Capitolo 23

Roma, 04 Ottobre 2022

Arya

La metropolitana ormai affollata, sobbalza mentre rallenta in una stazione intermedia.  Mi siedo su uno dei pochi sedili liberi, torturando le mani nervose che giocano con l'orlo del mio cappotto marrone. Una coppia sale, ridendo serenamente. Mi ritrovo a fissarli, invidiando quella semplicità che non riesco a trovare. Da quando è entrato nella mia vita, Ferit ha trasformato ogni cosa in un enigma.

Oggi ha insistito per venire a prendermi a casa.

Inutile dire che non gliel'ho permesso.

Non con la pressione che già sento addosso soprattutto con quel suo modo di imporsi, come  nel messaggio che mi ha inviato qualche ora fa.

"Stazione Termini, ore cinque. Non farmi aspettare."

Fingere davanti alla sua famiglia, e a suo nonno... suona già abbastanza complicato. Ma il problema più grande è ciò che sta succedendo dentro di me. Perché c'è una paura che mi tormenta, un pensiero che continuo a scacciare senza successo.

Quando questa farsa ha iniziato a sembrare così reale? E soprattutto quando Ferit Malik è diventato una presenza così difficile da ignorare, anche nei momenti in cui avrei voluto più di ogni altra cosa farlo sparire?

Così ho insistito. Avevo bisogno di spazio, almeno il tempo di questo viaggio per rimettere insieme i pezzi, per prepararmi a quello che mi aspetta. Anche se so bene che non basta.

La voce metallica annuncia la mia fermata "Stazione di Termini."

Mi passo una mano tra i capelli, cercando di sistemarli al meglio. Ho scelto di vestirmi in modo semplice con un vestito in maglina beige a righe e un paio di stivaletti comodi neri, ma non riesco a smettere di pensare a come mi vedrà lui.

Perché, dannazione, m'importa sempre?

Le porte si aprono con un soffio d'aria fredda, e la folla si riversa sulla banchina. Mi faccio largo tra le persone, salgo le scale verso l'uscita e la figura di Ferit attira da subito la mia attenzione.

È lì, appoggiato a un pilastro vicino all'uscita. Cappotto scuro, mani in tasca, e lo sguardo indecifrabile che mi fissa come stesse aspettando da una vita. Anche in mezzo alla confusione della stazione centrale, Ferit Malik è impossibile da ignorare.

Mi avvicino, cercando di mantenere un'espressione neutra, con il cuore che tradisce ogni mia aspettativa, battendo ad un ritmo irregolare.

«Puntuale» dice con il suo tono calmo, quasi sprezzante.

«Non volevo darti la soddisfazione di dire che sono in ritardo» ribatto, incrociando le braccia.

Un angolo della sua bocca si solleva in un mezzo sorriso accattivante, e prima che possa dire qualcosa, mi prende per mano.

«Andiamo» dice con tono deciso, facendomi cenno di seguirlo. La presa è ferma, sicura, e mi coglie così alla sprovvista che sento il sangue affluire al viso. Inizialmente arrossisco per il contatto inaspettato, ma cerco con tutta la mia buona volontà, di distogliere l'attenzione dalla sensazione di calore che si irradia dalla sua mano alla mia, sudata.

Camminiamo attraverso i vicoli della città eterna, tra le stradine illuminate dalle luci arancioni dei lampioni che la rendono ancora piu' storica. La sua presa non accenna a diminuire, e ogni tanto il suo pollice si muove leggermente, un tocco quasi impercettibile che mi rende difficile concentrarmi su qualsiasi altra cosa.

Poi rompe il silenzio.

«Sai già che ci sarà anche lui stasera?» chiede, con quella voce un po' incerta che sembra già sapere il mio stato d'animo. Non ho bisogno di chiedere di chi stia parlando.

Yamir. Il suo nome si insinua nella mia mente come una spina fastidiosa nel piede.

«Immaginavo» rispondo, cercando di mantenere un tono neutro, ma non posso negare che sento il mio stomaco contorcersi all'idea di rivederlo.

«Non ti preoccupare» aggiunge con una punta di sarcasmo. «Farò in modo che non si avvicini a te.»

Il suo tono è beffardo, e il mezzo sorriso che gli curva le labbra non mi rassicura affatto.

«Non sono preoccupata» ribatto, ma il tremolio nella mia voce tradisce qualcosa. Lui se ne accorge, ovviamente. Lo vedo nei suoi occhi, che si fanno più intensi, più scuri.

Ferit si ferma di colpo, costringendomi a fare lo stesso. La sua mano stringe leggermente di più la mia, come a sottolineare il gesto.

«Solo che mi sento così...» inizio a dire, la voce appena un soffio. Nemmeno so cosa sto cercando di spiegare. Mi sento troppo il peso di questa situazione addosso.

Lui mi interrompe prima che possa finire. «Siamo arrivati.»

Ci troviamo davanti a una struttura di nove piani, dalle linee pulite e moderne, ma con dettagli che rivelano eleganza. Le grandi finestre a tutta altezza riflettono le luci della città serale.

Ferit diversamente da me non si ferma a osservare, lui è abituato a questo.

Mi tiene ancora per mano mentre avanza con decisione verso il portone, che si apre automaticamente, rivelando una hall degna di un hotel a cinque stelle. Un tappeto rosso perfettamente centrato si estende dal portone fino al bancone della reception, situata sotto un enorme lampadario in cristallo.

Proseguo, cercando di scrollarmi di dosso la sensazione di essere fuori posto. Questo non è il mio mondo, non lo è mai stato, e camminare accanto a lui sembra sottolinearlo ancora di più.

Le porte dell'ascensore si chiudono silenziosamente alle nostre spalle, isolandoci dal resto del mondo. Mi sento il cuore accelerare di un battito quando il suo sguardo si incrocia con il mio nello specchio, lo distolgo, non riuscendo a mantenerlo.

Dice qualcosa, una frase bassa e quasi distratta su come non debba preoccuparmi. Ma la mia mente è troppo piena per afferrare il significato esatto delle sue parole.

Le porte dell'ascensore si aprono, rivelando un lussuoso attico, fuori dalla portata di noi comuni mortali. La vista dalla vetrata a tutta parete offre uno scorcio mozzafiato sulla città di Roma illuminata.

Una cameriera si avvicina con un sorriso cortese. Indossa un'uniforme verde a righe bianche e con gesti misurati prende i nostri cappotti, appendendoli su delle grucce lucide. Ferit resta in silenzio al mio fianco, ma il suo sguardo indagatore mi sfiora per un istante, quasi a verificare il mio stato d'animo. Cerco di mascherare il disagio e mi concentro sui dettagli intorno a me, anche se ogni fibra del mio essere urla di scappare in Lapponia.

Un maggiordomo distinto ci fa cenno di seguirlo attraverso un corridoio illuminato da luci soffuse dorate. I nostri passi risuonano appena sul pavimento lucido, mentre raggiungiamo una sala da pranzo immensa.

Al tavolo sono già sedute tre persone tra cui il primo a catturare la mia attenzione è un uomo anziano, seduto a capotavola. Ha capelli grigi che sembrano perfettamente pettinati, un viso segnato dagli anni ma ancora affascinante, e occhi castani penetranti. La sua presenza imponente riempie la stanza, nonostante il suo portamento calmo.

Dev'essere il nonno di Ferit. Alla sua destra siede una donna dai capelli neri, di una bellezza raffinata e tratti che ricordano inconfondibilmente Ferit. Indossa un abito verde elegante, semplice ma impeccabile. Mi accoglie con un sorriso appena accennato, ma la sensazione di essere scrutata mi fa abbassare lo sguardo.

Alla sinistra del nonno, invece, c'è un uomo dall'aspetto quasi regale. La sua pelle è leggermente abbronzata e i suoi occhi blu sembrano due schegge di ghiaccio. Per un attimo il cuore mi si ferma, mi ricordano troppo Yamir. La sua figura emana comunque una strana tensione. Tiro un respiro profondo, cercando di calmarmi.

Ferit mi sfiora la mano, stringendola leggermente, e quel gesto mi dà un po' di coraggio. Non mi lascia sola nel silenzio della sala. Avanzo con lui, consapevole degli sguardi che mi seguono.

«Benvenuta. Arya.» dice il Signor Malik con naturalezza, notando sicuramente la mia palpabile agitazione. Sta cercando di farmi sentire a mio agio, ma non ci riesco.

Provo a sorridere mentre mormoro un saluto sommesso. Le loro attenzioni si concentrano su di me, come se fossi la novità del momento. Mi siedo accanto a Ferit, sperando che la serata passi velocemente.

Nel tentativo di distrarmi, i miei occhi vagano nella stanza e si posano su un grande dipinto appeso alla parete di fronte. È un ritratto di famiglia, ma c'è qualcosa di particolare che cattura la mia attenzione. Al centro dell'opera c'è un uomo che riconosco subito come il Signor Malik, affiancato da una donna elegante, probabilmente la moglie, e dietro di loro c'è un bambino di dieci anni circa che attira fin da subito la mia attenzione.

Ha tratti familiari, con occhi azzurri che sembrano brillare anche attraverso la tela, presumo sia Yamir. C'è però qualcosa in lui che mi inquieta. La sua espressione.

Cerco di focalizzarmi al meglio su di lui, quando il suono del campanello acustico dell'ascensore squarcia la mia concentrazione. Il rumore mi fa voltare istintivamente, così come tutti gli altri. Un silenzio pesante cala nella sala mentre i passi, lenti e decisi, si avvicinano. Ogni eco sussulto ingoiando la saliva. Poi appare.

Yamir Malik.

- Angolo Autrice -

Cari Lettori,

Ecco pubblicato il Capitolo 23 e a breve verrà anche il 24, dove succederanno un po' di casini🙈

Grazie per il sostegno che mi date

Con affetto la vostra Caliry 🦀

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