CAPITOLO 10

Amos si rigirò nel letto scoprendosi dalle coperte. La notte prima era stata una notte selvaggia e senza senso. Erano arrivati a casa sua col suo pick-up e non avevano perso tempo per darsi da fare.

Soleil a letto era un vero vulcano. Peccato che per lui fosse solo una delle tante. Nulla di nuovo. Nulla che gli regalasse emozioni vere.

Aprì gli occhi fissando il soffitto e si passò le mani nei capelli cercando di ravviarli, indomabili come sempre. Con la coda dell'occhio cercò i boxer dispersi nella moltitudine di panni in mezzo alla stanza. Non si sarebbe messo a cercarli, proprio no.

Fanculo, si sarebbe alzato nudo.

Tentò di alzarsi facendo il minor rumore possibile e una volta in piedi allargò le braccia e i muscoli guizzarono sotto la pelle distendendosi. Le spalle produssero uno rumore poco rassicurante che lo fece rabbrividire. Roteò la testa cercando di sciogliersi un po' prima di andare a far una bella doccia.

«Svegliarsi con questo panorama di prima mattina è una vera fortuna.» Soleil si morse il labbro osservando le curve di Amos lascivamente.

Quella notte per la ragazza era stata una completa rivelazione. Amos non solo era esattamente come lo descrivevano, ma perfino di più. Il pensiero di quelle ore di fuoco la fece eccitare come mai prima d'ora e quando si accorse che lui la osservava, completamente nudo, arrossì.

Non le era mai capitato che un uomo la sconvolgesse tanto. Di solito era lei quella che aveva le redini della situazione. Con Amos era impossibile aver le redini di qualcosa. Era lui il Re delle circostanze.

«Questo panorama va a farsi una doccia.» le rispose segnandosi.

Soleil si allargò sul letto, lasciando in bella vista i seni scoperti e i capelli aperti a ventaglio sul cuscino. Il castano chiaro sotto alcuni raggi che filtravano dalla finestra sembrava prendere il colore del caramello. «Che ne dici di ricordarmi il motivo per cui mi fa maledettamente male l'interno coscia?» Strinse le gambe, il dolore la rendeva rovente. Era di nuovo pronta per lui.

L'aveva posseduta così passionalmente che solo il pensiero la accendeva di voglia.

Ogni uomo sano di mente si sarebbe concesso un bis alla vista di quella stupenda creatura completamente disponibile ma non Amos.

Per lui dopo quella divertente nottata, il capitolo era chiuso.

«Devo fare una doccia.» Il pasura aprì un cassetto afferrando dei boxer puliti.

«Avanti Amos, approfittane dell'occasione.»

«Non ne ho voglia.»

«Non sembravi dello stesso parere questa notte.»

Amos impuntò le mani sui fianchi. Non era la puttana di nessuno. Per quanto il suo pisello fosse funzionante e attivo in ogni momento, non necessariamente doveva sentirsi costantemente affamato di figa. Non ne aveva voglia. Non più. Non era così difficile da capire, nemmeno per una come lei. «Questa notte è acqua passata.»

Soleil allargò le braccia nel letto e con fare sensuale si accarezzò il corpo, cercando di farlo cedere. Voleva invogliarlo a prenderla nuovamente. «Eppure mi hanno detto che sei inarrestabile.»

Amos inarcò un sopracciglio e la fissò di sottecchi. «Credo che tu debba andare.»

«Come?» Soleil si alzò a sedere sul letto tirandosi le coperte al petto.

«Hai sentito bene.»

Era sgomenta. Nessuno l'aveva mai cacciata da un letto dopo che aveva proposto del sesso gratis. «Come scusa?»

Ripetere la domanda non lo avrebbe fatto cambiare idea. La fissò quasi seccato. Sapeva che ora lei avrebbe fatto una scenata epica eppure non gliene fregava un cazzo. Come di tutto il resto d'altronde. «Soleil... non mi far ripetere... sono le sei di mattina.»

La giovane si alzò dal letto come una furia. Iniziò ad afferrare i vestiti alla rinfusa e non appena trovò le mutandine le indossò con stizza. «Sei un figlio di puttana.»

Amos sollevò gli occhi al cielo. Fortuna che entrambi avevano precisato che sarebbe stato solo sesso. Non osava immaginare se avesse omesso quel piccolo particolare. «Ti ringrazio... ora se te ne vuoi andare... grazie

«Ma come ti permetti eh? Sai chi sono io?»

«Ma secondo te, esattamente, cosa cazzo potrebbe fregarmene di chi sei?»

Soleil ringhiò e gli occhi le mutarono. In un impeto di rabbia gli artigli le crebbero e fendendoli nell'aria cercò di colpirlo ad altezza torace. Si sentiva ferita nel suo orgoglio di femmina. Sapeva che lui aveva ragione, eppure non riusciva ad accettarlo. Non voleva accettare un no da lui.

Amos la afferrò per entrambi i polsi con una sola mano. L'espressione seccata si accentuò maggiormente. «Ricordi quello che avevamo detto ieri sera?»

«Vaffanculo!» strillò lei.

Lui la scosse un poco. «Rispondi. Voglio andarmi a fare una doccia.»

«Che era solo sesso. E allora?»

«E allora cosa non capisci di questa semplicissima frase?»

Soleil ringhiò ancora. «Non avevamo detto una sola volta.»

«Non essere ingorda. Una basta e avanza con me.»

Le lasciò le mani e lei si massaggiò i polsi. Gli occhi le si gonfiarono di lacrime. «Io credevo che... che» non finì la frase, scoppiando a piangere.

Amos sbuffò e istintivamente si strinse la base del naso. Aveva bisogno di una doccia, una sigaretta e una birra. Non necessariamente in questo ordine. «Soleil, va a casa.»

«Ci rivedremo?»

«Per ora no.» Ma nemmeno poi.

Senza aggiungere altro, la leoparda infilò i vestiti e sfrecciò fuori casa sbattendosi la porta alle spalle. La giovane non avrebbe mai pensato che per una notte di sesso, avrebbe lasciato un pezzo di cuore in quel letto.

Amos si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Che grandioso inizio giornata di merda.

Si diresse al bagno e lasciò correre l'acqua della doccia fin quando non divenne tiepida. Nel frattempo osservò a lungo la sua immagine riflessa nello specchio. I capelli mori erano scomposti e andavano tenacemente per i cazzi loro, gli occhi grigi sembravano così freddi che lui stesso spesso evitava gli specchi pur di non guardarli.

Si passò le mani sulla mandibola sbarbata e sbuffò dalle narici.

Bello e dannato. Bello e vuoto.

Le mani si strinsero attorno al lavabo, la ceramica produsse un secco rumore sintomo che di lì a breve sarebbe andata in frantumi così cercò di allentare la tensione delle spalle e aprire la presa delle mani. Si staccò dal lavabo a fatica e subito si infilò nella doccia.

C'era sempre stato qualcosa in lui che non si era mai spiegato. Un alone negativo che si era costantemente portato addosso e che lo aveva da sempre contraddistinto.

Non era sfortuna. Era lui. Era un'anima nera, senza via d'uscita.

Socchiuse gli occhi lasciando che l'acqua lo lavasse. Che lo pulisse da quello sporco che era.

Qualcuno iniziò a bussare freneticamente alla porta, ad Amos sfuggì un ruggito rabbioso. Tentò di ignorare la bussata indiavolata ma dopo diversi minuti di insistenza uscì dalla doccia con le palle girate e si avvolse un asciugamano attorno alla vita.

Chiunque fosse, era meglio avesse un buon motivo per rompere così tanto il cazzo. Altrimenti sì che sarebbero stati guai.

A falcate macinò la distanza tra lui e la porta di casa aprendola con un ringhio. «Chi è?»

Victoria entrò come un tornado. Senza dargli tempo di realizzare. «Ti sei scopato Soleil?» Stava strillando come una pazza.

Amos la fissò ad occhi sgranati, l'acqua che gli colava lungo le ciocche di capelli. Ma che diavolo di problema avevano queste femmine? «E quindi?»

«E quindi?» La voce della leoparda si alzò di tono, diventando squillante e isterica. «Perché credi che sia venuta a letto con te, eh?»

«Non saprei... perché sono figo?»

Victoria batté il piede in terra lanciando un grido furioso. «Le ho raccontato io di come scopi.»

«E quindi?» Continuava a non capire. Che problema c'era? Lui e Soleil avevano scopato, quindi? Era stata un'ottima performance... non credeva di aver sminuito le parole di Victoria se questo era il suo problema.

La ragazza si coprì il viso con le mani. «Perché mi fai questo Amos? Lo fai per ferirmi?»

Gli stava venendo un mal di testa da urlo. Un fottutissimo mal di testa già alle sei di mattina. «Victoria, potresti spiegarmi per quale cazzo di motivo dopo un anno dovrei ancora cercare di ferirti? Tra noi è finita da molto tempo ormai. Non son così bastardo da fare scopate in tua funzione.»

Victoria annuì chinando il capo. Si sentiva una stupida. Appena aveva visto uscire Soleil da casa di Amos era impazzita di gelosia e vederlo lì, bello come sempre, la stava facendo delirare da tanto che era carica di desiderio. Gli aveva fatto una scenata di gelosia e nemmeno stavano insieme. Era pazza, pazza di lui. Non riusciva a mitigare quel sentimento che ormai era diventato ossessivo. «Mi dispiace... è che... Amos lo sai.»

«Alle sei di mattina non so niente. A malapena il mio nome.»

Lei accennò un sorriso. Era uno stronzo sì, però nel suo cuore restava sempre il suo Amos. Non si sarebbe arresa tanto facilmente, a costo di passare anni nel tentativo di riconquistarlo. «Lo sai cosa voglio dire... insomma, io ti amo ancora.»

Lui deglutì nervosamente. La parola amore gli faceva venire l'orticaria alle palle. Era come qualcosa di estremamente terribile che doveva scrollarsi di dosso. Cercò di restar composto e tenendo la porta aperta fissò fuori.

Avrebbe capito che si doveva levare dal cazzo? No, ovviamente. «Ne abbiamo già parlato, Victoria. Almeno un centinaio di volte.»

«Rinfrescami la memoria.»

Amos sollevò gli occhi al cielo e pregò di non perdere la pazienza. Se quella mattinata era iniziata con quel piede, non osava immaginare il resto della giornata. «Non ti amo. Fine. È abbastanza esaustivo?»

«Perché non mi ami?»

A quella domanda il pasura sbottò. «Che cazzo ne so. Non ci deve essere un motivo per non amare qualcuno. Non si ama e basta.» Quella situazione era esasperante. Tra lei e Nebbie prima o poi lo avrebbero fatto dar di matto. Nessuna delle due sembrava volerselo lasciare alle spalle.

«Te lo dico Amos... non mi arrendo.»

Lui la fissò torvamente. Era ora che andava, anche lei.

Senza che lui le dicesse niente, Victoria si avvicinò alla porta e si voltò a guardarlo. Le gocce di acqua che gli imperlavano il petto lo rendevano una visione peccaminosa. Si torse le mani con tormento. Avrebbe voluto dirgli milioni di cose ma era evidente che quello non fosse il momento adatto. «Stasera faccio la festa di compleanno. Ci sarai?» Nonostante il suo rifiuto, non si sarebbe scoraggiata.

Victoria Jasmann otteneva sempre ciò che voleva.

Amos si passò una mano in mezzo ai capelli bagnati, gli schizzi dell'acqua investirono la giovane che fu pervasa da un brivido. «Non so se sia il caso.»

«Ti prego, Amos... in amicizia.» Non lo avrebbe mai visto come amico. Mai. Ma lui non doveva necessariamente saperlo. Lo avrebbe capito solo una volta che sarebbe caduto nuovamente tra le sue grinfie. A quel punto non avrebbe avuto scampo.

«Amicizia dici, eh?»

Lei annuì febbrilmente e si morse il labbro. Lo avrebbe tanto voluto alla sua festa. Non solo perché le faceva piacere averlo lì ma anche perché era un ottimo momento per stare insieme e magari i fumi dell'alcool e la musica avrebbero favorito un loro avvicinamento.

Il pasura la fissò esasperato. Non ne poteva più della sua petulanza. Nonostante questo, le feste della ragazza erano conosciute un po' ovunque. Ci si divertiva, questo non lo poteva negare. «Almeno c'è la birra?»

Victoria sorrise. «A fiumi.»

«Perfetto, allora forse verrò a fare un salto.»

Victoria si allungò per dargli un bacio sulla guancia ma lui si ritrasse scoccandole l'ennesima occhiata torva. «Abbiamo detto amici... ricordi, vero?»

Lei annuì e indietreggiando si allontanò da casa sua. Non prima di avergli buttato l'ennesima occhiata famelica.

Amos ne approfittò per richiudersi subito la porta alle spalle poi ci si appoggiò contro con tutta la schiena. «Ho bisogno di una fottutissima sigaretta.»

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