Leggerezza
Tw: accenno di un tentativo di suicidio.
Sarà nei racconti riferiti al passato ed è una piccola parte, ma ci tenevo a segnalarlo in caso vogliate evitare di leggerlo.
La vostra salute mentale viene prima di tutto.
In caso vogliate saltare quella parte del capitolo dove non esitate a scrivermi un messaggio in privato e vi dirò che parte del capitolo leggere.
Stavano camminando per le stradine del parco quando Manuel aveva preso a parlare.
<<Allora, parlamo de cose serie. Sei pronto?>> gli aveva chiesto.
Per lui era abbastanza ovvio a cosa si riferisse. Ci lavoravano da fine settembre, era pure normale che fosse uno dei primi pensieri. Per l’altro un po’ meno.
La risposta non aveva tardato ad arrivare <<Per cosa?>>
Manuel aveva scosso la testa incredulo per poi fermarsi e guardarlo attentamente.
<<Ma come per cosa, Simò… Te ricordi che tra una settimana c’hai l'esame de guida, vé?>> aveva aggrottato anche le sopracciglia mentre lo diceva. Anche se, in effetti, poteva anche capire che in quella settimana non fosse stato il primo dei suoi pensieri.
Aveva visto l’altro sgranare gli occhi, prima di dire <<Cazzo… c’hai ragione>> e l’unica cosa che Manuel aveva fatto era stato alzare le spalle ed annuire, come a dire lo so di aver ragione.
L’altro aveva ripreso a parlare poco dopo <<Credo di sì, comunque c’ho ancora una guida prima di quel momento>>. Manuel avrebbe voluto dire che lo sapeva, ma aveva evitato. Si era messo la sua solita corazza e aveva trovato un’altra risposta <<Guarda che co’ tutto quello che ho fatto - se te bocciano - me incazzo>>. L’aveva guardato dritto negli occhi in quel momento, come a voler sembrare minaccioso anche se non ci riusciva.
<<Seh, ma ti senti? tutto quello che hai fatto, ma smettila>> l’altro gli aveva poggiato una mano sulla spalla e l’aveva spintonato leggermente.
<<Stai proprio rischiando, Balestra, ‘o sai sì?>>
Manuel aveva puntato il dito verso di lui con fare divertito.
Aveva visto l'altro ragazzo scuotere la testa mentre ricominciava a camminare tranquillamente.
Manuel trovava sempre rilassante passeggiare in quel parco e averci portato anche Simone - quel giorno - sperava che potesse dare la stessa sensazione di pace anche a lui.
Da piccolo suo madre lo portava quasi sempre lì, quando poteva. Perché sì, erano stati anni disastrati ma il parco era sempre stato una cosa particolare. Anzi, ora che ci pensava, c'era una cosa che faceva sempre con sua madre da bambino e aveva pensato che potesse essere una cosa da far fare anche a Simone, perché era una cosa a cui - tuttora - ricordava volentieri.
Aveva così indirizzato la loro passeggiata verso una fontana poco più distante.
Era una fontana particolare: l'acqua che usciva dai rubinetti si incanalava in tre ruscelli diversi che trovavano la fine in un canale di scolo nascosto da tre massi. Manuel aveva raccontato a Simone di quando - da bambino - si metteva seduto su uno di quei massi e con i piedi scalzi toccava l'acqua.
Aveva imbrogliato su qualcosa, in quel racconto, ma aveva in mente un'idea e non voleva perdersi la reazione di Simone per nessun motivo al mondo.
<<Ma tu sei sicuro di sta cosa?>> gli aveva chiesto l'altro ragazzo. Manuel aveva annuito prima di tirare su le spalle e <<Ma so’ sicuro sì, te pare? L’ho sempre fatto>>
Ed era vero, lo aveva sempre fatto.
<<Quindi vado?>> aveva chiesto nuovamente conferma Simone. Sembrava quasi timoroso.
Manuel gli aveva appoggiato una mano sulla spalla e <<Simò, giuro che te ce butto se non ce vai te. Che vogliamo fa?>>
Simone aveva sussurrato un "okay, okay" per poi chiudere gli occhi e infilare un piede nell'acqua.
<<Ma m’hai imbrogliato! È gelata>> la prima parte della frase era stata quasi urlata e Manuel non aveva potuto fare altro che mettersi a ridere.
L'aveva guardato negli occhi prima di abbassarsi, prendere le scarpe di Simone e dire <<Bene, ciao>>.
Aveva iniziato a correre poco dopo e Simone ci aveva messo un po' a capire quello che stava succedendo.
<<Oh, ‘ndo vai con le mie scarpe?>> gli aveva urlato.
Manuel non si era mai fermato a guardarsi indietro. Per quello, quando Simone l'aveva tirato giù, circondandolo con le braccia, non se lo aspettava minimamente.
Anzi.
Si aspettava tutto tranne quello.
Si era girato di scatto verso Simone che ora si trovava con metà corpo sopra il suo.
<<Ma ti pare il caso di placcarmi così?>> gli aveva chiesto.
<<So’ rugbista io, che te credi?>> e aveva iniziato a ridere.
Manuel non crede di aver mai sentito una risata così pura uscire dalle labbra di Simone in quel periodo.
Quelle risate che senti provenire dal cuore, quelle spontanee che riescono a farti male alla pancia. E Manuel rimane sorpreso dal fatto che sia stata semplicemente una sua stessa frase a farlo ridere così. Quello che però non sa è che Simone ha iniziato a ridere quando ha cominciato a correre dietro a lui.
<<Sì ma li mortacci tua, per poco non me ammazzavi>> Manuel inizia a ridere anche lui, perché non può fare altrimenti. La risata di Simone è contagiosa e realizza che gli piace sentirla più di quanto crede.
<<Quanto sei esagerato, Ferro, quanto…>>.
Erano rimasti in quella posizione, a ridere, ancora per un po'.
Simone aveva nascosto il suo volto tra l'erba fresca del prato e la spalla di Manuel.
Crede che non ci sia posto più bello di quello al momento e che forse quella polvere d'oro - su Simone - inizia a vederla davvero.
*
Era il 23 pomeriggio quando Simone decide di andare da Pin.
Aveva avvisato Floriana - che era arrivata a Roma il giorno precedente - e aveva deciso di farsi coraggio perché era il momento giusto.
Il momento giusto per quanto riguardava se stesso e sperava che anche per Pin lo fosse. Floriana l'aveva tranquillizzato più volte sulla faccenda, sottolineando che era stato proprio lui a volerlo vedere dopo così tanto tempo e che non aveva nulla di cui preoccuparsi.
Era stata proprio Floriana ad accompagnarlo. Dante si era proposto di andare con loro, ma Simone aveva insistito perché rimanesse a casa con Jacopo. Si sentiva terribilmente in colpa a portarli entrambi con lui.
Era una sensazione che aveva sempre avuto ma che nell'ultimo periodo si era accentuata. Gli sembrava che tutti si preoccupassero di lui ma che nessuno desse le giuste attenzioni a suo fratello e questa era la cosa che gli faceva più male. Era come se Jacopo rimanesse sempre nell'angolo perché non aveva bisogno ed era una cosa che a lui dava tremendamente fastidio.
Prima o poi sarebbe riuscito ad intavolare questo discorso, sia con i suoi che con Jacopo.
Si era distolto dai suoi pensieri nel momento in cui Floriana aveva parcheggiato la macchina sotto casa di Pin. Aveva visto sua madre guardarlo e lui aveva annuito leggermente quasi a dire che sì, era pronto ed era tranquillo.
L'abbraccio che sua madre gli aveva dato - in quel momento - non l'avrebbe dimenticato mai.
Aveva sentito il cuore accelerare, nel momento in cui sua madre aveva suonato il citofono. Forse non aveva percepito bene ciò che era successo, forse era stato nella sua bolla fino a che non aveva visto la porta di casa aprirsi. Sa solo che tutto quello che aveva trattenuto fino ad allora, stava venendo fuori.
La madre di Pin l'aveva abbracciato, come se fosse stata felice di vederlo e lui non capiva proprio. Il ragazzo, invece, gli aveva semplicemente sorriso e fatto un cenno con la testa mentre si avviava verso la cameretta.
Simone conosceva quella strada a memoria. Aveva visto Pin chiudersi la porta alle spalle e si era leggermente lasciato andare. Credeva anche di aver trattenuto il respiro per tutto quel tempo.
Per quello aveva iniziato a parlare subito dopo, sperando che la risposta che l'altro gli avrebbe dato, lo avrebbe aiutato a lasciarsi andare ancora di più.
<<T-tuo padre sa che…>> era stato titubante, all'inizio. Non voleva fare passi falsi, quindi aveva ripreso poco dopo a chiedere <<Sì, insomma... Sa che sono qua?>>
Simone non era ancora riuscito a dimenticare quello che era successo quando Pin era stato dimesso la prima volta.
Ricorda ancora le parole esatte che gli erano state dette.
Ricorda anche lo sguardo affranto di Pin quando aveva sentito dire al padre quelle parole.
Sostanzialmente si era lamentato che era colpa sua, quello che era successo al figlio, che non poteva frequentare più uno come lui e per uno come lui sapeva benissimo che intendesse il suo orientamento sessuale.
Forse era quello che lo faceva sentire ancora più in colpa nei confronti di Pin. Come se il suo essere omosessuale poteva aver fatto del male al suo amico e non poteva perdonarsi per quello.
Aveva voglia di abbracciarlo, ora che lo vedeva, aveva sperato di poter avere un'altra volta, un'altra occasione, ma il rimbombare di quelle parole - nella sua mente - non glielo aveva permesso.
Aveva aspettato la risposta dell'altro ragazzo con timore. Gli era sembrata un'eternità anche se l'avevano diviso solo qualche secondo.
<<Mamma l'ha cacciato di casa. Mi hanno dimesso i primi di novembre e non c'era già più>> Pin aveva la voce ferma e Simone si era sentito più tranquillo.
Tranquillo perché sentiva che non poteva mettersi tra di loro e che Pin non sarebbe più stato male per quello.
Si erano seduti entrambi sul letto e Simone aveva cercato di iniziare un discorso. C'era una cosa che voleva che sapesse.
<<Sai, l'ho mantenuta la promessa>> si ricorda anche di averlo sussurrato a Manuel mentre gli diceva che era gay.
Perché sì, lui ci teneva che lo sapesse.
Aveva custodito la lettera che gli aveva mandato e l'aveva fatto di proposito. Perché c'erano cose che gli erano state scritte e che dovevano restare impresse sempre. Una di quelle era promettimi che non ti vergognerai mai di ciò che sei. Non farlo. Non vergognarti. Se qualcuno ha problemi con chi sei, cazzi suoi. Tu continua ad essere la persona che sei.
Era l'unica frase che teneva ancora stretta a sé, che si portava nel cuore e che si ripeteva spesso. Il resto era una lettera di addio che aveva fatto male leggere.
Una lettera che aveva lasciato intuire il gesto disperato che stava per compiere e che non era giusto.
<<Simo, io non avrei mai voluto che quella lettera ti arrivasse. Non ero lucido. P-pensavo di potercela fare>> Simone aveva scosso la testa.
Non doveva andare in quella direzione la conversazione.
Non voleva che si scusasse per quella lettera.
Simone si ricorda ancora il giorno in cui gli era arrivata.
Qualche giorno dopo che Pin aveva ingerito una quantità di sonniferi troppo grande per essere smaltita.
Ringrazia chiunque l'abbia salvato e chiunque abbia guardato giù - quel giorno - per averlo lasciato lì, anche se non si potevano più frequentare.
Pin aveva il diritto di continuare a vivere, anche se la sofferenza a cui era andato incontro l'aveva sopraffatto.
Simone era stato grato di aver avuto una famiglia al suo fianco, qualcuno che gli tendesse la mano durante i momenti bui, qualcuno presente in ogni circostanza anche quando non faceva altro che urlare contro tutti, nei giorni in cui l'apatia non prendeva il sopravvento.
Pin non aveva avuto tutto quello che era riuscito a tenere a galla Simone e che - in qualche modo - l'aveva fatto ripartire.
Aveva avuto anche Tommaso e Giulia che avevano accolto le sue lacrime, i suoi silenzi, i suoi sfoghi, quando ogni giovedì si presentavano da lui. Erano stati un altro punto fondamentale del suo percorso.
Pin non aveva avuto nessuno, l'unico suo amico era lui.
Lui che aveva dovuto abbandonarlo.
Simone si sentiva terribilmente in colpa, perché si sentiva di averlo abbandonato.
Si sentiva colpevole, anche se in quella lettera non c'era stata nessuna accusa nei suoi confronti. C'era solo stanchezza e sofferenza.
Era per quello che Simone aveva abbassato lo sguardo e <<È colpa mia e mi dispiace>>. L'aveva sussurrato, quasi avesse paura a farsi sentire.
Era stato in quel momento che si era sentito stringere la mano <<Simo, guardami, sto bene. Nessuno di noi ha colpe. Le colpe sono di quegli stronzi e di mio padre che ci ha fatti allontanare>>. Simone l'aveva tirato a sé poco dopo. Si erano stretti in un abbraccio - che da troppo tempo non li vedeva così uniti - e si erano lasciati andare ad un pianto silenzioso.
Un pianto che sapeva di speranza ritrovata, di voglia di vivere; un pianto che aveva avuto l'opportunità di fargli sistemare gli ultimi cocci che si ritrovavano in giro.
Un pianto che li aveva ritrovati di nuovo uniti, perché la loro amicizia non poteva fare altro che continuare e tornare come un tempo.
Anzi, probabilmente più forte perché solo loro riuscivano a percepire il velo di sofferenza che caratterizzava gli occhi dell'altro.
*
Jacopo non credeva di potercela fare, proprio no. Già era in ansia per i suoi motivi, ci mancava solo che ci si mettesse Manuel. Ricordava ancora il pomeriggio in cui Simone aveva fatto l'esame teorico per la patente e aveva la sensazione che si sarebbe ripetuta. La cosa ancora più particolare era che raramente vedeva Manuel in quelle condizioni; e ogni volta era legato a Simone.
Non c'è l'aveva più fatta a continuare a sentire il ticchettio delle sue dita sul tavolo, quindi aveva iniziato a parlare.
<<Manuel, me stai a mette ansia>> sa anche di avergli tirato un'occhiataccia, probabilmente, ma non gli importava poi tanto. <<Scusa. Secondo te quanno tornano?>> aveva risposto l'altro.
<<Non lo so>>
<<Vabbé, che famo allora?>> Jacopo aveva alzato gli occhi al cielo. Doveva fare qualcosa o sarebbe esploso, ne era certo. Fortuna che il più grande - tra i due - era l'altro. A volte gli sembrava di essere una balia.
<<Mio fratello m'ha detto che quando sei agitato vai a fuma' a bordo piscina>> Si ricordava quel particolare perché più volte li aveva visti in quel posto.
Manuel aveva fatto un cenno di assenso, alzando leggermente la testa e portandosi le braccia ad incrociarsi sull'addome. <<Seh. Ve dite proprio tutto, eh?>>
<<Quello che riguarda pure lui sì>>
Era per quello che - poco dopo - si stavano incamminando verso la piscina, quando Manuel aveva ripreso a parlare.
<<M’ha detto che c’è stato un periodo che eravate lontani, ma nun ve riesco ad immagina’>> Jacopo ricordava bene quel periodo, perché era il momento in cui sembrava tutto nuovo e allontanarsi era sembrato fin troppo semplice, quasi naturale.
Come se la ribellione fosse una conquista, anche se poi non ci si rende conto di quanto possa far male quella stessa ribellione.
Jacopo se ne era accorto con il senno di poi. Anzi, si era anche accorto che quell'essere separati non era da loro, era stato innaturale e un po' lo faceva anche sentire in colpa.
<<La terza media è stata un periodo un po’ strano. Pensa che avemo pure scelto due scuole completamente diverse nonostante l’indirizzo fosse lo stesso>> aveva optato per una verità che non portava a rivelare troppo.
Aveva visto Manuel fare un tiro di sigaretta prima di inclinare la testa e guardare verso di lui.
<<I due che… Sì, insomma, quelle merde, che fine hanno fatto?>>
E Jacopo, dopo quella domanda, si era messo a raccontare di quello che era stato il dopo: di come li avessero denunciati, di come ora - quei due - fossero in riformatorio, di come Dante era riuscito a convincere la preside a mettere Simone in classe con lui, nonostante non si potesse.
Sapeva che Manuel era sveglio e sapeva anche che pian piano collegava tutte le cose che avevano vissuto in quel periodo, in quei mesi che era stato lì in casa con loro.
Jacopo non sa nemmeno quanto tempo era passato da quando aveva finito di parlare, sa solo che la sigaretta si è consumata tutta ed erano ancora seduti lì quando Manuel richiama la sua attenzione <<Lapo, ma…>> aveva fatto una pausa e aveva sentito la voce del ragazzo tremare, anche se impercettibilmente <<S-se tu fratello 'n giorno se mettesse con qualcuno o c'avesse qualcuno che ce prova co’ lui... Tu che ne penseresti?>> le ultime quattro parole erano risultate come un sussurro.
<<Je spezzerei le gambine, perché?>> Jacopo di questo era certo. Dovevano passare prima sul suo cadavere perché non avrebbe permesso che qualcuno facesse nuovamente del male a suo fratello. Sapeva che però - prima o poi - quest'eventualità sarebbe successa. Sentiva anche di aver quasi un'idea di chi sarebbe stata quella persona.
In quei mesi ne aveva capite tante di cose. Talmente tante che quando Manuel aveva risposto <<Tanto pe' fa' conversazione>>, lui aveva riso e scosso la testa.
<<Immagino... E io so' mago Merlino, vé?>>
*
Simone - quel pomeriggio - era stato quasi due ore a casa di Pin. Avevano parlato un sacco dopo i primi istitanti di chiarimenti.
Gli aveva detto che se se la sentiva poteva anche tornare a scuola dopo le vacanze di Natale. Ovviamente con loro.
Gli avrebbe fatto conoscere anche Manuel e gli aveva detto anche che gli sarebbe sembrato parecchio scontroso all'inizio, ma che in fondo era un bravo ragazzo.
Quando era uscito - ed era salito nuovamente in macchina con sua madre - aveva scritto un messaggio veloce:
Tutto bene. Sto tornando a casa.
L'aveva indirizzato a Jacopo, il quale aveva risposto con una veloce emoticon di un abbraccio per poi aggiungere poco dopo un Manuel non lo tenevo più.
Aveva riso e aveva deciso che avrebbe mandato lo stesso messaggio anche a Manuel e sul gruppo che aveva con Giulia e Tommaso.
Aveva poi bloccato lo schermo e si era messo a guardare fuori dal finestrino, con il cuore più leggero, lasciando perdere le risposte che arrivano. Voleva godersi semplicemente quella quiete che sentiva.
_______
Il natale era passato davvero tranquillamente, lui si sentiva un peso in meno e - tutto sommato - quelle feste allargate erano state piacevoli da trascorrere. Era da un bel po' che non si trovava a stare così sereno. Quasi gli sembrava un miraggio. A volte non si ricordava nemmeno come fosse, sentirsi in quel modo.
Il fatto è che ormai la sua quotidianità era più verso lo stare allerta o non stare bene che provare quella sensazione, quindi gli faceva strano.
E alla fine si era abituato.
Si era abituato alle mani che tremavano quando non dovevano; a sentire le palpitazioni, tanto che quando non le aveva, credeva quasi che il cuore gli si fosse fermato; si era abituato ad avere meccanismi di sicurezza che lo portavano a tranquillizzarsi; si era abituato perché per troppo era stata la sua quotidianità e tutte quelle piccole cose, quelle piccole conquiste, avevano un significato enorme per lui.
Era il ventisei e Simone cercava disperatamente di capire dove aveva messo il maglione blu che usava di solito a natale. Era entrato di scatto in quella che un tempo era la camera di Jacopo e l'aveva fatto senza pensare di bussare.
<<Manuel?>> aveva detto mette apriva la porta.
<<Dimme>> l'altro aveva risposto subito e Simone si era bloccato.
Bloccato perché non si aspettava minimamente di trovare Manuel senza maglia e questo lo aveva portato a bloccarsi. Il suo cervello aveva sicuramente smesso di funzionare. Ne era certo perché nemmeno si ricordava del maglione.
<<Ma… chi te li ha fatti quei tatuaggi?>> aveva chiesto invece. Perché era completamente catturato. Fino a quel momento era convinto ci fossero solo quelli sulle braccia.
<<Degli amici mia e alcuni io>> alcuni io? Per Simone era completamente strano il fatto che se li fosse fatti da solo. Com'era possibile? Lui si sarebbe fermato ancora prima di iniziare.
<<Fa male?>> aveva chiesto poco dopo, con un'idea che gli balenava in testa.
<<Non troppo, perché?>>
<<Potrebbero farmene uno, sti amici tuoi?>> a volte ti sorprende la vita.
Tipo in quel momento: lui ci stava pensando da qualche giorno ad un tatuaggio che voleva farsi.
<<Posso fartelo io. Ma sei venuto per questo?>> la voce di Manuel gli era arrivata chiara.
Posso fartelo io.
Avrebbe accettato, Simone. Un po' perché era altamente affascinato da quella cosa e un po' perché aveva iniziato a fidarsi di Manuel. Forse più di quanto si aspettava inizialmente.
<<Sì, cioè no… Io cercavo il mio maglione blu in realtà>> maglione blu di cui al momento non importava poi tanto.
Si mettono d'accordo per farlo il pomeriggio, nel garage di casa. Simone non lo dice nemmeno a Jacopo e un po' si sente in colpa, perché si era abituato a condividere nuovamente tutto.
Quasi gli sembrava un passo indietro, invece si convince che è una cosa che fa per sé stesso; non sa spiegarlo bene ma la sente quasi necessaria.
Come se stesse facendo una cosa per sé stesso.
<<Che vuoi fare? Vuoi vedere qualcosa?>> aveva chiesto subito Manuel.
Simone aveva scosso la testa <<No, ho già le idee chiare>> si era fermato e aveva iniziato a ravanare nelle tasche dei pantaloni in cerca di qualcosa.
Aveva poi tirato fuori un foglietto piegato, l'aveva aperto e passato all'altro ragazzo.
<<Questo. Lo sai fare?>> aveva chiesto.
<<Me stai a chiede' se so fa' 'n punto e virgola? Davvero fai?>>
Simone aveva leggermente riso dopo aver sentito quella frase.
Aveva abbassato lo sguardo prima di prendere un profondo respiro e alzare nuovamente lo sguardo su Manuel.
<<Sai, gli autori, quando decidono di non finire una frase ma di continuarla, mettono un punto e virgola. E io - in quest'anno - ho messo il mio punto e virgola. Credo anche di aver fatto bene, perché altrimenti non avrei trovato te>> l'ultima frase gli era uscita di getto. Non ci aveva nemmeno provato a frenarla, né tanto meno avrebbe voluto forse.
Aveva sentito la mano di Manuel scompigliargli i capelli e a lui, quel contatto, era arrivato molto più di qualsiasi parola potesse dirgli.
Era grato di quello.
Grato di come Manuel reagisse ad ogni piccola parte sensibile di sé, come la prendesse in mano senza rendersene conto e come non sembrava nemmeno la stessa persona che era con gli altri, quando era con lui.
Non sapeva proprio quando se ne fosse accorto davvero, quando le cose si fossero modificate ma soprattutto quando aveva iniziato a vederlo sotto un altro punto di vista.
Sapeva però che la sua tranquillità e stabilità stava per essere smossa nuovamente, l'aveva capito dal volto di Manuel e lui non poteva farci nulla.
L'aveva visto entrare in camera come se niente fosse e si rende conto che qualcosa di strano c'è.
Lo nota dal suo sguardo e probabilmente lo percepisce anche, nel momento in cui inizia a intavolare il discorso.
<<Regà, ve devo parla'>> Simone lo squadra un po', per capire come può essere che quattro semplici parole abbiano un tono così brutto.
<<C'hai 'na faccia>> ribatte allora lui.
<<Mi madre… ha trovato 'n bilocale che ce potemo permette. Sta vicino ar museo dove lavora>> aveva visto lo sguardo di Manuel abbassarsi.
Simone ci aveva messo davvero poco a rispondere.
<<Ve ne andate?>>
La risposta di Manuel era stato un leggero mugugno accompagnato da un segno di assenso con la testa.
<<Oh, zì, buono>> Era stato a Jacopo a risponde, con la sua solita tranquillità. Era stato sempre lui quello che si era dimostrato contento per Manuel ed Anita.
Anche Simone lo era, sia chiaro, ma lui non voleva cambiare nuovamente tutto nella sua vita. Era provato dai cambiamenti e sì, per quanto a volte fossero buoni, non facevano per lui. Non in quel momento in cui ancora non aveva imparato a gestirli.
E quello aveva tutta l'aria di diventare un abbandono, più che un cambiamento. O meglio, lui l'avrebbe vissuto così, ne era certo.
<<Q-quando?>> aveva chiesto solamente.
<<Potemo entra' da metà gennaio>> Simone ci aveva messo poco a fare i conti.
Metà gennaio.
Circa venti giorni.
Venti giorni in cui - il cambiamento - non sarebbe stato quello che Simone si aspettava.
Tutt'altro.
Note:
Prendo questo spazio solo per dirvi che mancano due capitoli e un piccolo epilogo alla fine.
Vi ringrazio, come sempre, per aver letto ancora una volta.
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