CAPITOLO 20

Marlene stava sfrecciando a tutta velocità per le strade deserte del Michigan. Il suo intento era quello di arrivare a casa di Victoria il prima possibile. Prima che vomitasse per tutta l'auto inzuppando di lezzo anche l'abitacolo.

L'amica mannara era accasciata contro il vetro del finestrino, fissava il buio che si estendeva a macchia d'olio tutto intorno a loro. Si era messa buona, anche se non voleva assolutamente abbassare il volume della musica. Diceva che la rilassava.

L'importante era che non ricominciasse a vaneggiare o a vomitare.

«Ho bevuto per Amos.» Disse tutto un tratto l'amica, ridacchiando.

C'erano molti modi diversi per accusare una sbronza, alcuni diventavano violenti, alcuni particolarmente attivi, altri sonnolenti e poi c'era chi come Victoria la prendeva sul ridere. Tanto, troppo ridere.

«Come mai?» La fata non aveva dubbi che lo avesse fatto per quel motivo. Anche se non c'era nulla di abbastanza valido da portarti a questi livelli. Nemmeno per un tipo come Amos. Annullarsi per una persona, era una delle peggiori cose che qualcuno potesse fare verso se stessi.

«Amos non mi amerà mai.» Si sollevò contro il sedile allungando le mani sul cruscotto e cominciò a tamburellarle con forza. «Si interessa a tutte, meno che me.»

Marlene le lanciò un'occhiata preoccupata. Oltre a non essere nel pieno di se, temeva che l'amica potesse abbassar i propri freni, lasciando troppo spazio alla sua bestia.

Non era tanto allettata all'idea che le si trasformasse in auto. «Vicky, tu sei una bellissima donna. Non ti fossilizzare su Amos.»

Victoria si lasciò sfuggire un ringhio e la fata venne subito attraversata da un brivido di paura. Non aveva mai visto l'amica in quelle condizioni, non sapeva come si sarebbe comportata da ubriaca. «Tu non capisci.» Le disse soltanto, artigliando la pelle del sedile su cui era seduta. Le unghie terribilmente allungate, così al limite con la sua natura bestiale.

Marlene non aveva alcun dubbio. Probabilmente sapeva la metà delle informazioni esistenti riguardo i mannari, anzi, con ogni probabilità anche molto meno della metà. «Ma certo, Vicky. Lo sai che io in amore sono una frana.»

Victoria la fissò di sottecchi prima di segnarla con un indice. «E invece no. È tutta colpa tua.» La voce si stava pian piano alzando, diventando sempre più acuta. «Tu lo hai incuriosito e ora ci vuole provare con te. La mia migliore amica, ti rendi conto?» Ormai fuori controllo, non regolava il tono di voce, strillando a dismisura.

Era arrabbiata, ferita e ubriaca. Un trio letale in certi casi, se si aggiungeva anche il fatto che fosse una creatura sovrannaturale.

«Peggio per lui, a me non interessa.» Mentì la fata. Non avrebbe mai detto all'amica del suo interesse per Amos. Non le avrebbe nemmeno mai raccontato di quel bacio, non dopo la sua reazione ad un semplice rifiuto.

Era certa che se le avesse detto di averlo baciato, non solo avrebbe distrutto la loro amicizia ma con ogni probabilità si sarebbe trovata coinvolta in una tremenda vendetta. Victoria sembrava particolarmente accanita con tutte quelle che si avvicinavano in un modo o nell'altro al suo amato.

Quel bacio sarebbe stato un segreto tra lei e Amos. Un segreto che avrebbero portato silenziosamente nella tomba.

«Perché tu sei la mia migliore amica.» disse la mannara, strascicando ogni parola e ridacchiando con troppa enfasi. Si sporse cercando di afferrare Marlene per un braccio ma quest'ultima si sottrasse al tocco.

«Vicky, sto guidando.»

«Non importa, io ti voglio abbracciare.»

Prima che la fata potesse scoraggiare l'azione dell'amica, Victoria l'afferrò per le spalle e la strinse con forza. Marlene si trovò così bloccata da un potente e stritolante abbraccio mannaro. Tutto accadde in un attimo. Il respirò iniziò a mancarle quasi subito, cercò di mantenere la presa sul volante ma Victoria serrava troppo la stretta.

Non riusciva a dosare la forza con tutto quell'alcool in corpo. Le stava togliendo il fiato.

«Vicky, lasciami. Ci schianteremo.» Strillò spaventata Marlene.

Peccato che per la mannara tutta quella situazione fosse spassosissima. Scoppiò a ridere fragorosamente quando l'auto cominciò a sbandare. Rise ancora di più quando l'altra gridò terrorizzata.

La velocità sostenuta stava rendendo l'aderenza alla strada difficile e senza il controllo del volante sbandava pericolosamente. Stretta così nella morsa dell'amica, Marlene faticava perfino a toccare il freno con il piede. Victoria la serrava in una morsa indissolubile che non le lasciava via d'uscita. Inoltre l'idea di un incidente sembrava elettrizzarla. Era come se l'amica avesse scelto per entrambe che schiantarsi fosse una soluzione più che giusta.

L'auto roteò su se stessa in un doppio testacoda, avvicinandosi con prepotenza al bordo della strada. La fata tentò in tutti i modi di divincolarsi dalla presa. Gli occhi le divennero di un intenso e luminoso blu. Se Victoria non l'avesse lasciata, si sarebbe vista costretta ad usare la propria magia fatata. Si allungò più che poté per spingere il freno ma la mannara aveva tutte le intenzioni ad impedirle qualsiasi mossa.

La successione di eventi fu così rapida che Marlene non trovò tempo per razionalizzare l'accaduto.

Dopo alcuni sbandamenti, tagliarono la corsia opposta da cui proveniva qualche solitaria auto che gli suonò il clacson con insistenza e infine, affondarono nel fosso capovolgendosi.

A quel punto la presa di Victoria si allentò. Stare a testa in giù sembrava aver nuovamente azionato il vomito. Aprì la bocca per dire qualcosa ma un getto di rigurgito si riversò nell'abitacolo facendole un completo bagno. Marlene senza cintura crollò in avanti, contro il vetro e colpì fronte e labbro. Anche lei impregnata del vomito dell'amica.

Si sollevò sui gomiti sentendosi pizzicare dolorosamente. I vetri del parabrezza si erano completamente sparsi sul tettuccio dell'abitacolo che in quel momento, a testa ingiù, si era rovinosamente accartocciato contro il terreno.

Sentiva il sangue colarle dalle ferite. Istintivamente si portò una mano al labbro rotto e le dita le si macchiarono di rosso. Tremava.

Victoria nel frattempo si era strappata la cintura e stava strisciando fuori dall'auto zuppa del suo stesso vomito. «Marr? Marr?» Continuava a gridare il suo nome, come se non riuscisse a veder l'amica, ancora intrappolata nell'abitacolo.

La fata tentò di uscire ma i vetri le si conficcarono nelle carni, scavando profonde ferite nella pelle. Gridò imprecando a gran voce. Non poteva credere di esser veramente finita in quella situazione a causa della sbronza di Victoria. Quando riuscì finalmente a rotolare fuori, restò per diverso tempo ferma sul terriccio a fissare il cielo notturno. Il labbro le pulsava. Tutto le faceva male. Respirava ancora a fatica e tremava come una foglia.

«Sei viva?» domandò Victoria, raggiungendola.

Marlene alzò la testa fissando l'amica. «Sei deficiente o cosa?»

A quel punto, la mannara scoppiò a ridere e lanciando i tacchi chissà dove nel bosco, iniziò a ballare e saltare istericamente.

Perfetto, l'alcool la rendeva una completa psicopatica.

A fatica e con dolori un po' ovunque, Marlene si alzò da terra e cercò di rassettare i vestiti. Una volta appurato che riusciva a reggersi in piedi, afferrò la borsa dentro l'abitacolo e decise che era il caso di chiamare qualcuno.

Non sapeva se chiamare Nick o Amos. La scelta era veramente difficile.

Se avesse scelto il primo, sarebbe stata costretta a mostrargli casa dell'amica. Non era certa che Victoria avesse piacere a portare a casa propria un completo sconosciuto. Inoltre, non era sicura di volersi in qualche modo sentire in debito verso Nick. Se invece avesse scelto il secondo, probabilmente avrebbe scatenato le furie di Victoria ma forse tra i due era quello che aveva più diritto ad essere chiamato.

Victoria era la sua ex e con ogni probabilità era una mannara del suo branco. Esisteva sicuramente un modo per far sì che la calmasse, magari usando il suo potere.

Cercò il numero nella rubrica e lasciò partire la chiamata.

Nel frattempo Amos, era rimasto tutto il tempo al capezzale di Logan che si era svegliato, aveva mangiato qualcosa ed era ricaduto in un profondo sonno ristoratore. Da quando Marlene lo aveva medicato, il suo colorito era decisamente migliorato ma Amos non se l'era sentito di lasciarlo da solo. Così aveva allungato i piedi e si era appisolato sulla scomoda poltroncina affianco a lui. Aveva passato ore piene di pensieri. Il bacio dell'infermiera lo aveva incendiato di desiderio e per tutto il tempo a seguire il suo uccello aveva fatto la guerra dentro i boxer, per uscire. Contrariamente da quello che era solito fare, aveva deciso di non dargli sollievo e quindi si era concentrato sulle condizioni critiche di Logan.

Quando quella sera, aveva squillato il cellulare ad un orario improponibile, non avrebbe mai immaginato di veder sulla schermata il nome di Marlene. Lo aveva afferrato quasi con bramosia e aveva risposto titubante. «Pronto?»

La fata si era allontanata da Victoria per non farle sentire con chi stava parlando. «Amos, sei tu?»

«Sì, sono io. Perché?»

«Ho bisogno di un favore. È una cosa urgente.»

Immediatamente Amos si raddrizzò a sedere sulla sedia. Il tono di voce della ragazza non sembrava tranquillo. «Che succede, Marlene?»

«Victoria si è ubriacata. La stavo riportando a casa con la sua auto, quando mi ha afferrato e siamo finite in un fosso.»

Una fitta al cuore colpì il pasura. Fu un dolore veloce e lancinante, come se qualcuno gli avesse dato una rapida stilettata in pieno petto. Il timore che si fosse fatta male lo atterrì. «Stai bene?» domandò stupendosi del suo tono di voce. Era spaventato. Lui.

«Sì, stiamo bene. Mi sono solo rotta il labbro. Credo ci vogliano dei punti.»

Le sue dolci labbra. Al pensiero Amos si lasciò sfuggire un ruggito furioso. Non poteva pensare che a causa di Victoria, Marlene avesse rischiato di morire. Si ritrovò a digrignare con forza i denti, cercando di non incazzarsi. Per lui era impossibile. «Arrivo subito. Dove vi trovate con precisione?»

Marlene si guardò attorno. Aveva perso il senso dell'orientamento. Erano al limitare di un bosco e l'auto ci era bellamente finita dentro, capovolgendosi. La testa le martellava insistentemente, il mal di testa era dietro l'angolo. «Io – io,» iniziò a farfugliare.

Le veniva da piangere. Il dolore iniziava ad espandersi in tutto il corpo.

Nonostante anche le fate avessero una guarigione rapida, non potevano vantarla tanto rapida quanto quella dei mannari. Quei tagli e quei lividi se li sarebbe portati dietro per diversi giorni. Inoltre una fitta al fianco non cessava di farla respirare a scatti.

A sentirla in preda al panico, Amos si incazzò maggiormente. Si alzò dalla poltrona camminando avanti e indietro con sguardo truce. «Stai tranquilla. Ti vengo a prendere.»

«Victoria. Dobbiamo portarla a casa.» rispose la fata, tirando su col naso.

Amos fissò Logan steso beatamente nel letto. L'espressione del pardo era serena e stava dormendo profondamente rilassato. Non avrebbe notato l'assenza momentanea di Amos. Così il pasura afferrò le chiavi del pick up e uscì di casa di tutta fretta. «Certo... la porteremo a casa. Ma tu non chiudere la chiamata, okay?»

Con la coda dell'occhio la fata osservò l'amica scorazzare per il bosco saltellando e ridendo. Stava sfogando tutta la sua sbronza in grida gracchianti, risate isteriche e balli senza senso. A differenza sua sembrava divertita ed euforica. I tagli che si era procurata con l'incidente erano quasi del tutto riassorbiti.

«No. Assolutamente.»

Amos mise le chiavi nel quadro del cruscotto e accese il pick up. Partì a tutta velocità sperando che le ferite della giovane non fossero troppo profonde. Sapeva che non era umana ma non tutte le creature sovrannaturali hanno la rigenerazione rapida. In quel momento avrebbe voluto chiederle cos'era ma decise di far cadere quella domanda scomoda. Non era il momento. «Che è successo? Raccontami.»

«Ero andata al Brums.» Marlene omise la presenza di Nick. «E ho visto Victoria ubriaca persa che stava dando spettacolo. Non l'avevo mai vista così fuori di se.»

«Dovevi chiamarmi subito.»

Il volto della giovane divenne paonazzo. A dire il vero, non avrebbe nemmeno dovuto chiamarlo. Victoria non avrebbe compreso il motivo per cui aveva il suo numero. «Non sapevo se era il caso.»

«Per via del bacio?» domandò lui, svoltando.

«Per via di... tutto.» Per il bacio, per ciò che provava standogli vicina, per il fatto che la sua migliore amica lo amasse e soprattutto perché con ogni probabilità fate e mannari erano incompatibili... se non come uno la cena dell'altro.

«Io non so più che fare con te. Vorrei veramente capirlo.» Sospirò.

Quella frase, detta con quel tono così esasperato, fece arrossire maggiormente Marlene. Amos sembrava veramente interessato a conoscerla. Peccato che il loro percorso fosse un campo minato. Non sarebbero riusciti a sopravvivere a una frequentazione. Victoria oltre a soffrirne enormemente, avrebbe sicuramente cercato in tutti i modi di attuar delle rivalse. La fata non era sicura di volersi invischiare in una relazione tanto complicata di partenza.

«Non c'è nulla da capire, Amos.»

«Cazzo, no. Non riesco ad accettarla una risposta così merdosa.» Colpì il volante stizzito. Mentre sfrecciava per le strade del Michigan, non c'era parte di lui che non volesse averla lì.

Non c'era molecola di lui che non la desiderasse bruciante di passione.

L'idea che a causa di Victoria era rimasta coinvolta in un incidente e si era ferita, gli faceva ribollire il sangue. Questa volta la mannara si era veramente cacciata nei casini, non le avrebbe risparmiato nulla una volta ripresa dalla sbronza.

Marlene si morse nervosamente il labbro, trattenendo un mugolio contrariato. Che altro avrebbe potuto rispondergli? Non lo sapeva nemmeno lei. Erano in una situazione così complicata che faticava lei stessa a capirci qualcosa.

Mentre stava ponderando su che altro dirgli, qualcosa alle sue spalle produsse uno strano fruscio. Siccome Victoria era a vista, quel rumore non poteva provenire da lei.

Il fruscio sembrò aumentare.

Marlene indietreggiò verso la mannara, cercando di riportarla nel mondo reale. Ancora stava ridendo da sola e saltando come un capriolo. Sembrava aver totalmente perso il senno.

«Victoria, smetti.» Non appena l'afferrò per un braccio, la ragazza si portò le mani allo stomaco e cominciò a vomitare nuovamente. Marlene bloccò il cellulare tra l'orecchio e la spalla, cercando di sostenere l'amica mentre stava rimettendo gli ultimi rimasugli della sbronza. Le gambe le cedettero e si aggrappò alle braccia dell'infermiera che la sorresse mentre tentava di pulirsi la bocca.

«Marr, sto male.»

«Lo so, tesoro. Adesso andremo a casa.» Cercò di rassicurarla.

Un altro rumore attirò questa volta l'attenzione di entrambe. La mannara annusò l'aria e storse il naso. «Umani. Umani dall'odore strano.» disse in un ringhio, senza ricordare che non aveva mai parlato a Marlene della propria natura sovrannaturale.

Nei cespugli, c'era qualcosa che si muoveva. Marlene sollevò l'amica che a malapena si reggeva in piedi e tentò con qualche scossone di farla riprendere. «Dobbiamo andarcene da qui.» disse frettolosamente mentre un basso brusio le faceva capire che non erano più sole.

Il cellulare le scivolò di mano mescolandosi tra le foglie, per recuperarlo fu costretta a lasciar la presa su Victoria. Pensava che si sarebbe sorretta e invece quest'ultima cadde in terra come una pera cotta.

Altri rumori si fecero più persistenti. Un fruscio continuo sembrava dettare una cadenza precisa. Qualcosa di stava avvicinando. Il buio della notte avvolgeva con il suo manto nero tutto quanto. Era impossibile veder oltre il loro palmo.

La fata strinse il cellulare pulendolo dal terriccio e se lo portò all'orecchio. «Amos.» Le tremò la voce.

Al di là della cornetta il pasura si irrigidì. Quel tono di voce non gli piaceva affatto. Lei aveva paura e questo scuoteva profondamente la sua bestia. «Marlene, che succede?»

Ci furono rumori di rami secchi. Tutto attorno, sembrava un brulicare di movimento. La giovane girò lo sguardo per veder cosa ci fosse. Non capiva. I rumori sembravano arrivare da tutte le parti e nessuna in particolare.

«Marlene! Che succede?» Domandò nuovamente Amos, altamente preoccupato.

«C'è qualcuno nel bosco.» bisbigliò lei.

Il brivido che corse lungo la schiena del pasura fu come un pezzo di ghiaccio lasciato scivolare ripetutamente sulla colonna vertebrale. Si bloccò sul posto sentendo il respiro mancare. La sua Marlene era in pericolo. Gli sfuggì un ruggito. La bestia scalpitava per uscire «Dovete allontanarvi da lì. Andate in mezzo alla strada.»

La fata si voltò immediatamente verso Victoria e l'afferrò per un polso, lei in tutta risposta ringhiò rabbiosamente verso un punto indistinto del bosco. «Arrivano.» sibilò soffiando come un gatto. La voce alterata dalla bestia.

Arrivano? Chi?

Una luce puntò fisso verso di loro e tutto successe troppo rapidamente.

Dal buio della notte spuntarono quattro figure, vestite mimetiche e imbracciando armi dalle strane forme. Marlene si spostò di lato perdendo nella foga il cellulare. Lo sentì scricchiolare quando cercando di recuperare Victoria, con ogni probabilità lo calpestò.

La mannara aveva gli occhi completamente gialli e stava soffiando con i denti già mutati in forma animale. Le unghie si erano allungate tramutandosi in artigli pericolosamente appuntiti. Era pronta per uccidere, se fosse stato necessario.

Nessuna di queste persone sembrava impaurita dalla reazione di Victoria, anzi, erano più che felici di trovarle lì nel bosco. Sole.

«Chi siete?» Domandò Marlene, allungandosi verso l'amica e stringendola a se. Per un attimo gli occhi di Victoria tornarono normali, non appena uno degli uomini fece però un passo avanti, lei ringhiò ripetutamente e le iridi si riaccesero di giallo intenso.

Senza dar risposta, uno degli uomini scoccò in aria una corda luminosa. La fece roteare più volte sulla testa prima di dargli la stoccata in loro direzione.

Victoria balzò di lato, Marlene venne colpita in pieno.

Crollò in terra gridando, mentre il filo luminoso della corda le si avvolgeva attorno alla caviglia. Non sapeva di che materiale era fatta ma sentiva la pelle bruciare a dismisura. Le sfuggì l'ennesimo grido mentre afferrandola con entrambe le mani tentava di srotolarla per fuggire.

La mannara si gettò su un uomo, mordendolo alla gola ancora in forma umana. Probabilmente i residui della sbornia non le lasciavano completo controllo sulla bestia. Non riusciva a mutare.

Marlene si ritrovò così a lottare contro quel dannato filo. Le mani si erano riempite di tagli profondi nel vano tentativo di allentare la presa. Sembrava quasi che si fosse saldamente attorcigliato attorno alla sua pelle.

Un cacciatore l'afferrò per un braccio sollevandola da terra e armeggiò con la tasca dei pantaloni alla ricerca di qualcosa. Lei si divincolò dalla sua presa ma venne agguantata da un altro.

L'uomo la sollevò di peso e tenendola in braccio cercò di affondarle nel fianco una delle strane armi piene di pungiglioni. «Due mannare al prezzo di una.»

Ma Marlene non era una mannara. L'avevano scambiata per una di loro per via di Victoria. Mentre tentava di divincolarsi, l'uomo rinserrò la presa e la giovane gridò spaventata.

«Lasciala.» Gridò l'altra. Cercando di correre in suo soccorso.

Peccato che erano in quattro e non potevano fronteggiarli tutti insieme.

La fata a quel punto comprese che non poteva continuare a trattenere la sua natura. Volente o nolente doveva difendersi e questo avrebbe cambiato molte cose. Avrebbe stravolto i suoi equilibri e inoltre, avrebbe messo a rischio la sua vita che fino ad ora era passata inosservata. Una volta che quei cacciatori avessero scoperto ciò che era, non si sarebbe potuta nascondere.

Non poteva però lasciare l'amica alla loro mercé, né rischiare di morire in quel maledetto bosco.

Lasciò così cadere la schermatura e il getto di potere che rilasciò costrinse gli uomini a coprirsi gli occhi, lasciando la presa anche su di lei che crollò in terra.

Fu come un'esplosione di luce.

L'energia li sbalzò lontani da loro di alcuni metri.

La barriera era crollata.

Marlene si alzò in piedi diversa. Non era più la normale e ordinaria umana. Era in tutto e per tutto se stessa. Dall'alto del suo metro e ottanta, dei lunghi e lisci capelli color blu intenso le ricadevano fino al sedere, sposandosi perfettamente con i suoi occhi ma anche con la pelle azzurra ricoperta da tatuaggi in rilievo.

I vari ghirigori formavano disegni tribali estesi in tutto il corpo, alcuni le risalivano fino al viso, altri le scendevano fin sulle dita. Con un gesto repentino si ravviò i capelli scoprendo giusto un attimo le lunghe orecchie a punta.

Una volta che la sua natura affiorò con prepotenza, afferrò la mano di Victoria tirandola a se e senza darle tempo di realizzare cosa fosse e cosa stesse succedendo. A quel punto scattò ad una velocità sovrannaturale verso la strada.

Se fossero riuscite a raggiungere quella, sarebbero state in salvo.

Amos le stava raggiungendo. Amos le avrebbe soccorse e salvate.

«Quell'altra non è una mannara. È una fata.» gridò uno dei quattro a tutti gli altri.

«Prendiamole. Non ci devono assolutamente scappare, queste.»

Le due iniziarono a correre forsennatamente tra le fratte del bosco. Si erano allontanate troppo dal limitare della strada. Erano state sciocche e imprudenti.

Con un movimento della mano Marlene attivò una magia silenziosa che aprì un varco tra gli arbusti troppo fitti davanti a loro. Come per incanto le piante si mossero e si divisero lasciandole passare per poi richiudersi alle loro spalle.

Nonostante la situazione pericolosa, essere di nuovo se stessa la fece sentire viva, libera. Sempre costretta a schermarsi e a fingersi qualcuno che non era la stava pian piano annullando.

Victoria incespicò cadendo a terra, con il viso colpì un arbusto e un fiotto di sangue le uscì dalla bocca. «Scappa.» gridò all'amica non appena si accorse di non riuscire a correre come avrebbe voluto. L'alcool le alterava i movimenti che risultavano troppo rallentati.

Ma Marlene non aveva alcuna intenzione di andarsene senza di lei. Si girò soffiando come un gatto e gli occhi si illuminarono così intensamente da sembrare fari. Allungò le mani davanti a sé e la magia fatata esplose come un uragano.

Fu come una folata di vento invisibile.

I quattro vennero sbattuti da una forza disumana contro tronchi e rocce. Cercarono di rialzarsi ma l'intensità di quel vento li faceva capitolare ad ogni tentativo in terra. Arbusti e piante si mossero animati dalla magia, schiaffeggiandoli e avvolgendosi attorno ai loro arti in una macabra danza. Avrebbero frenato seppur per poco la loro corsa.

A quel punto la fata afferrò l'amica sollevandola di peso, come se non pesasse nulla. «Andiamo. Non ti lascio qui.»

Tenendola in braccio cominciò ad usare la sua velocità sovrannaturale. Era talmente rapida che i suoi passi non facevano alcun rumore. Nemmeno sulle foglie secche.

Raggiunse finalmente la strada, Victoria le era svenuta tra le braccia.

Si voltò sentendoli arrivare, trafelati.

Non poteva ucciderli. Non aveva mai ucciso in vita sua. Era una cosa che le faceva paura, nonostante per loro non provasse alcuna pietà.

Appoggiò l'amica sull'asfalto e si parò davanti a lei per farle da scudo. Quando i quattro uomini sbucarono dal bosco, lei allargò nuovamente le mani. Era pronta ad usare la sua magia e questa volta, non sarebbe stata tanto gentile.

Gli occhi diventarono blu cangianti, luminosi. Si portò le mani al petto e cominciò a recitar una nenia nella sua lingua natale. Tante parole antiche, bisbigliate velocemente e con terrore. La magia fatata pulsava in ogni fibra di Marlene, viva e potente più che mai.

Improvvisamente una bolla di energia si creò attorno a loro, fu come un'enorme campana di vetro. Tanto sottile quanto indistruttibile.

Gli uomini se ne accorsero e il più coraggioso allungò la mano per toccarla. Una scarica elettrica schioccò nell'aria con uno scoppio. Alcune scintille vibrarono visibili sulla superficie trasparente.

Uno dei cacciatori estrasse un particolare attrezzo rotondo e appoggiandolo alla superficie della bolla lo azionò. La piccola sfera produsse un rumore stridulo prima di produrre fumo. A quel punto, l'uomo colpì la barriera con calci e pugni. «Credi che la tua energia durerà a lungo? Dovrai uscire prima o poi, fata.»

Marlene sibilò mostrando i denti, leggermente appuntiti. Anche quelli erano diversi dalla sua alterego umana, erano tutti quanti più appuntiti e taglienti. Delle armi letali pronte a scattare qualora ce ne fosse stato bisogno. «Restate pure qui. Così il branco della mia amica arriverà in tempo per sbranarvi uno per uno.»

I quattro si scambiarono uno sguardo truce. Non sapevano se credere o meno alle minacce della fata ma non potevano rischiare di essere accerchiati da un intero branco di mannari. Così decisero di ripiegare. Con ogni probabilità la fata sarebbe potuta restare con quello schermo ancora molto a lungo e loro non avevano tempo per appurare la veridicità delle sue parole.

Si ritirarono così nel fitto bosco, continuando a lanciar loro occhiate cariche di odio e aspettative. «Ti torneremo a prendere. Tranquilla.» le gridò uno di questi, prima di scomparire alla sua vista.

Quando tutto tacque e sembrò ritornar la calma, Marlene riassunse la sua forma umana ma non abbassò le difese sulla bolla. Decise che fino all'arrivo di Amos non l'avrebbe tolta.

Si appoggiò in terra accarezzando il volto dell'amica.

Victoria restava immobile ma con respiro regolare. Le ferite sul suo corpo si stavano riassorbendo ma erano già ad un ottimo punto di guarigione. Fortunatamente i cacciatori non avevano fatto in tempo a iniettarle lo stesso veleno che avevano usato per Amos e Logan. Si sarebbe ripresa a breve. Invece per la fata era tutto più difficile. Non solo aveva usato buona parte delle sue energie ma la sua guarigione non era certo così celere.

Il dolore divampava in lei come una scossa continua, facendola mugolare di tanto in tanto dal male. Le ferite continuavano a perdere copiosi getti di sangue, soprattutto quella al labbro che continuava a bagnarle il mento.

Strinse al petto Victoria, sollevandola da terra e appoggiandosi la testa sulle proprie ginocchia. Ad ogni minimo rumore gli occhi le diventavano di un blu acceso. Non riusciva ad abbassare la guardia e non era minimamente intenzionata a farlo. La sua stirpe ormai si contava sulle dita di poche mani.

Era stata attaccata, scoperta e come le sue ave sarebbe stata braccata.

Per una fata come lei, non esisteva cosa peggiore.

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