CAPITOLO 49

Amos si svegliò di soprassalto, balzando a sedere sul letto con il cuore che gli scalpitava in petto. La sensazione di aver perso qualcosa lo bombardò con insistenza, costringendolo a prendersi la testa tra le mani per il dolore.

Si guardò disorientato tutt'attorno e solo quando notò Vaianna appollaiata su una poltroncina e sprofondata nel sonno alla mente gli tornarono tutti i ricordi di quella sera.

Marlene fuori dal Desmo, lui che la intercettava, lei che lo pugnalava al cuore con le sue parole di ghiaccio e poi i cacciatori che la rapivano. Era successo tutto così in fretta che aveva realizzato troppo tardi ciò che stava succedendo e quando erano arrivati i ragazzi, ormai lui era completamente preda della sua natura bestiale.

Damian.

Doveva avergli fatto qualcosa quel bastardo, aveva ricordi sfocati di quello che era successo dopo, una volta che i cacciatori si erano portati via Marlene.

Si alzò di scatto dal letto e il movimento troppo veloce gli fece girar la testa, se non aveva preso una botta al capo poco ci mancava.

Vaianna schiuse gli occhi e sorrise nel vederlo in piedi. «Ehi, Amos... come stai?» gli domandò con il suo solito tono gentile. Il viso stretto in un'espressione dispiaciuta fece comprendere al pasura che la femmina sapeva quello che era successo.

«Devo andare.» disse lui, spostandosi verso l'uscita della camera.

Vaianna si alzò rapida e corse ad ostruirgli il passaggio. Non che sarebbe riuscita a trattenerlo se solo lui si fosse imposto con la forza. «Damian è uscito con gli altri, ha detto di aspettarlo qui.»

«Lo sai che non lo farò.»

«Amos, i ragazzi son usciti a caccia. Vedrai che torneranno con Marlene.» fece una pausa. «È così che si chiama, vero?»

Lui annuì, stringendo i pugni mentre gli artigli spuntavano fino a conficcarsi nella carne dei palmi. Chinò la testa consapevole che non poteva assecondarla, non quella volta. «Mi spiace, Vaianna. Non posso restare.»

«Da soli è pericoloso. Ti prego, aspetta che almeno qualcuno di loro rientri per unirsi a te.»

Il pasura si umettò nervosamente le labbra e sollevò lo sguardo verso la propria Kotiya, la regina del suo branco. Era una femmina valorosa e degna di essere al fianco del proprio Mithpala. Avrebbe capito le sue intenzioni, anche senza spiegargliele eppure si sentiva in dovere verso di lei e verso l'ospitalità che Damian gli aveva sempre dimostrato. «Tu che faresti se te lo portassero via?» domandò d'un tratto.

Vaianna rimase in silenzio, comprendendo immediatamente a cosa riferiva. Gli occhi le diventarono gialli e un basso brontolio le scaturì dal petto, feroce. «Io ti capisco... ma saresti solo e... Amos, ho paura per te.» le sue parole erano sincere. Lei e Damian non erano ancora riusciti a diventare genitori, forse non lo sarebbero mai stati; nel frattempo il suo istinto materno si proiettava su tutti quelli del branco e, anche se molti come Amos erano abbastanza adulti da poter prendere le loro decisioni in autonomia, Vaianna non poteva far a meno di preoccuparsi per loro.

Gli posò le mani sulle spalle e lo fissò dritto negli occhi. «Se trovi i cacciatori, prometti che tornerai a chiamare rinforzi.»

Amos si morse il labbro. Non poteva prometterle qualcosa che con ogni probabilità non avrebbe mantenuto.

«Amos, ti prego.» aggiunse lei, flebilmente.

Lui si limitò ad annuire e uscì di casa di fretta, quasi correndo.

Sapeva che più a lungo restava lì, più il rischio che a Marlene succedesse qualcosa si triplicava.

Quando una ventata fredda lo schiaffeggiò in viso, si guardò attorno e comprese che mai come quella volta aveva bisogno del suo istinto animale. Mai come quella volta aveva bisogno del fiuto della sua bestia.

Socchiuse gli occhi lasciando che quella parte di lui venisse a galla, prepotente e selvaggia come sempre. Restò immobile annusando l'aria, annusando tutto ciò che c'era attorno.

Anche i più infinitesimali scricchiolii gli sembrarono amplificati nella sua mente, rimbombando come se venissero sparati direttamente dalle casse di un amplificatore.

Si limitò a soffiare al nulla, lasciandosi completamente condurre dalla bestia. Inclinò leggermente la testa e improvvisamente il suo fiuto allenato intercettò un odore. Un profumo che conosceva bene.

Marlene.

Il nome gli riecheggiò nella testa, facendo impazzire la bestia che si fece strada per uscire. Amos fu più veloce, arginò la risalita della belva imponendosi con tutte le sue forze. Quando si trattava di Marlene, lui e il suo istinto animale agivano in simultanea. C'era un interesse comune.

Non appena aprì gli occhi, sapeva dove andare. Aveva una traccia, una scia da seguire. Gli occhi lampeggiarono gialli e iridescenti nella notte, mentre si spostava rapidamente a piedi. Non poteva usare i mezzi, non poteva perdere la pista.

Era l'unica cosa concreta che gli restava di Marlene, il suo profumo. Il suo dolcissimo e inebriante profumo che mai avrebbe dimenticato e che avrebbe riconosciuto ovunque.

I suoi piedi si mossero automaticamente, un passo dietro l'altro, sempre più veloci.

Corse per miglia, instancabile, insaziabile.

Doveva trovarla. Doveva salvarla.

Svoltava in stradine poco trafficate, passando da viali ben illuminati a piccoli quartieri dimenticati da Dio. Correva senza sosta, rallentando il passo solo quando l'odore di Marlene si attenuava. A quel punto si bloccava di scatto e prestava più attenzione ai sensi, al fiuto in particolare.

La bestia non mentiva mai, sempre così infallibile.

Intorno a lui, ogni tanto echeggiavano nel buio della notte ruggiti e bramiti. Non sapeva dove si trovassero i ragazzi ma poteva star certo che anche loro erano alla ricerca. Quella notte qualcosa sarebbe successo, se lo sentiva.

Mentre il paesaggio attorno a se si mescolava diventando una semplice macchia indistinta, si sfilò la camicia lasciandola cadere in terra. Non poteva raggiungerla in forma umana, ci avrebbe messo troppo tempo e loro, non ne avevano.

Si liberò degli ultimi vestiti senza prestare attenzione a ciò che lo circondava. Non era certo di essere solo, lontano da occhi umani ma non gli interessavano in quel momento i soliti accorgimenti. Aveva una certa fretta.

La trasformazione prese subito piede, come se la bestia non aspettasse altro che esser liberata. Nel correre appoggiò le mani in terra, artigliando il cemento delle strade con i lunghi artigli. Le articolazioni subito si spezzarono, costringendolo a fermare la corsa almeno il tempo necessario per risaldarsi nella giusta posizione del suo io animale.

Quando sentì le ossa andar al loro posto, sbuffò dal naso, sopportando a denti stretti il dolore lancinante. Non c'era volta che si trasformasse che non malediceva quel procedimento doloroso e necessario. I muscoli, elastici, si allungarono e distesero sulle nuove articolazioni e le nuove forme sinuose della bestia. La pelle ancora umana rendeva quell'ibrido in fase di mutamento un vero scherzo della natura. Se qualcuno l'avesse visto ora, avrebbe passato guai molto grossi.

Era illegale trasformarsi in zone dove la trasformazione aveva alte probabilità di esser vista anche da occhi impreparati come quelli umani.

La pelle del naso si spaccò, secernendo il solito liquido vischioso e maleodorante. Anche nel resto del corpo gli squarci iniziarono a delinear un percorso sulla pelle che ben presto si aprì lasciando emergere il manto fulvo della bestia.

Amos ruggì, appoggiando la testa al duro cemento della strada. Respirare a metà mutazione diventava faticoso, quasi impossibile. La pelle del viso continuava a spaccarsi, mentre la mandibola si dislocava e un crescente tremito lo costringeva ad abbandonarsi interamente alla bestia.

Il dolore gli diede una scossa che gli fece tendere tutti i muscoli, fino a che non li sentì indolenziti. Inarcò la schiena mentre la natura mannara esplodeva e con uno scossone si liberava dei rimasugli dell'epidermide umana.

Il leopardo che era imbrigliato in lui ruggì nella notte, dando voce alla sua libertà.

Non appena il fiuto si acuì, il profumo di Marlene sembrò più distinto, palpabile.

Restò giusto un attimo in assettò da corsa, un brivido lo percorse interamente quando si rese conto di una cosa veramente inaspettata.

Il marchio.

Pulsava, fremeva, era come un richiamo. Segnava un percorso indelebile, che lo portava a lei. Non importava dove ora fosse, l'avrebbe trovata ovunque e in ogni momento. Sempre e per sempre. Quel legame solido che li univa, che li completava, aveva fatto sì che creasse un prolungamento fra la sua persona e la bestia.

Lei sarebbe sempre stata la sua casa, la sua base, la sua meta. Non ci sarebbe stato altro porto sicuro, altro posto che la bestia avrebbe trovato con assoluta certezza come al suo fianco.

Non c'era quasi più bisogno nemmeno di usare il fiuto, la bestia sapeva; l'avrebbe trovata. Era come se entrambi fossero legati da un filo; a lui sarebbe semplicemente bastato seguirlo.

Scattò in avanti, lasciando flettere le zampe anteriori e usando le posteriori per darsi lo slancio. Corse come se il Diavolo in persona gli stesse alle calcagna. Più veloce di quanto aveva mai fatto, tanto rapido quanto una vettura.

Sbuffava dalle narici rumorosamente, non tanto per la fatica quanto per la crescente rabbia. Avevano osato toccare la sua femmina, non c'era pietà nella bestia.

Sfrecciò nella notte, fendendo l'aria. Il fischio del vento ovattava tutti i restanti rumori. In quella notte restavano solo lui e la sua furia omicida, lui e il suo desiderio di ritrovare la sua amata.

Il marchio lo attirò a sé, come una calamita, un segnale lampeggiante o un faro nel buio. Seguì la sua scia, il suo richiamo.

Non sapeva per quanto tempo aveva corso, gli erano sembrati secoli eppure erano passate ore. Inchiodò impiantando le zampe anteriori sull'asfalto, gli artigli ticchettarono stridendo nel tentativo di arrestare il corpo ormai slanciato a tutta velocità.

Quando riuscì a fermarsi, osservò davanti a sé il limitare del bosco. Era lì che la bestia lo aveva condotto, l'Huron-Manistee National Forest si estendeva in tutta la sua maestosa grandezza. Avvolto nella sua agghiacciante aura selvaggia troneggiava con audacia; un luogo primitivo e primordiale dove la natura regnava padrona.

Il leopardo sollevò il muso alla luna prorompendo in un feroce e sanguinario ruggito prima di scagliarsi in avanti e sparire nel buio della foresta.

Quella notte, si sarebbe scritto il suo destino.

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