Capitolo 5

Il rientro alla normalità fu duro, ma sopportabile. All'università si andava avanti a lezioni con i professori che ci facevano andava avanti ad esercitazioni e a prove dei test che avremmo dovuto tenere a breve. Maggio era alle porte, ma ciò non mi spaventava perchè ci sarebbero state solo due settimane d'inferno prima delle meritate vacanze. Avrei cominciato a lavorare come tirocinante per un mese in uno studio di una psicologa scolastica, del mio vecchio liceo, ma dato che ero al primo anno mi avrebbe sicuramente fatto fare poco, perciò mi avrebbe dato molto tempo libero per la mia ricerca. Avrei comunque avuto tutto luglio e la prima metà di agosto per rilassarmi prima di ricominciare con il primo semestre del secondo anno. Lo studio mi teneva attaccata ai libri in camera mia più del dovuto, anche se ogni tanto cambiavo location per andare a concentrarmi in biblioteca o in un cafè, pur di non stare troppo a stretto contatto con la mia famiglia. Fortunatamente c'erano stati momenti in cui ero riuscita ad uscire per un drink leggero la sera con i miei amici. Non potevamo fare nottata, perciò tornavamo sempre prima delle 23. Ma non avevo più rivisto Cate, o Gia. Ogni tanto ci ritrovavamo a studiare alla biblioteca universitaria con Brent e Titus, nella sede centrale, ma loro due non riuscivamo a vederle perchè erano incasinate con le consegne e lo studio molto più di noi. Provai una prima volta a chiamarla una settimana dopo il rientro dal break di primavera, ma non mi rispose.

« Avete sentito le altre due? » domandò Cassie, durante una delle nostre pause caffè pomeridiane.

« Stanno dalla mattina alla sera alla Columbia, Cassie a disegnare i definitivi mentre Gia a scrivere al computer e a rileggere gli appunti dopo le lezioni, non hanno tempo nemmeno per respirare. Comunque entrambe vi salutano e vi augurano buona fortuna » spiegò Brent.

Quella stessa sera riprovai a telefonarle, ma non mi rispose, di nuovo. La mattina seguente ci fu l'ultima lezione prima del periodo di preparazione intensivo. Tornata a casa poco dopo le 11, dopo nemmeno due ore di lezione, mi buttai sul letto. Il mio telefono cominciò a squillare, guardai il nome su di esso e in meno di un secondo ero in piedi.

« Pronto? »

« Margot » la sua voce era così bella, mi era mancata tantissimo, ma non feci trasparire questo sentimento dal mio tono. « Come te la stai passando? Era da un po' che non ci si sentiva »

« Già... Comunque ma la passo bene, anche se lo studio mi sta un po' sotterrando. Io sarei già pronta a fare i test pure domani, sono a buon punto. Sono molto positiva riguardo al loro superamento »

« Bene, mi fa piacere » potevo vedere il suo sorriso vicino al microfono mentre pronunciava quella frase « Ti va di venire a casa mia? Mi sono data un girono di riposo, e mi domandavo se ti andasse di andare a fare un brunch come l'ultima volta »

Non esitai nemmeno un attimo, mi feci dare l'indirizzo di casa sua e le dissi che avrei preso la metro in cinque minuti e che sarei arrivata da lei in meno di dieci. Arrivata davanti al portone suonai al suo campanello, e salite le scale arrivai al suo appartamento. Sulla destra il tavolo a cui era seduta era pieno di grandi fogli disegnati a lapis, e tanti piccoli fogli A4 con degli schizzi.

« Finisco una cosa e poi metto a posto. Così possiamo andare. Accomodati pure! »

Mi guardai attorno, e mi diressi verso il bianco divano in pelle alla mia sinistra. Dietro di esso una libreria nera con mensole che arrivavano al soffitto, che lasciava intravedere la parete di mattoni a cui si appoggiava. Si estendeva tra tre pilastri che sporgevano, due erano alle estremità, tra la porta d'ingresso e l'enorme finestra che affacciava fuori, e uno nel mezzo, accanto cui c'era appoggiata un'esile scala in legno. Appesi ai pilastri delle foto di New York scattate con una macchina fotografica a rullino in bianco e nero. La base della libreria era composta da una serie di spazi con grandi cassetti, che per ovvi motivi non aprii. Davanti al divano un tavolino nero, alla sua sinistra una poltrona e alla sua destra una specie di panca vintage con l'imbottitura, anch'essa in pelle. Sul muro opposto, quindi, sempre in mattoni, una grande TV a schermo piatto. Era, anche questa, come intrappolata tra due pilastri. Sopra una mensola in vetro sottile, su cui c'erano esposte una serie di macchine fotografiche vintage, l'unica che riuscii a riconoscere fu una polaroid land camera 1000. Sotto, invece, un mobilino, con tanti scaffali in cui c'erano una serie di DVD. Mi piegai sulle ginocchia ed iniziai a guardare qualche titolo. C'erano tutti i migliori degli anni '80-'90, alcuni che avevo visto pure io.

« Appassionata di film? » mi sorprese lei, con "Dirty Dancing" tra le mani.

« Non ne ho visti tantissimi e non sono una grande esperta, ma diciamo che mi piacciono »

« Allora se vuoi nel pomeriggio ce ne guardiamo uno, ti va? »

Accettai la sua proposta. Allora lei felice andò a prendere il suo giubbotto in camera sua, mentre io terminavo il mio giro nel suo salotto. Arrivai davanti alla grande finestra dalla quale entravano i raggi del sole. Accanto ad essa una pianta di orchidee in un vaso bianco. Mi affacciai, ed era proprio parte delle scale antincendio in ferro davanti all'edificio che si vedevano dalla strada.

« Vuoi uscire da lì? » scherzò lei.

« Scusa, è che mi hanno sempre affascinato. Il mio palazzo non le ha, e mi sono sempre chiesta se ci si può stare sopra »

« È proprio quello il loro uso! Alcuni in questa via ci hanno fatto un terrazzino con piante e tavolino da tè con tanto di sedia » mi spiegò.

Questa volta mi portò in una tavola calda, a pochi minuti a piedi da casa sua, che era aperta in quella strada dal 1911. Faceva hamburger di tutti i tipi, patatine di tutte le forme e, a detta di Cate, i migliori frullati e le migliori torte di tutta la città. Ci mettemmo a sedere su questi divanetti anni '50, un po' usurati, e guardammo il menù sotto l'assistenza di una giovane cameriera.

« Allora... Hai una casa tutta per te, come l'hai comprata? » le domandai, dopo aver ordinato.

Lei sorrise. Non si aspettava una domanda del genere. « Me l'aveva lasciata mia nonna in eredità, e quando ho cominciato il college mi ci sono trasferita. Io in realtà vengo da Fairfield, nel Connecticut »

« E che c'è di bello a Fairfield da vedere? » ridacchiai.

« Nei dintorni ci sono molte aree escursioni... Mai sperimentate, eh, però mi dicono che sono molto suggestive! »

Mentre mangiavamo mi raccontò di come fu liberatorio ma anche un po' spaventoso lasciare la famiglia e vivere da sola in una grande città come New York. Si era ambientata molto bene grazie a Gia, che conobbe il primo giorno di orientamento comune, e quello che poi diventò il suo ragazzo all'inizio del secondo anno. Mentre mi raccontava delle sue pazze serate con Gia, Brent e Titus, soprattutto quella in cui festeggiarono i suoi 21 anni, che fu l'ultima a compierli del gruppo a febbraio, aveva un sorriso sognante dipinto sul suo volto, e gesticolava molto come se rivivesse le scene di cui narrava. Per finire in bellezza, prendemmo un paio di frullati, dopo di che andammo a dare una girata per il quartiere. Le strade erano pulite, e dai marciapiedi sorgevano esili alberi sempre verdi che facevano contrastro con il colore rosso dei mattoni delle case e dei negozi al piano terra. Un paio di taxi gialli passarono di fianco a noi mentre uscivamo dalla sua vita e ci addentravamo alla scoperta di Greenwich Village. Era molto colorato, le facciate dei bar e dei cafè passavano dal verde al blu da un palazzo all'altro. C'era diversa gente a giro. Soprattutto ancora seduta ai tavolini fuori a pranzare e a divertirsi in compagnia. Era davvero un bel quartiere, così tranquillo, così giocoso... anche dall'aria che si respirava si percepiva l'assenza di stress dei suoi abitanti.

« Cosa ti piace di più della tua zona? »

« Non saprei risponderti » disse lei « È così vintage e verde e pure un po' hipster... e gay, non saprei proprio! »

« Gay? »

« Sì, qui c'è la sede del centro LGBT, dall'83 »

Non so perchè, ma non volevo continuare su quel binario della coversazione, perciò cambiai completamente discorso.

« Torniamo a casa tua a vederci il film che mi hai promesso? »

Lei non pensava che me ne sarei ricordata, glielo potevo leggere in faccia. Con sua grande sorpresa, tornammo a casa. Mi rivelò che pensava di riaccompagnarmi a casa dopo la passeggiata. Comunque le fece piacere che mi trattenni.

« Cosa vuoi vedere? » mi domandò, cominciando a sfogliare nella sua libreria di DVD « Intanto scegliamo il genere: drama, horror, musical, commedia, avventura... »

« Scegli tu, mi fido di te » le dissi, sedendomi sul divano.

Era meglio se lo sceglievo io, perchè mise un film dell'orrore. Anche se non mi faceva molta paura il genere, mi facevano senso e mi disgustavno se erano troppo splatter. Disgraziatamente per me, scelse Suspiria di Dario Argento.

« È un capolavoro, prendila con filosofia » cercò di rassicurarmi lei.

Si mise a sedere accanto a me e pigiò play. Il più delle volte sobbalzai, istintivamente sempre più vicino a lei. Lei ogni volta rideva e mi rassicurava, ricordandomi che era finzione. All'ennesimo balzo mi coprii gli occhi. Sentii un forte calore sulla mia coscia. Era la sua mano appoggiata sul tessuto dei miei pantaloni.

« E per fortuna è pomeriggio e il sole è in alto in cielo, sennò cosa avrei fatto se fosse stata notte fonda! »

« Possiamo mettere un attimo in pausa? Vorrei fumare una sigaretta per scaricare la tensione »

Accettò la mia richiesta e mi fece uscire dalla grande finestra, ritrovandoci sul piano delle scale antincendio. Si poteva vedere tutta Cornelia Street da lassù. Provai ad offrirne una anche a Cate, ma rifiutò. Restammo in silenzio per un paio di minuti. Il tempo era meraviglioso, l'aria non era nè troppo gelido nè troppo caldo, il sole splendeva su di noi.

« Cosa farai quest'estate? » mi chiese, sedendosi sul primo gradino del paio di scale che portavano al piano superiore.

« Per il primo mese lavorerò da una psicologa scolastica, poi vacanze senza sosta. Non vedo l'ora! Te, invece? »

« Solo ed esclusivamente vacanze, di stage estivi ne ho fatti troppi. Ho abbastanza crediti. Andrò o al mare da qualche parte con Tobias, o a casa dai miei nel Connecticut o nella baita di mia madre sperduta nei boschi da sola, in isolamento totale! » scherzò.

« Potresti andare anche lì con il tuo ragazzo » le feci notare.

« No, lui è più tipo da mare... E poi ancora dobbiamo capire che fine farà la nostra relazione, quindi meglio non pianificare niente su due piedi » la cosa non sembrava preoccuparla, parlava del fidanzato come se fosse già "ex" « Sicuramente preferirei andarci con te »

Sentii la pelle delle mie guance accaldarsi lievemente. Il mio cuore accellerò il battito, e non riuscivo a capire perchè.

« E te il fidanzatino? Sicura che con Nate non ci sia niente?! Ti sbava letteralmente dietro »

Sbuffai, era già la seconda volta che faceva il suo nome in una nostra conversazione, ne era come ossessionata.

« Siamo solo amici! » ribadii « Te che ne sai? »

« Lo vedo come ti guarda. Poi quando ti prese in collo a Miami sembrava davvero felice di mettere le sue mani sul tuo sedere. Poi ha detto a Brent, che poi lo ha detto a me, che lo hai baciato »

Mi andò di traverso il fumo come se mi fosse andato di traverso un bicchiere d'acqua.

« Ero ubriaca, è stato alla festa del compleanno del tuo ragazzo, non significava niente per me »

Lei annuì. « Okay, ma tranquilla, non ti devi giustificare! Ti stavo solo stuzzicando un po', per fare conversazione »

Guardai le nuvole, e provai in tutti i modi a cambiare discorso. Parlare con lei di questo genere di argomenti non mi faceva sentire a mio agio. Che ne doveva sapere lei dei miei futuri fidanzati? Non riuscivo a spiegarmelo, e sinceramente non era un mio problema. Di queste cose non volevo che ne sapesse più del necessario. Non ne volevo parlare con lei e basta.

« Che te ne pare? »

All'inizio sembrò non capire. Poi vide che stavo puntando il cielo.

« Delle particelle di vapore acqueo condensato che galleggiano nell'atmosfera come palloncini sospesi al limite del nostro universo? »

« Perchè fai tutto così complicato? » ridacchiai, stropicciandomi le dita sugli occhi « Devo smetterla di farti domande »

« Okay, sarò seria stavolta » si alzò e appoggiò i gomiti sulla balaustra in ferro, attaccata a me « Uhm... quella sembra un cono gelato »

Scoppiammo a ridere. Poi chiese la stessa cosa a me.

« Io vorrei farci una passeggiata sopra, provare a toccarle, anche se non sono palpabili. Da bambina pensavo fossero fisiche. Ceh, credevo seriamente che gli aerei che ci passavano si ritrovassero con pezzi di nuvola sui finestrini e nei motori. Quant'ero stupida! »

« Credevi che fossero composti di "panna montata"?! Comune tra i bambini con molta immaginazione, dai »

Ci guardammo negli occhi per quella che mi sembrò un'eternità. Più sorrideva lei, più sorridevo io e viceversa. La sua risata era contagiosa, e il suo sguardo intrigante. La sua mano scivolò sul ferro verso la mia, ma con uno scatto fulmineo la tolsi. Capii pochi secondi dopo che avevo fatto una stupidaggine. Era un gesto innocuo quello che stava facendo lei, non c'era niente di malizioso, ed io ero caduta in un batticuore senza senso.

« Scusa io non - »

« Non ti preoccupare » mi interruppe « Tranquilla, non ti garba per niente il contatto, dovevo capirlo già dalla festa dagli Alpha. Il modo in cui sei scappata mentre ballavamo, ho percepito il tuo disagio, è stato uguale a quando eravamo in piscina a Miami, e adesso questo... Scusa se ho insistito, dovevo capirlo prima »

Rimasi in silenzio non perchè non sapessi cosa dire.

« Ti va di finire il film oppure vuoi che ti riaccompagni a casa? »

« No, finiamo il film » dissi con la voce strozzata « Ti prego »

Tornammo in casa, e sul suo divano eravamo sedute ai lati opposti. Mi sentivo terribilmente dispiaciuta per come l'avevo trattata. Non riuscii a pensare ad altro, non prestai attenzione al film, per questo non balzai più in aria fino alla fine. Dopo una lunghissima ora, il DVD ritornò al suo posto, e io in macchina di Cate, in viaggio verso casa mia. Durante il tragitto nessuna delle due parlò. Io rimasi incantata davanti al finestrino, con la mano che teneva la fronte e gli occhi che seguivano il marciapiede. Arrivate a destinazione fu molto imbarazzante.

« Allora... buona fortuna per gli esami » disse lei.

« Uhm, anche a te »

Così ci lasciammo. Io rientrai nel portone della hall del palazzo, senza voltarmi, senza guardarla, imbarazzata e stranita da quello che era successo. Non me ne capacitavo e non sapevo spiegarlo. Quella storia del "contatto" che aveva ipotizzato lei non stava nè in cielo nè in terra. Ma non avevo altre spiegazioni, o almeno così volevo credere io.
Mi chiusi in camera mia per il resto della serata, non cenai nemmeno, provando a studiare anche se la mia testa era da tutt'altra parte. La concentrazione mi aveva abbandonata, anzi, non si era mai presentata. Continuavo a riflettere sulle mie reazioni delle ultime settimane. Ero cambiata e non ci volevo far caso. Chiusi i libri, presi il cellulare e composi il suo numero. Mi misi a sedere sul letto e ascoltai i beep che si accumulavano, senza alcuna risposta da parte sua. Partì la segreteria telefonica, perciò riattaccai. Non so perchè mi aspettavo che mi avrebbe risposto, volevo chiederle scusa. Mi era passata una spiegazione nella mente, ma meno male non aveva risposto. Probabilmente me ne sarei pentita. Ero in preda al mio istinto, e volevo dirle che in realtà il motivo per cui ero sempre stata così restia con lei era perchè sentivo di provare qualcosa nei suoi confronti. E quello che provavo mi faceva davvero molta paura.

Quelle ultime settimane di aprile finirono molto velocemente, e senza accorgercene arrivò il periodo di esami. Avevamo incominciato a ritrovarci ogni giorno da Shorty's, e tra cento caffè e cento insalate dietetiche ripetevamo gli argomenti.

« Ma secondo voi il test sarà così difficile? Troviamo un modo ingegnioso per copiare altrimenti »

« Cole, sei sempre il solito. Almeno la sai una minima parte delle cose che abbiamo studiato? » gli domandò Cassie.

« In generale sì, ma ho paura di non passare e rovinarmi l'estate. Mio padre e mio zio hanno detto "vacanze da inferno a lavorare nelle miniere di carbone se non passi, testa d'uovo"... Poi effettivamente mi faranno lavorare 24 ore su 24 nell'officina di famiglia con loro, però è comunque una tortura »

« Dai, possiamo continuare a ripetere? Tocca ad Anderson » disse Nate. Io ero completamente tra le nuvole, a pensare a come Cate continuava a non rispondere alle mie chiamate. Forse era troppo impegnata con lo studio, ma almeno un paio di minuti per chiederle solo scusa poteva concedermeli...

« Margot? » mi riportò alla realtà la mia migliore amica « Ci sei? Tutto bene? Non è la prima volta che ti sento distante »

« Non è niente, studio troppo la notte e non dormo, dovrei cambiare abitudini. Ma ci sono, riesco a ripetere! »

« Bene, meno male che sei abbastanza in forma da fare colpo, perchè c'è quel ragazzo, al secondo tavolo di fianco al nostro che non accenna a smettere di guardarti... Secondo me se ti alzi e vai a prendere un caffè ti segue » ridacchiò lei « E sinceramente è un bel figo »

Guardai alla mia destra, dove mi stava indicando lei col dito appoggiato al tavolo per non farsi beccare. Posai gli occhi su di lui, e in contemporanea lui fece lo stesso. Mi sorrise, ed io ricambiai. Aveva tratti ispanici, capelli neri corti e mossi e un bel paio di occhi castani. Cassie sorrideva come una scema, mentre gli altri due ci guardavano come se non riuscissero a capire cosa ci trovavamo di sexy in lui.

« Ma guardatelo, con quella barbetta ispida chi cerca di rimorchiare? » scherzò Nate, dando una gomitata a Cole per ricevere supporto.

« Però guarda com'è la sua mascella, è così asciutta e ben - » non fece in tempo a continuare perchè gli tirò un'altra gomitata, più forte stavolta, « Zitto, Scaramouche » aggiunse al suo gesto.

« Diamine! Sto dicendo la verità! Sembra proprio il tuo tipo, Margot, prova a vedere se ti segue davvero se ti alzi »

Forse era quello che mi serviva: un ragazzo. E lui sembrava davvero carino. Così sperimentai la teoria di Cassie, ed andai a ordinare un iced coffee, il terzo della mattinata. Dopo nemmeno tre secondi, alla cassa, mi si mise accanto proprio lui. Potevo vedere la faccia della mia migliore amica soddisfatta che sclerava per la sua ipotesi corretta.

Mi sorrise con i suoi denti perlacei « Ciao, ho notato che questo è il terzo caffè che prendi, lascia che te lo offra io »

« Che stalker gentile, grazie » scherzai.

« Sei una bella ragazza, mi sembra il minimo » disse prendendo i soldi dal portafogli « Sei qui a studiare anche te? »

« Sì, una vera pacchia »

« Beh, allora quando fai una pausa potresti venire con me in una tavola calda qua vicino a pranzare, fanno delle schiacciate ripiene stratosferiche. Possono venire anche i tuoi amici, io porterò con me il mio. Sempre se ti va »

Guardai le persone al mio tavolo. Cassie aveva un sorriso a trentadue denti ed era attaccata alle braccia degli altri due, Cole stava ridendo e Nate scuoteva la testa sconcertato. Così accettai, a patto che saremmo andati tutti insieme. Mi diede appuntamento fuori da quello stesso cafè alle 13 precise. Dopo le reciproche presentazioni, andai a dare la buona notizia al mio tavolo.

« Quindi? Quindi? Quindi? » domandò insistentemente la mia amica con gli occhi a cuore. Lei sicuramente si era già fatta tanti filmini mentali.

« Hudson, piantala » disse Nate « Ti prego, Martin, aiutami a falla stare zitta, è un disco incantato » chiese aiuto a Cole.

« Mi dispiace, amico. Ma sono curioso anch'io. Dillo! Dillo! Dillo! »

« Pranzeremo tutti insieme con Ethan, il suo amico al tavolo compreso, ci state vero? Perchè ormai ho accettato e non potete lasciarmi da sola »

La mia amica urlettò di gioia, e si lasciò andare in un glorioso "finalmente". Continuammo a ripetere tra di noi i nostri appunti fino allo sfinimento. Non appena arrivò l'ora dell'appuntamento, guardai verso il loro tavolo. Erano già pronti, come se non stessero aspettando altro. I due ragazzi si alzarono prima di noi, e vennero a prelevarci.

« Ciao ragazzi, non so se Margot ve l'ha già detto, io sono Ethan. E lui è Chad. Saremo i vostri compagni di pranzo. Siete pronti? »

Cassie era eccitata più di me, straparlò per tutto il tragitto e per tutto il pranzo. Cole e Nate subirono, provando a fare un po' di conversazione con Chad. Ethan continuava a non staccarmi gli occhi di dosso, nemmeno mentre stavo mangiando, ci stava spudoratamente provando, e la cosa mi metteva leggermente a disagio. Ma lasciai stare. Non parlammo, ci scambiammo solo qualche sguardo. Mi offrì il pasto, anche se pensavo che l'uscita fosse andata un fiasco, dato che non avevamo parlato nemmeno mezzo minuto. L'unica cose che avevo scoperto era che frequentava l'ultimo anno di ingegneria alla NYU.

« Ti va di venire in biblioteca con me, domani, solo io e te? »

Mi prese alla sprovvista. « Uhm, okay »

« Va bene se andiamo appena apre? Così ci godiamo un po' la solitudine prima che arrivino tutti gli altri »

Accettai impulsivamente, così ci scambiammo il numero di telefono. Tornai a casa quel pomeriggio pensando di aver fatto una cavolata, ma era un bel ragazzo e non c'era niente di male a dargli una chance. E così, il mattino seguente, ci ritrovammo davanti al bar accanto all'ingresso dell'edificio, ancora chiuso. Riuscimmo a scambiare quattro parole mentre eravamo a prendere un caffè, offerto da lui, aspettando l'apertura delle porte. Mentre eravamo al tavolo a chiaccherare, dalla porta della caffetteria entrò una figura a me conosciuta: Cate.
Notò che ero lì, seduta a pochi centrimetri da lei, ma non venne a salutarmi. Forse perchè avevo compagnia. La fissai, prendere la sua ordinazione, mentre Ethan blaterava qualcosa. Mi sembrò di non vederla da una vita, con la sua forma sinuosa, alta e atletica, quel giorno vestita da semplici pantaloni tuta e una felpa troppo grande, che la faceva sembrare minuscola. Il mio compagno di studi provò a chiedermi se avevo capito il concetto di un qualcosa di cui stava discutendo da solo, ma la mia attenzione, purtroppo, era da tutt'altra parte. Me la cavai lo stesso, e quando aprì la biblioteca mi prese per mano ed entrammo. Lei a seguito nostro. Lui mi portò al primo piano, ma Cate non seguì i nostri passi, ma entrò nell'aerea silenziosa del piano terra. Ci sedemmo a un grande tavolo ed incominciammo a studiare, l'uno accanto all'altro. Rimase sempre molto vicino a me, il suo ginocchio toccava il mio, come il suo braccio che ogni tanto per girare la pagina sfiorava la mia giacca. Il fatto che era così sicuro di sè mi aiutava anche a me, a darmi sicurezza, e così appoggiai la mia testa sulla sua spalla. Com'è che era così preso da me? Ci eravamo incontrati nemmeno 24 ore prima e lui era già così attaccato a me. Ma erano cose di cui io non mi intendevo. L'amore non sapevo come funzionasse, forse nemmeno sapevo cos'era o cosa si provasse ad avere quel sentimento nascere dentro. O se si doveva provare quello. Ceh, non sapevo se nascesse dentro o no, per me quello era un dato fornito dai film strappalacrime che avevo visto al cinema. Era una grande incognita alla quale non mi ero mai posta il problema di trovare un risposta. Non lo sapevo riconoscere, per me qualsiasi cosa poteva esserlo, perciò ci facevo poca attenzione. Poteva essere l'affezzione che avevo io per il mio computer, per i miei vecchi animali domestici, per le cose belle che mi circondavano e che mi piaceva tenere attorno, quello che avevo provato a stare con i miei ex ragazzi, quello che avrei provato per lui o quello che avrei provato con qualcuno in futuro. Sempre la stessa cosa. Per me quello era amore, chissà se era lo stesso amore di cui parlavano i film o le canzoni di Lionel Richie. Ma mai mi era entrato per sbaglio in testa che poteva essere amore quello che provavo quando vedevo Cate avvicinarsi o guardarmi o sfiorarmi.

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