CAPITOLO 47
Il grido di Marlene spezzò il silenzio della notte, echeggiando nel buio e dando voce a quella scrosciante pioggia. Fu un grido agghiacciante che filtrò nelle ossa del pasura fino a farlo rabbrividire.
Amos si voltò di scatto e la scena sembrò prendere la piega di un film, dove ti mostrano a rallentatore qualche immagine straziante che non riesci a frenare o impedir che accada. Il ringhio della bestia sorse come un rombo dal petto mentre scattava in avanti verso la fata per salvarla.
Il furgoncino nero aveva inchiodato proprio al margine della strada, aperto i battenti e con una velocità magistrale stava prelevando Marlene.
La giovane si era in un attimo ritrovata circondata da quattro cacciatori. Riconobbe subito Samael e i suoi profondi occhi simili a pozze. Cercò di scappare ma due di loro le bloccarono la strada e ben presto una pesante cotta di rame la bloccò sul posto, impedendole di liberarsi e di usar il proprio potere. Gliela chiusero diligentemente dietro la schiena, schiacciandole le braccia lungo i fianchi. La schermatura cadde, rivelando la sua natura di Eide ma, il rame azzerò ogni sua energia e si trovò così prigioniera. Non poteva usare la sua magia, non con quella roba addosso.
La fata si voltò a fissare per un attimo Amos, terrorizzata. Gli occhi blu iridescente vacillarono. Questa volta non c'era scampo per lei. Lanciando l'ennesimo grido di protesta, si augurò per lo meno che a lui non succedesse nulla.
Mentre il rapimento si stava susseguendo in una rapidità di azioni veramente molto professionale da parte dei cacciatori, Samael estrasse dall'auto la pistola con la rete argentata. «Buttatela sul camion.» ebbe tempo di gridare, prima che Amos si scagliasse in loro direzione, capendo ciò che stava succedendo.
Lo sparo fischiò nell'aria come uno scoppio e la rete venne abilmente lanciata dall'arma con una velocità sorprendente. Amos alzò una mano per pararsi ma l'argento di cui era composta la rete lo bruciò strappandogli un grido di rabbia e dolore.
I ganci della rete si arpionarono al terreno e come successe quella mattina alla piccola Marie Anne, inchiodarono Amos al suolo senza lasciargli vie di scampo.
Il pasura afferrò con entrambe le mani la rete e nonostante l'argento gli scavasse solchi profondi e sanguinanti tra le dita usò la schiena per far leva e sollevarsi da terra.
Vedendo che la trappola non avrebbe funzionato come con la ragazzina e che con ogni probabilità non avrebbe retto ancora a lungo, Samael si affrettò a salire sul furgone richiudendo i battenti con una certa fretta. Il mezzo sfrecciò via qualche istante dopo, portando con sé Marlene.
Non appena vide le ruote sgommare e il furgoncino allontanarsi a velocità sostenuta, Amos proruppe in un ruggito spaventoso. Spinse con la schiena la rete, cercando di sganciare gli uncini fedelmente artigliati al terreno. L'argento lo ustionò in tutte le zone di pelle scoperta, squarciandola profondamente.
Uno dei ganci saltò, liberandosi dal terreno. Amos spinse con ancora più forza mentre la rabbia si accumulava in lui, scatenando la furia della bestia che improvvisamente si fece strada per dar via alla mutazione.
Perse il controllo di sé, lasciando spazio alla bestia, lasciando che lo prevaricasse e prendesse il sopravvento.
Le mani cambiarono immediatamente, allungandosi e munendosi di artigli. Ruggì ancora, mentre continuava ad assestar colpi sempre più forti e irosi.
Quando l'ennesimo gancio saltò, sul posto sopraggiunsero i ragazzi, ognuno con gli occhi mutati e lo sguardo vigile e attento. Si fissarono attorno alla ricerca del pericolo ma ormai dei cacciatori non v'era rimasta ombra; i bastardi si erano dileguati rapidamente senza lasciar alcuna traccia. Non appena si voltarono verso la figura di Amos ancora china in terra e ancora bloccata parzialmente dalla rete si accorsero che il pasura era intrappolato e nonostante gli sforzi non riusciva a liberarsi; subito si precipitarono da lui per aiutarlo.
Duba afferrò le maglie senza preoccuparsi dell'argento che immediatamente gli ustionò la pelle. «Cosa cazzo sta succedendo questa sera, eh?» ringhiò tirando la rete e sganciandola da una parte.
Damian e Logan si occuparono della parte opposta e ben presto riuscirono a liberar il pasura lanciando l'infernale attrezzo lontano da loro.
Amos rimase per qualche attimo chino in terra, con le mani premute contro il terreno. Inspirava grosse quantità d'aria, sbuffandole in getti rumorosi dal naso, come i tori. Si sollevò qualche istante dopo aprendosi la camicia con urgenza.
L'avevano presa. Doveva correre da lei, doveva salvarla.
Non gli importava se poi lei avrebbe comunque proseguito per la sua strada. Non poteva saperla in pericolo, non poteva lasciarla nelle loro mani.
La bestia spinse per uscire, gli squarciò la pelle da cui fuoriuscì un vischioso liquido.
Damian lo bloccò prima che desse il via alla trasformazione, spingendolo indietro tanto da farlo barcollare. «Amos.» lo richiamò a sé, appoggiandogli le mani sul torace, trattenendolo. «Amos, fermati. Che succede?»
«Lei. L'hanno presa.» rispose lui, ancora affannato, irrazionale.
Non c'era più lucidità nei suoi occhi, soltanto la bestia, assetata di sangue e vendetta.
«Lei chi?»
Il pasura cercò di divincolarsi dalla presa del Mithpala ma anche Logan si interpose tra lui e la strada su cui era sfrecciato via il furgoncino. Ruggì con disperazione quando gli amici lo bloccarono ancora, evitando che sfrecciasse via all'inseguimento dei cacciatori. Si cercò di divincolare artigliando l'aria con le mani completamente mutate e gli squarci sulla pelle che già lasciavano intravedere il manto della bestia. «Amico, calmati. Che succede?»
Amos si strappò la camicia, gettandola in terra. Non aveva tempo per spiegare. Forse poteva ancora raggiungerli e salvarla.
La bestia grattò dalle profondità del suo essere, chiedendo udienza. Cercando di superare gli amici, si spostò di lato e la trasformazione riprese. La pelle delle braccia si lacerò fino alle spalle, spaccandosi. Subito il manto della bestia sbucò da sotto il vischioso liquido che secernevano le ferite.
«Amos.» lo richiamò Damian, questa volta con un tono più duro, grave.
Lui scosse la testa, sbuffando furioso. L'energia mannara si estendeva dal suo corpo, irradiandosi tutt'attorno come una bollente e pesante afa che colpiva gli altri scottandogli la pelle quasi dolorosamente.
Duba afferrò per le spalle l'amico, scuotendolo. «Ehi, fratello. Ehi.» I due si guardarono e per un attimo la tigre temette che il pasura fosse quasi disposto ad attaccarlo pur di liberarsi. Gli occhi erano di un preoccupante giallo, i canini sporgevano dalle labbra scintillando bianchi e letali grazie al bagliore della luna. Nel suo sguardo non c'era alcuna traccia umana. Amos fece resistenza, ruggendo e ringhiando con rabbia ma Damian gli appoggiò una mano sulla spalla e una scarica di calda e densa energia lo avvolse, cullandolo.
«Fai un bel respiro.» disse Damian, gli occhi del Mithpala da gialli passarono a un inconsueto viola iridescente. Era una particolarità molto rara nei mannari, non necessariamente accostabile ai capi branco. Poteva averla chiunque o meglio, chiunque fosse nato in notte di una luna rossa. Ed è per questo che erano veramente rari, poiché non era facile far combaciare una nascita imminente e naturale con una di queste lune.
I mannari nati sotto le lune rosse o, lune di sangue, erano figli della magia. In loro c'era anche un pizzico di energia magica che poteva sfociare in tantissimi modi differenti e su un'ampia gamma di ambiti. Nessun Incantatore – così li chiamavano – aveva un potere uguale all'altro. Damian riusciva toccando una persona ad imporgli qualsiasi stato d'animo desiderasse. Era un potere unico che però il Mithpala non usava di frequente dato che non amava condizionare le menti di chi gli stava attorno. «Ora ti rilasserai. Inspira ed espira.» ripeté con voce più bassa, scandendo le parole piano e usando un tono soave.
Amos inspirò con la bocca ed espirò socchiudendo gli occhi. Un fremito lo scosse interamente, provocandogli alcuni brividi e la pelle d'oca. L'energia di Damian era delicata e gentile. Si lasciò per un attimo cullare da quella stretta palpitante e viva, fin quando sentì i battiti del cuore rallentare e i muscoli sciogliersi dalle tensioni accumulate. La mutazione regredì fino allo stadio umano, ricacciando indietro la bestia fino ad acquietarla totalmente. Amos aprì gli occhi di scatto, scansandosi con un gemito e spezzando il contatto fisico col proprio Mithpala. Fu costretto a sorreggersi appoggiando le mani sulle ginocchia e cercando di riprender fiato lo fissò torvamente. «Non usare mai più quella merda con me.» lo ammonì, minaccioso.
Damian annuì. Nemmeno a lui piaceva usare la sua magia ma Amos non sottostava al richiamo del Mithpala, era l'unico tra i suoi uomini che anche con l'imposizione, non riusciva a sottomettere al richiamo del capobranco. Aveva semplicemente dovuto usare un mezzuccio alternativo. «Mi spiace ma avevi perso il controllo.»
Amos si sollevò in piedi, era tornato normale. Il respiro era regolare e la mente era lucida. Furiosamente lucida. «Hanno preso Marlene.» disse infine. Dirlo a voce alta gli regalò una fitta al petto. Cercò di non farci caso ma si sentì il cuore compresso in una morsa. Sapeva che lei non era sua, che non lo voleva, eppure non poteva sopportare l'idea che fosse in pericolo.
Gli occhi gli tornarono gialli. Non sapeva per quanto ancora la malia di Damian l'avrebbe tenuto lucido e razionale. Sentiva già la bestia risvegliarsi da quel torpore indotto e prendere attivamente parte alla furia incontrollabile del suo animo.
«Che cos'è Marlene?» domandò tutt'un tratto Damian, fissando il proprio uomo negli occhi. Amos distolse lo sguardo.
Non poteva dirglielo. Lo aveva promesso alla fata. Aveva promesso che avrebbe tenuto segreta la sua identità. Rivelarlo ora, non li avrebbe comunque aiutati a ritrovarla. «Sentite, io devo andare.» si spostò per superarli ma Logan lo afferrò per un braccio. «Lasciami.» gli ringhiò addosso il pasura.
«Senti, bello... ci ha appena chiamati Amarok. Stamattina hanno preso sua sorella.» disse Duba, iniziando a camminar avanti e indietro con il volto corrucciato in una smorfia pensosa. «La tua femmina deve aver qualcosa di speciale se preferiscono rapirla anziché sbudellarla e abbandonarla nel bosco come hanno fatto con gli altri.»
La sua femmina.
Ad Amos si contorse lo stomaco non appena sentì quelle parole. Magari fosse stata veramente sua. Non si era dimenticato le feroci parole di Marlene, anzi, continuavano a riproporsi in loop nella sua testa, come un disco rotto. Strinse i pugni lasciando le nocche scricchiolare. Un sibilo basso e controllato gli uscì dalla gola, inumano. «Sì, è diversa.»
«In che senso diversa?» lo incalzò il Mithpala.
«Lei è – è,» titubò a rivelargli quel segreto, mentre si mordeva il labbro i canini si allungarono nuovamente. Doveva dirglielo, almeno a loro. «È una Eide.»
I tre amici restarono in silenzio per un attimo poi Duba imprecò sonoramente. «Perfetto, quei figli di puttana allora stanno cercando merce rara da aggiungere alla loro collezione.»
Amos sollevò lo sguardo. Li guardò uno ad uno, senza capire. «In che senso?»
A quel punto Damian fece un lungo respiro. Come avrebbe spiegato al suo uomo che la donna che amava era stata rapita per esser rivenduta al mercato nero come animaletto da compagnia? Si passò nervosamente la lingua sulle labbra prima di parlare. «La sorella di Amarok ancora non ha compiuto la trasformazione. La subirà tra poco più di un mese. È difficile trovare un mannaro giovane, che ancora non ha subito la sua prima luna.»
Una mannara in prossimità della sua prima trasformazione, una Eide. Merce rara da trovare giornalmente, imperdibile. E allora per il pasura fu tutto chiaro e ancora una volta si sentì il terreno sgretolarsi sotto i piedi, lasciando spazio ad un terrore indescrivibile. La paura di perderla o ancora peggio di lasciarla preda di un crudele destino lo tormentò fino a piegarlo dal dolore. Si scagliò in avanti ruggendo ferocemente e in un batter d'occhio la bestia tornò fuori con un boato. Gli altri lo afferrano in tre, di peso. Mentre Damian e Logan lo cercavano di tener fermo bloccandogli le braccia e impuntandosi nel terreno in cerca di arrestar la sua avanzata, Duba gli afferrò il viso e lo costrinse a fissarlo negli occhi. Troppo tardi, il raziocinio aveva lasciato posto alla selvaggia e primordiale natura bestiale. «Amos. La troviamo. Te lo giuro. Te lo prometto.» lo scosse energicamente, cercando di donargli nuovamente un briciolo di razionalità. Non poteva partire ora a cercarla, non da solo. Oltre ad essere totalmente fuori di sé, non avevano certezza di quanti erano nascosti nel covo. E se ad aspettarlo fossero molti di più? Non potevano rischiare d'incappare in un'imboscata. Dovevano muoversi in branco, altrimenti qualcosa sarebbe potuto andar storto. «Fidati di me, bello. La salveremo... ma dobbiamo chiamare rinforzi questa volta. Sei sconvolto, non puoi farcela da solo, amico.»
La bestia del leopardo mannaro ruggì ancora, cercando di liberarsi, di mutare. La pelle si squarciò nuovamente, il manto emerse con prepotenza pronto ad esplodere e dar completo spazio alla parte mannara. Il pasura fremeva per trasformarsi, per correre alla ricerca di Marlene. Duba lo afferrò per le braccia, cercando di bloccargliele contro i fianchi. I tre faticarono a trattenerlo e Damian fu costretto nuovamente ad usare la magia. Con Amos era inutile l'imposizione da capo branco, lui faceva sempre e solo quello che gli pareva. Così gli appoggiò una mano sulle spalle e gli occhi cambiarono colore, tornando quel viola iridescente che spesso metteva in soggezione anche i mannari più antichi e potenti. Si avvicinò all'orecchio del proprio pasura e con voce delicata iniziò a ripetergli piano: «Tu sei stanco. Stanchissimo. E hai sonno. Molto sonno.»
Amos ruggì. No, non voleva. Cazzo, non voleva.
Non poteva permettersi di crollare proprio ora. Marlene aveva bisogno di lui. Lui aveva bisogno di Marlene, la bestia ne aveva bisogno.
Ma gli occhi iniziarono a socchiudersi con fatica. La stanchezza iniziò a prendere il sopravvento. «Damian... sei... sei un figlio di» socchiuse gli occhi un attimo, che divenne più lungo di un semplice momento. Annaspò alla ricerca di un appiglio a cui aggrapparsi per non addormentarsi ma il potere della magia del Mithpala lo privò di tutte le energie. Si ritrovò senza forze, esausto.
Le gambe gli cedettero e scivolarono tutti e quattro in terra, sorreggendo il pasura che lentamente scivolò in un sonno fatto di incubi e paure.
Quando Damian sollevò lo sguardo, un debole ringhio gli uscì dal petto, gli occhi scintillarono nel buio. «Adesso, andiamo a caccia.»
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