Capitolo 1


Ai dopo essere uscita da quella prigione era come una bambina iperattiva, il vento fra i capelli, il fresco di inizio autunno sulle guance e il sole che le batteva sulla pelle la facevano sentire viva dopo tanto tempo, tutto splendidamente contornato dai colori caldi delle foglie che incominciavano ad ingiallire e cadere.

Mosès la fece accomodare sul sedile posteriore di un'auto non troppo appariscente, con i vetri oscurati e un autista che le stava aspettando da chissà quanto.

Ad aprirle la portiera era stato un ragazzo biondo, con i capelli corti, con gli occhi grigi e un bastone da cieco in mano e un sorriso tranquillo in volto.

Sembrava un ragazzo gentile, uno di quelli che ogni padre avrebbe desiderato per la propria figlia.

Non sembrava minimamente preoccupato di avere una delle criminali più temute in circolazione davanti, ma dopotutto lei non poteva fargli niente, altrimenti se ne sarebbe tornata nella sua comodissima cella, anche se doveva ammettere che la voglia di dipingere quel triste marciapiede grigio con un bel rosso acceso, era fortemente presente in lei.

Ai si sedette sul sedile, subito seguita al suo fianco dal ragazzo.

-Ma tu chi sei?-

-Io sono Edzar, l'aiutante, segretario, chiamami come ti pare della ragazza di ghiaccio qui di fronte- Rispose il ragazzo, riferendosi a Mosès che sedeva sul sedile del passeggero davanti, la grande croce che portava si era rimpicciolita mantenendo lo stesso peso, la magia esisteva anche per semplificare la vita delle persone dopotutto.

-Ah, ok-

La conversazione non continuò, in quanto la ragazza si era già annoiata dopo quelle poche parole scambiate in modo quasi casuale.

Il viaggio durò un paio d'ore, dopo le quali Città del vaticano comparì di fronte a loro in tutta la sua imponenza.

Ai poteva chiaramente sentire l'aura di tutta quella magia "bianca" già da molto distante, la disgustava, sentiva il marchio che aveva sul petto, quello con cui era nata e che la contraddistingueva come "Superbia", fremere, sembrava che anche lui venisse disgustato da tutta quella santità.

Dopo essere scesa dalla vettura ed aver varcato il confine di quel posto poi, il disgusto si trasformò in vero e proprio dolore, dolore che si espandeva dal suo marchio maledetto, fino a raggiungere gli altri sei, marchiati a fuoco sulla sua pelle senza il suo consenso, durante un periodo della sua vita che non le piaceva ricordare.

La lussuria sul fianco destro, l'ira sulla nuca, l'avarizia sulla mano sinistra, l'accidia sulla caviglia dallo stesso lato, la gola sulla lingua ed infine l'invidia, sul suo occhio sinistro, quello era il marchio probabilmente più visibile di tutti sul suo corpo, in quanto il nero di esso faceva particolare contrasto con la tonalità accesa del suo occhio.

Il marchio della superbia sul suo petto era visibilmente diverso dagli altri, rosso e pulsante, esso la contraddistingueva da qualcuno che aveva deciso di fare un patto col diavolo e si era marchiato a fuoco con un segno indelebile.

Ogni fibra del suo corpo sembrava dirle di scappare il più lontano possibile da quel luogo, che rappresentava l'esatto opposto di quello che era.

Ma lei non era il tipo di persona che scappava, anzi, il dolore e la scarica d'adrenalina che l'essere in pericolo provoca, rendeva il tutto ancora più divertente.

Il brivido di non avere un finale prestabilito l'esaltava sempre, così sorrise, iniziando a sfregare i denti fra di loro.

La sofferenza che le provocava quel luogo venne però fermata da Mosès, che con un semplice incantesimo fece scomparire il dolore dalle percezioni di Ai in quel momento.

-Wow Mosèsuccia, non sapevo sapessi fare cose fighe come far sparire il dolore, sei fantastica, quasi quasi ti prendo come infermiera personale-

-E' naturale che la chiesa ferisca i sette vizi capitali, se resti troppo a lungo nel Vaticano senza una barriera adeguata a lungo potresti addirittura morire- Lo disse con una calma snervante, come se per lei, se Ai morisse o no fosse lo stesso.

-Quindi cose sante uguale bua per me?-

-Si, ma ho incantato la tua divisa scolastica, finchè ne porterai almeno una parte con te sarai al sicuro, la troverai nella tua stanza-

-Incredibile, non credevo che ti servissi al punto da spingerti a fare questo per me, dovrei sentirmi onorata? Tanto non lo sono-

-Queste sono le chiavi della tua stanza, preparati, domani è il 13 Settembre, inizia la scuola-

-Venerdì 13 per l'esattezza- Precisò Ai, poteva esser stata rinchiusa per dieci anni, ma la noia era talmente forte che non le aveva permesso di perdere la cognizione del tempo.

La ragazza dagli spettinati capelli neri incominciò a correre per la città, euforica, anche se le gambe le facevano male e inciampava più volte su se stessa per via degli anni d'intorpidimento muscolare.

Sua madre le raccontava spesso del misterioso Vaticano, di come le statue sopra le colonne sembravano osservarti con occhio critico, di come l'imponente entrata della basilica di San Pietro la rassicurasse e la facesse sentire al sicuro, di come erano rigidi gli insegnanti ai suoi tempi.

Glielo raccontava sempre con un sorriso nostalgico sulle labbra e uno sguardo perso nei ricordi di quei tempi, quando ancora non conosceva la sventura che si sarebbe abbattuta sul suo grembo.

Ai era molto affezionata a sua madre, quasi quanto lo era alla gemella, nata appena 2 ore prima di lei, con la mezzanotte che tagliava di netto il confine tra la loro data di nascita, gemelle nate in due giorni diversi per uno scherzo del destino.

La ragazza scosse la testa mentre correva tra gli edifici marmorei, ora che era uscita da quella prigione il passato tornava a tormentarla e si rendeva conto di quanto fossero lontani i momenti passati assieme alla madre e alla sorella.

Scacciò quei pensieri nostalgici, quello che importava in quel momento era solo il presente, chissà quanto tempo sarebbe passato prima di poter godere di nuovo del sangue sulle sue mani, voleva macchiarle molto di più di quello che erano già.

Di sentire il rumore sordo di una testa che cade sul pavimento, dopo ore passate ad ascoltare urla di terrore e dolore.

Sentire lo sfrigolare della pelle altrui per il calore insopportabile delle fiamme che lei stessa aveva generato.

Anche se in effetti poteva già facilmente affogare nel suo peccato.

Era sbagliato pensare cose del genere, lo sapeva benissimo, ma a lei piaceva, divertirsi al prezzo delle vite altrui, essere considerata il male, il cancro che quella società cercava così insistentemente di sconfiggere, ma che tornava sempre.

Le piaceva essere quel tipo di persona, quella che ride guardando la sofferenza, quella che squarcia il grembo di una madre per uccidere il feto prima che possa nascere, quella che attira i bambini con i dolci per poi seppellirli in buche così profonde da raggiungere quasi l'inferno, quella che stacca la spina in ospedale anche se c'è ancora una speranza.

Nel frattempo che questi pensieri le riempivano la mente, arrivò alla scuola.

Il Vaticano era stato ingrandito da quando la magia era comparsa sulla Terra grazie alla misericordia di Dio, circa mille anni prima.

Cadde più volte durante la sua corse, ma questo non faceva che alimentare la sua euforia, le sbucciature che si formavano sulle sua ginocchia erano solo un segnale in più che era finalmente libera.

Arrivò fino all'entrata della scuola, un grosso portone di legno laccato bianco, in tinta con le pareti bianche immacolate che componevano l'edificio.

Il giardino che circondava quell'ammasso di mattoni e calcestruzzo, era uno splendido giardino perfettamente curato, con erba verdissima, alberi e siepi perfettamente potati, non una foglia fuori posto e stradine che gli correvano affianco con eleganza.

Lei stonava in tutta quella perfezione e attenzione per i dettagli: con i suoi piedi scalzi e pieni di graffi, con i vestiti logori e sporchi e con i capelli lunghissimi, spettinati e sfibrati, si poteva notare lontano un miglio che non era solita girare per il Vaticano.

Per fortuna era domenica ed era l'ora della messa, quindi chiunque fosse stato nelle vicinanze era troppo impegnato ad ascoltare le parole di un uomo vestito di bianco, piuttosto che notare una ragazzina stracciona.

All'ombra di un albero però, una ragazzo sembrava voler trasgredire questa regola, leggendo un libro anziché ascoltare la predica dell'uomo bianco.

Doveva essere abbastanza alto, con i capelli di un castano scuro e mossi, abbastanza lunghi per un ragazzo, tenuti pettinati all'indietro grazie a del gel o qualcosa di simile.

I suoi occhi, anch'essi castani ma chiari, seguivano diligentemente le righe di parole, senza staccarsi mai dalla pagina, mentre una mano provvedeva a voltare pagina ogni qualvolta fosse giunto alla fine.

Indossava la divisa della scuola, con la cravatta a strisce rosse e blu leggermente lenta, sopra la camicia nera, mentre la giacca bianca era slacciata.

Incuriosita Ai si avvicinò al ragazzo, senza preoccuparsi di quanto rumore facesse, si coprì l'occhio destro con una ciocca di capelli e la mano e la caviglia con dei pezzi di tessuto. Probabilmente se fin dall'inizio incominciava a spaventare a morte per i suoi marchi Mosès non l'avrebbe lasciata in pace un attimo.

Si abbassò fino a raggiungere la stessa altezza del ragazzo seduto, poi allungò la mano e gli strappò il libro che stava leggendo tranquillamente.

-"I sette vizi capitali" eh?-

-E' il libro che ci ha assegnato quello di demonologia, ma tu chi sei? Guarda che il banco della carità per i senza tetto è dall'altra parte-

Ai si mise a ridere, davvero quel ragazzo l'aveva definita una senza tetto?

-Guarda che io una casa ce l'ho, vivo al dormitorio scolastico da oggi-

-Ok novellina, ora però mi ridaresti il libro?- Chiese lui abbastanza scocciato.

Ai di tutta risposta incominciò a leggere, il ragazzo si alzò, doveva essere alto poco più di 1,80m.

-"I sette vizi capitali sono i figli dei sette principi demoniaci, per questo la loro natura è naturalmente crudele e spietata, sono completamente soggiogati al vizio a cui appartengono e non esiste salvezza per loro, in quanto il loro destino è già scritto"-

-Ok primina, ora mi vorresti ridare il libro?- Disse il ragazzo, sempre più irritato.

-Solo se mi dici di che classe sei-

-Di 3C, ora se non ti dispiace-

-Ok, ok, ma non ti agitare, tanto quel libro spara solo cazzate-

-Che ne sa una matricola scusa?-

-Già, che ne può sapere una "povera" ed "innocente" ragazza, appena arrivata a questa "fantastica" scuola privata per ricconi-Disse lei, sottolineando alcune parole con una strana ironia.

Lui la guardò con diffidenza, da dove diamine era uscita fuori questo pagliaccio?

-Va bene, novellina, barbona, quello che sei insomma-

-Io mi chiamerei Ai in realtà, ma se non te lo ricordi puoi anche chiamarmi la fantasticissima Ai, non mi offendo-

-Ok Ai, ora devo andare, ho sicuramente cose migliori da fare che parlare con una stramba ragazzina-

Il ragazzo se ne andò, mentre lei sorrideva soddisfatta, la scuola sembrava più divertente di quanto le avessero raccontato.

-Oh ecco dov'eri finita-

Mosès era dietro di lei, probabilmente la stava cercando, in quanto non è certo la persona migliore da far andare in giro da sola.

-Senti Mosesuccia, non è che sarebbe possibile per me essere assegnata alla 3C?-

-Si, ma cosa vuoi fare lì?-

-Diciamo solo che ho trovato un giocattolo interessante-

La ragazza dai capelli bianchi annuì, per poi fare cenno alla ragazza insieme a lei di seguirla.

Camminarono fino ad arrivare ad un altro edificio, attaccato alla scuola, anche questo bianco e anche questo con un grande portone.

La targa che vi era all'entrata recitava: "Dormitorio femminile".

Era dunque quella la sua nuova casa.

Entrarono e salirono qualche rampa di scale, fino ad arrivare al terzo piano, per poi arrivare davanti alla camera 423.

-Ti chiedo solo di comportarti abbastanza bene affinché non debba spedire la tua compagna di stanza in un ospedale psichiatrico, ho già troppo lavoro da fare-

Bussarono, dopo pochi secondi arrivò una ragazza ad aprirgli.

Aveva i capelli castano chiaro raccolti in una coda disordinata, gli occhi ambrati avevano sotto di loro delle leggere tracce d'occhiaie, era alta circa 10 centimetri più di Ai, raggiungendo circa il 1,70 m.

Ma la cosa che più colpì la nuova arrivata furono le forme perfette di quella ragazza, con il suo seno prosperoso e la sua forma a clessidra era sicuramente fonte di una segreta invidia da parte di molte altre ragazze, ma naturalmente a lei non toccava cotanta perfezione fisica, insomma lei era la grandissima e fantasticissima Ai.

-Ai Mary, Mary Ai, da ora sarete compagne di stanza e detto questo me ne vado, ho del lavoro da finire- Dicendo ciò Mosès se ne andò come se nulla fosse.

Ai entrò nella sua nuova stanza, era una comunissima stanza da dormitorio scolastico, con due letti e un piccolo bagno annesso, dovevano essere proprio ricchi questi figli di papà per potersi permettere stanze con bagno annesso.

Rivolse lo sguardo più volte alla sua compagna di stanza, Mary, era così che Mosès aveva detto che si chiamava no?

Si buttò su uno dei due letti, senza che le importasse se aveva beccato il suo o quello dell'altra ragazza, voleva farsi una bella dormita, come non ne faceva da anni ormai.

Un ragazzo si stava dirigendo a Roma.

Aveva capelli lunghi e neri, occhi cioccolato e un corpo da far svenire tutte le ragazze etero e i ragazzi gay nel raggio di kilometri, doveva avere sui 21 anni.

Lo accompagnavano due gemelli, della stessa età, con uno stravagante colore di capelli: Lei aveva la frangia blu e il resto viola, mentre lui il contrario.

-Signore finalmente siamo qui!- Iniziò lei.

-Finalmente potrà avere le risposte che cerca!- Finì lui.

I gemelli erano francesi probabilmente, si sentiva dal marcato accento e dalla erre inesistente.

-E noi...- Disse lui.

-..tutti noi-Continuò lei.

-Siamo qui per aiutarla con tutto il nostro amore!- Esclamarono insieme.

Il ragazzo dai capelli neri aveva un lungo seguito dietro di lui, abbastanza perché potesse essere definito un piccolo esercito.

L'unica cosa che fece in risposta ai due gemelli fu un sorriso, con cui pregustava le parole di verità che presto avrebbe ottenuto.

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