Capitolo 7

L'ESTATE



Si potevano dire iniziate le vacanze estive quando finiva la pacchia del tironicinio, anche definito come "stage". Un vero inferno. Ma era arrivato finalmente il mese di giugno e, all'esatta metà di esso, ero libera da ogni impegno preso con la scuola. Così come i miei amici. Prima passavamo i sabati sera a lamentarci ci come ci trattavano a lavoro e di come non ci farevano fare niente se non fare fotocopie o trascrivere qualcosa al computer. Non avevamo imparato niente di più, ma ciò importava poco, perchè era arrivato il momento di divertirci.
Alle 6:40 precise, del mattino del 16 giugno, dopo una leggera colazione, scesi le scale di casa con la mia valigia. Per strada mi aspettavano Cassie e Cole, con la sua macchina, e Nate arrivato a piedi, pronti per andare nella zona più a sud del grande e sinuoso Lake George, a solo poco più di un'ora da lì. Davanti a casa mia arrivarono pure gli altri, con il fuoristrada di Brent, così per re-organizzare le disposizioni nelle macchine. In quella di Brent salirono coloro che si sarebbero dovuti fermare prima, per raggiungere le baite più piccole; e in quella di Cole coloro che avrebbero dovuto proseguire fino a quelle più grandi. Tutte però sul lato ovest. Per tutto il viaggio, sedetti accanto alla mia nuova coinquilina, e lo sarebbe stata per tutta la nostra vacanza. Durante il viaggio, sui sedili posteriori, le nostre gambe si toccavano. Capimmo di essere arrivati quando, usciti dall'autostrada, incominciammo a trovare più alberi e più resort che cemento. Sorpassati i resort, arrivammo alle prime due case, che a colpo d'occhio non sembravano poi così piccole. Una delle due si affacciava col retro sul lago, e probabilmente sarebbe stata quella più contesa. Arrivati alla baita di Brent, Cole parcheggiò la macchina, ed io e Cate andammo a piedi con le nostre valigie verso il nostro alloggio. Era un tipico chalet di tre piani, fatto completamente in legno e vetro specchio con un camino di mattoni che faceva capolino da un lato.

« Allora, sei pronta? » mi sorrise.

Salì le scale, appoggiò accanto a sè la valigia e aprì la porta. Entrate dentro, mi ritrovai in un grande spazio. Davanti a me, leggermente a sinistra, delle scale che portavano al piano superiore. Sulla destra una grande cucina moderna, sulla sinistra invece una grande sala. Lasciai la mia valigia in quest'ultima, e mi guardai attorno. Sulla parete sinistra il vetro che decorava anche la facciata della baita, quello da cui noi potevamo vedere fuori ma fuori non potevano vedere dentro. Davanti a me una parete con una vecchia libreria piena di vecchi libri, su quella opposta c'era una TV moderna e un impianto audio incastonato nella parete di mattoni in roccia grigia. Sulla sinistra grandi portefinestre che si affacciavano sulla radura e sul lago. Sul parquet un tappeto nero, e su di esso un grande sofà. Poco distante dai vestri un bellissimo pianoforte a coda nero. Ero sbalordita, quella stanza era gigantesca.

« Ogni casa che avete è sempre così ben arredata? » dissi, scatenando una sua risatina « Chi suona il pianoforte in casa tua? »

« Io » rispose semplicemente « Vieni, ti faccio vedere il resto, fai pure come se fossi a casa tua »

Mi fece vedere la cucina, grande quasi quanto la sala, con mobili interamente in legno ma con elettrodomestici e piano cottura all'avanguardia. Mi fece vedere anche dov'era il bagno. Al piano di sopra due camere da letto, uno studio e un secondo bagno, molto più grande i quello al piano terra. Salendo ancora le scale si arrivava al sottotetto, che era adibito a loft. Il soffitto era completamente di legno, di bellissime e spendenti travi in legno che sorreggevano l'intera struttura. C'era anche lì un terzo letto matrimoniale, un divano a forma di "U" allargata e davanti ad esso un giradischi con una svariata selezione di vinili al suo fianco. Su una mensola macchine fotografiche ancora più vecchie di quelle che aveva in mostra a casa sua. Era tutto così bello, quella era la casa dei miei sogni.

« Vedo che ti piace. Sicuramente ti piacerà anche il giardino »

Sul retro, uscendo sia dalla portafinestra in sala o in cucina, si potevano trovare delle scale che ci avrebbero portate a un ponte galleggiante in legno, che si estendeva per circa una decina di metri sul lago. Tra due tronchi una bellissima amaca. Sotto gli alberi non si sentiva per niente il caldo, e l'acqua era limpida e calma... sembrava di essere in un sogno.

« Questo posto è il paradiso » dissi, guardando quel meraviglioso spettacolo della natura davanti ai miei occhi.

Lei era rimasta dietro di me, a braccia conserte « Mi fa davvero piacere. Così magari ci divertiremo come coinquiline »

Rientrate in casa, io presi una delle due camere da letto e lei la sua, per mettere a posto le nostre cose fuori dalla valigia. A metà mattinata andammo da Nate e Cole per andare a fare la spesa in un minimarket lì vicino. Trovammo anche gli altri, che erano arrivati prima di noi rispetto all'orario che avevamo deciso, così cominciammo a decidere cosa fare quella sera, se andare subito al campeggio dove c'erano le cabine e le piccole baite dei figli di papà oppure starcene per conto nostro.

« Io dico di andare a vedere intanto com'è la situazione, non ho chiamato nessuno per sapere se ci sono » disse Brent, afferrando una bottiglia di latte dal frigo « Ancora non so se Lewis è arrivato al campo e se ci sono i suoi con lui »

Lewis era uno dei suoi amici d'infanzia con la quale passava le estati lì prima di andare all'università, e si ritrovavano solo quando dovevano fare festa in uno dei loro chalet durante le vacanze.

« Facciamo una serata di recognizione, non mi sembra una cattiva idea. Poi magari potete passare il resto della serata da noi, abbiamo trovato dell'ottimo bourbon in un sofisticato armadio di alcolici » sorrise Nate, guardando dritto negli occhi il diretto interessato, non cui il proprietario di quella costosissima bottiglia.

« Veniamo per controllarvi che non facciate cazzate con quella roba. Non la dovete toccare. Possiamo aprire una bottiglia di vino, e basta »

Così ci organizzammo, e dopo una lunga giornata con i nostri rispettivi coinquilini, la mia passata a rimettere a posto la mia roba e ad ambientarmi con il luogo, dopo cena, ci ritrovammo allo chalet dove alloggiavano i due malandrini per seguire la via sterrata che conduceva a un resort di cabine, solitamente affittate o comprate da giovani ragazzi con i genitori più che benestanti. Essendo solo una cosa di passaggio, ci trattenemmo il giusto per far capire a Brent se c'erano i suoi amici, ed era così. Chiaccherò con un paio di loro che erano appena tornati da una battuta di pesca serale. Sembravano davvero giovani adulti, io e i miei tre amici a confronto eravamo ancora dei ragazzini. Comunque Brent tornò con ottime notizie, per ogni sera c'era un evento organizzato da loro, con musica e alcol, sia all'aperto che in uno dei loro chalet. Tornati alla base, stappammo quella bottiglia di vino che ci aveva promesso.

« Quando finiamo la bottiglia giochiamo ad obbligo o verità? » propose Gia, suscitando in Brent una strana reazione.

« Non siamo bambini, ti prego. Sai bene che ho fatto le peggio cose per colpa di quello stupido giochino, non vorrai mica rievocarle! »

« Sarà un obbligo divertentissimo il tuo »

Finita la bottiglia in meno di venti di minuti, cominciammo a farla girare sul pavimento in legno. Per sfortuna del vero padrone di casa, piombò proprio su di lui, e Gia gli fece raccontare la prima volta che ci giocarono, quella a detta sua più traumatizzante. Ci raccontò che al primo anno di università, ad una festa a casa si uno dell'ultimo anno, lo avevano obbligato a baciare la ragazza di questo tizio, che non la prese bene. Pur sapendo che era stato un obbligo, non ne volle sapere: lo prese per la collottola e gli affogò ripetutamente la testa nel cesso dove uno ci aveva appena vomitato due bottiglie di vodka. Stette a casa per tutta la settimana perchè per colpa del mix di succhi gastrici, di alcol e lemon tonic gli avevano fatto diventare le punte dei capelli un po' scolorite, e si era dovuto raparsi la testa per farli ricrescere sani. La serata andò avanti tra sciocchi obblighi da parte di Nate a Cole, che per tre turni di seguito si fecero a vicenda le peggio cose. Le verità erano le più noiose, tranne quando Cassie mi chiese se ero già stata a letto con Ethan. Ufficialmente non stavamo ancora insieme, anche se mi assillava di già con messaggini carini di buonanotte. Tornati ognuno alle proprie dimore, fu Cate a farmi una specie di terzo grado.

« Non ti dispiace se fumo in casa? » le chiesi. Lei annuì e mi fece accomodare a sedere, mentre lei accendeva il camino.

« Come va la tua relazione con Ethan? » cominciò.

« Tutto bene, per ora. Anche se non stiamo insieme »

Lei si mise a sedere accanto a me, discretamente vicina.

« Allora perchè ti sta chiamando a mezzanotte passata? » indicò il mio telefono. Io però lo lasciai squillare.

« Perchè non rispondi? »

« Deve imparare che è tardi e che non mi deve telefonare quando sto dormendo »

Lei sorrise. « Astuto... Però sei sveglia, e stai fumando. È come se tu non ci volessi parlare. O mi sbaglio? »

Io sbuffai. Non volevo parlare di lui, per lo più con lei. « Sono stanca per sentire le sue chiacchere, è davvero logorroico quando ci si mette »

« A me sembra che tu non voglia stare con lui »

Sospirai. Perchè pultroppo aveva ragione, ma sentivo che forse sarebbe andato meglio se avessi lasciato passare un po' di tempo. Forse la situazione sarebbe andata a migliorare. Mi sentivo strana in quel periodo, e io volevo solo tornare a sentirmi normale.

« Tutto va come deve andare » dissi, amaramente, spegnendo la sigaretta nel portacenere di ceramica sul tavolo davanti a me.

« No, Margot. La vita non è come andare al cinema. Non stai fermo su una poltrona e ti guardi le scene della tua vita scorrere davanti agli occhi mangiando popcorn. Non puoi stare fermo a guardare e basta, lasciando che tutto ti scivoli addosso senza fare niente »

I suoi occhi brillavano di luce propria, ma erano diventati al tempo stesso di un verde opaco. Non riuscivo a capire come fosse possibile, eppure erano davanti a me, a un palmo dal mio naso.

« Quello che vedi te, forse, sono tanti piccoli frame della realtà. Delle cornici che inquadrano un mondo perfetto, che non lo è. Tutti si mettono in posa ma se gli cogli di sorpresa puoi scorgere la loro vera natura. E io riesco a vedere la tua, Margot. E non sei felice con lui »

Quella che studiava la mente umana ero io e mi ritrovavo io ad essere analizzata e priva di argomentazioni. Continuai a guardarla dritta nelle sue pupille dilatate. Non battè ciglio. Alla fine mi alzai, le diedi la buonanotte e andai in camera mia. Non so per quanto rimase in salotto. So solo che mi addormentai ascoltando lei suonare qualcosa al pianoforte, e mi risvegliai con il solito suono armonioso. Erano le 6:30 quando scesi dal letto e andai a vedere se quello che sentivo era effettivamente lei a suonare. Me la ritrovai davanti, con i capelli sciolti, una t-shirt e un paio di pantaloni da notte. Era completamente scalza. Il camino emanava calore, ma il fuoco era spento, come se fosse stato spento da poco.

« Che stai suonando? » mi feci avanti.

Lei voltò la testa dolcemente verso di me. « Oh, sei sveglia. Scusa se sono stata io, ti ho sicuramente disturbata »

« Che stavi suonando? » ripetei la domanda.

« L'Estate, di Vivaldi. È un pezzo bellissimo e molto difficile, compreso nei pezzi per concerto de "Le quattro stagioni". Sarebbero per violino, ma mi diletto spesso a provarli col pianoforte »

« Sei bravissima. Andavi velocissima con quelle dita sui tasti, e poi con così tanto pathos che ho sentito una morsa nel petto » mormorai quest'ultimo particolare. Forse non abbastanza perchè Cate lo sentì lo stesso, e mi sorrise. « Uhm, se vuoi ti faccio un po' di caffè e te lo porto, ma te non smettere di suonare »

« Te ne sarei grata »

Mentre mettevo a bollire l'acqua, la sentii cambiare melodia. Era una molto più calma rispetto a quella precedente che sembrava un mare in burrasca. Riempii due tazze, una per me e una per lei, che gliela portai mentre ancora stava suonando, concentrata, davanti alla natura che faceva capolino dietro le finestre.

« Bach, "Cello Suite No.1" » rispose senza nemmeno aver formulato la domanda. Si interruppe e prese la tazza calda « Scusa ancora se ti ho svegliata, è un passatempo che mi mancava »

« Tranquilla » mormorai tra un sorso e l'altro, appoggiata sul bracciolo del divano « Te hai dormito bene? »

« Ugh, non tanto, avevo la testa piena di pensieri. Mi sono guardata un po' di TV e suonato il piano » mi spiegò « Stasera hanno detto che si potrebbero avvistare delle stelle cadenti, ti va di vederle con me? Dopo la festa, ovvio, se non ti va di dormire. Conosco un punto di osservazione a venti minuti da qui dove il cielo si vede che è una meraviglia, sono sicura che ti potrebbe piacere »

Accettai, non ci vedevo niente di male. Inoltre mi affascinava l'ignoto, il cielo, le stelle, l'universo... Provavo sempre a guardarle da camera mia, ma le luci della città me lo impedivano. Passai la mattinata a tuffarmi dal ponteggio di legno, che a quanto notai non era galleggiante, ma lunghi pali si perdevano nelle profondità tenendolo lievemente sopra il pelo dell'acqua. Cate si era stesa su un telo a prendere il sole. Ogni volta che mi arrampicavo per risalire, prima di tuffarmi nuovamente, la guardavo per qualche attimo. Indossava un bikini a strisce, blu e nere, che risaltavano le sue forme. Mi trasmetteva una pace estetica. Verso l'ora di pranzo ci chiamarono Nate e Cole per sapere cosa stavamo facendo. Loro stavano già cucinando e avevano imbrattato mezza cucina. Ci invitarono a tutti ad andare da loro, ma decidemmo che fosse meglio ritrovarci la sera, per la cena, prima di andare al campeggio. Forse sarebbe stato meglio non far cucinare loro, perchè riuscirono a bruciare i wustel nel microonde, e la frittata in padella. Fortunatamente Brent e Gia presero il controllo della cucina, e rimediarono ai loro pasticci. Aiutai anch'io, ma solo a preparare il contorno della carne alla griglia che stavano preparando gli altri due. La festa non si poteva proprio definire tale. Al campeggio di ricconi, davanti al fuoco avevano messo una serie di tronchi su cui sedersi, più dietro un paio di tavoli con delle bottiglie di superalcolici e accanto una cassa con della musica a un volume moderato. Le vere feste erano quelle al chiuso con la musica così assordante che dovevi urlare per far capire un "sì" alla persona accanto a te.

« Tranquilli ragazzi » disse Brent « Titus sa come funziona, l'anno scorso partecipò. Sabato sera a bere e domenica mattina a resuscitare. Il resto dei giorni della settimana si prepara il fegato » e tirò una pacca a Nate e a Cole, prima di fiondarsi a prendere il primo bicchiere.

C'erano tante ragazze e tanti ragazzi che parlavano, tra una bevuta e l'altra, dava l'idea di un'atmosfera tranquilla e familiare. Brent ci portò a farci conoscere gli altri ragazzi che frequentavano spesso quelle zone d'estate e d'inverno, sempre per le vacanze. Persone che frequentavano l'ultimo anno a Yale e Harvard e che si ritrovavano a fare festini sul lago, nella baita di famiglia; e persone che si erano laureate alla Columbia e alla NYU che avevano affittato delle cabine per festeggiare gli ottimi voti. Fu una serata tranquilla, e il tempo scorreva in fretta quando ci divertivamo. Azzardammo un birra pong sul prato, ma Cassie riuscì a far cadere mezzi bicchieri con i piedi, perciò Nate la forzò a sedersi, con il mio aiuto.

« Ma andiamo! Ne ho solo fatti cadere sei! »

« Cass, erano praticamente tutti quelli in cui Titus doveva fare centro »

« Lui può fare centro dove gli pare! » scherzò lei, troppo ad alta voce, e le tappai la bocca prima ancora che dicesse qualche altra cosa di cui si sarebbe pentita.

« Te come ti ci trovi con Cate? » domandò « Non ti sta antipatica dopo come ha trattato il tuo ragazzo? »

« Prima di tutto, io e Ethan non stiamo insieme » puntualizzai « Secondo, sto una favola, quando verrete da noi per il pranzo di domani che abbiamo pensato di organizzare vedrai. Ha la casa attaccata al lago, potremmo farci una nuotata insieme »

« So già che proverai ad affogarmi... Accetto la sfida! »

Ad un certo punto, verso mezzanotte, quando la festa era ancora nel vivo, Cate mi tirò la spalla della felpa. Mi girai, e mi fece cenno di seguirla. Le chiesi se poteva aspettare la fine della festa, ma scosse la testa. Lasciai Cassie con Titus, la quale se la prese sotto braccio, mentre io seguii Cate. Arrivammo davanti alla macchina di Cole.

« Ho preso le chiavi di nascosto, dobbiamo tornare prima della fine del festino. Ho chiestoa Gia se ci poteva coprire le spalle »

Ero sbalordita. « Che birbona che sei! » scherzai, facendola ridere.

« Andiamo, sali! »

Il viaggio durò quanto aveva promesso quella mattina. Attraversammo un pezzo di bosco fitto di alberi, sempre restando sullo sterrato battuto, arrivando in una radura. Eravamo sulla riva del lago, e dall'assenza di alberi si apriva un teatro di stelle sconfinato. Aprì la portiera e stese abilmente il telo sul cofano della macchina. Mi aiutò a salirci sopra, adagiandomi sul lato destro della macchina, con la schiena sul parabrezza e le braccia distese ai fianchi. Era una sensazione stranissima, non avevo ancora mai sperimentato una cosa simile, e la cosa più straordinaria fu quando mi concentrai sullo spettacolo che mi si stava parando davanti agli occhi. Miliardi di stelle e centinaia di costellazioni che si spargevano a perdita d'occhio sul cielo colorato di una cromatica scala di blu mista violaceo. Lei si stese di fianco a me, e fece lo stesso, mettendo le braccia dietro la testa e le gambe incrociate.

« Stai comoda? »

« Non posso lamentarmi, la vista è spettacolare »

« Si fa a chi ne vede di più? »

« Affare fatto! » la guardai, con aria di sfida.

Mi sorrise. « Ricordati di esprimere i desideri »

Davanti a me uno squarcio di via lattea, tempestata di stelle come diamanti su un anello. Davanti a me ne passò solo una, Cate ne vide due. Poi più niente. Sembrava non ne dovessero passare più.

« Dai, tranquilla, il picco della visibilità delle stelle cadenti è ad agosto. Forse ce la facciamo prima di ritornare a scuola » mi tranquillizzò, all'ennesimo sbuffo di disperazione che lasciai andare. « Goditi almeno la vista di questo spettacolo. Non è rilassante? »

Non le risposi. Era ovvio che era rilassante, ma io avevo visto solo una stella cadente. Era il mio unico pensiero.

« Quello dovrebbe essere Saturno, e quello poco più accanto, che emana luce rossiccia, Marte » provò a distrarmi. « Oh, oddio, quella costellazione sembra un... cazzo? »

Mi girai verso di lei e mi misi a ridere.

« Ma dai! » le tirai una piccola spinta, toccandole la spalla « Come sei scurrile, io non vedo niente di simile nel cielo. È un cielo perfetto. Così romantico, e gradevole... quasi delicato »

Lei rimase in silenzio ad ascoltarmi parlare, con la testa girata verso di me, a guardarmi, mentre io continuavo a guardare sopra di me. Calò il silenzio. Sentivo ancora i suoi occhi attenti su di me, e mi morsi il labbro per la tensione che comiciavo a provare. Sentii un grandissimo nodo alla gola, che m'impediva di deglutire. La sentii girarsi sul lato destro del corpo, verso di me, quasi a raggiungere una posizione fetale. Le sue gambe sfiorarono le mie, ed io sentii nello stomaco scatenarsi mille frangenti. Era doloroso ma piacevole. Ma per il fatto che era piacevole, la cosa mi terrorizzava. Inconsciamente, il mio corpo si girò allo stesso modo verso di lei, così da trovarmi il suo volto di fronte al mio. Teneva le mani davanti, all'altezza del mento, e muoveva l'indice, bacchettando lievemente la vernice della macchina, come se volesse fare qualcosa. Io misi le mani sotto la mia guancia sinistra, e continuai a guardare quelle iridi, nelle quali aveva prevalso il marino al felce, e che sfioravano l'azzurro, per quel che le sue pupille dilatate lasciavano intravedere. Il suo sguardo era serio, labbra serrate e occhi vigili. Sentivo le mie labbra schiuse, quasi ansimanti perchè per il nervosismo non riuscivo a respirare correttamente. Alla fine, lei si mosse. Stese il suo braccio sinistro fino ad afferrare con la mano il mio fianco, e fece lo stesso con il destro, con un po' più di fatica. Mi tirò lentamente verso di lei, fino a che i nostri ventri non si toccarono e le nostre gambe non si intrecciarono. Poi fece scivolare il suo braccio destro sotto le mie costole, sollevandole dal cofano, e mi abbracciò. Ero stretta a lei, così tanto che non riuscivo a capire se il cuore che sentivo battere era il mio o il suo. Chiusi automaticamente gli occhi, e mi abbandonai a quel gesto, stringendola a mia volta.

« Tu sei delicata » sussurrò, riprendendo la mia ultima parola.

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