CAPITOLO 53
Duba si massaggiò le spalle, passandosi le mani sul petto madido di sudore post trasformazione. Si cercò di scrollare la tensione di dosso e nel farlo sollevò le braccia sopra la testa lasciando che bicipiti e tricipiti si dilatassero e le teste degli omeri schioccassero rumorosamente. Poi roterò il collo ed infine, quando si sentì fisicamente meglio fissò il manto nero del bosco che si estendeva davanti a se.
Avevano cercato tutta la notte, senza sosta, senza fermarsi. Avevano fiutato ogni possibile traccia, alla ricerca anche della più infinitesimale scia di odore che li conducesse al loro covo.
Le loro bestie si erano scatenate in lungo e in largo, dandosi voce tra branchi e lavorando coesi per un unico fine comune. Non era mai successo prima che tante razze di mannari riuscissero a lavorare insieme, unendo le forze e scendendo a patti.
Triste doverlo fare per un simile motivo.
Abbassò lo sguardo in terra, fissando il proprio corpo nudo, ancora imperlato di candide gocce di sudore, con i capelli appiccicati al viso e i muscoli troppo stanchi per quella notte. Con un movimento lento afferrò i pantaloni della tuta e imbucò i piedi, sollevandoli fino al ventre con un breve colpo di anche.
Quando riaffiorò dai suoi pensieri, i suoi occhi si soffermarono su Logan e Damian, gli ultimi del gruppo creato che ancora erano in giro.
A dire il vero, Amarok era ancora in forma animale da qualche parte, non riusciva a darsi pace. Non riusciva ad accettare il rapimento della sorella.
Quando quella sera lo aveva visto prima di partire in spedizione, sul suo volto aveva letto non solo la ferocia distruttrice tipica di lui ma anche un dolore costante e corrosivo; un dolore strisciante e devastante.
Duba per sua fortuna non aveva mai perso nessun familiare, non sapeva ancora cos'era quel genere di sofferenza ma la sua natura animale si era scontrata con quella dell'orso e in parte aveva condiviso quel sentimento desolante e amaro.
Nonostante tutti gli sforzi, quella sera tornavano a casa con un pugno di mosche.
Damian si allacciò i jeans ed estrasse il cellulare dalla tasca osservando lo schermo. Improvvisamente la sua espressione mutò, incupendosi maggiormente.
«Ehi, tutto okay?» domandò la tigre mannara, legandosi il cordoncino dei pantaloni della tuta.
Damian scosse la testa. Gli occhi si rabbuiarono e fu costretto a sistemarsi gli occhiali per mettere ben a fuoco lo schermo dell'apparecchio. Si sentiva mancare. «Vaianna mi ha chiamato quindici volte.» disse con voce tremante. Inusuale da parte della moglie.
Logan sollevò le spalle, imbucando la testa nella felpa. «Sapeva dov'eravamo.»
Vero, Vaianna non si sarebbe mai permessa di disturbarli per una cosa priva di importanza. Damian pasticciò per qualche secondo con il cellulare prima che le mani gli iniziassero visibilmente a tremare. «Mi - mi ha mandato diversi messaggi.» disse con un filo di voce, fissando lo schermo fin quando le parole dei vari sms non gli sembrarono troppo offuscate per poter essere lette.
Duba lo fissò corrucciando la fronte. Non gli piaceva l'espressione del pardo, sembrava stesse per andare in iperventilazione. «Che succede?»
Damian alzò lo sguardo dal cellulare e lo allungò in avanti, come se volesse passarglielo. «Vaianna dice che Amos è uscito come una furia da casa nostra. I messaggi son di tre ore fa.»
La tigre mannara lo afferrò per la camicia, tirandolo verso di sé in un impeto di rabbia. «Cosa cazzo stai dicendo?» gli ringhiò addosso.
Il Mithpala non ebbe abbastanza forze per rispondere, continuò a fissare il vuoto senza spiccicar parola. Era convinto che la malia sarebbe durata molto di più, che si sarebbe svegliato giusto al loro ritorno e invece, sembrava che ogni cosa su Amos avesse meno effetto. O forse, l'angoscia che provava per la sua femmina lo aveva in qualche modo fatto reagire prima. «Io - io» iniziò a farfugliare, passandosi da una mano all'altra il cellulare, come se scottasse. Non riuscì a formulare un frase compiuta, il suo cervello sembrava essersi fermato al messaggio di Vaiana, continuandolo a visualizzare nella mente come in un loop continuo.
Gli altri aprirono bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa che riempisse quel vuoto momentaneo che lasciava spazio a mille alternative di cui molte spaventose. Non fecero in tempo a discutere di nulla, perché un grido spezzò la tensione appena creata echeggiando nel silenzio della notte e dando voce ad un dolore lancinante, senza fine.
Fu quel grido a piegare il Mithpala, si sentì una fitta al cuore e fu costretto a reggersi a Logan per non finir a terra. «Amos.» bisbigliò senza fiato, come se percepisse nell'aria un cambiamento, un avvenimento funesto.
Era solo una sensazione ma era bruttissima, orribile e faceva un male cane.
Duba mollò di scatto la presa su Damian e si spostò verso il margine del bosco. Qualsiasi cosa stesse succedendo, aveva il fulcro proprio là dentro. E lui doveva andarci.
Fece per togliersi nuovamente i pantaloni, unico indumento che aveva indossato, quando un fruscio di rami secchi e arbusti mise tutti sulla difensiva. La tigre mannara soffiò lasciando intraveder i denti, in parte mutati e appuntiti. Gli occhi gialli scintillarono.
Era pronto ad uccidere. Chiunque fosse uscito da quelle fratte avrebbe assaggiato la furia della sua bestia per l'insoddisfacente caccia di quella notte.
Si preparò, mettendosi in assetto da combattimento ma rimase sconcertato quando dal buio del bosco uscì Marie Anne, affannata, piena di graffi, lividi e con le forze rasenti lo zero. Crollò ai piedi del mannaro che subito si prodigò per soccorrerla. Mentre cercavano di assicurarsi che stesse bene, la piccola continuava a farfugliare parole senza senso, frasi sconnesse.
«È la sorella di Amarok.» disse Logan, riconoscendola. Avevano visto diverse sue foto e Amarok aveva dato loro diversi abiti da annusare, per trovar meglio una sua scia. Cosa che fino ad ora non erano riusciti a fare.
La ragazzina si arpionò al braccio di Duba, tirandosi su e osservandosi attorno con sguardo indemoniato. «Loro. Loro ci avevano prese. Loro ci avevano prese.» continuava a ripetere, ansimando per la fatica della corsa.
«Loro? I cacciatori?» le domandò uno dei tre.
Lei annuì. «Lei - lei ha tentato di salvarmi. Lei mi ha spinto fuori. Mi ha detto di scappare. Di andare via. Di andare.» Continuava a guardarsi attorno, con la convinzione che presto sarebbe sbucato un cacciatore da dietro le fratte per prenderla e portarla via di nuovo. Tremava vistosamente, sobbalzando per ogni minimo rumore. Era scioccata e gli occhi dilatati ne erano una prova inconfutabile.
Duba le accarezzò il viso con gentilezza. «Marie Anne, devi dirci dov'è Marlene.»
Lei tremò. «Lei combatteva. Mi ha salvato. Lei è - è» Guardò il bosco, trasalendo. «Lei è rimasta là.» farfugliò infine.
A quel punto Damian si avvicinò afferrandola per le spalle e scuotendola con poca gentilezza. «C'era un mannaro con lei? C'era un ragazzo? Un leopardo?» Non riuscì a trattenere il panico, la voce gli vacillò.
La piccola annuì, mordendosi il labbro nervosamente poi scoppiò a piangere stringendosi con forza alle gigantesche e nerborute spalle di Duba. «Erano lì. C'era così sangue. Tanto sangue.»
Damian non aspettò altre spiegazioni, si alzò di scatto correndo verso il limitare del bosco e con un balzo si gettò a capofitto nel buio, sfrecciando a perdifiato nella speranza che non fosse troppo tardi.
«Portala da Amarok.» ordinò Duba, smollando la ragazzina in braccio a Logan e scappando via dietro il Mithapala.
Per una volta tanto Logan non disse nulla, asserì col capo e si spostò immediatamente verso l'auto con Marie Anne tra le braccia. La piccola si era improvvisamente lasciata andare ed era svenuta, ormai troppo stanca per riuscire a resistere.
Ora era in ottime mani, conosceva solamente di vista quei mannari ma sapeva che ora era al sicuro.
Mentre il pardo adagiava delicatamente la ragazzina sul sedile del passeggero e salendo partiva per riportarla a casa, gli altri due schizzavano veloci tra gli alberi. Con abilità schivavano gli ostacoli saltandoli senza fatica. Si sarebbero voluti ritrasformare in bestie ma non c'era tempo. Quel grido aveva dato voce a tutte le loro paure e ora la corsa che stavano facendo era in realtà una corsa contro il tempo.
Non sapevano quello che avrebbero trovato arrivando sul posto ma, sapevano di doverci arrivare il prima possibile.
Damian svoltò di scatto, ruggendo ferocemente. Sentiva l'odore di Amos, era passato proprio lì. Non si fermò, aumentando l'andatura. Scavalcò degli arbusti con un balzo e superò rapidamente una zona piena di sterpaglie. Duba sempre al suo fianco, veloce e determinato in egual maniera.
La paura che li aveva travolti dava loro la spinta necessaria per correre con risolutezza. Non si sarebbero fermati fin quando non avessero trovato Amos e la sua femmina.
Quando raggiunsero la casina, la prima cosa che notarono fu il furgoncino parcheggiato poco fuori. Aveva uno sportello aperto ma al suo interno non vi era nessuno. Si scambiarono un'occhiata allarmata, doveva essere successo qualcosa. I loro sensi sviluppati fiutavano il forte odore di sangue sovrannaturale anche da lì.
Fu Duba il primo ad avanzare. Scardinò la porta con un calcio e fissò al suo interno, trattenendo il respiro. Il profumo di Marlene insieme a tutto quell'odore di sangue sovrannaturale e umano gli invase le narici, fu costretto a reggersi allo stipite della porta per placare la bestia che nel frattempo era insorta, chiedendo a gran voce di esser sfamata.
Gli occhi gli diventarono gialli quando si posarono sulla femmina di Eide. Ricacciò indietro la bestia affondando le unghie nei palmi delle mani. Non c'era tempo per cader preda del suo istinto animale.
Marlene era gettata sul corpo di Amos, nel tentativo di proteggerlo, anche se ormai non c'era più nulla da proteggere. Continuava a piangere senza sosta, accarezzandogli il volto ormai gelido e spento.
Nelle sue lacrime c'era una sorta di vuoto e rassegnazione che l'avevano resa priva di ogni espressione. Infatti il suo volto era segnato da un dolore profondo e inarrestabile.
Non appena si accorse della loro presenza soffiò, mostrando i denti ben appuntiti e stringendo ancora più a sé il cadavere di Amos, mollemente abbandonato tra le sue braccia. «È morto. È morto.» bisbigliò cullandolo come in trance.
Damian scostò bruscamente Duba, gettandosi ai piedi di Amos. «No. Non è possibile. Non è morto.» gridò afferrandolo dalle braccia di Marlene. «Non è morto.» Rantolò scuotendolo e iniziando a tremare come una foglia.
Si sentì per un attimo morire a sua volta, come se gli avessero strappato il cuore dal petto, rudemente. Cercò di respirare ma gli uscì un fischio preoccupante. Strinse tra le braccia il corpo del proprio uomo, prorompendo in un ruggito rabbioso.
Era arrivato troppo tardi.
La ragazza si coprì il viso con le mani, scoppiando nuovamente a piangere. «È tutta colpa mia. È tutta colpa mia.» continuava a ripetere, in un bisbiglio sempre più flebile e soffocato.
Duba rimase immobile a fissare per un attimo la scena che gli si parava di fronte. I cadaveri, il sangue, l'amico riverso in terra con il petto trivellato di colpi di pistola.
No. Non riusciva ad associare la parola morte ad Amos.
Cazzo, no. Non lui. Non Amos. Non era da lui arrendersi così.
Amos era un tipo con le palle, uno che rideva in faccia alla morte, che gli pisciava in testa. Non poteva essere morto.
Fu attraversato da un brivido che gli fece accapponar la pelle, continuava a guardare quel corpo immobile sentendo una rabbia cieca crescergli in petto. «Se questo figlio di puttana pensa di crepare prima di avermi offerto almeno un'altra birra, si sbaglia di grosso.» ringhiò furibondo, spostandosi in avanti come un tornado. Si lasciò scivolare in terra spostando malamente Damian e appoggiandogli le mani sul petto iniziò a comprimerlo con forza. Non lo avrebbe mollato lì a marcire senza aver almeno tentato il tutto per tutto. «Cazzo, Amos... non ti lascio crepare. No.» Trenta compressioni, poi gli strinse il naso e gli soffio aria in bocca.
Il sapore metallico del sangue mannaro gli rivoltò lo stomaco come un calzino. Strinse i denti imponendosi di non vomitare proprio ora.
Si posizionò meglio in ginocchio a lato di Amos e riprese le manovre di rianimazione cardiopolmonare. Altre trenta compressioni e di nuovo aria nei polmoni.
Ancora. E ancora.
Più i tentativi si accumulavano più spingeva con forza sullo sterno, con rabbia. «Non puoi andartene, Amos. Non lo permetto, cazzo.» ruggì, riprendendo a comprimere furiosamente. Gli occhi diventarono gialli, specchio di una collera condivisa anche con la propria parte bestiale.
Troppi mannari erano morti nel corso degli anni e di troppi altri ancora sentiva il costante ed opprimente peso sulla coscienza, così gravoso d'appesantirgli l'anima.
Non voleva e non poteva perdere anche Amos; era una figura troppo importante nella sua vita per lasciarla andar via così. Un fratello, un amico, un confidente, la spalla su cui piangere ma anche il coglione con cui condividere le bravate.
Continuò per interminabili minuti. Il sangue lo aveva completamente imbrattato. Si passò un braccio sulla fronte, riprendendo più energicamente.
Non poteva mollare. Amos avrebbe fatto lo stesso per lui.
«Devi vivere, stronzo. Devi vivere!»
Damian gli appoggiò una mano sul braccio. «Duba... io credo che» non finì la frase, l'altro lo afferrò per la camicia scuotendolo energicamente.
«Lui non è morto. Okay? Non è morto!» gli gridò in faccia. «Amos non muore. Lui non può morire.»
Marlene scoppiò nuovamente a piangere. Assistere a quella scena era un po' come perderlo ancora e ancora e ancora. Sembrava una sofferenza continua, instancabile. Per ogni colpo che Duba gli dava sul petto, la fiducia di Marlene si assottigliava, svaniva. Sembrava sempre più lontana, irraggiungibile.
Le mani della tigre mannara si strinsero a pugno. «Non posso permettere che muoia, Damian. Non posso accettarlo.»
Non c'era bisogno di dirlo, Damian lo sapeva bene. Lo avvertiva sin dentro l'anima quel dolore condiviso. Si sentiva impotente e svigorito. Veder il suo uomo lì in terra, privo di vita, era come se lo avesse prosciugato di ogni forza.
Cercò di ridarsi un contegno, si ripulì le guance dalle lacrime e annuendo si sollevò le maniche della camicia. «Allora facciamo un altro tentativo.» Si sfilò gli occhiali gettandoli dietro di sé, gli occhi diventarono prima gialli e poi viola. L'energia si espanse inglobando tutti i presenti. Crepitò nell'aria, scoppiettando in piccole ma visibili scintille. Per Marlene fu come una coperta calda, che l'avvolse interamente facendola sentire un po' meno sola, meno vuota. Per un attimo le sembrò che fosse Amos stesso a cullarla in quell'energia viva e confortante. In realtà era consapevole che il suo unico grande amore, giaceva ancora supino su quel lurido pavimento, senza vita.
Damian si sfregò le mani l'una con l'altra, e si mise in ginocchio di fronte ad Amos. Inspirò a fondo prima di snudar i denti lasciando che mutassero. Lo sbuffo della bestia gli uscì rumorosamente dalle narici, impaziente di rendersi utile. «Tu continua a fare quello che stai facendo...» ordinò a Duba, a quel punto avvicinò il proprio braccio alle labbra e aprendo le fauci lo morse con forza.
Il fiotto di sangue zampillò dalla ferita, gocciolandogli lungo tutto il braccio. Con la mano libera si pulì la bocca, trascinandosi la scia di sangue lungo tutta la guancia. Con la ferita sempre più grondante, si spostò in avanti lasciandola colare in bocca al pasura. Il sangue gli riempì la bocca mentre Duba continuava a comprimergli il petto e a insufflargli aria nei polmoni.
L'energia del Mithpala occupava densamente tutta l'abitazione, opprimendo gli altri presenti come una schiacciante presenza. Damian la lasciò estendersi, senza freni. Socchiudendo gli occhi mentre la sentiva defluire da sé invadendo tutto e tutti, ma soprattutto convogliandosi con prepotenza nello scambio di sangue che stava in qualche modo avvenendo tra lui ed Amos.
Il corpo del mannaro venne attraversato da un fremito, come se qualcuno gli avesse dato una scarica elettrica. Si era instaurato una sorta di legame tra il denso sangue che colava abbondantemente dalla ferita di Damian e il corpo di Amos, pronto a riceverlo come un contenitore vuoto in attesa di esser riempito.
Un filo. Un vincolo. Una connessione.
«Non smettere.» lo ammonì Duba.
Damian usò allora gli artigli della mano libera per allargare maggiormente lo squarcio, già in via di rimarginazione. Si allungò sul corpo di Amos, lasciando scorrere il proprio sangue anche dentro i fori delle ferite. Non sapeva nemmeno lui cosa stava facendo, si stava soltanto affidando all'istinto e ad un'antica leggenda sui figli della luna rossa.
Il sangue di questi mannari, era speciale, potente e si diceva che potesse salvare dalla morte i propri simili anche nei casi peggiori. Lui non l'aveva mai condiviso con nessuno, nemmeno con Vaianna a dir il vero, se non per il rituale d'unione al loro matrimonio. Quello che stava facendo quella notte andava al di là di tutte le sue aspettative, al di là perfino delle sue conoscenze in merito.
Sperava solo che servisse a qualcosa. Non avrebbe sopportato di perdere un'altra volta Amos, quella notte. Perché sì, fallire miseramente sarebbe stato come perderlo di nuovo.
La tigre mannara pompò ancora le mani sullo sterno, si abbassò a soffiargli aria nei polmoni condividendo in parte quel sangue, che in parte ingeriva a sua volta ad ogni insufflazione. Il volto era completamente una maschera rossa, ma ciò non gli interessava se fosse servito a qualcosa.
Tentò un'ultima volta, fermandosi un attimo. Era finita. Non ci erano riusciti.
Marlene si voltò di lato, rimettendo. Lo stomaco contorto in spasmi di puro dolore.
Damian si coprì con le mani il volto, singhiozzando senza freni. «Fanculo, Amos. Fanculo.» gemette disperato.
«No. Non lo permetto. No.» Duba intrecciò le dita stringendo le mani a pugno. «Non. Puoi. Morire.» gridò, sollevando le braccia sulla testa e calando il pugno come un maglio.
Il colpo si infranse contro lo sterno del pasura e si amplificò come una detonazione. L'energia esplose come una bomba, trasformandosi in una massa di aria compressa che si riversò fuori dal corpo di Amos come un'onda. Quel dirompente potere si infranse impetuoso sulle pareti della casina mandandole in mille pezzi. Le schegge di legno schizzarono ovunque, liberandosi in una massa di fumo.
Gli occhi di Amos si riaprirono, mutati e di un intenso viola iridescente. Proruppe in un ruggito bestiale che riecheggiando in tutto il bosco annunciò il suo ritorno.
Amos White era tornato.
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