Capitolo 2
Abner aveva 5 anni all'epoca, stava tranquillo seduto in giardino, mentre la madre stendeva i panni al sole di Maggio.
Sua madre sembrava sempre più spesso stanca e affaticata, sudava e aveva il fiatone dopo il minimo sforzo fisico, per via della grossa pancia che ormai aveva raggiunto quasi il suo culmine, sua mamma diceva che erano due gemelle.
Lui cercava di aiutarla come poteva, in primis occupandosi dei suoi pestiferi fratellini, essendo il maggiore, Corrado era il secondogenito e correva come una furia, avevano solo un anno di differenza, quindi si trovavano bene insieme, Corrado era una furia, se la prendeva per poco ed era facile farlo arrabbiare. Ma era anche un bambino di buon cuore, avrebbe fatto di tutto per proteggere i suoi fratelli, già da così piccolo, proteggeva sempre Danielle, la quartogenita, da lucertole e insetti, perché sapeva che ne aveva una profonda paura.
Danielle era una bambina dolce, aveva solo 2 anni, eppure sembrava che la vitalità dei bambini le fosse cosa estranea, non giocava spesso, usava sempre la scusa del non avere voglia, era solita a guardare il paesaggio con uno sguardo troppo maturo per la sue età e adorava i giorni di pioggia. Per fortuna con lei c'era sempre Darius, il terzogenito.
Darius era un bambino molto particolare, adorava possedere qualsiasi cosa, molto spesso Annamaria, questo il nome della madre, doveva arrabbiarsi con lui quando fregava degli oggetti agli altri fratelli, sembrava non potesse fare a meno di desiderare la roba d'altri per se. Ma quando era con la sorella era diverso, era gentile ed amorevole, come lo era con la madre, anche lui cercava di aiutarla ed era particolarmente bravo ad organizzare giochi che coinvolgessero tutti.
Infine c'era Licoride, la quintogenita, aveva una voracità fuori dal comune e la potevi facilmente trovare a mangiare qualcosa o quanto meno a provarci. Era una piccola bimba allegra ed attiva, sembrava non si stancasse mai di correre in giro per casa ed il giardino, era quella che andava maggiormente badata, in quanto era solita a nascondersi ed intrufolarsi nei posti più impensabili. Aveva appena un anno, compiuto da pochi giorni.
Abner osservava i suoi fratelli e si accertava che nessuno di loro finisse nei guai o si facesse male, mentre sua madre eseguiva da sola tutte le faccende di casa, nella loro piccola dimora isolata dal resto del mondo.
Lui avrebbe tanto voluto esplorare il mondo esterno, ma sua madre gli diceva che loro non sarebbero stati compresi dagli altri, che se fossero usciti allo scoperto il mondo avrebbe fatto di tutto per ostacolarli, per insultarli, per approfittarsi di loro.
Lui si fidava di sua madre, quindi non aveva mai messo in discussione le parole della madre, i giorni passavano e il giorno del parto delle gemelle si stava avvicinando.
Annamaria diventava sempre più stanca, il pancione, ormai enorme, la ostacolava in ogni aspetto della vita quotidiana.
Abner cercava di aiutarla in tutto, dalle mansioni di giornaliere a badare i suoi fratelli.
Molto spesso sua madre si perdeva a sfogliare un vecchio album di fotografie, di sera, quando i bambini erano a dormire.
Abner però non riusciva mai ad addormentarsi facilmente, quindi certe volte andava fino alla camera della madre, in punta di piedi, attento a non far scricchiolare le vecchie tavole di legno del pavimento.
E la vedeva, alla luce di una lampada, con uno sguardo triste e nostalgico, spesso parlava da sola, mentre, dopo aver rispolverato quel vecchio album, si metteva a scrivere lettere che non spediva mai, lui non capiva cosa dicesse, ma la sua malinconia era palpabile nel suo tono.
Annamaria: madre amorevole e sorridente di giorno, si lasciava andare alla malinconia al calar della sera, quindi i figli non potevano vederla.
Giugno era iniziato da pochi giorni quando, la notte del 5, si ruppero le acque alla donna erano le 23 ed era da sola, Abner l'aiutava come poteva, ma in fondo era solo un bambino di 5 anni, al massimo riusciva a passare un panno umido sulla fronte della madre per rinfrescarla durante le spinte.
Lui le stette accanto per tutta la notte.
Quando la prima finalmente nacque il bambino prese un asciugamano e un coltello, con il coltello tagliò il cordone ombelicale, come Annamaria gli aveva detto di fare, poi avvolse quella piccola creatura sporca di sangue.
La bambina non piangeva, non aveva tirato nemmeno un urlo, si limitava ad osservare il nuovo mondo con i suoi occhi diversi, il sinistro era completamente nero, e al posto dell'iride vi era un marchio rotondo, rosso e pulsante.
Lui aveva un marchio simile, sul suo fianco destro, anche quello era rosso e sembrava quasi vivo, aveva chiesto più volte alla madre che cosa fossero e perché lei non ne avesse uno, ma lei rispondeva sempre che glielo avrebbe spiegato al momento opportuno, in quanto lui era ancora troppo piccolo per capire.
La seconda bambina diede più problemi, per quanto la donna spingesse sembrava quasi che quella nuova vita non volesse nascere.
Passarono due ore e finalmente, il 6 giugno, nacque.
Appena uscita si mise subito a piangere e ad urlare, Abner venne colpito più volte da piccoli deboli pugni, tirati da quella bambina.
Anche lei aveva un marchio, ma sul petto, era leggermente diverso da quello della gemella, ma la forma e il motivo era lo stesso, come quelli degli altri fratelli dopotutto, erano diversi ma simili tra loro.
Solo quando la bambina si ritrovò tra le braccia della madre insieme alla sorella si calmò.
Annamaria aveva un sorriso radioso in volto, ma i suoi occhi lasciavano trasparire la stanchezza, guardava le bambine con amore, proprio come aveva guardato tutti i suoi figli alla nascita.
-Mamma, come si chiameranno le nuove sorelline?- Chiese il bambino allegro, adorava i suoi fratelli e sorelle, anche quando lo facevano penare o lo disturbavano.
-Lei sarà Azade- Disse Annamaria indicando la prima nata –Mentre lei Ai- Continuò guardando la seconda.
-E' strano pensare che due gemelle siano nate in due giorni diversi-
-Già, ma questo le rende ancora più uniche, legate nel profondo ma uniche-
-Cosa significano i loro nomi?-
-Hanno un significato molto bello, proprio come il tuo o quello dei tuoi fratelli e sorelle...-
Sua madre aveva ragione, avevano proprio un bel significato.
La mattina dopo tutti gli altri fratelli erano entusiasti di conoscere le due nuove sorelline.
-Ora finalmente la famiglia è completa-
Al tempo Abner non capì cosa volesse dire la madre con quella frase, ci pensava durante il mese successivo, quando Annamaria scattò una foto in cui erano tutti insieme, rispolverando la vecchia macchina fotografica accantonata in un angolo polveroso di uno scaffale.
Grazie alla magia tutti gli aspetti della vita quotidiana erano più facili, sviluppare un rullino era cosa da poco, perfino per una donna come Annamaria, che non sapeva niente di fotografia.
Quella foto, della loro famiglia al completo e felice, aveva trovato dimora fissa.
In quella foto erano tutti sorridenti, Annamaria era seduta sull'erba al centro, teneva in braccio le due gemelle che si tendevano le piccole mani, quasi come se si stessero cercando, il resto dei fratelli era intorno alla donna: Abner era a sinistra che volgeva il suo sorriso alla camera, Danielle aveva lo sguardo mezzo addormentato e vicino a lei c'era Darius, che teneva stretto a se l'esile braccio della sorella, Corrado era fiero sul lato destro e vicino a lui c'era Licoride seduta a guardare con curiosità la camera.
Una felice, che in qualsiasi altra famiglia si sarebbe potuta vedere spesso.
Però quella felicità non durò a lungo.
Un giorno degli uomini vestiti di nero, con delle lunghe stole e dei rosari d'argento al collo vennero a fargli visita, Abner sapeva che sua madre li conosceva dallo sguardo serio con cui li osservava avvicinarsi, non aveva mai visto sua madre così seria.
Gli uomini e Annamaria andarono a parlare in una stanza che chiusero a chiave, i bambini rimasero a giocare in giardino, come la madre gli aveva detto.
Ma lui era troppo curioso, forse quegli uomini avevano delle risposte su di loro.
Così si mise ad origliare dalla stanza vicino, il muro aveva un piccolo buco, con cui si riusciva sia a vedere che a sentire abbastanza.
-Come va con... con... quelle disgrazie?- Chiese uno degli uomini.
-Non sono disgrazie, sono i miei figli- Rispose seccata Annamaria.
-Andiamo Anna, lo sai quanto noi che non possono che esserlo, hanno la distruzione nel sangue, "sono nati per uccidere e uccideranno, sono nati per distruggere e distruggeranno, diffidate dalla loro forma e confidate in Dio" ti sei già dimenticata cosa ci hanno insegnato?- Chiese uno di loro.
-Non me lo sono dimenticata Samuele, ma loro, loro... li ho tenuti in grembo per nove mesi, li ho visti nascere, sono loro madre nel bene e nel male, voi non potete capire tutto quello che sto cercando di fare, in un modo o nell'altro io... io... devo riuscire a salvarli- Rispose con decisione, il suo sguardo lasciava trasparire l'irritazione che provava in quel momento.
-Hai notato cambiamenti rilevanti in "loro"?- Chiese un altro, sottolineando con disgusto il "loro".
-No Gabriele, se proprio ti interessa, non sono altro che dei normalissimi bambini-
-Loro non sono dei normali bambini, diventeranno dei mostri e lo sai- Disse fermamente l'uomo che rispondeva al nome di Samuele.
-Lo diventeranno di certo se le persone continuano a trattarli da mostri anche se non sa nulla di loro, io voglio solo farli crescere normalmente, è forse sbagliato per una madre?-
-No, ma quando si tratta di "loro" ogni sforzo è inutile, nemmeno una donna forte come te può riuscire in un'impresa simile, Dio non ti perdonerà se continui su questa strada-
-Il Dio in cui credo perdona tutti, incondizionatamente, il Dio in cui credo non colpevolizza dei semplici bambini per via dei loro padri-
-Dovrebbe invece-
-Fuori di qui-
-Annamaria noi vogliamo solo...-
-Ho detto fuori di qui, andatevene prima che vi uccida e non tornate se volete solo insultare i miei figli- Pronunciò con fermezza Annamaria, trattenendo appena la rabbia.
Gli uomini se ne andarono in silenzio, sapevano bene che anche se erano in maggioranza, quella donna avrebbe potuto ucciderli tutti senza neanche molto sforzo.
Abner aveva mille domande in testa: Chi erano quegli uomini? Perché loro non sarebbero stati dei normali bambini? Perché erano destinati a fare cose terribili?
Era forse per questo che la mamma aveva lo sguardo malinconico la sera? Perché loro le avevano rovinato la vita? Erano davvero delle disgrazie?
Senza pensarci entrò nella stanza, dalla porta che gli uomini avevano lasciato aperta, si avvicinò alla donna e le prese la mano.
-Mamma, chi siamo noi?-
Annamaria guardò il figlio: aveva gli occhi lucidi e uno sguardo che esigeva delle risposte. Aveva ascoltato tutto, ne era certa.
-Voi siete i miei splendidi figli, il dono più grande che mi abbia fatto Dio- Rispose lei, con il suo solito grande sorriso.
-Ma allora perché quelli ci hanno chiamato "disgrazie"?-
Annamaria si raggelò, non sapeva come rispondere alla domanda diretta del figlio, era così piccolo, doveva già dargli un simile peso? O avrebbe dovuto mentirgli?
-Mamma, dimmelo, ti giuro che non lo dico agli altri, voglio solo che mi dici la verità-
La decisione del bambino convinse la donna a parlare, così si sedette sulla poltrona, prendendo in braccio il bambino, doveva essere chiara, ma senza far pesare la situazione al piccolo.
-Vedi Abner, quegli uomini sono degli esorcisti, sono delle persone che hanno il compito di sconfiggere i demoni e tenerli sott'occhio-
-Ma allora che volevano da te?-
-Anch'io ero un'esorcista, tanto tempo fa, prima che rimanessi incinta di te-
-Io ti ho rovinato la vita?-
-No, cosa vai a pensare?- Rispose ridendo la donna, tranquillizzando il bimbo –Ammetto che quando lo scoprì ero molto sorpresa e anche preoccupata, ma non per me, per voi, per quello che sarebbe stata la vostra vita, perché è vero Abner, voi non siete bambini normali-
-E cosa siamo?-
-Hai presente il marchio con cui ognuno di voi è nato no? Quello è un segno che dimostra chi sono i vostri padri, vedi Abner... quelli sono i marchi dei sette vizi capitali e si ottengono insieme a specifiche abilità magiche, solo con un patto demoniaco-
-Ma noi...-
-Voi non avete nessun patto, ci siete nati, questo perché voi siete i figli dei sette principi demoniaci che rappresentano i sette vizi capitali-
-Eh?-
Il bambino rimase confuso e senza parole, fin dalla più tenera infanzia sua madre gli aveva insegnato che i demoni sono il male, che vanno combattuti tutti i giorni, che spingono gli uomini nella tentazione e che solo Dio poteva aiutarli a sconfiggerli.
-Ma quindi noi siamo il male?-
-No Abner, i vostri padri lo sono, voi siete liberi di scegliere che vita vivere, ma tutti vi guarderanno e vi giudicheranno sempre come dei mostri, per via del marchio che avete sulla pelle e delle vostre origini, tu puoi diventare come dicono loro: un mostro, ma puoi anche lottare per non esserlo, per riuscire ad essere visto per quello che sei realmente. Il mondo vi ha condannati alla più grande piagha degli uomini: il pregiudizio, tu sei il maggiore, promettimi che se dovessi fallire io ci proverai tu a rendere la vita dei tuoi fratelli il migliore possibile. Voi siete condannati a lottare in eterno contro questa piaga, insieme al vostro istinto più malvagio, ma in fondo non siete che uguali ad ogni altra persona che cammina su questa terra, ora sorridi, non permettere mai che altre persone ti rubino la felicità, continua a ricercarla in qualsiasi situazione e in ogni luogo-
-Si-
Abner rimase commosso dal discorso della madre, si vedeva l'amore che provava per loro riflesso nei suoi grandi occhi rossi, tutto l'impegno che ci stava mettendo per riuscire a donare una vita migliore ai suoi figli, tutta la stanchezza derivata da ciò, ma la determinazione a non arrendersi.
Tutto quell'amore, misto alla rivelazione terribile di qualche momento prim, lo colpì a tal punto da far uscire delle lacrime dai suoi occhi, Annamaria allora lo circondò con le sue braccia e lo strinse a se, cantando la ninna nanna che era solita a cantare nelle notti in cui i bambini avevano degli incubi.
-Mamma io... io... non voglio essere un mostro-
-Nessuno vuole esserlo, devi solo dimostrare a tutti quello che sei davvero-
-Ma se poi divento come quello che dicono?-
-Abner, se avrai lottato fino in fondo per non diventarlo la colpa non sarà tua, lo sarà solo quando ti lascerai andare-
-Ti voglio bene mamma-
-Io te ne voglio molto di più tesoro-
Quella sera Abner andò a dormire con timore, ma doveva essere forte, proprio come aveva promesso alla mamma.
Quella notte in sogno Abner vide una ragazza vestita di bianco.
Gli era familiare, ma non se la ricordava.
Quella ragazza gli parlò.
-Perché sei triste?-
-Perché nessuno mi vorrai mai bene oltre la mamma e i miei fratelli-
-Ti sbagli, anche se ci vorrà molto tempo la troverai e te ne accorgerai quando dopo averle rivelato la tua identità lei o lui che sia, ti sorriderà-
-Come fai a saperlo?-
-Esperienza personale-
-Ma tu chi sei?-
La ragazza sorrise, poi mise l'indice davanti alle sue labbra, facendo il classico gesto del silenzio.
Dopo quello la mattina arrivò, ma purtroppo i giorni felici erano ormai finiti.
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