CAPITOLO 19

Le labbra continuavano a bruciarle come se le avesse appoggiate contro una stufa accesa. Sentiva il pizzicore di quel bacio diffondersi a macchia d'olio su tutto il viso.

Lui le aveva detto di andarsene e lei lo aveva baciato. Brava, Marlene... proprio quello che Victoria avrebbe voluto.

Scosse la testa pigiando sull'acceleratore. Erano solo le dieci di sera ma voleva fiondarsi a casa, farsi una doccia e terminare quella giornata davanti alla televisione con una gigantesca vaschetta di gelato.

Sì, voleva affogare tutti i suoi dispiaceri lì dentro.

Ho fatto qualcosa di male?

Quella domanda le rimbalzò nella mente. Le era sembrato così genuino, così fragile quando le aveva posto quel quesito. Dannazione, era stata così sciocca. Aveva agito d'impulso. Un impulso che non sapeva da quale parte del corpo era scaturito, se più dal cuore che dal cervello. Non era sicura che quella situazione fosse nata solo a causa del problema di Amos. Diciamo che quella, era stata la scusa a cui si era aggrappata.

Era già da tempo che voleva baciarlo. Da tempo che voleva sentire il sapore di quelle labbra e le sensazioni che poteva provare ad un loro contatto. Era inutile mentire a se stessa. Sapeva che la parte irrazionale di lei aveva agito d'istinto e questa fuga, era il rimasuglio della sua poca coerenza.

Se lo avesse scoperto Victoria, Dio... l'avrebbe odiata a morte. Avrebbe completamente perso la fiducia in lei, non solo, la loro amicizia sarebbe colata a picco.

Era questo che voleva? Diamine, no.

Una tremenda paura si impossessò di lei all'idea di perdere l'amicizia con la mannara. Non voleva assolutamente ferirla. Il bene che provava per lei era più forte di qualsiasi uomo che potesse interporsi tra loro.

Le lacrime sopraggiunsero con prepotenza. Ultimamente guidare in quelle condizioni diventava sempre più difficile. Si era accorta che piangere e guidare stava diventando un passatempo troppo comune per lei.

Si sentiva uno schifo, una vera merda. Era come se in qualche modo avesse tradito Victoria. Si passò la manica della maglia sugli occhi, cercando di pulirli dalle lacrime. I singhiozzi arrivarono subito dopo.

Era la peggiore situazione in cui era mai incappata in tutta la sua banale vita.

Da una parte c'era la sua unica e migliore amica, dall'altra l'uomo che le faceva battere il cuore come mai prima d'ora.

Non voleva scegliere ma doveva.

Mentre continuava a guidare nel buio del Michigan, con l'occhio notò al limitare della strada un gruppo di tre uomini che si spostavano con un certo sospetto.

Li fissò incuriosita, indossavano tute militari e occhialini dall'aria particolarmente sofisticata. Qualcosa di ultra tecnologico probabilmente. In mano ognuno di loro teneva un'arma. Per un attimo le sembrarono semplici cacciatori che facevano una notturna, poi guardando meglio si accorse delle armi particolari. Erano in tutto e per tutto simili a quelle del tizio che non era sopravvissuto in ospedale.

Trattenne il respiro e mancò poco che inchiodasse.

Quelli erano i cacciatori di mannari.

Un brivido l'attraversò come una scarica. Si impose di non rallentare ne accelerare. Doveva tornare a casa, non era compito suo intromettersi negli affari dei mannari.

Dallo specchietto retrovisore continuò a fissare quel mal assortito gruppetto. Continuavano a camminare sul bordo della strada osservando con quei strani occhiali dentro il bosco. Si chiese se fosse il caso di avvisare Amos, ora il suo numero lo aveva.

No. Doveva dimenticarsi di lui.

Doveva levarselo dalla testa una volta per tutte. E lo doveva fare anche per amore di Victoria. Lei era l'unica persona che le era stata accanto in momenti difficili della sua vita. Da quando era in Michigan, Victoria aveva sempre assolto il suo compito di migliore amica egregiamente e per una volta, toccava a lei ricambiare.

Inoltre non aveva senso invaghirsi di una persona che sapeva di non poter avere. Amos era ancora legato in qualche modo a Victoria e lei faceva meglio ad abbandonare anche solo l'idea di qualcosa che nascesse tra loro.

Si sentiva così confusa. La sua mente rimbalzava dal bacio, alle parole che le aveva confidato l'amica, alle sensazioni provate stando vicino a lui. Gli occhi le si gonfiarono nuovamente di lacrime. Ecco, lo sapeva... ormai era troppo tardi per non restarne ferita. Non capiva come ma Amos era riuscito ad aprire uno spiraglio nel suo cuore e adesso doveva far i conti con la crudele verità: si era infatuata di un uomo che non sarebbe mai stato suo. Non poteva esserlo, nemmeno volendo.

Parcheggiò davanti casa e scese svogliatamente dopo essersi soffiata il naso con un kleenex di fortuna trovato nel cruscotto dell'auto. Non aveva voglia di fare nulla. Quel briciolo di piacere che era riuscita a conquistarsi in quel giorno di riposo era completamente svanito lasciando posto ad una forte amarezza.

Salì al suo appartamento con crescente rincrescimento. Tutta quella situazione si era creata per un caso fortuito. Se Amos non si fosse mai fatto male al lavoro, non sarebbe mai stato costretto dai colleghi umani ad andare in ospedale e di conseguenza non si sarebbero mai incontrati creando quell'incredibile reazione a catena. Era tutta colpa di Amos insomma.

Richiuse la porta dietro di se e si spogliò dei vestiti intrisi del sangue dei mannari. Li gettò direttamente in pattumiera consapevole che nemmeno un doppio giro di lavatrice li avrebbe salvati da qualche alone. Il sangue rappreso a fatica si riesce a levare, figurarsi se di mannaro.

Mentre camminava per la casa in intimo, Peanut le passò tra una falcata e l'altra, cercando di attirare la sua attenzione. «Arrivo, arrivo. Fammi mettere qualcosa che poi ti do la cena.»

Aprì l'armadio per attingere ad uno dei tanti pigiami ma il cellulare squillò e in cuor suo pregò affinché non fosse Amos. Non era sicura che avrebbe retto un nuovo incontro. Anche se non avrebbe potuto negargli soccorso, nel caso fosse nuovamente servito.

Si stupì invece quando sullo schermo lesse il nome di Nick. Che voleva a quell'ora? Che la chiamasse per un turno extra? «Ehi, Nick... che succede?»

«Ciao Marlene, scusa l'orario ma... mi son liberato di alcuni impegni e mi chiedevo se ti andasse di far un salto al Brums. Ci beviamo qualcosa e magari stiamo qualche ora in compagnia.»

Sul momento gli avrebbe detto di no. Un "no" secco e conciso. A pensarci bene però, dopo tutto quello che era successo con Amos, forse era il caso di dargli una seconda, se non terza o quarta possibilità. Tra lei e il mannaro non poteva nascer nulla, tanto valeva riprendere quel piccolo rapporto che aveva cercato di crearsi con Nick. Anche come semplice distrazione. Sì, era una cosa veramente deplorevole da pensare, ma non aveva altre idee per poterlo dimenticare se non quella di frequentar altri uomini. Chissà, magari un giorno Nick le sarebbe piaciuto veramente. «Va bene, vieni a prendermi tu?» Al solo pensiero di vederlo le venne un brivido. Era come se il suo stesso corpo rifiutasse l'uscita.

Il medico trattenne il respiro per un attimo. Non si sarebbe mai aspettato una risposta positiva a dir il vero. Sorrise raggiante. «Certo. Tra mezz'ora sono lì da te.»

Si salutarono e chiusero la chiamata.

Marlene trovò il tempo di farsi una doccia, truccarsi e rendersi quantomeno presentabile. Questa volta indossò un abito carino. Niente di impegnativo ma abbastanza adeguato per un posto come il Brums.

Versò il cibo a Peanut e la gatta la ringraziò miagolando per poi fiondarsi sul cibo, famelica. Quella palla di pelo mangiava come un bue.

Nick arrivò poco dopo, suonando il campanello con troppa veemenza. Marlene si ritrovò ad imprecare sotto quell'assalto di citofonate. Scese come una furia dopo essersi richiusa la porta alle spalle con ancora Peanut china sulla propria ciotola di crocchette. Il freddo vento notturno le schiaffeggiò il viso non appena uscì dal condominio.

La macchina di Nick aveva un forte profumo di menta che in qualche modo tentava di prevaricare su un intenso odore di tabacco. Una volta salita si voltò in sua direzione e gli sorrise. «Ehi, ciao... andiamo al Brums allora?»

Il medico partì senza neanche risponderle e ben presto la giovane fata si ritrovò a sfrecciare per le strade notturne del Michigan.

«Non avrei mai creduto mi dicessi di si.»

Quell'affermazione fece arrossire Marlene. Se solo Nick avesse saputo che era un semplice ripiego, non sarebbe stato tanto entusiasta di quella uscita. Com'è che si diceva? Chiodo scaccia chiodo. «Oggi mi sono riposata abbastanza. Un'uscita mi ci voleva.»

Senza staccare lo sguardo dalla strada, il medico svoltò. «E il trasloco? Com'è andato?»

«Come?»

«Il trasloco con la tua amica.»

Oh, quel trasloco. Quello finto e inventato. La fata sorrise. Doveva star molto attenta a non dimenticare le bugie che diceva. «Bene. Non lo abbiamo finito ma mi auguro di non essere più chiamata. La mia buona fetta di mano, oggi l'ho data.»

«È stata una faticaccia, vero?» Nick sapeva che non si era mossa da casa. L'aveva vista uscire solo in tarda serata. Non capiva cosa gli nascondesse quella femmina ma il mistero attorno a lei sembrava infittirsi ad ogni uscita sempre più.

Era convinto avesse un segreto, anzi ne era sicuro. Ed era interessato a scoprire di cosa si trattasse. A dire il vero un'idea ce l'aveva ma senza prove certe non poteva sbilanciarsi.

«Oh, si. Una vera sfacchinata.» Marlene non poteva immaginare che Nick aveva passato gran parte del tempo a zonzo tra casa sua e il suo quartiere. Non poteva immaginare che quella pressante presenza che sentiva addosso ogni volta che usciva, facendole credere di essere spiata, era niente meno che lui. Non poteva sapere che lui la osservava e anche da molto, troppo tempo.

«Fortuna allora che non dovrai più farlo.» Le sorrise, tornando immediatamente a guardare la strada.

Arrivarono al Brums in poco tempo. Nick scese dall'auto andando come sempre ad aprire la portiera di Marlene. La giovane non apprezzò quel gesto. Non le era mai piaciuta la troppa galanteria. Le dava l'idea di atteggiamenti costruiti e volti solo a compiacere i partner.

«Eccoci, non sembra esserci molta fila all'entrata.» le disse lui, cercando di prenderle la mano.

No. La mano no.

Marlene riuscì a eludere quel contatto, camminando avanti. Non era il caso di camminare mano nella mano per raggiungere un locale. Non erano fidanzati, non aveva senso. Inoltre tra lei e Nick continuava ad esserci quell'invalicabile divario caratteriale che a fatica lei riusciva a sormontare. Erano così diversi, così poco affini che vedeva molto difficile un avvicinamento.

Eppure ci doveva provare. Doveva farlo per dimenticare Amos e per non incrinare la sua amicizia con Victoria.

Il Brums come ogni sera era gremito di gente. Si poteva sentire nell'aria il forte odore di sudore ed eccitazione. La gente si accalcava l'una sull'altra per potersi strusciare in cerca di qualche avventura notturna. Era un locale dove licantropi, mannari e umani si amalgamavano senza alcun problema, lasciando a casa pregiudizi e razzismo. In quel posto le uniche cose che volavano a fiumi, erano il sesso e l'alcool.

Non appena varcarono la soglia, la musica lì investì come una bomba. Lì dentro funzionava così, entravi per ballare, bere fino a sfondarti o scopare. Le chiacchiere non contavano.

«Ti prendo qualcosa?» le gridò Nick all'orecchio, cercando di sovrastare il volume eccessivo.

Marlene si limitò ad annuire mimando un semplice grazie. Quando il medico comprese la risposta si spostò in mezzo alla calca cercando di farsi largo a suon di spintoni e gomitate poco delicate. Una volta arrivato al bancone, ordinò due drink, uno più forte dell'altro e si apprestò a tornare dalla sua compagna di serata.

Mentre Nick era alla ricerca di qualcosa da bere, Marlene venne ben presto inghiottita dai ritmi serrati della folla. Si ritrovò così a ballare animatamente in mezzo a tantissime altre persone, con l'intento di dar sfogo alle proprie preoccupazioni e dispiaceri.

Aveva così tanto bisogno di dimenticare gli ultimi avvenimenti, che saltare e ballare le sembrava un piacevole compromesso a tutto quanto. La testa si svuotava, seppur per poco e nessun pensiero attanagliava la sua coscienza ormai sporca.

Amos, il bacio che lei stessa gli aveva rubato, Victoria... erano tutte cose che in quel momento voleva dimenticare. Voleva lasciarsele alle spalle. Inoltre non le sembrava giusto star tutto il tempo a pensare ad una persona che con ogni probabilità in quel momento si stava lavorando qualcuna che non fosse lei.

Il pasura non le sembrava un tipo fedele. Voleva veramente mandare a puttane un'amicizia lunga anni per un uomo altamente infedele? Proprio no. Oppure stava solo cercando di auto convincersi che fosse così, che lui fosse un bastardo, un traditore e non meritasse un briciolo delle sue attenzioni.

Socchiuse gli occhi, lasciando che la musica facesse il suo corso. Che la purificasse da tutto quell'ammasso di negatività che continuava a tirarsi addosso giorno dopo giorno.

Un rumore di risa e battute attirò la sua attenzione. Poco distante da lei c'era una scena a cui mai e poi mai avrebbe pensato di assistere.

Victoria ballava semi nuda, strofinandosi in maniera sensuale contro i vari uomini che le facevano la corte. Indossava un abitino succinto e troppo corto, a guardarla meglio si accorse che lo aveva sollevato fino a mostrare il perizoma. Rideva così sguaiatamente da sovrastare in certi momenti la musica.

A vederla ridotta in quelle pessime condizioni, Marlene si sentì travolgere da un forte dispiacere. In parte, era anche colpa sua se Victoria stava reagendo a quel modo. Se Amos non avesse mostrato interesse nei suoi confronti, forse la mannara non sarebbe andata al Brums per affogare i propri dispiaceri e le proprie sconfitte nell'alcool.

E ancora non sapeva del bacio.

Marlene si immobilizzò, sorpresa anche del fatto che l'amica si trovasse nel locale senza averla chiamata. Di solito funzionava così, una delle due chiamava l'altra, si organizzavano e a quel punto andavano al locale insieme. Il solo fatto che non l'avesse chiamata, la feriva.

Probabilmente non voleva averla intorno.

Un moto di rabbia si impossessò di lei. Che colpa ne aveva se senza saperlo si era invaghita del suo ex? Era anche colpa sua. Se l'avesse resa più partecipe della sua vita privata, forse ora non si starebbe dannando l'anima per un uomo che aveva conosciuto per sbaglio. Marlene non sapeva chi era Amos per lei. Non sapeva nulla di lui prima che Victoria non glielo dicesse. Forse se lo avesse saputo prima, nemmeno le sarebbe passato per l'anticamera del cervello di guardarlo con gli occhi di una semplice donna.

Decise che era il caso di parlarle. Se voleva accusarla di qualcosa o avercela con lei, allora le avrebbe dato una buona motivazione per farlo. Le avrebbe anche detto del bacio.

La raggiunse quasi di corsa e non appena Victoria si accorse della sua presenza, scoppiò a ridere fragorosamente. «E tu che ci fai qui?» le chiese continuando a ridere senza freni.

«Sono venuta qui con Nick.»

La risposta sembrò calmare la mannara che sembrava già sul piede di guerra. Buttò la testa all'indietro e rise sguaiatamente. «Nick, palle mosce?»

Marlene trasalì e subito si guardò attorno alla ricerca del collega. Se l'avesse sentita parlar di lui a quel modo, forse si sarebbe insospettito su come lo descriveva alle amiche. «Senti, Vicky... che dici se ti accompagno a casa?»

Le era passata anche la voglia di litigare. L'amica barcollava così tanto che farci una litigata ora era come sparare sulla croce rossa. L'affetto che provava nei suoi confronti prevaricò su tutto, perfino sull'arrabbiatura che le era venuta poco prima e che forse era solo uno dei tanti mezzucci per evitare di sentirsi troppo in colpa per quel bacio.

Victoria scosse la testa e alzò un bicchiere vuoto che aveva tra le mani. «Resto qui a festeggiare, i miei amici vogliono stare con me.»

Solo allora Marlene si accorse che attorno all'amica c'era una forte calca di uomini dalle più svariate intenzioni. Tutti la fissavano come se si trattasse di un gustoso e prelibato bocconcino, lei sembrava non accorgersene.

Alcuni di loro erano mannari, emanavano una forte aura di potere.

Un brivido colse la fata all'improvviso non appena comprese le schifose intenzioni di quei soggetti. Sembravano un branco pronto a stuprarla non appena l'alcool avesse fatto il suo corso. Aspettavano pazienti che Victoria crollasse... come animali.

«Eccomi.» Nick sopraggiunse alle spalle di Marlene sfiorandole leggermente un fianco. La fata cacciò un urlo sobbalzando sul posto e non appena comprese che era Nick, rilassò i nervi. Non gli sembrava un tipo da rissa ma quantomeno era un uomo e forse avrebbe potuto scoraggiare gli insistenti corteggiatori di Victoria.

Non appena la mannara si accorse che Nick aveva in mano due drink, lasciò cadere il bicchiere vuoto che andò in terra frantumandosi e con un movimento troppo rapido per un semplice umano fregò dalle mani del medico i due drink.

Il primo lo scolò in un sorso, lanciando subito dopo un grido euforico.

Nick si fissò le mani vuote, sconvolto. «E quella chi sarebbe?»

Marlene si lasciò sfuggire un sospiro. L'amica si era messa a strusciare in maniera troppo volgare contro due tizi che stavano assecondando anche fin troppo i movimenti osceni della mannara e attuandone a loro volta altri, decisamente molto espliciti. Victoria però rideva e tenendo l'ultimo drink in mano ondeggiava a ritmo di musica. «Lei è Victoria.»

«La tua migliore amica?» domandò sempre più sgomento il medico.

«Proprio lei.»

Un altro grido accompagnò la mannara quando buttò giù tutto d'un fiato l'ennesimo bicchierino di alcool. Spaccò direttamente il bicchiere in terra.

La fata doveva fare qualcosa per l'amica. Non solo si stava umiliando davanti ad una folla di gente che la fissava con disprezzo e imbarazzo ma l'indomani si sarebbe amaramente pentita di quella nottata. L'afferrò così per un braccio, facendola voltare verso di se. «Andiamo, Victoria. Ti porto a casa.»

Lei cercò di divincolarsi e nel farlo un capogiro le fece perdere l'equilibrio. Crollò in ginocchio su tutti i vetri dei vari bicchieri che aveva rotto e sostenendosi con le mani iniziò a vomitare copiosamente.

Subito Marlene si apprestò a sostenerle la testa, legandole i capelli in una coda molto arrangiata. «Forza, Vicky... andiamo a casa.» Cercò di usare il tono di voce più morbido che aveva ma la mannara scosse la testa, colpendo in terra fino a farsi entrare i vetri dei bicchieri nelle mani.

«No. Voglio restare qui, nel mio vomito.» Strillò isterica.

«Avanti, non dire sciocchezze.»

«Mi piace il mio vomito.»

«Non lo metto in dubbio. Ma non pensi che agli altri potrebbe non piacere?»

Victoria fece un'alzata di spalle e poi scoppiò nell'ennesima risata. «A me non interessa se non piace. Io lo trovo carino.»

Si stava chiedendo se parlasse ancora del vomito o il suo discorso ora si fosse spostato ad Amos. Probabilmente riguardava entrambe le cose. Quando si è ubriachi si dicono veramente un sacco di stupidaggini. «Anche io lo trovo molto carino. Ecco perché andremo a vomitare a casa... così potremo conservarlo.» Si sentiva una grandissima idiota ad assecondarla in quelle follie e in quei discorsi privi di senso, eppure spesso funzionava. Ne aveva avuto più volte la conferma sul posto di lavoro, quando arrivavano dei pazienti ubriachi.

Victoria a quel punto fissò il vomito che si estendeva su tutto il pavimento lurido del Brums. Si coprì il volto con entrambe le mani prima di scoppiare a piangere. Passava da uno stato emotivo all'altro con la facilità di un cambio mutande. «Il mio vomito. Il mio bellissimo vomito.» Lo segnò con la mano. «Guarda, Marr... è tutto per terra.»

Marlene fece leva sul proprio peso per aiutarla ad alzarsi. «Tranquilla, quando sarai a casa potrai vomitare tutte le volte che vuoi.»

«Ma io volevo quello di vomito.» Frignò come una bambina piccola.

Ma perché diavolo si era fissata così? Non riusciva a calmarla. Cercò di alzarla ma lei si gettò in terra e con le mani cercò di raccogliere l'immonda poltiglia. Per un attimo anche la fata si sentì al limite. Forse avrebbe rimesso anche lei.

Trasse un profondo respiro prima di parlare, cercando di essere più convincente possibile. «Allora ce lo faremo impacchettare... ma ora dobbiamo andare verso l'auto.»

A quelle parole, Victoria si alzò convinta. Il trucco le era colato sul viso creando dei lunghi rigagnoli neri che le occupavano tutte le guance. «Sì, hai ragione.» Si voltò verso un cameriere. «Impacchettamelo. Vado a casa.» Gli strillò, come se non riuscisse a calibrare il tono di voce, poi si pulì le mani sul vestito.

Quando fece per camminare, le gambe non la ressero adeguatamente e Nick fu abbastanza veloce da soccorrerla prima che cadesse di nuovo. Victoria lo guardò per diversi minuti con un'espressione bizzarra dipinta sul viso. Lo segnò punzecchiandolo con un dito sulla guancia. «Sei gay te... vero? Eh? Vero?» Riprese a ridacchiare.

Marlene sarebbe voluta sprofondare. Tutto il Brums era girato verso di loro che stavano dando spettacolo. Era veramente imbarazzante.

Da bravo professionista, il medico l'aiutò a camminare e insieme alla fata, si allontanarono verso l'uscita del locale. Nemmeno rispose alle continue provocazioni riguardo le sue preferenze sessuali. Ormai era chiaro che Victoria era completamente in balia dell'alcool.

Quando uscirono dal Brums, Marlene sospirò. L'odore del vomito le era rimasto impresso nelle narici e per quanto tentasse di levarselo di dosso, sembrava restar tenacemente aggrappato nella sua cavità nasale. «Che lezzo.» Disse cercando di inspirare a fondo l'aria della sera. Il freddo pungente aveva un attimo riscosso Victoria dalla sbronza, ora per lo meno riusciva a reggersi in piedi con le proprie forze. Nonostante non fosse il massimo dell'equilibrio.

Prima che l'amica potesse riprendere con i propri vaneggiamenti, Marlene allungò la mano. «Dammi le chiavi della tua auto, Vicky.»

Quest'ultima non si oppose e rovistando nella pochette cercò le chiavi, consegnandole alla fata. A quel punto Marlene si voltò sconsolata verso Nick. Il destino sembrava non voler far finire nessun loro appuntamento nel verso giusto.

Forse era meglio così. Forse quei continui buchi nell'acqua avevano un senso.

«Mi dispiace.» Disse lui, prima di lei.

«Anche a me... ma come vedi» Non terminò la frase che Victoria si voltò di lato, rimettendo un getto di alcool. Ormai aveva vomitato così tanto che le erano restati in corpo solo i liquidi della sbronza. Praticamente vomitava alcool.

«Vai tranquilla. Sicura che non volete vi porti io?»

Marlene scosse la testa. «No, ti ringrazio. La porto con la sua auto e resto a dormire da lei. Non mi fido a lasciarla sola in queste condizioni.» Si sporse verso di lui e alzandosi leggermente sulle punte gli affibbiò un delicato bacio sulla guancia, la stessa che l'amica prima aveva pungolato col dito. «Sei come sempre un tesoro, Nick.»

Il medico sorrise bonariamente. «Andate.»

Senza ulteriori indugi, Marlene afferrò sotto braccio la mannara e raggiunsero l'auto dell'amica. Aprendo lo sportello con la mano libera l'aiutò a salire poi raggiunse il posto del guidatore. Una volta salita si fermò a guardare Victoria. Era completamente zuppa di vomito, piena di tagli in via di rimarginazione e aveva addosso un fetore veramente insopportabile. La faccia era un miscuglio di lacrime, vomito e trucco sciolto che la faceva assomigliare alla versione brutta di qualche clown da film horror. Gli occhi erano gonfi di lacrime e rossi come il sangue. «Cerca di riposare.» Le disse sperando che si mettesse a dormire; cosa che sicuramente le avrebbe fatto solo un gran bene.

L'altra invece scosse la testa. «Ascoltiamo un po' di musica.» E accese lo stereo mettendo il volume a palla.

Se ne andarono lasciando Nick in piedi davanti all'entrata del Brums. Lui le seguì con lo sguardo fin quando l'auto non scomparve del tutto dalla sua vista a quel punto afferrò il cellulare e compose un numero. Il telefono squillò a vuoto per qualche minuto prima che una voce rispondesse. «Pronto?» Al di là della cornetta, un uomo.

«Non sono riuscito nemmeno stasera, capo.» disse Nick calciando svogliatamente un sassolino che rimbalzò lontano.

L'uomo non fu affatto contento di quella affermazione. Nick aveva un compito e se voleva restare in vita, era bene che lo assolvesse. «Se non la convinci a seguirti a casa tua, dovrai portarla con la forza.»

«Lo so... lo so, sembra diffidente nei miei confronti.»

«Hai fatto come ti avevo detto? Ti sei finto interessato a lei?»

«Sì, capo.»

«Credi che abbia capito qualcosa?»

«No... ma ha un giro di frequentazioni poco bello.»

Interessante. Molto interessante. «Che genere di giro?»

«La migliore amica è una mannara. L'ho vista stasera.»

L'uomo rimase un secondo in assoluto silenzio. Questa notizia conferiva un valore aggiunto alla missione che doveva portare a termine il suo uomo. Sicuramente il rischio aumentava, i mannari sono creature molto pericolose, soprattutto se girano in branco. «Dimostrati più interessato sentimentalmente.»

«Devo dichiararmi?»

«Direi proprio di sì.» L'uomo si massaggiò il mento pensoso. «In fondo sei un tipo affascinante, non dovrebbe resisterti. A quel punto la convincerai a venire da te.»

Nick annuì. «Perfetto, allora continuerò su questa strada.»

«Cerca di riuscirci, Nick. Sai che non amo i fallimenti.»

Un brivido freddo colò lungo la schiena del medico. Venne pervaso da una scarica di tensione che gli fece automaticamente stringere il cellulare con foga. «Certo, capo.»

Richiuse la chiamata, osservando un punto indistinto della strada che avevano appena percorso Marlene e Victoria in auto. Doveva portare la collega a casa sua, doveva convincerla a seguirlo. A costo di dichiararle il proprio amore... tanto vero quanto una banconota del monopoli.

Sospirò, ricacciando indietro i pensieri negativi. Se non fosse riuscito nel suo intento, il suo capo lo avrebbe ammazzato. Senza pietà.

E questo, lui non poteva permetterlo.

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