Capitolo 3

Mi svegliai per colpa di una presenza sconosciuta sopra di me: mia sorella. Si era stesa sopra la mia schiena, e io stavo soffocando.

« Connie, che cazzo stai facendo? »

« Mamma ha preparato i pancakes, e te non ti svegliavi con le buone maniere. E sai bene che finchè non siamo tutti a tavola non ce le lascia mangiare! »

Passai il sabato mattina con i miei genitori, pranzai con loro e dopo ciò mi rinchiusi in camera a leggere American Psycho di Bret Easton Ellis, solo sul tardo pomeriggio mi misi a studiare. Il professor Murray mi aveva dato una ricerca da fare, e glielo dovevo mandare entro domenica. Gli esami finali si stavano avvicinando, ad arrivare a maggio era un attimo, ma io mi sentivo già sicura delle mie capacità. Avevo passato gli esami del midterm col massimo dei voti, perciò non mi preoccupavo più di tanto. Prima di unirmi a cena con i miei, nel pomeriggio, uscii per comprare un paio pacchetti di sigarette e andai a fare un giro a Central Park. Mi ero presa una pausa dall'attività fisica dall'inizio dei miei studi universitari, perciò cercavo sempre nel tempo libero di fare quattro passi. Inoltre mi piaceva la solitudine, riuscivo a pensare a tante cose, dalle più inutili alle più filosofiche. Camminai fino al Gapstow Bridge, e rimasi lì per una buona mezz'oretta, o almeno fino a che non vidi il sole cominciare a nascondersi tra i grattacieli. Era quello il segno che mi faceva capire che si stava avvicinando l'ora di tornare a casa. Mi misi a sedere, con le spalle verso il corso d'acqua. La neve se n'era andata già da un paio di mesi, e aveva lasciato il posto al verde degli alberi che cominciavano a mettere nuove foglie sugli stessi rami. Accesi una sigaretta, sperando che non mi vedesse nessuno e che non chiamassero la vigilanza. Cercai di finirla in fretta, godendomi comunque il mix di modernità e di natura incontaminata della mia città. Telefonai a Cassie, per sentire come se la passava.

« Pronto? » borbottò, con la voce impastata. Sembrava si fosse svegliata da poco.

« Invece di dormire, studia, pigrona! » scherzai.

« Mi sto preparando per staseraa » disse lei urlettando « A quanto ho capito la festa comincia presto, ma si anima verso mezzanotte. Io e Gia pensavamo di ritrovarci lì davanti la casa mezz'ora prima »

« Faremo molto tardi stasera, eh? I miei mi uccideranno »

« Già, dovrai avvisare Carol, oppure ti metterà in punizione! »

Intorno alle 19 il cielo si fece roseo, e allora salutai Cassie e m'incamminai sulla strada di casa. Aprii la porta, e trovai già la tavola imbandita.

Prima di uscire di casa, avvisai di volata mia madre che sarei tornata tardi.
Letteralmente scappai di casa, non sentendo nemmeno la sua risposta.
Cole mi aspettava davanti al portone. In macchina c'era di già Cassie, che mi accolse con un grosso bacio sulla guancia. Era emozionatissima. Dopo aver caricato me, passammo a prelevare Nate. Eravamo al completo.                                                            Nemmeno una ventina di minuti nel traffico, arrivammo nella via che ci aveva indicato Gia. Lei era di già arrivata, insieme a Brent e Titus. Parcheggiata la macchina, andammo a salutarli.

« Ehilà! Avete avuto problemi a venire fin qua? » chiese Titus.

Mentre i miei amici chiaccheravano mi guardai attorno. Cate non c'era, e davanti a me una deliziosa casetta in mattoni, incastonata in altri due edifici, sempre di altre due confraternite, stile newyorkese primi anni del '900. Da fuori si sentiva lievemente il casino che c'era al suo interno. Fui distratta da una parola, o meglio, un nome.

« Come mai Cate non è venuta? » domandò Cole.

« Ha perso la metro, ma sta arrivando. Da Greenwich Village a quì è lunga la strada e non voleva farsela in macchina, anche perchè la riporterà il suo ragazzo »

"Il suo ragazzo?" pensai. La cosa non mi doveva importare più di tanto, ma perchè ci stavo pensando? Più provavo a non pensarci e più ci pensavo. Non doveva importarmene, eppure ci ero quasi rimasta male. Sicuramente ci sarebbe stato anche lui alla festa.

« Ci sarà anche lui? » mi lasciai scappare.

« Oh, certo, è all'ultimo anno ed è uno dei Kappa più anziani della confraternita. Stasera festeggiano il suo 22esimo compleanno così, con un mega party aperto a tutti! »

La cosa non mi doveva interessare, e così cercai di convincermi a non rimuginarci più di tanto. Dopo mezz'ora arrivò pure lei. Mi salutò per ultima, con un grande sorriso e un doppio bacio sulle guance.

« Pronti a divertirvi?! »

Era quasi scoccata la mezzanotte, e aperta la porta ci ritrovammo davanti una scalinata, e alla nostra sinistra una stanza con una marea di gente. La musica rimbombava per tutta la casa, ma dove si sentiva bene era un questa enorme sala con un tavolo con una stesa di alcolici sopra e una marea di bicchieri di plastica rossi e blu. Gia ci portò in un altro salotto, dalla parte opposta delle scale principali. Anche lì giravano birre e cocktail di tutti i tipi, ma più che altro giocavano a beer pong, calcetto e frecciette. Su un immenso divano appoggiammo i nostri cappotti.

« Ricordatevi dove li avete messi » ci avvisò Brent « L'ultima volta sono uscito con un giubbotto da donna e nemmeno me n'ero accorto »

Senza perdere tempo, andammo dove c'era il vivo della festa. Dovevo bere per lasciarmi andare, e questo i miei amici lo sapevano, infatti fecero a gara a portarmi il mio primo drink della serata. Fu Cassie, con un grande bicchiere di gin e soda, con più gin che soda.

« Al primo di altri mille! » gridò a pieni polmoni, brindando. Ci fecero coro anche tutte le altre 200 persone nella stanza. Scoppiammo a ridere e ci lasciammo andare al ritmo incalzante della musica. Io, però, dopo nemmeno due minuti tornai al bancone a prendere altro da bere.

« Sei già al secondo bicchiere? » chiese Gia, al mio orecchio, urlando.

« Stasera voglio dimenticarmi pure chi sono! »

« Così ti voglio! Allora te lo preparo io, cosa ci metto? »

Mentre mi preparava il mio amato e semplice cocktail le chiesi dove fosse sparita Cate. Eravamo tutti lì, e mancava solo lei. Gia sorrise, mi guardò con le sopracciglia alzate. Portò la mano stretta a pugno vicino alla guancia, e fece un determinato gesto che mi fece capire che era sicuramente con il suo uomo. Presi il bicchiere e mi misi a sedere su una poltroncina, in mezzo ad altre persone che fumavano. Passarono diversi minuti, e io terminai anche il secondo bicchiere. In quel momendo riconobbi una figura scendere dalle scale ed entrare nella sala da ballo. Sotto quell'abbozzo di luci stroboscopiche era meravigliosa. La sua figura era leggiadra, vestiva solo di un paio di jeans e un top bianco. I suoi lunghi capelli vagavano liberi sulla sua schiena dritta e affusolata. Sospirai e guardai il bicchiere. Avevo voglia di un altro giro, ma dovevo darmi una calmata. Avevo bisogno di una sigaretta. Mi alzai per andare fuori, ma fui fermata da una forte presa al polso destro. Mi voltai e mi scontrai con il suo sguardo intrigante.

« Tu hai bisogno di un bicchierino per lasciardi andare, non è così? »

« Ne ho già bevuti due con gin e soda, penso che basti così » annuii, sperando che mi lasciasse il polso.

« Andiamo, anche ieri non hai bevuto niente e non hai ballato. Così dai l'aria di essere noiosa... Oppure è perchè ti faccio paura »

I suoi occhi luccicavano di un qualcosa che poteva assomigliare alla malizia, ma non ne ero sicura.

« Lasciati andare, fidati di me »

Mi porse un bicchiere di plastica rosso, con dentro chissà che cosa.  Lei ne bevve un sorso, come per provarmi che non era veleno, poi me lo rimise sotto il naso. Aveva un odore dolciastro, sembrava punch corretto con vodka alla fragola, ma di quelle scadenti.
All'inizio storsi il naso, poi lo afferrai e sospirai. Lo buttai giù in un solo sorso. Senza prendere fiato. La bevanda mi bruciò l'esofago, ma non m'importava niente della mia gola, la sensazione di euforia che stavo aspettando ne sarebbe valsa la pena.
Riaperti gli occhi la trovai sorpresa. Mi prese per mano e mi trascinò in mezzo agli altri studenti che ballavano tutti insieme. La musica era assordante. Tutti saltavano e così io saltavo con loro. Mi sentivo stordita, ma ero felice. Mi ero lasciata andare e mi stavo finalmente divertendo. Riuscivo solo a concentrarmi su di lei, che mi teneva le mani e le faceva roteare in aria. A un certo punto se le portò sulle spalle, poi mi prese i gomiti per far passare le mie mani tra i suoi morbidi capelli. Involontariamente le mie dita si intrecciarono dietro al suo collo. Intanto le sue mani si erano spostate sui miei fianchi. Alzai lo sguardo e il mio naso si scontrò con il suo. Quel contatto mi fece scattare e presi subito le distanze. Non sapendo cosa fare non la guardai nemmeno negli occhi e scappai verso la scalinata che portava al piano di sopra. Quella tensione non era normale. Stavamo solo ballando e quei piccoli gesti mi avevano mandato in confusione il sistema nervoso. Cosa mi stava succedendo? Perché andavo nel panico per così poco? Mi girava un po' la testa, ma decisi di continuare a bere. Da una porta uscì un ragazzo con la camicia sbottonata e una bottiglia di vodka liscia a metà. Gliela presi di mano, dandogli un bacio sulla guancia e ne bevvi un grande e generoso sorso.

« Grazie, tesoro » sussurrai al suo orecchio.

Mi sorrise, maliziosamente. Presi il cellulare e cominciai a comporre sulla tastiera il numero di Nate. Non so ancora perché, ma lo chiamai. Gli dissi che avevo salito delle scale davanti alla porta d'ingresso e che volevo esplorare in compagnia.
Lui accorse come un cagnolino, e in men che non si dica ci ritrovammo a cazzeggiare e ad aprire tutte le porte che ci trovavamo davanti. Alcune avevano dei calzini o delle cravatte sulla maniglia. Ero così di fuori che non capii cosa potesse significare. La casa della confraternita era sconfinata ai miei occhi. Passammo più di una buona mezz'ora a girarcela tutta, tra vetrine con trofei e foto appese. C'erano altre persone che si aggiravano su quello stesso piano, e non gliene fregava niente di noi, potevamo fare qualsiasi cosa. Alla fine aprimmo una porta senza niente di strano sul pomello, ed entrammo. Era una bella camera da letto, un po' disordinata, con varie bottiglie di alcolici vuoti sparsi sia sulle coperte che per terra.
Sarà stato che nel sangue mi circolava più alcol che globuli rossi, ma avevo voglia di fare pazzie quella notte. E disgraziatamente baciai le prime labbra che mi capitarono a tiro: quelle di Nate.

« Porca puttana, scusa » avevo bevuto, ma la testa un minimo ragionava ancora. Lui si mise a ridere e mi tranquillizzò.

« Anderson, ma quanto hai bevuto? Più che altro cosa, sembra un misto di superalcolici, non si fa così. Se continui così non finiamo a letto, finiamo con te in ginocchio davanti al cesso della confraternita e io che ti tengo la fronte! » mi tirò un pugno sulla spalla « Certo che la cosa non mi ha dispiaciuto per niente, se questo ti può far sentire meglio »

Riuscì a farmi ridere con il suo solito umorismo.

« Cristo, meno male sei simpatico, sennò a quest'ora stavo sguazzando nella vergogna. Ti giuro, non so perchè l'ho fatto »

« Forse volevi solo baciare qualcuno » presuppose lui, alzando le spalle.

« Già... » ciò che disse mi mise un dubbio. Un piccolo dubbio che col tempo, e nemmeno poi così tanto, si sarebbe fatto grande e doloroso.

« Dai, torniamo giù e continuiamo a festeggiare. Te al massimo un altro bicchiere, poi basta così che sennò sarà difficile portarti a casa! »

Mi faceva paura l'idea di tornare al piano di sotto, da cui avevo fatto una fuga epica, ma tutti i nostri amici, compresi quelli nuovi, erano lì. Nate mi prese per mano e mi ci trascinò. La musica non era cambiata ma il volume si era leggermente alzato, in pista il numero era raddoppiato. Nuotammo fino a ritrovare Cole, Brent, Titus e Gia.

« Dove diamine è Cassie? » urlai. Si guardarono negli occhi, ridacchiando, poi Cole mi prese e mi indicò un punto tra la folla.

Era attaccata a un ragazzo alto, dai capelli neri, ballavano e limonavano. Addio alla teoria di Nate che Cassie era innamorata di Cole. Accanto a lei un'altra coppia impegnata a scambiarsi effusioni intime. Riconobbi Cate e quello che presumibilmente doveva essere il suo fidanzato. Cominciò la prudermi la mano. Dovevo bere. Ma d'un tratto la musica si spense. Erano scoccate le 2 di notte, a quanto pare la fine della festa. Non ci fu nemmeno il tempo di lamentarci che ci invitarono tutti a prendere le nostre cose ed uscire. Ci ritrovammo fuori sul marciapiede, e aspettammo di vedere anche un segno di vita da parte delle due rubacuori. E arrivarono pure loro, seguite dai due ragazzi fortunati.

« La notte è ancora giovane e Pete mia ha detto che suo fratello è il proprietario di un rooftop bar. Chiude alle 4 ed è nella West Village, vi va di continuare la festa lì? Ha detto che ci porta lui con la sua macchina! » disse Cassie, abbracciando quella sottospecie di manichino muscoloso. Era troppo eccitata per dirle di no.

E così metà salirono sulla macchina di Cole e l'altra metà su quella di Pete, compresi Cate e la sua fiamma. A quanto avevo capito lui e Pete erano amici molto stretti.

Dopo aver seguito la macchina di Pete per meno di un quarto d'ora, arrivammo sulla costa ovest, dove c'era un piccolo parcheggio. Da lì, in cinque minuti, entrammo in questo edificio che all'apparenza sembrava spento e vuoto. Con l'ascensore arrivammo all'ultimo piano. Man mano che ci avvicinavamo, la musica cominciava a farsi sentire, e quando si aprirono le porte si aprì il paradiso. Davanti a noi un ampio spazio, delimitato da vetrate da cui si poteva vedere tutta New York. Sulla destra il bancone davanti una parete di bottiglie, illuminate da luci a neon viola. Ci accolse un ragazzo in camicia e bretelle, che salutò Pete non appena lo riconobbe. Ci scortò al tavolo, non ci chiese la carta d'identità ma ci chiese cosa volevamo ordinare.

« Offro io, tutto per il compleanno del mio amicone! Gli amici suoi sono pure i miei amici! »

Il problema è che non eravamo suoi amici, alcuni di noi nemmeno sapevano il suo nome, ma chissene frega. L'ultima cosa che volevo era smettere di bere. Così presi, non uno, ma ben due gin tonic.

« Abbiamo un animale da festa qui, eh?! » gridò Brent, non appena il cameriere se ne andò via con le nostre ordinazioni.

« Margot, sei seria? Sicura di riuscirli a finire poi? » chiese, con un sorriso un po' preoccupato Cate.

« Non credo che sarà quello il problema » risposi con un tono un po' freddo. Assottigliò le labbra, in una smorfia quasi di rassegnazione, ma non riuscii a leggerla, la sua era una espressione celata. « Voglio ballare. Nate, vieni con me. Quando arrivano i drink fatemi un cenno »

Sentivo i miei muscoli rilassati. In pista, presi la mano del mio compagno di avventure e incominciammo a ballare. Eravamo molto vicini, ma la cosa non turbava nè me nè lui. Ogni tanto lanciavo uno sguardo al tavolo. Tutte le persone sedute parlavano e scherzavano tra di loro, tranne Cate. Lei si girava a controllare me. Istintivamente sorrisi, e Nate se ne accorse.

« Pagherei di sapere a cosa stai pensando » sorrise « Come mai ti comporti così? Fino a l'altro ieri eri tutta un'altra persona »

Lo interruppi, abbracciandolo e guardando in lontananza il nostro tavolo. Sospirai, guardando lei, ancora girata di spalle. « Non lo so nemmeno io » dissi al suo orecchio.

I drink arrivarono, e Cassie per avvisarmi agitò il braccio in aria. Buttai giù il primo drink in pieni, per tornare a ballare, e a questo giro trascinai con me la mia migliore amica. Devo dire che, finito il secondo drink, i miei ricordi non si fanno molto vividi. Ballai fino a non sentirmi più le gambe, fino a che il mal di testa non si fece insopportabile, e la voglia di vomitare sorpassò l'ebrezza della gioia alcolica. Quindi, in poche parole, verso le 3:30 del mattino mi ritrovai con Nate che mi teneva la testa mentre svuotavo il mio stomaco, e nel bagno accanto stava accadendo la stessa cosa con Cassie che si sentiva male e Cole che le teneva i capelli.

« Le mie previsioni erano esatte » mi sussurrò lui all'orecchio.

Gli altri erano rimasti a ballare. Non avevamo chiesto aiuto alle altre, avevamo trascinato nel bagno delle donne proprio loro per evitare una brutta figura con Gia e Cate. Tornammo al tavolo e rimanemmo lì, a bere acqua. Avevo bevuto così tanto che dopo una decina di minuti che ero seduta, appoggiai la testa sulle mie braccia e persi conoscenza.

Mi svegliai. Non nel mio letto. Non a casa mia.
La luce entrava da una finestra sopra la mia testa. Mi misi a sedere, e fui colta da un forte capogiro. Mi passai le mani sulla faccia, poi sui capelli. I postumi si facevano sentire forte e chiaro. Mi guardai attorno, per cercare di capire se ero a casa di Cassie, o di Cole o di Nate... Ma non era così. Le pareti erano di colore arancione, io ero seduta su un letto singolo molto grande con la base in legno, per terra c'erano dei libri e poco più avanti una scrivania. Era una stanza piuttosto piccola.
Mi alzai e uscii da quella camera, alla ricerca di una via di uscita. Mi trovai davanti a un corridoio, pieno di altre porte, chiuse. Lo percorsi tutto fino ad arrivare in una grande stanza, dove la luce mi accecò. Guardai verso destra, da dove arrivavano i raggi del sole. Era una grande finestra che si affacciava su delle scale antincendio. Davanti c'era un divano e una TV, e dietro al divano un'enorme libreria.
Alla mia sinistra una voce mi fece rabbrividire.

« Finalmente ti sei svegliata, è quasi mezzogiorno » Era Cate. « La tua amica se n'è andata via un'ora fa e non ha voluto disturbarti »

« Che diamine è successo? »

Lei sorrise, e mi invitò a sedermi al tavolo con lei. Aveva una tazza in mano e gli occhi stanchi. Io però restai in piedi, ancora incredula della situazione in cui mi trovavo.

« Sia te che Cassie siete collassate sul tavolo del bar, così abbiamo deciso, invece di riportarvi fino a casa, di farvi dormire nella casa della persona che abitava più vicino al locale: me »

Deglutii. Il fatto di essere da sola in casa sua, con lei, mi faceva sentire a disagio, eppure non era la prima volta che mi svegliavo nella casa di un altro, inconsapevole di cosa fosse successo. Presi il mio cellulare sul tavolo, davanti a lei, e controllai le chiamate perse. Venti chiamate senza risposta da mia madre, e altre sei da mio padre, più un messaggio nella segreteria telefonica che diceva di richiamarli il prima possibile perchè erano preoccupati. "Pensavo peggio" pensai, componendo il numero di casa. Mi passai una mano tra i capelli cercado di capire cosa mi potevo inventare.

« Ehi, ciao » al fisso rispose mia sorella « Mi passi la mamma? »

Cate mi stava fissando, girando il cucchiaino nel caffè. Quando mia madre prese in mano il telefono cominciò prima a sgridarmi, senza farmi parlare, poi mi chiese dov'ero finita, cos'era successo e perchè non ero tornata a casa.

« Tranquilla, sto bene. La festa è finita tardi ed eravamo tutti troppo stanchi per guidare fino a casa, così abbiamo dormito da un'amica di Cassie. Mi sono svegliata adesso »

Continuò a sgridarmi, poi mi domandò a che ora sarei tornata a casa. Io non volevo per niente tornare lì per sentire la fine della ramanzina. Perciò mi inventai l'ennesima scusa.

« Torno nel pomeriggio, abbiamo intenzione di pranzare tutti insieme. Poi prenderò la metro con Nate » e chiusi la telefonata.

Mi misi a sedere, sfinita dalle sue parole, appoggiai i gomiti sul tavolo e mi coprii gli occhi con le mani. La testa mi stava esplodendo. Sentii un rumore di qualcosa che veniva appoggiato proprio davanti a me. Il suono rimbombò nella mia testa. Mi affacciai tra le mie dita e vidi un bicchiere d'acqua e un'aspirina sciogliersi al suo interno. Guardai Cate.

« Dove vuoi andare a mangiare? » Io corrugai le sopracciglia « Hai detto a tua madre che rimanevi a pranzo fuori. Quindi, dove hai intenzione di portarmi? » ridacchiò lei. Non ero proprio in vena. Inspirai più aria possibile nei polmoni per capire se era seria o stava scherzando, ma comunque sia stetti al gioco.

« Non saprei, ci abiti te qua. Sorprendimi »

« Beh, proprio qua davanti c'è una tavola calda molto carina, ti potrebbe piacere. Inoltre devi mangiare e reidratarti, quindi andiamo a farci un bel brunch » disse, alzandosi e ripulendo tazza e bicchiere vuori nel lavello.

« Non pensavo fossi seria » provai a ribadire.

« Datti una sciacquata, mettiti le scarpe e andiamo. Ricordati il giubbotto, c'è il sole ma tira un po' di vento »

Perchè era così amica con me? Ci eravamo conosciute nemmeno due sere prima e già mi aveva fatto dormire a casa sua e mi aveva invitato a pranzare? Feci come mi aveva ordinato, e uscimmo.

Aveva un appartamento al terzo piano in Cornelia Street. E come aveva detto lei, appena uscite dalla porta e scese le scale, ci ritrovammo davanti a Le Duel, un adorabile ristorane francese dalla colorata facciata e dall'interno cupo retro newyorkese. Ci accomodammo a un tavolo. Cate prese due menù dal prezzo fisso, e ordinammo. La guardai, era così sorridente mentre riferiva il suo ordine al cameriere. Non mi accorsi nemmeno che era arrivato il mio turno, e non avevo dato nemmeno un'occhiata ai piatti.

« Lo stesso che ha preso lei, grazie »

Rimanemmo sole, ma non in silenzio perchè cominciò subito ad estorcermi qualche parola.

« Ti sei divertita ieri? »

« Sì dai, per quel che mi ricordo sì. Se non fosse per il blackout totale dalle 3 in poi ti saprei dire qualcosa di più »

« Hai bisogno di un po' di alcol per bloccarti, avevo ragione » sorrise, giocando con le sue dita « Ma ieri sera hai proprio esagerato. Perchè? »

Quando mi guardava dritta negli occhi sembrava trapassarmi l'anima. Sembrava capirmi quando nemmeno io riuscivo a spiegarmelo. Serrai la mascella e borbottai un « non lo so » involontario.

Provai a cambiare soggetto della conversazione « E te invece? Ti sei divertita? »

Arrivarono le nostre pietanze: french toast, uova e bacon accompagnati da un grosso bicchiere di succo d'arancia.

« Mi stavo divertendo a ballare con te, ma poi sei fuggita »

Per poco non mi strozzai con il primo boccone di pane.

« Mi ero dimenticata il cellulare nel giubbotto » m'inventai, dicendolo anche con un tono piuttosto convincente « Potevi ballare con il tuo ragazzo » aggiunsi.

Lei roteò gli occhi al cielo. « Avevo appena avuto una mezza litigata con lui, per questo mi volevo divertire e danzare liberamente »

« Però avete fatto pace, no? » continuai, incuriosita.

« Se così si può dire... »

Il silenzio calò tra di noi. Io ne approfittai per studiare il posto in cui mi aveva portata. Aveva quest'aria quasi romantica, oltre che vintage. L'intero quartiere di Greenwich era così, per questo lo amavo da impazzire. Era davvero fortunata ad avere una casa lì.

« Te invece? » mi fece tornare dal mondo dei miei pensieri.

« Io cosa? »

« A ragazzi. Come sei messa? Ce l'hai una dolce metà con cui condividere le gioie di coppia? »

Scossi la testa. « Sto bene così »

« Interessante » la sua voce suonò intrigante alle mie orecchie. Mi attraeva, e non me lo sapevo spiegare. Continuò il discorso « Sembravi molto intima con Nate »

Lì per lì non mi domandai nemmeno perchè le importasse, ero concentrata solo a far risaltare il mio status di single.

« Siamo migliori amici da quando eravamo piccoli »

« Però lui ha una grande cotta per te, glielo si legge negli occhi. Come riesco a leggere nei tuoi occhi quanto io ti terrorizzi »

A questo giro mi andò di traverso il succo.

« Non ho paura di te » cercai di trovare un minimo di tono e di forza nella mia voce, ma fallii.

« Già, il tuo è terrore per qualcos'altro »

La situazione cominciava a farmi sentire a disagio, volevo solo finire il mio piatto e scappare, ma non potevo.
D'un tratto mi prese la mano da sotto il tavolino in legno che ci separava, così delicatamente che quasi non me ne accorsi.

« Devi stare tranquilla, non ti farò del male, okay? »

Il mio cuore aveva cessato di battere. La guardavo dritta negli occhi, verdi scintillanti, senza alcun timore. La sua pelle era morbida e i suoi polpastrelli lisci contro il dorso della mia mano. Un lungo e piacevole brivido mi fece venire la pelle d'oca.

« Okay » sussurrai con un fil di voce.

Pagò lei il conto, anche se le avevo pregato di non farlo. La sua scusa fu che così potevamo rivederci per saldare il mio debito. Mi accompagnò lei a casa, con la sua macchina, e ci scambiammo i numeri di cellulare. Tornai sotto le grinfie dei miei genitori ancora troppo presto. Non avevano ancora sbollito la rabbia nei miei confronti. Niente di che la ramanzina finale, solo il divieto di uscire per ben due fine settimana. Per me: una tortura.

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