Sempre verso il Nord.


Per tutte le volte in cui ho immaginato il momento in cui avrei avuto il coraggio di dire a Simone che l'ho capito da tempo, de essermi innamorato de lui, nessuna prevedeva la reazione che Simone sta avendo in questo momento. 

Me lo sò immaginato romantico, con un bacio a fior di labbra e tante parole dolci sussurrate tra di noi. 

E poi l'avremmo detto a mi madre e a su padre, durante una cena che avremmo preparato insieme, imboccandoci ogni pietanza con dei piccoli cucchiai per regolarne il sapore e renderle perfette. 

Me lo sò immaginato lento e drammatico come in una de quelle telenovelas che nonna Virginia guarda alla tv, in cui gli attori non fanno niente per tre quarti del tempo se non guardarsi così tanto degli anni con le classiche espressioni sbigottite. 

Sarebbe stato 'na cosa tipo: Yo te quiero, Simone! 

Urlato de botto, senza un minimo de contesto. 

Che alla fine non se discosta tanto dal modo in cui io me sò appena dichiarato, però almeno non l'ho fatto urlando! 

Ma non è niente in confronto al livello de drammaticità che stiamo toccando in questo momento perchè dopo aver sputato il rospo e detto a Simone che lo amo... Simone, semplicemente, ride. 

Ride. 

Sta proprio ridendo. 

Lui sta ridendo e io me vorrei buttare de testa dentro la piscina.

Ma non posso farlo, perchè significherebbe lasciarlo qua, impossibilitato a muoversi, con quella gamba fuori uso e me sentirei in colpa pure da morto. 

Me costa uno sforzo sovrumano restare impassibile e stendere le labbra in un sorriso mentre lo vedo coprire il volto con entrambe le mani, nel tentativo di tornare serio. 

"Perchè...perchè ri-perchè ridi?" 

Odio balbettare.

Me da la sensazione di tornare a quando ero piccolo e in classe me facevano domande che me mettevano in agitazione. 

E intanto mi ritrovo qui a balbettare di fronte alla persona che amo. 

"Ti prego,scusami!" mi dice subito, spingendo ancora di più le mani contro la bocca e arrestando la risata. 

"Ti prego, scusami, scusami!", ripete ancora, mentre porta le mani sul petto e il volto si trasfigura in quell'espressione preoccupata che me stringe il cuore. 

"Ultimamente mi capita di-di ridere, quando sono particolarmente nervoso e vengo preso alla sprovvista."

Ah. 

Me lo potevi dì prima, Simò. 

Rimango in silenzio, ad ascoltare il suo respiro che si calma e sono così agitato da oscillare le gambe fino a sbattere i piedi contro la parete della piscina vuota fino a farmi dolere i talloni.

"Ti prego Manu, non offerti." pigola, con una voce così dolce che nel cuore mio è già tutto perdonato ma il volto rimane impietrito.

E visto che ho distolto completamente lo sguardo da lui, puntandolo verso un punto vuoto della piscina, riporta il mio volto verso di lui, accompagnandomi con due dita sotto al mento.

Non riesco a sorridergli. 

Non mi sento ferito, me sento solo- svuotato.

"Non sò offeso Simò, è che non so che dire."

"Puoi ripetere quello che hai detto poco fa, se vuoi."

"Per farti rimettere a ride?" sbotto, tenendo comunque un tono di voce basso. "Non se ne parla"

Con un piccolo movimento della spalla, faccio sì che il suo braccio si scosti da me e torno al mio caro punto nel vuoto sul quale inizio quasi a vedere un volto, unendo le piccole macchie che lo costellano. 

Lo sento avvicinarsi a me, dal rumore dell'era che viene spostata e dalla sua gamba che ora sfiora la mia. 

"Manu, tu sei l'unica persona di cui io mi fidi, al mondo." dice, direttamente contro la mia spalla. 

Rimango immobile ad ascoltarlo, resistendo a fatica alla tentazione di voltarmi verso di lui. 

"L'unico al quale confido le mie debolezze, l'unico che se ne prende cura e che mi fa sentire una persona al suo pari. 

Sei quello che mi guarda da lontano per controllare io stia bene, che corre da me se intuisce che c'è qualcosa che non va. 

E io sono tanto fortunato ad averti nella mia vita. 

Anche se litighiamo, anche se non siamo ancora- addomesticati, l'uno per l'altro." 

Mi lascio sfuggire un mezzo sorriso che gli rivolgo. 

Lo guardo ed è bellissimo. Più bello che mai.

Con quei raggi ormai deboli  che je baciano i ricci, gli occhi così grandi e lucidi che me sembrano brillare tutta la bellezza che c'ha dentro e che viene restituita anche fuori, nel suo sorriso gentile, nelle sue labbra. 

"Ma tu, Simone...tu mi ami?"

Non mi risponde, ma si china su di me e mi bacia lieve lieve le labbra. 

Il cuore mi fa mille capriole nel petto, il battito accelera come un folle, le mani mi fremono e scattano veloci.

Allungo le braccia e lo stringo al mio petto.

 É così buono il suo profumo che sa di felicità, di casa e libertà.

"Non sai per quanto tempo l'ho sognato, 'sto momento." confesso, "Io non sapevo come dirlo".

Si fa ancora più piccolo tra le mie braccia e lo sento, che il suo cuore batte all'unisono col mio.

Con le mani sulla sua schiena, inizio ad accarezzarlo vorticando i palmi aperti lungo il cotone della maglia.

"Non voglio mai più litigare con te. Mai più." 

Lo vedo sorridere e scuotere piano la testa contro il mio petto e "succederà, Manu.", mi dice, raddrizzandosi sulla schiena. 

"Lo so, ma..."

"Ma possiamo impegnarci per far funzionare le cose. Possiamo prometterci di non nasconderci niente... niente segreti, niente parole non dette." 

"Me lo prometti, Simò?" 

Annuisce, sicuro di sé, regalandomi poi uno dei sorrisi più belli che io abbia mai visto.

"Te lo prometto, Manu."

"Quindi ora posso chiamarti amore mio?"

Sbuffa una risata, con quel modo adorabile che ha di tirare indietro la testa e mordersi la punta della lingua mentre le guance si tingono di quel rosso tenue che gli impreziosisce il volto. 

"Sì, puoi chiamarmi amore mio." mormora, imbarazzato. "E io posso farlo?" 

"E certo che puoi farlo," rispondo subito e  "amore mio.", aggiungo.

Ci scambiamo un altro bacio, lento e dolce con le nostre bocche che si chiudono le lingue che finalmente danzano insieme. 

Esploro ogni angolo della sua bocca con delicatezza ed è sofferto il momento in cui ci stacchiamo e devo limitarmi ad accarezzarlo.

Lo vedo corrucciare ad un tratto le labbra in un'accennata smorfia di dolore, dopo un paio di minuti passati in quella posizione un po' obliqua data dal nostro stare abbracciati.

"Mi fa di nuovo male", lamenta, infatti, qualche secondo dopo, chinandosi su sé stesso per massaggiare il polpaccio. 

Me fa paura, vederlo così chino verso l'interno della piscina, quindi stringo forte il suo braccio per tenerlo. 

"Guarda che non casco de sotto"  me dice ridacchiando.

E rido pure io, insieme a lui. Anche se quell'ansia strana de vederlo farse male ormai me perseguita e proprio non ce la faccio a mollare la presa. 

Continuo a reggerlo, fino a che non raddrizza la schiena e torna a guardarmi.

"Visto che non sò caduto?" 

"E meno male Simò! A volte me pare che te le cerchi le situazioni in cui te puoi fà male!"

"Ma non è vero" ride. "Sono loro che cercano me!"

"Beh, mò je conviene stare alla larga! Glielo puoi dì eh, che c'hai un fidanzato geloso." 

"Nel caso sò insistenti allora mi difendi tu!"

"Con l'unghia e con i denti! Non hanno mica capito con chi hanno a che fà!" esclamo, strappandogli un'altra risata. "E comunque dai, amore. Rientriamo?"

Non aspetto nemmeno una risposta, a dire il vero, che già scatto in piedi, ritraendo le gambe e puntandole sul terreno e mi piazzo dietro di lui, pronto a chinarmi per afferrarlo dalle ascelle e tirarlo verso di me.

Per fortuna, me fermo un istante prima de farlo- probabilmente merito de quel povero criceto che c'ho in testa e che ogni tanto mi blocca prima de fare qualcosa di cui pentirsi n'attimo dopo.

Io me lo immagino proprio, 'sto hamtaro disperato che me guarda con quella faccia di chi se chiede, notte e giorno, cos'è che ha fatto de male per meritarsi uno come me da gestire...e poi me rimprovera urlandomi "Chiedigli prima se effettivamente anche lui vuole entrare, coglione!"

Aggressivo, 'sto criceto.

Però c'ha ragione. 

Mentre guardo Simone di  spalle, ancora seduto a bordo piscina, me viene da pensare a quante volte Simone ha subito le scelte degli altri.

Fin da bambino.

Ha subito le scelte dei suoi genitori de farlo crescere con mille mezze verità, ha subito le scelte dei dottori e ora anche tutte quelle che vengono prese al posto suo, quando lui c'ha bisogno de una mano.

E penso non sia giusto.

Io non voglio che lui subisca le mie scelte, nemmeno le più stupide.

Quindi me accuccio accanto a lui e "Amore, allora? Ti va di rientrare?"

"Sì, amore. Va bene."

Ora puoi tirarlo su!

T'ha chiesto di ascoltarlo, sforzati de farlo per almeno un paio de giorni!

Ignoro i pensieri e mi allungo verso Simone per aiutarlo ad alzarsi.

"Ora io te prendo e tu tieni la gamba più alta che puoi, così non sbatti sul terreno. Va bene?"

Lui annuisce e fa esattamente quello che gli ho suggerito, prima di arrivare ad avere sufficiente spazio per puntare la gamba sana- quella sinistra- sul pavimento e fare leva per rimettersi in piedi.

Lo aiuto tenendolo stretto dai fianchi e accompagnando i suoi movimenti, fino a che lui non si trova completamente in posizione eretta, e allora mi posiziono davanti, piegato sulle ginocchia, per riprendermelo sulle spalle.

Non si lascia pregare questa volta, e con un balzo salta su e si aggrappa a me come un piccolo koala.

Questa volta, però, le sue mani non sono più intrecciate tra loro ma larghe contro il mio petto e ben ancorate.

Il volto non è dritto ma lievemente inclinato verso destra, tanto da poggiare sull'incavo del mio collo e lasciare qualche piccolo bacio di tanto in tanto durante il breve tragitto.

Il primo divanetto che trovo disponibile è quello sistemato fuori in terrazza, all'ombra di quel piccolo porticato che circonda la villa.

Mi piego sulle ginocchia per permettergli di sporgersi lievemente indietro e poggiare la schiena sullo schienale.

Solo allora lascio andare le sue gambe e avvicino in fretta una sedia sulla quale lo aiuto a sistemare la destra.

Getto uno sguardo al Casio che ho al polso per controllare l'orario.

È l'orologio di Simone, me l'ha prestato qualche giorno fa... affinché mi ricordassi di andare a riprenderlo dopo gli allenamenti, sì.

Pero è stato carino 'o stello a prestammelo, no? 

Poi, tra la lite e i discorsi avuti, non c'è più stato verso che io lo restituissi e ora- a dire il vero- vorrei non farlo più.

"Simó" lo richiamo, per attirare la sua attenzione e mostrargli l'orologio ancora agganciato al mio polso. "Posso tenerlo?"

Lo vedo stringersi nelle spalle e fare una smorfia di completa indifferenza quindi lo prendo come un sì.

E anche se ne sono felice, di portare addosso qualcosa suo.

Anzi, voglio che anche lui porti qualcosa de mio.

E quasi sembra io stia a cercá il portafoglio nel tastare con le mani le tasche dei pantaloni, dall'esterno, prima di raggiungere il piccolo gancio della collana che indosso praticamente da sempre, tirando la piccola linguetta che ne serra la chiusura.

Reggo tra le dita i due capi della collana, avvicinandoli verso Simone e sotto il suo sguardo stupito la lego al suo collo.

"Tu tieni questa."

"Manu, se è per sdebitarti..."

"No, voglio solo che la tenga tu."

Accarezzo il piccolo ciondolo e la sua pelle nuda sulla quale ora poggia e saranno gli occhi miei che sono pieni d'amore, ma gli sta così bene sembra essergli appartenuta da sempre.

Non è una collana de chissà che valore, anzi.

È più un pezzo de argento annerito che altro, ma il ciondolo rappresenta 'na piccola bussola e ricordo perfettamente il momento in cui l'ho comprata, qualche giorno dopo l'incidente di Simone, promettendo a me stesso de non perde più la rotta e di provare a filare dritto e comportamme bene per farlo torná.

E ora che lo guardo, e lui è qua, davanti a me, che me guarda, la indossa e sorride, probabilmente quella promesso l'ho mantenuta per davvero. 

"Ti sta benissimo."

"É la tua bussola." 

"E ora è tua." 

Mi sorride dolcemente, arricciando poi le labbra verso di me.

"Dammi un bacio."

Mi chino su di lui a baciarlo e mio Dio, vorrei stare tutto il giorno così. 

Con le sue mani ai lati del mio corpo, che mi accarezzano e che sanno bene che io gli appartengo e che possono stringersi, possono soffermarsi su di me, toccarmi. 

E forse oso più del previsto quando supero le sue cosce e me metto a cavalcioni su de lui, continuando a baciarlo, a mordere piano le sue labbra, catturandole tra le mie, succhiandole e lasciando ripetute scie di baci umidi dagli angoli delle sue labbra fino alle tempie.

Accarezzo le guance, fino al collo e al suo petto che si muove lento.

"Quando ho comprato questa bussola te non-", la voce mi si spezza al ricordo, ma butto giù quel groppo in gola e "non t'eri ancora svegliato."

Lui mi ascolta con attenzione, sembra quasi che il tempo se sia fermato e che tutto il mondo si sia costretto al silenzio, solo per ascoltarmi parlare. 

"E quando ho visto questo ciondolo ho pensato che tu sei il mio Nord. 

Sei quello a cui punto, quello verso il quale gravito naturalmente e m'avvicino dal primo giorno giorno in cui t'ho visto. 

Anche quando non conoscevo me stesso, io puntavo verso te. 

Come 'na bussola, che punta sempre verso il Nord."

Mi stringe tra le braccia, sistemandosi con la testa poggiata sulla mia spalla, leggermente inclinata verso il mio viso. 

Il suo cuore batte forte, lo sento andare a ritmo con il mio. 

E io mi sento completo.

"Ti amo tanto, Manuel." 

"Ti amo tanto, Simone."


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