CAPITOLO 30 - BACIO SELVAGGIO

L'enorme spiazzale sul retro di casa Blake continuava ad essere fastidiosamente vuoto. Il rampollo della famiglia di collezionisti riprese a camminare nervosamente avanti e indietro, alzando una piccola nube di polvere ad ogni passo strascicato nella ghiaia. Stava aspettando da oltre due ore Carson e quel ritardo oltre a trovarlo oltraggioso lo stava mandando su tutte le furie.

Impuntandosi sul posto, afferrò il cellulare e tentò ancora una volta di chiamare il cacciatore. Quando vide che nessuno rispondeva alla chiamata, si allentò il nodo alla cravatta con una certa tensione. Vampate di calore gli salivano al viso, segno della sua rabbia tenuta in vano a freno. Gli prudevano le mani.

Nell'impeccabile completo di marca sembrava un rigido uomo d'affari che smaniava per il proprio appuntamento di lavoro. E nella testa di Matthias effettivamente quell'incontro era paragonabile a qualcosa di molto simile al lavoro.

Rinfoderò il cellulare e mentalmente si dispiacque della morte di Samael, il suo vecchio contatto tra i cacciatori. Un uomo con cui aveva portato a termine molti affari. Diligente, meticoloso, puntuale e professionale. Ne era rimasta poca di gente come lui e, infatti, lui ci aveva lasciato le penne.

Fare il cacciatore di sovrannaturali era un lavoro difficile, rischioso e spesso letale. Chi si buttava a capofitto in questa professione solitamente non aveva nulla da perdere, oppure era talmente avido che l'ingente quantità di denaro diventava un ottima motivazione.

I guadagni delle catture, inoltre, erano così alti che alcuni cacciatori avrebbero venduto l'anima pur di fare affari con qualche collezionista come lui. Perché ovviamente la famiglia Blake non era la sola ad aver questa piccola ma significativa deviazione.

Matthias si ravviò i capelli e volse lo sguardo verso i cancelli della propria proprietà. Li aveva lasciati aperti per ottimizzare i tempi, ma non avrebbe creduto in quell'attesa estenuante.

Quando stava per l'ennesima volta chiamare il proprio uomo, un furgoncino nero di piccole dimensioni si imbucò nel vialetto della Villa. Matthias ripose il cellulare in tasca, si sistemò la cravatta e rassettò la giacca. Si sentiva impaziente come un bambino in un negozio di giocattoli, euforico come un giovane fan di fronte al proprio idolo.

Strinse i pugni resistendo all'impulso di strizzarsi nervosamente le mani e quando il mezzo si parcheggiò proprio davanti a lui, esalò un sospiro tremulo e pieno di aspettative.

Pochi minuti ancora e la sua dolce orsa mannara sarebbe finalmente stata tra le sue mani, alla sua mercé. Bastò questo solo pensiero a farlo irrigidire sul posto con una crescente erezione a fargli compagnia. La sua deviazione spuntava nei momenti meno opportuni, insinuandosi nei pensieri e dominando le reazioni del suo corpo.

Carson smontò dal mezzo con un sorriso tirato. Sapeva di aver fatto tardi e sapeva che Blake non era un cliente magnanimo. A dire il vero, nessun collezionista lo era. «Mister Blake... mi dispiace, ho trovato traff-»

Matthias non gli diede tempo di finire la frase, mosse rapidamente la mano schiaffeggiandogli doppiamente il viso. Il cacciatore restò così sorpreso e mortificato da quel gesto che non trovò nemmeno le parole per ribattere. Si massaggiò una guancia e chinò il capo.

«Questa tua incompetenza ti costerà una penale sul compenso. La tua negligenza lavorativa non può condizionarmi.» La freddezza nelle sue parole ma soprattutto nello sguardo fece rabbrividire l'uomo che subito provò un immediato senso di soggezione.

Carson tenne ancora la testa china, digrignando i denti e resistendo all'impulso di ribattere. Per quanto fosse consapevole di aver sbagliato e per quanto Blake lo intimorisse non sopportava quell'atteggiamento di superiorità.

«Forza, vediamo la merce» cambiò subito discorso Matthias, indicando il furgoncino con un'alzata del braccio quasi plateale.

Il cacciatore non attese oltre, corse ad aprire i portelloni e salendo maldestramente raggiunse una giovane ragazza raggomitolata in terra.

La giovane aveva il viso coperto dai lunghi e lisci capelli neri, indossava un abbigliamento sudicio e pieno di strappi. Le mani trattenute dietro alla schiena erano bloccate da manette in argento che le avevano fatto evidenti solchi sanguinanti.

Alzandola di peso, Carson la spinse giù dal furgoncino con scortesia. La ragazza incespicò cadendo nella ghiaia e prese a singhiozzare.

Contrariamente da ciò che il cacciatore si aspettava, Blake si chinò prontamente in avanti per soccorrere la mannara. Le afferrò il viso ispezionando i lividi evidenti. Lo zigomo colava copiosamente sangue, l'occhio violaceo e gonfio era di certo reduce da un pugno che le aveva spaccato perfino il sopracciglio, inoltre, aveva una indiscutibile ferita da taglio sul collo e di sicuro i vestiti nascondevano altre brutte sorprese. Stringendola per il mento si voltò furioso verso Carson. «Cosa le avete fatto?» sibilò lasciando di scatto la ragazza che subito ritirò le gambe al petto, rannicchiandosi fin quasi sparire in terra.

Era così spaventata che il suo sguardo saettava da una parte all'altra ma la sua bocca restava serrata senza far uscire un solo rumore. La paura l'aveva ammutolita. Probabilmente era in stato di shock.

«Come? Cos - cosa le abbiamo fatto? In che senso?» farfugliò il cacciatore, senza capire. «L'abbiamo catturata, Mister Blake. Proprio come ci aveva chiesto lei.»

Matthias si alzò come una molla e afferrando l'uomo per la gola lo sbatté contro il furgoncino. L'istinto di possesso e dominio su quella creatura che gli apparteneva gli fischiava nelle orecchie come un treno. Non poteva accettare un simile trattamento a un suo giocattolo. «Chi ti ha detto di ridurla così, eh?» La indicò, gridando. «Guardala! Guardala, figlio di puttana! Era necessario ridurla così?»

Dal furgoncino scese un altro cacciatore che fino a quel momento era rimasto in disparte. Non si intromise ma venne comunque a sbirciare la situazione.

«È stata una cattura difficile... abbiamo scoperto che la ragazza è da poco nel mondo del mannarismo e... e non ha autocontrollo» tentò di giustificarsi Carson. «Abbiamo dovuto usare le maniere forti.»

Blake serrò il pugno e con forza glielo impiantò nella bocca dello stomaco, togliendogli il respiro. Il cacciatore si accasciò in avanti, stringendosi la pancia tra un ansimo e l'altro, allora Matthias lo afferrò per la giacca e lo spinse scortesemente in terra. Quando si abbassò sull'uomo afferrandolo per i capelli, questo non riuscì a riprendere abbastanza fiato per parlare. Si limitò a guardarlo terrorizzato. «Nessuna mia proprietà può essere trattata a questo modo... che ti sia d'insegnamento.» Gli frugò nelle tasche alla ricerca delle chiavi per le manette. Una volta trovate si separò dal cacciatore, rialzandosi e si pulì le mani contro i pantaloni. «Tieni. Prendi questo e vattene.» Gli lanciò una valigetta in grembo e aggiunse: «Mi impegnerò a far sapere a tutte le famiglie di collezionisti come trattate i loro preziosi trofei prima della consegna. Son certo che non riceverete più nessun incarico nemmeno se vi offrirete di farlo gratis.»

Carson e collega avrebbero fatto meglio ad appendere al chiodo la loro carriera di cacciatori. Nessun Collezionista ne avrebbe mai più richiesto i servigi. Per quanto la categoria di Blake potesse essere sadica e malata, c'era una regola imprescindibile che non andava mai trasgredita: la merce alla consegna doveva essere intatta e in ottimo stato. Solo un Collezionista aveva diritto di torturare, seviziare e compromettere le proprie prede.

I cacciatori professionali come Samael lo sapevano perfettamente e limitavano i danni quanto più possibile. Tranne in rari e giustificati casi, dove venivi preventivamente avvisato che la consegna non sarebbe stata integra. C'era da dire però che si trattava molto spesso di consegne più uniche che rare, di sovrannaturali al limite dell'estinzione e difficili da reperire se non con un po' di cattive maniere. Proprio come la fata Eide che gli era sfuggita mesi prima, Blake era consapevole che se il prelevamento del sovrannaturale fosse avvenuto con successo si sarebbe dovuto comunque accontentare di ciò che gli avrebbero consegnato. Come quando accetti un pacco con riserva del corriere maldestro di turno.

Carson e collega non aggiunsero nulla, si alzarono e salirono silenziosamente sul furgoncino andandosene senza ribattere, né scusarsi.

Osservandoli andare via, Blake si ravviò i capelli e si chinò a sollevare la giovane. La ragazza non aveva più forza nelle gambe e un doloroso cerchio alla testa non le permetteva di camminare con stabilità.

Fu lui a sorreggerla entrando direttamente nelle segrete, passando da un portone sotterraneo che si apriva solo tramite riconoscimento vocale, facciale e delle impronte.

Insomma, un sistema altamente costoso e degno della nomea dei Blake.

«Se - senta... io la ringrazio per avermi salvato ma... ma mi deve aiutare» farfugliò lei, con gli occhiali da vista scivolati sulla punta del naso.

Matthias accennò un breve sorriso. Lui l'aveva salvata? La giovane non sapeva proprio ciò che stava dicendo. In un gesto affettato le spinse al loro posto gli occhiali e la fissò come si può fissare della merce esposta su un bancone. Un po' come quando si verifica la qualità dei propri acquisti.

«Andiamo» le disse, gelido. C'era un iter da fare ora, prima di lasciarla riposare nella sua nuova ed eterna stanza senza vie d'uscita.

La ragazza continuò a spostarsi solo se trascinata, forse aveva qualche osso rotto. La fortuna dei mannari era che la rapida rigenerazione permetteva a Blake di essere più severo nelle punizioni che infliggeva, andando fuori dai soliti limiti di controllo.

Tanto nel giro di poco tempo, tornavano come nuovi. Sempre che non si accanisse con qualcosa in argento, allora lì era consapevole di star rovinando il proprio giocattolo.

La trasportò in una stanza e chiuse a chiave la porta alle loro spalle. L'ambiente era asettico e al suo interno c'era solo una sedia, dall'aria tutt'altro che rassicurante. Le pareti erano di un bianco avvilente che ricordava tanto l'ospedale. La giovane tentò di fare resistenza, si tirò indietro ma lui la strattonò fino alla sedia e la spinse sopra. «Ora ti toglierò queste manette e tu starai buona» la voce gli uscì perentoria e fredda come il ghiaccio. Lei sembrò non reagire. «Se ti muoverai o tenterai di scappare... sarò costretto a punirti» aggiunse, sfilandosi dalla tasca le chiavi e iniziando a trafficare con la toppa delle manette per liberarle i polsi.

Quando finalmente la ragazza fu libera, subito si massaggio i solchi sanguinanti e scoppiò a piangere. «Senta, ci deve essere un errore. Io - io sono venuta qua solo per pochi giorni. Sono - sono venuta qua per una visita veloce e-»

Lui le tappò la bocca con scortesia. «Zitta! Voglio che stai zitta!»

La giovane tentò di divincolarsi, gli occhi si sgranarono di terrore. Riuscì a liberarsi giusto un secondo, per gridare: «Lasciami! Aiuto! Aiuto!»

Ma Blake l'afferrò per i capelli, tirandole la testa indietro abbastanza perché fosse costretta a guardarlo in faccia. «Se vuoi sopravvivere, è meglio che impari a obbedirmi.»

In tutta risposta, lei gli sputò in faccia.

Si sarebbe aspettata un manrovescio, eppure Matthias le sorrise, pulendosi dalla saliva sempre mantenendo quella perversa espressione compiaciuta. «Sei proprio una ragazza cattiva, vedo.» Con uno scatto fulmineo la bloccò sulla sedia con dei lacci attorno ai polsi. Lei tentò di divincolarsi, gridò come una furia ma non riuscì a smuovere nemmeno di un millimetro quella morsa così serrata.

«Sai... qua sotto, nelle mie segrete... c'è una schermatura speciale» le disse, aggirandola come uno squalo, passandole una mano nei capelli e lasciando che le dita si insinuassero tra le ciocche nere. «Serve per annullare i poteri di tutti i sovrannaturali che ci mettono piede... compreso il tuo.»

Un fremito scosse quella giovane. Quel posto deserto e lontano dal mondo, era una trappola letale. «Brutto bastardo che non sei altro! Lasciami! Mi troveranno! Mi troveranno!»

Matthias scoppiò a ridere e sfilandosi la giacca raggiunse un tavolino in alluminio. «Vedi... qui sotto, prima di entrare a far parte della mia collezione, c'è un iter da rispettare, una prassi.»

«Sai dove te lo puoi ficcare il tuo iter?» gli gridò di rimando lei.

Lui sorrise soddisfatto. Quando erano aggressive, la sua eccitazione schizzava alle stelle. Si passò due dita sulle labbra e si rimboccò entrambe le maniche della camicia immacolata. «Non hai molta scelta, a dir il vero.»

Ogni volta che parlava, la giovane mannara veniva scossa da un brivido. Quel timbro di voce così gelido e autoritario sembrava non darle vie di fuga. Quell'uomo sprizzava autorevolezza e violenza da tutti i pori, era sicuramente un tipo dominante... in qualsiasi cosa facesse, in qualsiasi situazione.

Quando tornò da lei, tratteneva delle forbici in una mano. «Ora, ti preparerò per la tua nuova vita» disse sforbiciando nell'aria un colpo. Le strinse i capelli tra le mani, tirandole indietro la testa e facendola gemere. Quel solo gemito gli fece arrivare una scossa dritta dritta tra le gambe e subito l'erezione smaniò per uscire. Si abbassò per parlarle all'orecchio, facendo attenzione che le proprie labbra lo sfiorassero di tanto in tanto, facendola rabbrividire. «Devi sapere che io amo i capelli lunghi... li trovo erotici, sensuali» Si avvolse la coda più volte attorno alla mano, tirando. Lei gemette ancora. «Solo che... nei primi tempi che starai qui dentro, potrebbero diventare parecchio fastidiosi.» Con un colpo di forbice le tagliò una grossa ciocca di capelli.

La ragazza lanciò un grido di terrore misto a rabbia. Il gesto non fu doloroso, non fisicamente; dentro però la dilaniò come lo squarcio di un coltello. Si divincolò cercando di sottrarsi a quel trattamento ma lui continuò a dar sforbiciate a destra e a manca, irremovibile. Glieli avrebbe tagliati tutti, lasciandole un'acconciatura così corta che non le avrebbe permesso di esser sfruttata per farsi del male. Oltre a quella motivazione, sotto c'era anche una componente psicologica. Privare una persona della libertà, della dignità, dei propri ricordi e dei propri effetti personali la faceva entrare in un doloroso meccanismo di accettazione forzata, dove il suo status di "non - persona" scandiva un percorso sofferto verso un'alienante apatia.

Bambole vuote, prive di tutto, prive perfino del dolore a volte.

Ad ogni colpo, la giovane chiudeva gli occhi, tremava e, si chiedeva come in un attimo fosse passata dal camminare in casa propria a ritrovarsi lì. «Mi - mi verranno a cercare. Mi troveranno... e ti faranno male, molto male» farfugliò, seguendo con lo sguardo le lunghe ciocche di capelli neri che si accumulavano una sopra l'altra in terra. Sperava che magari spaventandolo, si convincesse a lasciarla.

Matthias le passò le labbra sul bordo dell'orecchio, gli uscì un respiro tremulo mentre tra le gambe l'erezione premeva con insistenza contro la patta. «Nessuno ti troverà qui. Nessuno» le sibilò, piano, lasciandole scorrere la lingua fino al collo in un lento e provocante preludio di ciò che sarebbe successo più tardi. «Da oggi non esisterai più. Non avrai un nome se non quello che sceglierò per te. Non avrai una famiglia, degli amici, dei colleghi... niente di niente. Svanirai nel nulla. Scomparirai. Verrai dimenticata.»

Il terrore sembrò allargarsi come una macchia, avvolgendo la mannara con violenza e fin nel profondo dell'anima. Quell'annullamento, quella distruzione del suo io, quel vuoto, si insinuarono nella sua mente, stringendo tutti i suoi pensieri in una morsa letale. La ragazza si sentì soffocare, chinò il capo cercando di respirare e sentì le gambe molli, prive di forza. Per un attimo fu quasi felice di essere seduta su quella dannata sedia. Un fremito iniziò ad attraversarla, facendola sussultare. «La - la mia famiglia... mi troverà.»

«Sono io la tua famiglia, ora» le bisbigliò, spostandosi per ammirare il lavoro compiuto. Provò a stringerle i capelli tra le mani e quando si accorse che era un'operazione impossibile, rimase soddisfatto del taglio.

Ma non era finita qui, no. Ancora c'erano alcuni passaggi da fare prima di renderlo realmente appagato.

Sempre con le forbici impugnate, si spostò di fronte a lei. «Adesso devi essere lavata. Hai due possibilità: o ti spogli e ti lavi da sola... o ci penserò io.»

I fremiti della giovane si arrestarono giusto un attimo, sollevò il capo verso Blake e digrignò i denti. «Vaffanculo!» gridò, con tutta la forza che aveva in corpo. Se solo fosse riuscita a liberarsi, allora magari avrebbe perfino potuto tentare la fuga. Anche se era debole, anche se si sentiva più umana di quanto non lo fosse mai stata prima d'ora. «Crepa, stronzo!»

Matthias si morse il labbro, trovava quella sua insolenza qualcosa di estremamente stuzzicante. Avrebbe tanto voluto posizionarsela sulle ginocchia e riempirla di schiaffi e poi, prenderla fino a che non avesse supplicato il perdono. Strinse le mani attorno alle forbici ed esalò un sospiro bollente, cercando di placare il suo desiderio sempre più smanioso.

Prima c'era l'iter da seguire. Suo padre non gli aveva insegnato a essere un uomo impaziente. «Deduco allora che dovrò farlo io» disse, con un ghigno che proprio non voleva lasciargli il volto. Gli occhi erano profondi pozzi neri, che non si staccavano nemmeno un secondo dalla figura esile della mannara. La squadravano con interesse e desiderio.

Matthias si passò le forbici da una mano all'altra, era abituato a questa pratica. Aveva abbastanza schiave sovrannaturali da essersi impratichito nel corso degli anni. Era un rituale che in realtà lo eccitava molto, oltre ad avere un suo scopo; preparare la propria creatura, plasmarla secondo i suoi gusti... e infine, prenderla, per la prima volta.

Si abbassò verso di lei, incurante degli strilli e iniziò con gesti lenti ma esperti a tagliare a brandelli i vestiti. Pantaloni, maglietta, intimo; ben presto la giovane si trovò nuda e ancora legata alla sedia.

Matthias le lasciò scivolare le mani sulle gambe, risalendo verso il ventre e il seno; restò stupito dalle innumerevoli cicatrici che aveva quel minuto, giovane ed esile corpo. Quella creatura doveva aver subito un attacco, una violenza. Non sapeva nulla di lei prima di quel momento ma non ne era interessato in realtà. Ogni volta che una sovrannaturale entrava nelle sue segrete, era come se resettasse la propria vita; ripartendo da lì, ripartendo da zero. «Adesso ti libererò... e ti laverò. Cerca di non farmi arrabbiare.» La strinse per il collo mentre apriva lentamente le guaine che la bloccavano per le braccia. Quando fu libera, la mannara gli afferrò le mani, cercando di liberarsi da quella stretta. Seppure tentasse di ostacolarlo, la forza dell'uomo la sopraffece. Lì sotto, in quelle segrete, era una donna come tante, con la semplice ma inefficace forza di un'umana.

Blake si spostò per la stanza, trascinandola con sé. Quando arrivarono dalla parte opposta della camera, la spinse in terra e si allontanò. Il freddo del pavimento fu come uno schiaffo ben assestato su tutto il corpo, la giovane si guardò attorno cercando vie di fuga che però non trovò. Nella mente si fece strada un pensiero di fuga. Iniziò subito a pensare a qualche modo per liberarsi da quella situazione spaventosa ma non fece in tempo a razionalizzare un'idea che un getto potente di acqua gelida la travolse. Fu così forte che venne spinta contro il muro, tanto che dovette alzarsi in piedi e farsi scudo con le braccia. «Fermo. Fermo!» iniziò a gridare, cercando di contrastare come meglio poteva quella continua gettata. L'acqua l'assaliva con prepotenza, graffiandola come se fosse una bestia, picchiandola come se fosse fisica, togliendole il respiro come se la stesse strangolando.

Quando ormai pensava che quella tortura non sarebbe finita più, improvvisamente il getto smise di colpirla e qualcosa le venne gettato addosso: un asciugamano.

Matthias si abbassò a frizionarle il corpo, asciugandola con prudenza. Continuava ad osservarla con circospezione, la mandibola contratta all'inverosimile e una freddezza nello sguardo da gelare l'animo.

«Pe - perché mi fai questo?» chiese lei, in un soffio, stringendosi in quel panno e cercando di smettere di battere i denti.

Lui non le rispose, l'aiutò ad alzarsi in piedi e visto che era instabile, la sollevò tra le braccia uscendo dalla stanza e attraversando un lungo corridoio buio. La ragazza rimase inerme in quella presa, osservò i movimenti dell'uomo che la teneva in braccio, il fisico prestante, l'espressione corrucciata e si accorse che a causa sua lo aveva totalmente bagnato. Non sapeva nemmeno chi fosse, cosa volesse e il motivo per cui le stesse facendo tutto questo. Non appena venne adagiata su un letto, un allarme si attivò in lei come l'esplosione di una bomba. Le martellò talmente forte la testa che ne venne quasi sopraffatta. Subito cercò di liberarsi e fuggire via.

Purtroppo le percosse subite dai cacciatori e quella schermatura, non le permisero di muoversi come avrebbe voluto. Mentre Blake si spostava per la stanza afferrando degli oggetti e preparando qualcosa, lei riuscì a fare solo qualche passo prima che una scossa s'irradiasse dalle caviglie a tutto il corpo. Crollò in terra gridando di dolore e con rabbia colpì a pugni il pavimento. Il petto era bombardato da sentimenti contrastanti che continuavano a rimbalzare dal terrore alla collera. «Cosa mi vuoi fare?» gli chiese, in un grido furioso.

Anche questa volta, lui non le rispose. La sorpassò andando a chiudere a chiave anche quella stanza e tornò da lei afferrandola per le braccia. «Il nostro primo incontro finirà su questo letto» disse, spingendola di nuovo giù, sul materasso. Rapidamente le fu sopra, a cavalcioni. Come se facesse quella pratica da anni le legò con dimestichezza braccia e gambe a catene in argento. Lei tentò di impedirglielo ma era come cercare di smuovere una montagna a sole mani nude.
Era spacciata.

Il volto della giovane si sgretolò in una pura maschera di terrore. Si contorse con tenacia, tanto da farsi di nuovo venire il sangue ai polsi. «Lasciami! Lasciami, schifoso! Lasciami!» Era terrorizzata. Sapeva quello che stava per succedere e nonostante quella situazione fosse così palese, la sua mente ancora non la voleva razionalizzare; come se non lo accettasse. Non poteva accettare di essere stata rapita. Non poteva accettare di essere stata privata della dignità. Ma ancor peggio, non poteva accettare che presto sarebbe stata stuprata.

Chiuse gli occhi, spaventata. Non voleva vedere. Non voleva sentire. Sulla lingua sentiva il sapore ferruginoso del sangue, si era morsa la lingua per la paura.

All'improvviso delle labbra si posarono sul suo ventre, risalendo pian piano verso il seno. Lei si inarcò quasi d'istinto, gemendo disperata e cercando di sottrarsi a quel contatto. Quando sentì quella bocca succhiarle con tenacia un capezzolo, qualcosa dentro di lei si spezzo. Si sentì profanata, umiliata, violata. Si sentì sporca, macchiata, indegna.

Tirò con rabbia le catene, iniziò a gridare più forte. Dapprima reagì con violenza, poi con paura e infine, la sofferenza sgorgò in terribili e inarrestabili ruscelli dai suoi occhi, rotolando giù sulle guance. La disperazione la squarciava a metà, peggio di tutte le botte prese dai cacciatori, peggio di tutte le cattiverie subite nell'arco della propria vita.

Lo sguardo di Matthias sembrava inghiottirla. La guardava con un desiderio così ardente che si sentiva scopata ancor prima che fosse entrato in lei.

«Lasciami! Ti prego... lasciami» iniziò a supplicarlo. Se cercare di spaventarlo non aveva funzionato, forse con una supplica avrebbe ottenuto qualcosa. «Lasciami andare. Ti scongiuro. Ti darò ciò che vuoi... ogni cosa.»

«Ma io è te che voglio» le bisbigliò lui, all'orecchio. Nelle mani si rigirò qualcosa, lo alzò solo dopo qualche secondo. «Questa è una ball gag... serve per farti stare zitta, anche se ammetto che le grida mi eccitano.»

Lei scosse freneticamente la testa. Non voleva indossare quella dannata cosa. Una palla legata a una cinghia che serviva per tapparle la bocca come in uno dei più scadenti film porno.

«No, no, no... ti prego, no» parlava veloce, mangiando le parole, una dietro l'altra. Continuava a piangere, senza riuscire a frenare quel dolore che le sgorgava dagli occhi. «Starò zitta... ti prego, lo giuro.»

Lui scosse il capo e bloccandola con decisione le fece indossare quell'arnese diabolico. Parlare con quella cosa in bocca era impossibile, e altrettanto impossibile sarebbe stato fare qualsiasi altro movimento. Le veniva perfino da vomitare da tanto era tesa e spaventata, ed era certa che farlo in quel momento l'avrebbe solo fatta soffocare. «Mi spiace... ma dovrò farti una cosa che ti farà parecchio male... e son certo che urlerai troppo. E non voglio che perdi la voce prima del gran finale.» Le scese da cavalcioni, si spostò per la stanza sfilandosi la camicia e i pantaloni: niente intimo. Tra le gambe, un'importante e pulsante erezione stava dritta e impettita pronta per essere usata di lì a breve. Erano entrambi nudi, in una stanza, con lei legata sul letto. Non c'era molte conclusioni da trarre.

La mannara strinse i denti sulla palla, gridò come meglio riuscì e si scosse con violenza. Si sarebbe staccata gli arti a morsi se le avessero assicurato di sfuggire a quel posto, a quella tortura, a quella pazzia.

Quando Blake la raggiunse di nuovo, tra le mani tratteneva un lungo ferro incandescente. Sulla punta c'era uno stampo rosso vivo con la lettera "B" che stagliava in maniera nefasta. Il calore che emanava quell'arnese era così intenso da raggiungere la mannara ancor prima di sfiorarla. «È in argento... così quando si rimarginerà, sarà permanente.» Sul volto, un'espressione eccitata e felice che era impossibile sia da comprendere che spiegare. Un'espressione da folle, da psicopatico. Le tornò vicino mentre sollevava il ferro, pronto a colpire.

Ci fu un attimo di silenzio, non ci fu nemmeno un respiro. Lei tenne addirittura gli occhi chiusi e pregò con tutta se stessa che fosse uno scherzo di cattivo gusto e che presto qualcuno irrompesse in stanza per salvarla. Il suo pensiero si perse per un attimo nei ricordi delle persone che amava, che avrebbe tanto voluto a fianco e che tanto avrebbe sperato la liberassero.

Quando il ferro le toccò la pelle, alla mannara sembrò che tutto prendesse fuoco. Gridò con i denti mutati affondati nella palla della ball bag e si divincolò bruendo mentre gli occhi le diventavano totalmente gialli. Ci fu uno sfrigolio, come quando si gettano le patatine fritte nell'olio bollente. Un raccapricciante odore di pelle bruciata, di carne sulla brace. Le venne da vomitare per il suo stesso odore.

Matthias ritirò il ferro, gettandolo in un angolo e fissò il marchio con soddisfazione. La "B" le stagliava poco sopra l'osso del bacino, rossa come il sangue che aveva preso a sgorgarle dalla ferita. E anche quella volta, aveva ottenuto la sua preda. Anche quella volta, poteva depennare un sovrannaturale dalla lunga lista della collezione che intendeva completare. Le strappò la ball gag, abbassandosi a baciarla con trasporto, senza curarsi della possibilità che lei potesse ribellarsi o morderlo. «Ora sei mia. Solo mia.» Le ansimò contro la bocca.

L'iter per renderla a tutti gli effetti una sua creatura era completato, ora però aveva un'urgente necessità di farla totalmente sua, di affondare in lei e prendersi ciò che gli spettava di diritto da quell'acquisto. Lei era di sua proprietà, un suo trofeo, una sua creatura, una sua schiava.

Le raccolse il seno nelle mani, stringendolo con forza fino a quando non la sentì gridare per il dolore. Quel suono tanto musicale gli fece socchiudere gli occhi, bearsi di quella sofferenza, di quella paura. L'erezione libera continuava a star sollevata e impettita, in attesa. Si rimise cavalcioni su di lei, lasciando strofinare i due sessi, guardandola negli occhi pieni di disperazione e supplica. La prima volta con ognuna delle sue sovrannaturali era indimenticabile, irripetibile. Si abbassò verso la sua bocca, mordendole il labbro inferiore e ondeggiando abbastanza il bacino da farla irrigidire sotto lui. In lei si alternavano così tante emozioni che sembrava paralizzata sul posto, sotto shock.
Qualcosa si era perso in lei, distrutto, spaccato. Non trovava nemmeno la forza per reagire o urlare.
«Ora ti scoperò come non sei mai stata scopata fino ad ora.» Le bisbigliò rocamente all'orecchio. «Benvenuta nella Collezione di Matthias Blake.»

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