone dove l'aveva lasciato e l'aveva aspettato lì, anche se sapeva che non era quello giusto.

<<Tutto a posto? C'hai 'na faccia>> Manuel l'aveva notato il viso pallido e gli occhi gonfi e arrossati. Non aveva potuto fare a meno di porre la domanda. Gli era sembrato strano vederlo così. Con senno del poi non l'avrebbe fatta, anzi, si era anche maledetto mentalmente.

L'altro aveva aggrottato la fronte e aveva risposto solo un flebile <<Andiamo a casa?>>.

Manuel non aveva più detto nulla, l'aveva solo guardato attentamente prima di annuire e mettere in moto.

Aveva avuto una sensazione strana lungo tutto il tragitto verso casa, però non ne aveva fatto parola nemmeno quando erano arrivati a casa perché Simone era fuggito in camera. Gli era quasi balenata in testa l'idea di andare a vedere che ci fosse in quella palazzina, ma poi non sarebbe stato giusto.

Dopo quel momento non l'aveva più visto fino alla sera. O meglio, l'aveva intravisto passando per camera sua e di Jacopo. Erano entrambi sdraiati sul letto di Jacopo e Simone aveva gli occhi chiusi e la testa appoggiata sul petto del fratello. Jacopo lo stava stringendo a sé, mentre mimava qualcosa a Dante che era sulla sua soglia della camera.

And hold on to me
(E abbracciami)
Hold on
(tienimi stretto)
My behavior is hard to understand
(Il mio comportamento è difficile da capire)
But I'm still doing all I can
(ma sto continuando a fare tutto ciò che posso)

Manuel era passato dritto - il più velocemente possibile - perché gli sembrava di essere un intruso in un momento familiare troppo intimo. Era sceso per le scale andando da sua madre che stava in cucina.

L'aveva aiutata ad apparecchiare e quella giornata, nella sua testa, stava davvero prendendo una strana piega. Continuava a pensare a quel pomeriggio, a quello che aveva visto poco prima e al fatto che Simone fosse un ragazzo grande e grosso, che giocava a rugby, eppure gli sembrava terribilmente delicato e lui era sicuro che - prima o poi - avrebbe fatto un disastro con le sue parole, il suo non saper gestire la rabbia e il non collegare il cervello alla bocca in quei casi.

Era perso nei suoi pensieri quando si era accorto che Jacopo era arrivato in cucina e si era seduto a tavola, accanto a lui. Ci era voluto poco prima che lo sentisse dire <<Sim non scende, non ha fame>>. Anita aveva passato un piatto al ragazzo mentre Dante si era alzato subito dalla sedia e <<Ci vado a parlare. Essere in contatto co-">>

Era stato interrotto subito dal figlio <<Pa' nun comincia' co' i discorsi filosofici come ar solito tuo>>. Manuel non era riuscito proprio a non sorridere a quell'affermazione e non aveva potuto fare altro che dare man forte all'altro.

<<Nun è 'na tragedia professo', sa quante vorte nun mangio io?>>

<<E infatti se vede, fijo mio>> aveva risposto subito dopo Anita mentre alzava le mani in segno di scusa.

Manuel aveva alzato gli occhi al cielo ribattendo <<Se nun mangio 'n motivo ce sarà>>. Amava provocare sua madre perché ogni volta finivano per ridere ed erano dei momenti di spensieratezza unici.

<<Ma guarda un po' te questo>> aveva detto Anita lanciandogli in pezzo di pane. <<A ma', nun se gioca cor cibo. Che nun te l'hanno insegnato?>>

<<Ma va', va'>> Manuel si era messo a ridere seguito poco dopo da Jacopo che aveva assistito a quella scena ridendo di nascosto e guardando il padre.

Erano passate due ore da quando avevano finito di cenare e a Manuel era venuta un'idea.

Aveva aperto lo sportello della dispensa e aveva tirato una nastrina. L'aveva aperta e messa nel forno che aveva acceso nel mentre. Erano passati cinque minuti quando l'aveva tirata fuori di nuovo e messa in un piattino.

Aveva spento il forno, preso il piatto e si era diretto verso le scale. Aveva tentennato un attimo prima di bussare alla porta ma poi si era costretto a farlo altrimenti la nastrina si sarebbe raffreddata e lui non aveva fatto quel lavoro per nulla.

Aveva sentito subito un leggero <<Sì?>> dopo aver bussato.

Era entrato guardandosi in giro e <<Jacopo?>> aveva chiesto subito

<<Sta in doccia>>

Menomale aveva pensato. Era sicuro che l'avrebbe preso in giro per il resto dei suoi giorni perché Manuel Ferro non è il tipo de persona che scarda 'e nastrine per qualcuno. Aveva persino sentito la voce di Jacopo dirlo nella sua testa.

<<Meglio>> aveva detto a Simone per poi riprendere a parlare <<T'ho scardato 'na nastrina, visto che nun hai mangiato>> Manuel aveva visto l'altro alzare le sopracciglia, corrugare la fronte e guardarlo in modo strano <<Oh, guarda che mica so' sempre stronzo come dici te>>

Gli aveva visto un leggero sorriso farsi strada sul suo volto, prima che abbassasse lo sguardo sul pavimento. <<Scusa per la maglia...>> per avertela bagnata>>

<<Ah, sei stato tu? E io che pensavo de' dovemme scusa' per aver pezzato su la faccia tua, te pensa>>

Stavolta il più piccolo si era proprio messo a ridere e Manuel si era sentito come se la sua presenza lì fosse stata davvero utile. Aveva ripreso a parlare poco dopo <<Patti chiari e amicizia lunga: 'e lacrime pure pure, ma prova a sbavamme su 'a maglia mia e te corco, giuro>>.

<<Me pareva strano infatti>> Manuel l'aveva visto ridere di nuovo. Aveva allungato la mano per prendere la Nastrina. L'aveva leggermente alzata e aveva fatto un cenno con la testa mentre diceva <<Grazie>>.

A Manuel non stava dispiacendo affatto avere intorno a lui un'altra famiglia, stava imparando tanto. Soprattutto iniziava a piacergli avere qualcuno con cui condividere le giornate, visto gli anni di solitudine che aveva vissuto. Solitudine perché non aveva poi amici con cui poter condividere, persone con cui sentirsi al sicuro. C'era Chicca, era vero, ma con lei era tutt'altra situazione. Con lei credeva di non poter far vedere nemmeno il suo vero sé. Quello che invece aveva capito, di quella famiglia, in cinque settimane, è che potevi essere tranquillamente te stesso. Dante era talmente accomodante che ti faceva sentire al sicuro dal mondo intero.

Simone, invece, in quel momento, aveva capito che forse poteva pure provare a fidarsi di qualcuno che gli scaldava le nastrine. 







Note:
La canzone è Hold on to me dei Placebo. Se non l'avete mai ascoltata vi consiglio la versione che hanno fatto al piano.

Grazie per aver letto, anche questo capitolo.

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