CAPITOLO 34

Marlene sorseggiò del caffè caldo appena preso alla macchinetta sul lavoro. Era in pausa. Una delle rare pause in quel frenetico tram tram che era il St. John Hospital.

Fortunatamente quel giorno, non c'erano emergenze e i reparti sembravano deserti. Quando era così, le infermiere e i medici potevano prendersi attimi di pausa per poi tornare a svolgere le mansioni quotidiane con un pizzico di respiro in più.

Non che le dispiacesse la routine dell'ospedale ma per ovvi motivi lo preferiva vuoto, con in cuore la consapevolezza che c'era poca gente bisognosa di aiuto.

Aveva fatto le prime ore di lavoro con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, tanto che Leni le aveva chiesto se avesse avuto un bel maschione a portata di mano. Con sorpresa, Marlene si era trovata a spettegolare su Amos con la collega, delineandone il bel fisico, il carattere prorompente e la veemenza con cui l'aveva corteggiata fino a farla capitolare ai suoi piedi.

Insomma, non si era trattenuta. E alla fine Leni aveva sospirato trasognante, sperando anche lei un giorno di trovare un bel fusto che le facesse perdere la testa.

«E quindi avete fatto roba?» Leni sorseggiò il caffè dandole una gomitata d'intesa.

Marlene scoppiò a ridere rossa in volto. «No, dai... non del tutto per lo meno.»

La collega ridacchiò. «Cosa intendi per non del tutto?»

Il ricordo della mattinata bollente fece incendiare nuovamente le gote della fata. Al pensiero delle mani di Amos sul proprio corpo si sentiva ancora pronta e bruciante. Quell'uomo riusciva a risvegliare degli istinti di cui non era mai stata veramente preda. Invece ultimamente, continuava ad aver un pensiero fisso... e nemmeno tanto pudico. «Che stavamo quasi per toglierci i vestiti ma» lasciò al frase a metà.

Leni sollevò lo sguardo dalla tazza fumante di caffè. «Ma?»

«Ha chiamato il suo capo per un'urgenza e lui è dovuto scappare lasciandomi a bocca asciutta.» Beh, non poteva certo dirle che a chiamarlo era stato il suo capo branco e che Amos era un mannaro.

«Mai una volta che si riesca a far qualcosa in santa pace.»

Le due sghignazzarono sorseggiando le proprie bevande.

La collega lavò la tazza vuota nel piccolo lavandino che avevano a disposizione nell'area per le pause. «Ma tu non uscivi con Heets?» domandò Leni, ancora voltata di spalle.

E per fortuna, si risparmiò l'espressione mista tra disgusto e rabbia di Marlene. «Hai detto bene, uscivo.»

La donna si voltò. «È andata male?»

«Male? Malissimo.»

Quella risposta suscitò la curiosità della collega che mise a scolare la tazza pulita e si voltò asciugandosi le mani in un piccolo panno. «Oddio, così tanto?»

Marlene scosse le spalle. Che dire? Tra loro non aveva funzionato per moltissimi motivi. Nick non aveva un carattere adatto a lei e inoltre, ad ogni loro appuntamento aveva provato strane sensazioni di disagio e malessere che tutt'ora non riusciva a spiegarsi. Come una sorta di repulsione nei suoi confronti. «Già.» Sorseggiò il caffè. «Purtroppo siamo veramente molto distanti caratterialmente.»

«Che peccato, è anche un bell'uomo. Però mi da l'idea di un tipo strano.»

Strano. A Marlene quella parola suscitò un brivido. «Sì, un po'.» Si strinse nelle braccia al ricordo di quella sera nella sua auto, quando si era avvicinato troppo e il suo corpo aveva immediatamente reagito con un rifiuto. Non sapeva il motivo, alla fine Nick non le aveva mai fatto nulla.

Proprio mentre Leni stava per chiederle altro, dalla porta spuntò il dottore che subito sorrise raggiante ad entrambe. «Pausa caffè?» domandò Nick con un sorriso a dir poco abbagliante.

Marlene soffocò un'espressione infastidita infossando il viso nella tazza. Non sapeva bene il perché ma ogni volta che si prendeva una pausa, puntualmente spuntava qualche attimo dopo Nick. Si stava convincendo che l'uomo la tenesse d'occhio e approfittasse di questi momenti per provarci con lei.

«Ragazzi io vado.» disse Leni, fissando la collega con preoccupazione. Dopo quello che le aveva confidato, lasciarla sola con Heets non le sembrava una brillante idea ma ormai era già da troppo tempo in pausa. «Tu vieni, Marr?»

La fata la fissò riconoscente e fece per appoggiare la tazza ma Nick le bloccò delicatamente il gesto. «Non ti preoccupare per lei, Leni. Farà un po' di compagnia a me.»

Leni sostenne lo sguardo del dottore e sorrise ma senza gentilezza. «Solo se lei lo vuole.»

La mano di Nick si strinse attorno al polso di Marlene. «Vero che ti va?»

L'infermiera a quel punto fissò la collega e annuì. Forse lui le voleva parlare della sera precedente. «Grazie Leni, vai tranquilla. Ti raggiungo tra poco.»

Leni le scoccò un'occhiata di intesa prima di uscire dalla stanzetta.

Non appena furono soli, Marlene strattonò il braccio per liberarsi e fissò scortesemente Nick. «Che c'è?»

In tutta risposta il medico sorrise sornione e si riempì una generosa tazza di caffè. «Ieri sera sei tornata a casa con lui?»

«Non sono affari tuoi, Nick.» Non vedeva come potesse interessargli visto che ad ogni loro uscita le era sempre sembrato molto distante e per nulla interessato a lei fisicamente. Era impossibile che tutto d'un tratto avesse maturato questa gelosia. «Dopo quello che è successo ieri sera, direi che possiamo mettere da parte la nostra frequenza e tornare a considerarci semplici colleghi di lavoro.»

Nick accennò un sorriso. Sapeva che gli avrebbe fatto quel patetico discorsetto. Era preparato, in fondo. «È per quello che è successo ieri sera con Victoria?»

«Esatto, Nick. Non mi è piaciuto il modo in cui lasciavi sottintendere cose che non sono mai capitate tra noi.» Marlene si mise a lavar nervosamente la propria tazza. Non aveva terminato il caffè ma non le interessava più berlo, ora che c'era lui lì. «È stato veramente infantile. Per non parlare di come ti sei rivolto ad Amos più di una volta. Non ti immaginavo così maleducato.»

Nick a quel punto scoppiò a ridere. Era veramente ridicola quella situazione. Lei desiderava quel mannaro, glielo si leggeva in faccia, ma non aveva avuto coraggio di dirlo all'amica innamorata e ora incolpava lui per averle in qualche modo portato a galla i suoi sciocchi problemi da quattro soldi. «Non mi sembra di aver detto chissà quale bugia.»

«Cosa?» La fata appoggiò la tazza con un tonfo secco. «Mi hai fatto passare per la tua amichetta. Come sei io e te avessimo fatto chissà quali porcherie, quando invece tra noi non ci siamo scambiati nemmeno un dannatissimo bacio.»

Nick la squadrò da testa a piedi, avanzò di qualche passo sovrastandola con l'altezza e soprattutto con aria minacciosa. «Non abbiamo fatto niente per tua scelta.»

Il volto paonazzo di Marlene divenne ancor più rosso se possibile. Non era imbarazzata, anzi, si stava incazzando. Ci aveva sinceramente sperato in una storia con Nick, o almeno inizialmente. «Non hai mai minimamente pensato che forse tra noi non abbia funzionato per colpa tua e del tuo carattere, vero? Magari siamo semplicemente incompatibili.» Fece per spostarsi ma lui le bloccò la strada, spingendola contro il lavello.

Nel suo gesto non ci fu nulla di gentile. Si accostò al suo viso fissandola con arroganza. «Tu non sai nulla di quello che doveva succedere tra me e te. Non sai quante occasioni mi hai fatto sprecare.» le sibilò vicino al viso, sputando fuori le parole con una crudeltà che Marlene non avrebbe mai pensato appartenergli. Una vampata di odore mannaro le arrivò dritta alle narici. Colta di sorpresa non riuscì a non guardarlo con gli occhi pieni di stupore. Cos'era Nick? Il suo odore non era umano ma nemmeno di semplice mannaro, eppure in qualche sua nota sembrava esserci qualcosa di molto simile. Che avesse parenti sovrannaturali e non lo sapesse? Che non fosse completamente umano?

«Spostati, Nick. Spostati. Lo dico per il tuo bene.» Se non l'avesse lasciata stare, era disposta a usare le maniere forti. Non avrebbe certo usato la sua natura fatata ma qualche blanda mossa di autodifesa la conosceva. Suo padre l'aveva obbligata a far alcuni corsi prima di trasferirsi in Michigan.

Nick però non colse la minaccia nella voce della fata. Alzò la mano afferrandole una ciocca di capelli e se la portò al viso annusandola. «Altrimenti che fai? Mi fai picchiare dal tuo amico forzuto?»

«So perfettamente badare a me stessa.»

Nick scoppiò a ridere con arroganza e le afferrò il viso con uno scatto. Glielo strinse brutalmente, alzandolo fino a incontrare i suoi occhi. «Oh, lo so perfettamente. So perfettamente di cosa sei capace.» quell'occhiata così intensa e d'intesa regalò alla fata un sussulto.

Che Nick sapesse della sua natura?

Il pensiero non l'aveva mai sfiorata ma ora le stava sorgendo questo dubbio. Un dubbio molto pericoloso. Forse le era sorto solo per via del comportamento che stava avendo o per la vampata di odore che gli aveva sentito addosso. Inoltre non riusciva a capire il motivo di tanta aggressività. A stento lo riconosceva. O magari non l'aveva mai realmente conosciuto e quella che vedeva oggi, era la vera faccia di Nick, senza maschere.

Tentò di divincolarsi ma lui la continuò a tener bloccata per il viso, con forza e determinazione. «Lasciami e sta alla larga da me, Nick.» Nonostante il tono minaccioso della fata, nello sguardo del medico non vi lesse nessuna preoccupazione. Nick non sembrava minimamente impressionato o turbato dalle parole di Marlene. Anzi, quella situazione lo divertiva.

Leni aprì la porta rumorosamente. «Marr?» la chiamò a gran voce, fissando la scena allibita e sgomenta. Non le era mai capitato di assistere ad un'aggressione fisica tra colleghi.

Il medico lasciò immediatamente la presa e la fata sgusciò via allontanandosi subito dalla sua portata. Dopo avergli lanciato l'ultima occhiata uscì di fretta da lì.

Leni si allontanò insieme a lei, tallonandola. Quando furono abbastanza lontane la prese per un braccio costringendola a guardare. «Stai bene, Marr? Ti ha fatto qualcosa?» la voce della collega era carica di preoccupazione. Era entrata proprio nel momento peggiore, dove Nick aveva dato dimostrazione di ciò che era veramente. Non certo l'uomo stimato che inizialmente Marlene credeva.

La giovane annuì a corto di parole, massaggiandosi distrattamente il mento. Da quanto l'aveva stretta le faceva un po' male. «Sì, tutto bene.»

«Sei sicura? Vuoi fare una segnalazione ai superiori? Ti faccio da testimone, eh.»

L'infermiera scosse la testa. No, non voleva rivolgersi ai capi. Non era sua intenzione mettere nei casini Nick. Sarebbe diventata una faccenda troppo grossa. Quella era una questione che riguardava loro. Ma di una cosa era certa: non gli avrebbe mai più permesso di avvicinarsi a lei.

«Okay, come preferisci.» Leni le passò gentilmente le mani lungo le braccia, in un confortante contatto. «Ma per favore se continua a infastidirti non aspettare a procedere anche in quella direzione, okay?»

Marlene chinò il capo, annuendo e a quel punto la collega la lasciò sola ai propri pensieri tornando al suo lavoro.

Non c'era da fidarsi di uno come Nick, che per ogni avvicinamento faceva leva sulla forza. Anche quella volta in macchina sarebbe finita uguale, se non avesse avuto la prontezza di sgusciare fuori dalla vettura.

L'ennesimo brivido riscosse Marlene, alzò la testa verso l'orologio della segreteria e sospirò non appena si accorse che mancavano ancora due ore al termine del suo turno.

Alla mente le tornò la promessa di Amos. Lui quella sera sarebbe andato a prenderla al lavoro. Un sorriso le sfuggì dalle labbra, quando si ricordò le sue parole.

«Lavora qui Marlene Powell?» domandò un fattorino alla segretaria. In mano teneva un pacchetto.

La segretaria segnò direttamente Marlene e l'uomo le si avvicinò allungandole il pacchetto. «È per lei. Mi deve fare una firma qui per l'avvenuta consegna.»

L'infermiera fissò il pacchetto confusa. Non le arrivava mai posta al lavoro. A dire il vero non le arrivava mai posta in generale. Non era una di quelle che faceva acquisti su internet e di solito le uniche cose che le arrivavano per posta erano le bollette.

«Sicuro che sia per me?»

Il fattorino alzò la testa dal registro che tratteneva in mano. «È lei Marlene Powell si o no?»

La giovane annuì.

«E allora sì, Signorina.»

Con mano ancora tremante, Marlene firmò il foglio e l'uomo le lasciò il pacchetto. Non si prese premura di aprirlo subito, il St. John Hospital stava iniziando irrimediabilmente ad affollarsi, così corse a metterlo in borsa e tornò al proprio lavoro.

Le due ore seguenti volarono senza pensieri. Di Nick nemmeno l'ombra e con l'arrivo di alcuni casi gravi, la routine frenetica di Marlene riprese come al solito.

I pazienti si alternavano sui lettini con un ritmo serrato, senza darle un attimo di tregua. Se poco prima era stata felice di quel vuoto, ora ringraziava follemente la presenza di tutta quella gente che le teneva occupata la mente impedendole di pensare.

Quello che era successo poco prima con Nick l'aveva scossa e non poco. Lui non solo si era comportato in maniera arrogante alzando perfino le mani, ma le aveva detto quella frase che lei proprio non riusciva a togliersi dalla testa.

So perfettamente di cosa sei capace.

Poteva benissimo trattarsi di una frase di circostanza oppure visto lo sguardo eloquente che le aveva lanciato, poteva voler dire che Nick sapeva di lei.

Pensarlo la fece rabbrividire. A fatica si era mostrata ad Amos verso cui aveva maturato nel tempo una certa fiducia... figurarsi Nick, di cui provava estrema diffidenza. E come si sarebbe dovuta comportare se i suoi dubbi si fossero rivelati certezze? Che rischio c'era che Nick rivelasse il suo segreto in giro?

Si fermò giusto il tempo di bere un sorso d'acqua e quando sollevò lo sguardo si accorse che era ora di uscire.

Il pensiero di Amos ad attenderla fuori le fece scivolar via tutti i pensieri negativi che si erano accumulati in quelle ore. Corse nello spogliatoio e si cambiò frettolosamente per poter uscire alla velocità della luce e poterlo finalmente raggiungere.

Non sapeva bene cosa sarebbe accaduta quella sera, ma questa volta non c'era nessuna Victoria a popolarle la mente e a farla sentire in colpa. Questa volta ci sarebbero stati solo lei ed Amos.

Imboccò il corridoio dell'ospedale, quello che portava all'uscita e subito si sentì sollevata per aver terminato quella giornata lavorativa.

La tensione e la stanchezza le scivolarono addosso appesantendola, come sempre. Ma questo era il prezzo da pagare per il lavoro che faceva.

«Ehi, aspetta.» le urlò dietro qualcuno. Qualcuno che conosceva anche troppo bene.

Marlene aumentò il passo, non voleva parlare ancora con Nick. Soprattutto ora che la stava aspettando Amos.

Uscì dalle porte dell'ospedale con lui alle calcagna. «Aspetta Marlene, ti devo parlare. Ti prego, aspetta.»

«Nick, lasciami stare. Ci siamo detti tutto quello che dovevamo dirci. E poi tu sei ancora in turno.»

Il medico la superò con una corsetta, parandosi di fronte a lei. Sembrava scosso, gli occhi dilatati e un leggero tremore nelle braccia. Dalla faccia stravolta sembrava essere in preda a qualche malessere di cui Marlene non voleva saper nulla. Si trovavano in un ospedale, se si stava sentendo male poteva benissimo andare da qualche altro collega.

«Aspetta, parliamone. Mi dispiace per prima.» le disse lui, allargando le braccia per impedirle di avanzare.

Con la coda dell'occhio Marlene notò il pick up di Amos parcheggiato proprio davanti all'ospedale. Lui era appoggiato contro il mezzo a braccia conserte, dalla bocca gli penzolava una sigaretta. Non appena lo notò, il suo viso si ammorbidì in un sorriso.

Allora c'era. Allora non le aveva dato buca.

Anche Amos si accorse di lei, ma soprattutto di Nick.

Heets si ravviò i capelli con crescente agitazione. Continuava a scuotere la gamba con frenesia, come in preda a un tic. «Senti Marlene, non so cosa tu abbia pensato prima... ma io non volevo spaventarti.»

«Va bene, Nick. Ora devo andare.» Cercò di superarlo ma il medico le impedì di procedere. Continuava a spostarsi davanti a lei impedendole di avanzare verso Amos che nel frattempo si era staccato dal pick up, aveva gettato la sigaretta e si era mosso in loro direzione.

«No, senti.» La afferrò per un braccio. Ancora una volta scortesemente. La strinse così forte che Marlene si lasciò sfuggire un gemito di sofferenza. «Ora tu mi ascolti una volta per tutte. Capito?»

«Lasciami.»

A quel punto Nick le riuscì a prendere anche l'altro braccio e i due iniziarono una sorta di lotta dove l'unico scopo di Marlene era quello di divincolarsi abbastanza per allontanarsi da lui. Non servì a nulla utilizzare una mossa imparata ad uno di quei corsi. Nick continuava a stringere e non aveva alcuna intenzione a mollarla. «Ora tu verrai con me e parleremo.» le ringhiò addosso.

Due mani però lo afferrarono per la camicia, alle spalle, e sollevandolo di peso lo fecero volare ad un metro di distanza. A Nick sembrò per un attimo di non pesar nulla prima di schiantarsi contro il marciapiede, rotolando per qualche altro metro. Si rialzò subito dopo, furente, tergendosi il labbro che colpendo terra aveva preso a colar sangue.

«Tutto okay?» domandò Amos, accarezzando gentilmente il viso di Marlene, ancora scossa.

«S – si.» Farfugliò lei, massaggiandosi i polsi.

Quando il pasura si voltò verso Nick, lo fissò con uno sguardo che non lasciava margine di dubbio. Era così incazzato che a malapena conteneva la bestia. Non poteva trasformarsi e sbranarlo, questo no. Però poteva sempre fargli rimpiangere di essersi avvicinato troppo a lei, soprattutto senza usar gentilezza.

Nessuno poteva toccare Marlene in quel modo e tornare a casa sulle proprie gambe. E da come la fata continuava a massaggiarsi i polsi, Nick doveva averle fatto male.

Il medico li raggiunse con aria baldanzosa. «Ecco perché eri di fretta, eh?» parlava a Marlene, senza calcolare minimamente la presenza di Amos. Fingeva che non ci fosse, che non fosse presente. Come se questo potesse in qualche modo farlo realmente sparire.

«Nick, lasciami perdere. Okay?»

«Ho detto che dobbiamo parlare.» continuò lui, con sguardo spiritato. Sembrava in preda ad una crisi isterica. Gli occhi si muovevano rapidi da lei a punti indefiniti attorno a loro. Come se cercasse qualcosa ma non lo trovasse. Il viso era imperlato di sudore e continuava a strizzarsi energicamente le mani. In realtà era in preda ad una crisi di astinenza. Aveva finito la roba che gli avevano dato Blake e ora sentiva la necessità di un'altra dose.

«No, Nick. Non dobbiamo dirci altro.»

Ma il medico in quel momento non sentiva ragione. Per lui non esisteva un no ora. Si avvicinò ancora, cercando di interporsi tra lei ed Amos ma Marlene si accostò al mannaro quasi spaventata dalla reazione del collega. Le sembrava un folle in preda ad un raptus. Non lo riconosceva più.

«Amico, io te lo dico una volta sola... lasciala stare.» il tono di voce di Amos era basso e minaccioso. La sua figura imponente sembrava torreggiare su Nick come un predatore sulla propria preda. Nell'aria si iniziava a respirare la frizzante energia mannara che il corpo del pasura rilasciava inconsapevolmente, troppo teso per preoccuparsi a trattenerla.

«Senti, amico... fatti gli affari tuoi.» disse acidamente Nick, marcando la parola amico con disprezzo. «Lei non dovrebbe uscire con un tipo come te. Con quella faccia non prometti nulla di buono.»

«Non posso darti torto.» sibilò Amos, serrando la mandibola. Le spalle tese e i muscoli delle braccia gonfi per la trazione.

Nick lo fissò con aria di sfida. «Lei verrà con me. Dobbiamo parlare.» Allungò una mano cercando di afferrare Marlene che subito si ritrasse.

«Non la toccare.» lo avvisò Amos. Gli occhi gli mutarono, strinse le mani lasciando scrocchiare le nocche. Il suo istinto di possesso ruggì in profondità, pronto a emergere come un'eruzione vulcanica. Stava cercando di resistere, ci stava provando con tutto se stesso ma quel figlio di puttana metteva veramente a dura prova il suo autocontrollo.

Nick non prestò ascolto alle parole di Amos. Si sporse ancora una volta afferrando Marlene per la vita e strattonandola cercò di avvicinarla a se. La fata si lasciò sfuggire un grido, troppo spaventata e sorpresa per reagire. Con le mani cercò di allontanare il collega da se.

A quel punto, gli occhi di Amos divennero completamente gialli e con un ringhio scattò in avanti. Fu veloce e rapido, non certo indolore. Afferrò il dottore per il bavero e per la camicia e tirandolo verso di se sollevò il ginocchio. Il colpo arrivò dritto allo stomaco di Nick che lo accusò con un gemito soffocato, privo di aria. Il medico barcollò indietro, con le gambe pronte a cedergli. Sarebbe caduto in terra senza respiro se il mannaro non l'avesse agguantato ancora.

Non contento infatti, Amos lo prese per i capelli e con un movimento preciso e secco gli sbatté la sua lurida faccia di merda contro un bidoncino dell'immondizia poco distante da loro. «Te lo avevo detto di non toccarla.»

Il naso di Nick scoppiò in un copioso getto di sangue. Il drogato se lo afferrò urlando e si accasciò in ginocchio cercando di comprimere l'emorragia con il camice. «Mi hai rotto il naso. Brutto figlio di puttana, mi hai rotto il naso.» continuava ad urlare, con lo sguardo sempre più folle e una voce isterica inquietante.

Ma in quel momento ad Amos non fregava più un cazzo di quell'inutile invertebrato, ora le sue attenzioni erano tutte per Marlene. Le prese il viso tra le mani e carezzandole le guance la fissò dritto negli occhi. «Come stai?»

Un sussulto la scosse e Amos le lasciò il viso per stringerla a se. «È tutto a posto. Ci sono io, tranquilla.»

Marlene affondò il viso nel petto del pasura annusando il suo profumo. Tra le sue braccia si sentiva al sicuro, a posto. Non aveva paura di niente tra quelle massicce e muscolose braccia. Sarebbero potuti andare anche in capo al mondo se erano insieme.

Alcuni medici uscirono attirati dalle grida di Nick che venne soccorso e portato all'interno dell'ospedale. «Non finisce qui.» gridò furioso, puntando un dito verso Marlene che però restò col viso infossato nel petto di Amos.

Tremava. Era visibilmente scossa da quello che era appena accaduto. Non tanto dalla reazione di Amos quanto più dal comportamento folle che aveva avuto Nick durante tutta la giornata. Non riusciva a comprendere le motivazioni che lo portassero ad ostinarsi così tanto con lei. Inoltre non capiva di cosa dovessero ancora parlare.

Amos restò a lungo stretto a Marlene, senza alcuna voglia di lasciarla andare. Quando l'aveva vista contorcersi tra le braccia di Nick il suo istinto protettivo era esploso come una bomba. «Mi sono trattenuto molto.» ammise infine, consapevole che Nick avrebbe potuto far una fine ben peggiore se solo la bestia avesse preso il sopravvento. E c'era mancato poco, molto poco che lasciasse alla sua parte animale completa libertà d'azione.

Marlene inspirò per l'ultima volta il profumo di Amos, così maschile e con quel pizzico di selvaggio tipico dei mannari. Alzò lo sguardo e lo osservò. Non si sorprese nel vederlo preoccupato per lei, anzi, questa sua preoccupazione la rendeva felice perché ciò significava solo una cosa: lui teneva veramente a lei. Si alzò sulle punte, cercando di raggiungere la sua bocca ma siccome Amos era troppo alto fu costretto ad abbassarsi su di lei per far incontrare le loro labbra.

Una scarica di passione travolse entrambi e lei si sciolse tra le sue braccia mentre il bacio diventava più carnale, più profondo. In quel bacio Amos mise tutto il suo desiderio di averla, non solo fisicamente ma anche mentalmente e soprattutto costantemente, affianco a se.

Quando si staccarono lei sorrise, arrossendo. «Non ti ho mai detto che baci bene.» disse con una risatina imbarazzata.

«Lo so, ma nemmeno tu te la cavi male.» La lasciò andare, di mala voglia. E insieme si avviarono verso il pick up.

Marlene aveva una voglia irrefrenabile di stringergli la mano. Le sarebbe piaciuto tantissimo camminare mano nella mano con lui ma non sapeva se era un azzardo una cosa simile. In fondo ancora loro non erano niente, per il momento erano solo due estranei molto attratti l'uno verso l'altra. Chinò la testa mordendosi pensosamente il labbro, chissà se sarebbero mai diventati qualcosa di più di semplici amici intimi. Quando sentì le dita di Amos intrecciarsi alle sue, sollevò di scatto la testa, senza riuscire a celare lo stupore e la felicità. Sorrise come una bambina nel veder che lui stesso le aveva preso la mano, senza imposizione, senza averglielo chiesto. Il cuore le prese a battere frenetico in petto, si sentiva gonfia di piacere.

Si fermarono davanti al pick up e Amos si abbassò ancora, afferrandola con un guizzo dei bicipiti e sollevandola quanto basta per baciarla con rinnovato trasporto. Marlene mugolò contro le sue labbra, mentre il potere del mannaro le si avvolgeva addosso così intensamente da toglierle il respiro. Le sembrava di fare un bagno bollente, la pelle le scottava e ad ogni carezza si sentiva un'opera d'arte tra le sue mani.

«Ho una notizia brutta da darti.» le disse lui, riprendendo fiato e posandola in terra delicatamente.

«È successo qualcosa con il tuo branco?» subito Marlene pensò a quello che aveva dovuto fare quella mattina. Lei non gli aveva ancora chiesto niente ma non era detto che fosse andata bene.

Amos annuì. «Oggi abbiamo parlato con il Magister del Michigan e ci ha detto che i cacciatori che sono qua sul territorio sono molto pericolosi.» Dallo sguardo preoccupato della giovane, non ebbe cuore ad entrare nello specifico. «Così ci ha consigliato di indire una riunione straordinaria per fissare delle regole momentanee affinché ci sia una maggiore attenzione.»

Il Magister. Chi era il Magister? Marlene ci pensò un po' prima di ricordare chi fosse. Una carica alta per i mannari. Per le fate era solo un sovrannaturale come tanti altri ma i mannari del territorio facevano capo a lui, che praticamente ne era il rappresentante.

Spesso quando due razze sovrannaturali dovevano intercedere tra loro, andavano i massimi esponenti a intermediare.

«Capisco. Mi dispiace molto per te e la tua gente.» gli disse candidamente lei, accarezzandogli il dorso delle mani, ancora intrecciate nelle sue. Quel gesto le dava una pace interiore veramente profonda e che mai prima d'ora era riuscita a provare con qualcuno.

«La brutta notizia è che non posso venire subito a casa da te... per via di questa riunione che il mio capo ha indetto.» Le scosse un po' le mani, catturando il suo sguardo. «Ma... se tu vuoi, mi piacerebbe venirti a trovare una volta terminata.»

Marlene arrossì e annuì. Averlo a casa sua più tardi, voleva dire solo una cosa. Avrebbero fatto sesso, o l'amore o... beh, insomma, quello. Che ancora per loro non poteva aver una definizione precisa ma che sperava un giorno prendesse quella più romantica. «Mi farebbe piacere. Devo preparare qualcosa?»

Amos le scoccò un'occhiata maliziosa e rise. Una risata bassa e virile che saettò dritta dritta dentro le mutandine di Marlene, tanto da darle una scossa e farla avvampare. «Devo veramente rispondere?» Per lui poteva direttamente farsi trovare nuda. Quello sarebbe stato il miglior preparativo che poteva fare in sua attesa: spogliarsi.

Marlene fece una smorfia, con tanto di linguaccia. «Ho capito, ho capito.»

Amos rise e in un gesto automatico le frizionò le braccia. «Dove hai lasciato l'auto? Ti ci accompagno, voglio assicurarmi che quel coglione non ti dia più fastidio.»

Marlene segnò un punto e i due si spostarono, silenziosamente. Amos continuava a tenerle la mano. Per lei era come stringere a lungo un termosifone, lui era caldissimo.

Non appena arrivarono davanti all'auto, Amos aspettò che salisse e si chinò sulla portiera non appena Marlene abbassò il finestrino.

«Senti...» iniziò a dire lui. Non le voleva sembrare paranoico ma dopo quello che gli aveva detto King e dopo la scenata di quel coglione di Nick, aveva timore a lasciarla andare via da sola. «Tu ora vai dritta a casa. Non ti fermi per nessuna cosa al mondo. Non parli a nessuno e ti chiudi nel tuo appartamento finché non arrivo io, okay?»

La voce tesa di Amos non fece obbiettare Marlene che annuì silenziosamente. Vederlo così preoccupato le faceva capire che la situazione era critica, anche se non glielo diceva apertamente.

«Ehi!» Il pasura si abbassò maggiormente infilandosi nel veicolo con la testa. A distanza così ravvicinata Marlene non poté far a meno di notare quanto belli ed espressivi fossero i suoi occhi grigio ghiaccio. Profondi come pozzi, talmente tanto da inghiottirla. «Stai tranquilla, va bene?»

La sicurezza di Marlene vacillò un attimo. Se quei cacciatori erano veramente cattivi come dicevano, che fine avrebbe fatto lei? In fondo la cercavano. «Va bene.» bisbigliò.

Amos la baciò delicatamente, imprimendosi il calore delle sue labbra sulle proprie e si staccò da lei con uno sbuffo. Non l'avrebbe voluta lasciare andare. Non si sentiva tranquillo a saperla sola nel suo appartamento ora che stava calando il buio. Voleva stare al suo fianco, non solo per affondare in lei fino a fondersi in una sola cosa ma anche e semplicemente per godere della sua compagnia. «Chiamami appena arrivi.»

Marlene accese l'auto e umettandosi nervosamente le labbra annuì. «Tu vieni appena hai finito la riunione, vero?»

Amos sorrise. «Appena finita volo da te.»

I due si scambiarono l'ennesimo bacio. Ogni volta sembrava sempre più faticoso separarsi e riprendere fiato. Marlene ingranò la marcia, uscì dal parcheggio e si avviò verso casa.

Il pasura restò a guardarla con crescente preoccupazione. Gli era entrata così profondamente dentro che se le fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato e certamente ci sarebbe morto di crepacuore. Ormai non poteva più negarlo, non a se stesso per lo meno.

Doveva assolutamente trovare quei figli di puttana e mettere fine alle loro scorribande, non aveva tempo di aspettare i comodi di Arthur King, per quanto gli fosse sembrato sinceramente dispiaciuto e ben disposto ad aiutarli.

Raggiunse il pick up e svogliatamente si avviò verso casa di Damian. Di ascoltare l'ennesima riunione non ne aveva proprio voglia.

Molto meglio restare tra le braccia di quella femmina, che a quanto pare oltre ad avergli rubato il loro primo bacio gli aveva anche rubato il cuore. 

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