CAPITOLO 16

Amos aveva passato una nottata di merda.

Si era rigirato nel letto più e più volte. A dire il vero, non aveva chiuso occhio. Il suo pensiero continuava ad andare all'espressione di Marlene la sera prima, quando aveva scoperto che era proprio lui l'ex di cui Victoria era ancora innamorata.

Non riusciva a credere di essersi avvicinato proprio alla migliore amica di Victoria. Fare dietrofront ora gli era impossibile. Dopo lo scontro ravvicinato di ieri sera, era sempre più convinto di voler conoscere meglio quella femmina. Il suo profumo gli si era impresso addosso come un marchio e nonostante la prolungata doccia non era riuscito a scacciarlo. Continuava a sentirla ovunque.

Era la prima volta che gli capitava di aver un pensiero così fisso. Non era da lui.

Si rigirò nel letto cercando di prendere sonno. Aveva una giornata di riposo e con ogni probabilità l'avrebbe passata interamente a letto. Non aveva voglia di fare niente.

Mentre stava cercando di addormentarsi, il cellulare sul comodino prese a squillare.

Il mannaro lo fissò furioso. Non poteva credere che anche quella mattina qualcuno lo cercasse. Allungò la mano afferrandolo e rispose seccato. «Chi è?» La domanda gli uscì tanto minacciosa che al di là della cornetta ci fu un attimo di silenzio.

«Ehi, bello... son Damian.»

Quando il Mithpala chiamava a quell'ora del mattino, non erano mai buone notizie. Senza fare storie, Amos si mise direttamente a sedere sul letto. La sua solita fortuna del cazzo. Addio giornata di riposo. Era convinto che di lì a breve sarebbe dovuto uscire di casa. Ci giocava le palle. «Dimmi.»

«I nostri hanno rinvenuto un altro cadavere nel bosco.»

Amos imprecò. Fanculo. Iniziavano ad accumularsi cadaveri. Se la questione non veniva risolta in fretta, il branco era seriamente a rischio. I metodi di Damian erano una fottuta ed inutile perdita di tempo. Doveva agire. «Di chi si tratta questa volta?» domandò producendo un basso ringhio. Ecco, erano appena le sei ed era già incazzato. Tutto nella norma, no?

«Non è uno dei nostri. È un ullam.»

Un orso mannaro. La cosa lo sorprese. Gli orsi mannari erano un branco molto vasto sul territorio del Michigan ma anche molto chiuso. Non interagivano mai con i branchi delle altre razze e spesso intermediare con loro era come mettersi a litigare con un muro. A parte questo, solitamente giravano in gruppi di tre o quattro esemplari e se per abbatterne uno ci voleva molta determinazione, farlo con più membri presenti era pura follia. «Avete avvisato l'Ursid?»

«L'ho appena chiamato.» Damian esitò un attimo e poi si schiarì nervosamente la voce con un colpetto di tosse. «Volevo chiederti se venivi qui sul posto. Sta venendo anche lui.»

«Fanculo. Vuoi che venga per farmi sbranare al posto tuo da Amarok?»

Damian sorrise. La spontaneità di Amos era qualcosa di prezioso. Non era certo uno che te le mandava a dire. «Speravo facessi da intermediario infatti. C'è anche Corey.»

«E dove vi trovate?»

«Al Pinckney Recreation Area»

«Cristo, ci metterò un ora.»

Amos si alzò dal letto. Nonostante non avesse alcuna voglia di veder un altro cadavere di prima mattina, il suo mithpala gli aveva chiesto di presenziare ad un incontro con un altro capo branco e non poteva in quanto pasura tirarsi indietro. Per quanto gli piacesse la vita da solitario, fare parte di un branco voleva dire anche questo: avere delle responsabilità. Soprattutto se si ricopriva una delle cariche più alte. «Damian, quando mi chiami per queste fottute cose... mi stai sul cazzo. Enormemente.» Chiuse la chiamata mentre dall'altra parte sentiva il suo amico ridere.

Non perse tempo, si vestì di tutta fretta e uscì di casa trattenendo tra le labbra un biscotto. Non si diede nemmeno una fugace occhiata allo specchio, uscendo con ancora la camicia aperta. Lo avrebbero preso così com'era, senza far troppo i preziosi.

Quelle teste di cazzo degli ullam erano un branco veramente influente sul territorio del Michigan e il loro ursid era un figlio di puttana con la effe maiuscola.

Un enorme bestione arrogante e violento che prima di parlare civilmente spaccava qualche osso. Giusto per precauzione.

Con la voglia sotto i piedi Amos salì in auto e si preparò ad immettersi nel tenue traffico mattutino. Durante il tragitto ebbe tutto il tempo di pensare a Marlene, al suo corpo così eccitante e alla voce così sensuale.

La sera prima avrebbe voluto tantissimo tornare a casa in sua compagnia e invece, Victoria si era come sempre messa in mezzo alla sua vita personale. Quella femmina non aveva rispetto per lui. Forse dopo ieri sera, aveva capito che era il caso di lasciarlo stare. Le aveva fatto prendere un bello spavento.

Al ricordo del vestito succinto di Marlene il suo uccello scalpitò nei boxer. Quando abbassò lo sguardo al cavallo dei pantaloni, non si stupì della vistosa erezione. «Cerca di non pensare costantemente alla figa.» Borbottò tra se e se sgridandosi poi sollevò gli occhi al cielo imprecando nuovamente.

Non riusciva a pensare a lei senza essere vittima delle proprie erezioni.

Dalla rabbia, la sera prima non si era nemmeno masturbato tanto che quella mattina si sentiva particolarmente indolenzito.

Complice l'orario mattutino, il traffico fu poco e concentrato solo in alcuni punti. Arrivò a Pinckney dopo un'ora esatta. C'era speranza che Amarok ancora non fosse arrivato sul posto, dato che il suo branco era concentrato più verso zone limitrofe all'Huron–Manistee National Forests, dove non era poi così inusuale veder un orso. Anche il loro branco ci andava, ma ci mettevano diverse ore per arrivarci e quindi si accontentavano dei parchi più piccoli nelle vicinanze di Detroit.

Il bello del Michigan era che il verde, non mancava.

Quando scese dal pick-up l'odore ferroso del sangue gli arrivò subito alle narici. Erano vicini, molto più di quanto immaginasse.

Si inoltrò subito nel bosco seguendo la scia di odore. Nonostante non fosse in forma animale, scattava agile tra gli alberi evitando rami e saltando arbusti. Tra i tanti del suo branco era uno di quelli più veloci. Non ci volle molto per trovarli. Stavano in una piccola piazzola delimitata da grossi tronchi. Oltre a Damian e Corey, c'erano due ragazzine e un ragazzo in piedi vicino a qualcosa che sembrava quanto di più vicino a un corpo umano.

Non appena Amos si avvicinò abbastanza, il lezzo divenne insostenibile. La carne aveva il tipico odore della decomposizione ormai in corso. Era evidente che quel corpo non fosse lì da un solo giorno.

Quando Damian si accorse che era arrivato, si spostò per lasciargli libera la visuale. Non che Amos avesse tanta voglia di veder il massacro ma si fece avanti consapevole che doveva essere di supporto al proprio capo branco.

La scena che gli si presentò di fronte, minò ferocemente la sua fiducia nel genere umano. Quale sano di mente poteva far una cosa del genere? Ciò che restava di quel mannaro, era un torso con attaccata una testa. Gli arti erano stati amputati, lo stomaco aperto e svuotato. Il sangue era sparso su tutta l'erba attorno, ormai rappreso. Sembrava una triste sacca vuota.

La prima cosa che fece Amos, fu quella di abbassarsi sul cadavere.

«Che – che sta facendo?» domandò una delle due ragazzine portandosi una mano tremante alla bocca. Di lì a poco sarebbe svenuta.

Il ragazzino fece un passo avanti, quasi volesse fermare il pasura ma Damian lo bloccò prima che Amos usasse le maniere forti. «Buono. Non gli farà nulla.»

Dai pochi resti che erano rimasti a fatica si capiva qual era il sesso della vittima. Il volto era così irriconoscibile che tutti i presenti ci avevano messo qualche minuto a capire che il cadavere era di un giovane maschio.

Il fetore era forte, pungente e ad ogni inspirata saliva prepotente nelle narici del pasura. Amos appoggiò le mani sul torace e con un leggero movimento aprì lo squarcio per osservare al suo interno. Non capiva per quale fottuto motivo, non l'avessero fatto Damian o Corey prima di lui. Sembravano osservare quel corpo per la prima volta grazie ai suoi controlli. «Come per il corpo di Mason, anche qui hanno portato via tutti gli organi.» Il tono di voce era asciutto ma cupo. Parlava conciso, cercando di trattenere la bestia che scalpitava per ottener la sua vendetta. Nonostante il cadavere del giovane ragazzo appartenesse al branco degli ullam, il pasura non riusciva ad accettare la brutalità di queste morti.

Dietro questi massacri, c'era gente veramente malata.

Per quanto i mannari a volte avessero procurato grossi casini al mondo umano, cercavano di vivere la propria diversità pacificamente. Non tutti, è vero... ma nemmeno tutti gli umani potevano ritenersi persone buone.

Visto che gli arti mancavano completamente non c'erano segni di buchi per il prelevamento del sangue. Sicuramente i bastardi non si erano risparmiati.

Come per Mason, le teste degli omeri erano vistosamente esposte, si poteva vedere l'osso che alla luce del sole brillava candidamente in quel massacro di carne e sangue.

Il modus operandi sembrava lo stesso che avevano usato sul povero corpo martoriato di Mason. La mano sembrava la stessa ma mancava ancora una cosa per averne certezza. Così quando Amos ritenne di aver visto tutto ciò che c'era da vedere, fece l'ultimo accertamento... quello che avrebbe determinato il coinvolgimento dei cacciatori o meno. Deglutì nervosamente strofinandosi le mani sporche di sangue l'una con l'altra in un gesto automatico carico di tensione e rabbia poi si abbassò maggiormente sul cadavere, verso l'incavo del collo e inspirò a fondo.

Una delle due ragazze si girò di scatto premendosi contro l'amico che la strinse cercando di consolarla. Non voleva guardare. Quell'ammasso di carne informe, prima era un suo compagno di branco.

Amos annusò cercando di separare il fetore del corpo in putrefazione dagli altri odori. Come immaginava, quella nota stonata raggiunse subito le sue narici, mescolata all'odore di sangue e carne decomposta.

Una tenue fragranza dolce e vanigliata, la stessa che aveva percepito sul corpo di Mason quando lo avevano trovato nel bosco. Istintivamente artigliò il terreno con crescente furia. Si lasciò sfuggire un ringhio che divenne un ruggito feroce e non appena Damian gli appoggiò una mano sulla spalla lui se ne liberò con uno scossone.

Si rialzò in piedi cercando di pulirsi il sangue sulla camicia. Aveva i brividi. Non riusciva più a guardare quel corpo martoriato. Era più forte di lui.

Fanculo. Fanculo tutto e tutti. Fanculo ai cacciatori e anche al dannato gene del mannarismo che li rendeva prede prelibate agli occhi di questi maniaci.

Strinse i pugni con ferocia e le ossa scricchiolarono pericolosamente. C'era qualcosa di folle in quei ritrovamenti, una sorta di mentalità contorta che agiva mossa da impulsi malati. Non aveva mai visto nulla di simile e di cacciatori glien'erano passati parecchi sotto le mani.

Chi poteva mai fare questo? I cacciatori classici non avevano questi metodi. Non era un gruppo normale. Erano incappati in un gruppo di psicopatici.

Il pasura si spostò dal corpo, appoggiando una mano ad un tronco nel vano tentativo di riprendere fiato. Ad ogni respiro l'odore di morte sembrava entrargli sempre più dentro. Era come un velo nero che copriva e opprimeva tutto il resto.

Gli occhi mutarono per un attimo colore, serrò i denti cercando di non farsi dominare dalla furia della sua bestia e istintivamente le unghie si allungarono in artigli affondando nella corteccia dell'albero.

Avrebbe voluto imprecare a gran voce, mandare al diavolo quel rammollito di Damian e le sue scelte del cazzo ma una forte ondata di potere lo paralizzò sul posto e si costrinse a girarsi per veder chi li stava raggiungendo.

Amarok Brown. L'ursid degli ullam.

Quell'uomo era quanto di più grosso Amos avesse mai visto in vita sua. A caratterizzarlo erano i lunghi capelli mossi che gli ricadevano scompostamente sulle spalle e la folta barba. Sembrava un vichingo sia per la rudezza nelle azioni che per la stazza. Il volto era contratto in un'espressione grave, l'unico occhio osservava i presenti con malcelato disgusto. Gli ullam non andavano d'accordo con i pardi.

Sarebbe stato un bel tipo se una cicatrice non gli avesse deturpato il viso attraversandolo e accecandolo da un occhio. Gli era stato cavato in uno scontro corpo a corpo. A lui era costato un occhio, all'avversario la vita.

Quando li raggiunse, raddrizzò le spalle e li fissò uno a uno. «Spiegatemi.» La voce sembrò uscirgli dal petto. Cupa e imperiosa.

Quel figlio di puttana credeva di comandare su tutti. Non su Amos. Lui a malapena tollerava gli ordini del proprio Mithpala.

Damian si spinse meglio gli occhiali sul setto nasale usando il dito medio. Era un tic che aveva quando era nervoso. «Nel territorio del Michigan sono approdati un gruppo di cacciatori dalle usanze particolari.»

Amarok segnò il suo uomo ridotto a brandelli. «Belle usanze del cazzo.»

Il pasura nonostante fosse profondamente avverso agli ullam, in quella occasione si ritrovò perfettamente d'accordo. Non disse nulla perché com'era giusto che fosse, i due capi branco dovevano parlare per primi.

«Mi dispiace molto, Amarok.» Le parole di Damian erano sentite. Era un tipo pacifico e odiava la violenza. Non importava che fosse verso il suo branco o verso quello di altri, lui cercava sempre di mantenere buoni rapporti con tutti. Come un bravo vecchio che tiene ad aver un buon vicinato. Ancora restava un mistero la sua salita al potere, ma forse per i pardi un tipo equilibrato come lui era la scelta migliore di tanti come Amos.

Amarok incrociò le braccia e fissò i pardi uno a uno con sospetto. Al posto dei bicipiti aveva delle travi, a fatica riusciva ad incrociarli al petto. Probabilmente anche se fosse stato un semplice umano, con uno schiaffone ti avrebbe rigirato la faccia. «Chi mi dice che non sia stato uno dei tuoi micetti?»

Damian si indignò, fu come se uno schiaffo invisibile lo colpisse in pieno viso. «Come ti permetti, eh?»

Amarok fece un passo avanti, minaccioso e subito Amos si interpose tra i due. «Fermati più in là, bello.»

L'orso sorrise. Faceva quasi più paura quando sorrideva. «Bello? Non direi.» Si segnò l'occhio mancante. Non si vedeva alcuna cavità, era semplicemente sovrastato da una vistosa e gigantesca cicatrice. «Se il tuo Mithpala dice la verità... voi che ci fate qui? Venite a banchettare con i resti?»

«Che ci facciamo qui? Forse quello che non fate tu e i tuoi faccia da culo di uomini?»

Amarok ringhiò ferocemente. «Amos White, mi avevano detto che eri un povero coglione ma non pensavo così tanto.» Nel pronunciar le ultime parole strinse i pugni e le ossa scricchiolarono preannunciando un precipitarsi della situazione.

Gli occhi di Amos divennero immediatamente gialli. Non si sarebbe fatto pisciare in testa da un orso. No di certo, cazzo. «Credi di farmi paura solo perché sei a capo di un branco? Nella natura, i leopardi ci fanno uno spuntino con gli orsi.»

I due si avvicinarono minacciosamente. Il potere che si sprigionò nell'aria scoppiettò accompagnato da scintille. Due getti di lava si fusero l'uno con l'altro contrastandosi e mescolandosi in uno scontro invisibile. L'energia si addensò con prepotenza, tanto che gli ullam presenti si strinsero tra loro spaventati. Amos invece non fece dietrofront, rimase immobile a fronteggiare quel bestione alto una spanna in più di lui e largo almeno due volte.

Anche il solo ed unico occhio di Amarok iniziò a sfarfallare di colore, passò da un verde tenue a un giallo scintillante. «Non voglio staccarti la testa a morsi... non costringermi a usare la violenza.»

Corey rilasciò un sibilo e subito si avvicinò per dividerli. Era strano come un pasura, che teoricamente doveva far da paciere, fosse il primo a innescar rissa. «Cerchiamo di calmarci, ragazzi... siamo tutti nella stessa barca.»

Amos si morse la lingua trattenendo la sequenza di insulti già pronta ad esser sparata e fece un passo indietro. Anche Amarok seguì l'esempio ma non smise di fissare il pasura con disprezzo e ferocia. Tutti in quel posto erano certi che se ce ne fosse stato motivo, avrebbe veramente staccato le teste a morsi.

Su una cosa si poteva star sicuri, Amarok Brown non minacciava mai a vuoto.

«Abbiamo avuto delle perdite anche noi.» Si affrettò a dire Damian. Aveva una brutta cera. Non sembrava molto felice per la reazione di Amos ma era consapevole che facendolo restare a quell'incontro, ci sarebbe stata una remota possibilità di litigio tra i due. Entrambi erano caratteri dominanti e nonostante Amarok fosse conosciuto e temuto per i suoi trascorsi, ad Amos non fregava mai niente di nulla e nessuno.

L'orso serrò la mandibola e abbassò lo sguardo sul cadavere del proprio uomo. Era un ragazzo giovane e ora la sua vita era stata troncata. Non avrebbe mai potuto vivere le gioie della vita ne mettere su famiglia e bearsi dell'amore dei propri cari. Questa cosa lo inferociva. «Cosa si sa di questa gente?» domandò cercando di mettere da parte la voglia di fracassar la testa a quello sbruffone di pasura.

Un esserino insignificante come lui non poteva aver la precedenza su questioni così gravi che riguardavano il branco. Anche se, non poteva negare che smaniava per un confronto. Prima o poi... prima o poi gli avrebbe volentieri fracassato qualche osso.

Amos prese un lungo respiro prima di parlare. Quello stronzo non meritava informazioni. Si poneva con arroganza e metteva sempre in discussione la buona fiducia degli altri branchi. Si meritava giusto un pugno nei denti, così oltre all'occhio perdeva anche quelli il bastardo. «Sappiamo che non agiscono come i cacciatori normali. Uccidono il mannaro poi lo mutilano e lo svuotano di interiora. Non abbiamo ancora capito se lo fanno come sfregio o per motivi a noi oscuri.»

I due si guardarono nuovamente, infastiditi l'uno dalla presenza dell'altro poi Amarok si voltò verso Damian. «Abbiamo altro su cui lavorare? Avete già parlato di questa cosa a King?»

Damian scosse la testa. Non era sua intenzione andare a scomodare Arthur King. Non ancora per lo meno. «Sui cadaveri resta una scia d'odore molto simile alla vaniglia. Questo è l'unico indizio che quei corpi ci lasciano.»

Amarok si voltò, dando loro le spalle. Si mosse nervosamente su e giù, spostandosi a grandi falcate decise. I jeans strappati in più punti gli fasciavano le gambe così tanto che ad ogni passo tutti i muscoli sembravano muoversi a filo del tessuto. Quasi come se lo stesso jeans fosse una seconda pelle. «Non abbiamo niente, insomma.» Ringhiò e con un colpo deciso centrò il tronco di un albero. L'enorme pianta produsse un rumore secco, come se avessero spezzato un semplice ramo e poi lacerandosi nel punto di contatto si piegò su se stessa e crollò in terra producendo un tonfo che si espanse per il bosco come un boato. In cielo uno stormo di uccelli volò via terrorizzato.

Damian strabuzzò gli occhi e dopo aver indugiato a lungo lo sguardo sulla secolare pianta abbattuta, cercò di parlar ancora. «Mi dispiace, Amarok... non abbiamo altro.»

«Mi dispiace, Amarok... mi dispiace Amarok... puttanate.» Lo motteggiò l'altro, scandendo con ferocia l'ultima parola. «Uno dei miei uomini è stato trucidato.»

«Anche due dei nostri.» Precisò Damian.

«A me dei vostri non frega un cazzo.»

Amos fece un passo avanti. Ora gli avrebbe spaccato quella fottuttissima faccia di merda che si ritrovava. Corey lo afferrò per la camicia e dovette impuntarsi in terra con entrambi i piedi per bloccarlo. Fu costretto perfino a richiamar la propria bestia per aver abbastanza forza da fermarlo, tanto che gli occhi gli divennero subito gialli e ringhiò.

«Credevamo che dopo questo avvenimento spiacevole, avremmo unito le forze per il bene comune.» La compostezza di Damian era invidiabile. Al posto suo Amos avrebbe fatto un casino... beh, anche non al posto suo a quanto pareva.

«Avvenimento spiacevole? Bene comune? Ma come cazzo parli? Sei uscito da un libro di Shakespeare? Vattene a fanculo. Tu e i tuoi sottoposti.» l'occhio di Amarok era di un giallo cangiante così intenso da emettere un'inquietante luce. Si aprì la camicia con uno strappo facendo schizzar via tutti i bottoni poi coprì il cadavere del proprio uomo con rispetto. «E ora, siete pregati di lasciarmi solo con la mia famiglia.»

I pardi li osservarono per qualche minuto prima di allontanarsi dalla scena. I quattro ullam si erano raccolti attorno al cadavere del ragazzo e si erano chinati in quella che molto probabilmente era una preghiera.

Corey spintonò Amos fino al limitare del bosco, solo quando furono abbastanza lontani gli lasciò la camicia. «Ma che ti prende?»

«Che mi prende? Ma hai sentito quel coglione? Ci ha accusato e mancato di rispetto.»

Damian si levò gli occhiali stropicciandosi gli occhi stancamente. «Sapevamo che poteva essere un buco nell'acqua con Amarok.»

«Un buco bisognerebbe farlo a lui... nella sua fotuttissima fronte del cazzo.»

Corey alzò occhi e mani al cielo. Lui ci rinunciava. Calmare Amos in queste situazioni era impossibile. «Sentite, io smammo. Tanto qui non c'è più nulla da fare, quello che potevamo l'abbiamo fatto.» Si spostò verso l'auto parcheggiata poco lontano dal pick up di Amos e salutandoli con la mano salì e mise in moto.

Quando Damian e Amos restarono soli, il primo si girò verso il proprio pasura e lo fissò preoccupato. «Che hai? Ieri sera ti ho sentito.»

Quella domanda ridestò il mannaro dalle sue smanie di vendetta. «Ieri sera? Quando?»

«Erano le tre o giù di lì.»

Il ruggito. Per un attimo Amos si sentì imbarazzato. Il ricordo rimbalzò a Victoria ma soprattutto a Marlene. Non esser riuscito a raggiungerla in tempo lo aveva profondamente scosso. «Ero incazzato.»

«Lo so. Come mai? Ti va di parlarmene?» Gli appoggiò una mano sulla spalla e per la prima volta, dopo tanto tempo, Amos sembrò a disagio. Sentì le gote pizzicargli leggermente.

«Femmine.» Rispose evasivo.

«Una femmina importante se ti ha suscitato quella reazione.»

Diamine, non era il momento di parlare di Marlene. Non con Damian.

Amos si passò una mano tra i capelli. Lo faceva spesso quando era nervoso o quando si sentiva terribilmente in imbarazzo. «Una femmina, punto.»

Damian rise. «Quando io e Vaianna ci conoscemmo, fu amore a prima vista.»

Amos sollevò gli occhi al cielo e si cominciò a guardare nervosamente in giro. Dannazione. Perché stavano parlando di questo? Come si era ritrovato a parlare d'amore proprio con Damian?

«Ma lei stava col mio migliore amico, non mi era permesso guardarla con gli occhi dell'amore.» Continuò Damian, guardando un punto indefinito con sguardo trasognante.

Amos alzò la testa e fissò incuriosito il proprio Mithpala. «E dopo? Come avete fatto?»

Damian lo fissò e rise. Non era da Amos far una domanda del genere. Forse questa femmina lo aveva colpito più di quanto volesse ammettere. «E dopo l'amore ha vinto su tutto.»

Il pasura sorrise impacciato e gli diede una leggera spinta. «Oh ti prego, mi si sta alzando la glicemia.»

I due scoppiarono a ridere. Raggiunsero le rispettive auto spintonandosi scherzosamente tra loro.

Dal bosco provenne un bramito terrificante e straziante al tempo stesso. Echeggiò come un boato tutto attorno a loro e al primo se ne aggiunsero altri tre.

Non c'era più niente da vedere lì.

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