CAPITOLO 8

Villa King si animava presto ogni mattina. Un vociare felice e giocoso riempiva le mura e subito c'era un gran movimento.

David aveva ormai gettato la spugna. Il suo ideale di quiete e decoro non sarebbe mai esistito. Non con Arthur King e le sue leonesse.

Il veresh si stropicciò stancamente il viso e dopo l'ennesima raccomandazione abbandonò le giovani femmine alla loro colazione, andando verso le stanze del proprio Erus per la consueta sveglia mattutina.

Nel frattempo, c'era un gran fermento attorno ai fornelli.

«Le frittelle le faccio io.» Erin afferrò un mestolino e il composto, sorpassando Linnette che stava preparando dei gustosi sandwich.

Avevano già fatto il bacon e le uova strapazzate, nell'aria si respirava un invitante odore di cibo appena preparato. Phoebe stava impilando i biscotti ancora fumanti mentre Cearra tagliava le torte che aveva appena sfornato.

«Sicura? L'ultima volta hai bruciato tutto.» Naomi osservò i movimenti dell'altra leonessa con un pizzico di divertimento: Erin era la più negata ai fornelli, ma versare un composto in una pentola le era sempre riuscito abbastanza bene. Tranne una volta, che aveva rischiato di dare fuoco all'intera cucina. Da quel giorno non passava occasione che le ragazze la punzecchiassero.

Tra loro, in realtà, erano molto frequenti questi battibecchi da ragazzine. Si divertivano, questo era l'importante.

«Ehi, che stronza! Ancora con quella storia! Quella volta mi ero un attimo distratta! Eddai... lo sapete che di solito mi vengono buone.» Infilò il mestolo nella scodella iniziando a girare e dopo aver raccolto una porzione la fece colare nella pentola.

Il composto sfrigolò rumorosamente e nell'aria si levò un profumo dolce e invitante.

Dakota si allungò verso lo scaffale dei piatti e afferrando una pila di bicchieri iniziò a riempirli di spremuta appena preparata. «Ragazze, qualcuna ha svegliato Vell?»

Hazel si curvò sulla macchinetta del caffè e tolse l'ennesimo cappuccino pronto da sotto il getto. Si girò posandolo su un vassoio insieme ad altri. «Le ho bussato e ha risposto che scendeva.» Si voltò verso la mensola con le spezie e allungò una mano per prendere la zuccheriera, la sfiorò soltanto con i polpastrelli. Allora intestardita si mise sulle punte ma le dita non arrivarono abbastanza in alto per far presa sicura. Alle sue spalle Naomi l'afferrò al posto suo e gliela consegnò subito dopo.

«Grazie» borbottò Hazel, stringendola tra le mani.

«Merito un premio.»

Sulle labbra di Hazel balenò un rapido e imbarazzato sorriso prima di posare la zuccheriera, afferrare Naomi per il colletto della camicia e tirarla giù, verso di lei. Le loro labbra si sfiorarono prima piano, delicatamente, poi il desiderio sovrastò la gentilezza e Naomi incastrò il corpo dell'altra contro il proprio.

Quelle labbra, quei respiri, quelle mani a carezzare i visi e a nascondersi nei capelli non fecero altro che aumentare i loro battiti, i loro ansimi. I loro corpi si sciolsero come neve al sole, l'uno contro l'altra, avvinghiate in una stretta fatta di desiderio, amore e un pizzico di giocosità. Le bestie rotolarono sotto pelle, sfuggendo dai loro corpi sotto forma di docili fusa.

Lei dita di Hazel sottolinearono ogni dettagli del viso di Naomi, mentre stretta tra quel palmi prendeva un attimo di fiato per poi cadere ancora giù, contro quelle labbra. L'altra mugolò ancora, come un gatto che fa le fusa, chiuse gli occhi e schiuse la bocca lasciando che la lingua della compagna toccasse ogni parte di lei, la prendesse e facesse sua. Si ansimarono bocca a bocca, stringendosi fino a schiacciarsi i seni. Solo quando si staccarono poterono nuovamente tornare a respirare.

«Che cattive però... e noi chi siamo?» brontolò Phoebe, sistemando le porzioni di bacon e frittata nei piatti ancora fumanti di lavastoviglie.

Naomi si allungò passandole la lingua tra le labbra, in quello che potrebbe definirsi un bacio lampo, un bacio rubato. Hazel invece le cinse la vita, affondando il viso nell'incavo del collo. «Guarda che di coccole ce ne sono anche per te.»

«Ah, vorrei ben vedere... altrimenti ti scordi i miei biscotti.»

Le tre scoppiarono a ridere, coinvolgendo anche il resto delle leonesse.

Ben presto quella risata di gruppo sfociò in dispetti. Le ragazze presero a sporcarsi a vicenda, a farsi il solletico, a rincorrersi facendo slalom tra i mobili. Era bello tornare bambine, almeno per un po'.

Vell restò ancora qualche istante sul ciglio della porta, affascinata e intimorita. Senza saper bene come fare per introdursi in un mondo così intimo e stretto, senza sembrare fuori luogo. Non le restava altro che osservarle con un pizzico di invidia, anelando anche lei a uno di quei sorrisi smaglianti. Un giorno forse sarebbe stata anche lei così spensierata.

Nel frattempo, mentre Cearra era riuscita a bloccare Phoebe contro il bancone, tentando di farle mangiare il bacon – che lei odiava immensamente – Dakota venne afferrata per i fianchi da Erin e le due finirono contro la pila di sandwich che si sparpagliò sul tavolo vanificando il lavoro di Linnette.

«Ah, dannate! Guardate dove mettete le vostre zampacce. Ci ho messo una vita a fare quei cosi» gridò l'interessata, correndo a riordinare.

Anche Dakota si mise ad aiutarla. «Su, su... non ti lamentare. Non siamo nemmeno certe che siano commestibili, conoscendoti.»

«Cosa? Ma che piccola stronzetta del cazzo! Adesso ti faccio sentire io quant'è buono.» Afferrando un sandwich ancora sano, Linnette bloccò Dakota contro il muro e iniziò una tenace lotta per farle dare almeno un morso. «A – avanti... assaggia il frutto del mio amore.»

«Il frutto del tuo amore? Oddio, no!» gridò l'altra, dimenandosi convulsamente per sfuggire da quell'assalto. «Sono ancora troppo giovane per morire avvelenata.»

Solo quando finalmente la vittoria fu in mano a Linnette tutte sembrarono placarsi con un'ultima risata liberatoria.

«Ma voi siete sempre così?» la voce di Vell spezzò quella risata di gruppo e un silenzio imbarazzante riempì la cucina.

Non era intenzione della leonessa rompere quel momento di quiete, eppure quella domanda le era rotolata fuori dalle labbra senza nemmeno pensarci.

«Così come?» domandò Erin.

«Così scherzose, ma – ma soprattutto... così intime.» Vell distolse lo sguardo, subito si circondò la vita con le braccia. La sottile curiosità di prima aveva lasciato posto a un tagliente disagio e senso di inadeguatezza.

Per lei tutto questo era ancora troppo.

«Bè, ormai avrai ampiamente capito che la realtà da cui vieni è molto diversa da questa. Qua, noi tutti ci amiamo, indistintamente.» Dakota si avvicinò cautamente, cercando di trasmetterle il calore del branco e della propria bestia; un rilascio lento e graduale di potere, caldo e avvolgente. Un tocco gentile, simile a una carezza invisibile o a un abbraccio. «Non esiste qualcuna meglio di qualcun'altra, non esistono diatribe che non possono essere risolte o gelosie che ci avvelenano il sangue. Ti sembrerà strano ma in questa casa ci amiamo tutte. E non per finta o convenienza... il nostro amore è vero, sincero.»

Sebbene non la toccasse, la densità del suo potere la sfiorava con gentilezza. Una gentilezza che non aveva mai provato. Vell arrossì. «Ma – ma il compito di una leonessa è compiacere il proprio Erus.»

«Anche. Sì. E non mi sembra che Arthur sia trascurato da qualcuna di noi. Lo amiamo così tanto e così profondamente che dirlo a parole nemmeno renderebbe giustizia ai nostri sentimenti.» Dakota accarezzò il viso di Cearra, la più vicina. Si allungò posandole un casto bacio sulle labbra e subito tornò a guardare Vell. «Però ciò non ci vieta di amarci anche tra noi. Anzi, questo amore e questo legame ci rende molto più unite, più forti. Una famiglia. Perché in fondo... il branco è famiglia.»

«In questa casa non mancherà mai l'amore. Non mancherà mai la comprensione, l'uguaglianza o la complicità» aggiunse Linnette, che d'istinto intrecciò le dita in quelle di Naomi.

«I – io mi sento confusa.» Le mani di Vell tremarono terribilmente quando riuscì a toccarsi le tempie. Dentro di lei qualcosa di nuovo e spaventoso si stava facendo strada, si stava muovendo. Nuove emozioni stavamo combattendo con ricordi dolorosi lunghi tutta una vita. «Vo – voi siete così felici... e il vostro Erus è così gentile... e – e umano. Vi tratta a suo pari... vi tratta come persone vere.» Sentì gli occhi pizzicarle e subito se li coprì con le mani, troppo imbarazzata da quella debolezza che non riusciva più a custodire e nascondere dentro di sé.

Non voleva che la vedessero così. Non voleva che capissero quanto fosse fragile.

Non voleva esporsi alla loro mercé, rischiare di essere ferita ancora.

Phoebe le andò incontro, l'abbracciò. Le trattenne la testa contro la propria spalla, carezzandole i capelli nei quali affondò le dita. La lasciò sfogare, piangere. «Non c'è bisogno che il tuo cuore ci accolga subito. Ma ti basti sapere che noi siamo qui... e quando sarai pronta ci saremo ancora.»

Vell sentì un altro dei tanti pesi scivolare via, annullarsi.

Non c'era fretta. Non si doveva sforzare. Era questo che le ragazze volevano farle capire e mai prima d'ora sentiva di aver spazio per i propri tempi.

Quell'angolo remoto, piccolo, nero e chiuso del suo cuore, aveva improvvisamente visto uno spiraglio di luce. Una piccolissima scintilla, una fiammella in grado di dissipare un po' di quel gelo che aveva ibernato ogni emozione in lei.

«E ora, dicci: ti piace il bacon con la frittata per colazione?»

Vell allora guardò le pietanze allettata, lo stomaco subito brontolò in risposta. Congiunse le mani sull'ombelico e fissò tutti quei piatti con l'acquolina in bocca. «Voi potete scegliere come fare colazione?»

Marius non glielo aveva mai permesso. Solo avanzi, solo scarti. Poche volte le era stato concesso il piacere di cibo dal sapore non avariato.

«Ma certo che possono. E anche lei può, Signorina Brass.» La voce maschile di Arthur sovrastò quel vociare leggero, sorprendendo tutte.

Vell si voltò di scatto e restò spiazzata nel vederlo già in completo da lavoro: la giacca era piegata su un braccio, insieme alla cravatta che ancora non aveva indossato. I primi bottoni della camicia erano aperti lasciando intravedere un piccolo pezzo di petto glabro, la pelle pallida si confondeva con il chiarore del tessuto. Questa visione bastò per far arrossire la giovane leonessa.

Per quanto volesse negarlo, Arthur King sprizzava erotismo da tutti i pori. Era come se lo avessero imbevuto di sex appeal e feromoni. Gli bastava un passo, uno solo, per attirare su di sé tutti gli sguardi. Probabilmente era il modo di muoversi, di parlare: la schiena dritta, il passo deciso, lo sguardo vivo e acceso puntato dritto davanti a sé. Usava sempre un tono pacato e gentile, basso e sicuro. Nessuna inflessione o incertezza, nessun tentennamento.

«Ehi, Magister... ben svegliato.» Dakota lo accolse con un sorrisetto malizioso e gli allungò una tazza che lui accettò dopo averle dato un bacio a stampo. «Stamattina hai gli appuntamenti qui nel tuo ufficio o fuori?»

«Fuori.» Costernato si passò una mano sul viso e non fece in tempo ad aprire gli occhi che Phoebe gli ficcò un biscotto in bocca.

«Mangia. Lo sai che devi far colazione» lo rimproverò, sicura che sarebbe fuggito così, senza mangiar niente e con solo una tazza di caffè nero nello stomaco.

Arthur mugugnò qualcosa con il biscotto tra le labbra poi lo sfilò e ripetè: «Ehi, per cosa mi avete preso? Per un bambino?»

Ci fu un sì generico, di gruppo, corale.

Arthur avvampò e si voltò verso Vell. «Non – non è come crede Signorina Brass. Non sono così capriccioso. Giuro.»

«Davvero? Quindi non brontolerai più se trovi la buccia dei pomodori nel sugo.» Naomi sghignazzò.

Arthur rabbrividì. «E – ecco...»

«E non ti lamenterai quando faremo le cene a base di insalate e verdure grigliate.»

«Ma – ma io sono un leone, non un coniglio» brontolò, proprio come i bambini.

«E il tacchino? Lo mangerai senza fare storie vero?»

«E – ecco... non è forse meglio una buona bistecca al sangue?» Arthur si pizzicò il colletto della camicia nel più completo disagio. Bersagliato da ogni fronte.

Più le ragazze continuavano a elencare i suoi piccoli capricci con il mangiare, più il giovane Magister diventava sempre più rosso.

Vell si coprì la bocca con le mani, soffocando una risata. Non avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe trovata dinnanzi una simile scena, né che avrebbe goduto di un tale divertimento. Ridere di un king non era cosadi tutti i giorni.

Il maggiordomo apparve sulla porta bussando con le nocche contro il legno. «Signore, dobbiamo proprio andare o faremo tardi all'appuntamento con Mr. Finley.»

«David! Oh, David!» frignò Arthur, correndogli incontro e circondandolo con un braccio. Affondò il viso contro la sua spalla e fissò di sottecchi le proprie femmine. «David, mi bullizzano. Mi bullizzano ancora.»

Il veresh sghignazzò divertito e si voltò verso le ragazze piazzandosi le mani sui fianchi. «Signorine, siete molto cattive a maltrattare il Signor King. Oltretutto voi siete pure in netta maggioranza.»

Arthur si nascose dietro il maggiordomo e fece a tutte quante la lingua. «E per ripicca non vi darò nemmeno il bacio del buongiorno. Antipatiche.»

«Ehi, non vale. Io lo voglio il mio bacio del buongiorno» si lamentò Erin.

Dakota si accodò: «Anche io lo voglio. Non è giusto.»

«No, no... il bacio lo darà solo a me oggi. D'altronde voi lo avete preso in giro.» Hazel scattò in avanti, afferrata da Naomi e da Linnette.

Erin si precipitò tra le braccia di Arthur, sgomitando David da una parte che venne sbalzato contro la porta. Subito le altre la seguirono a ruota, afferrandolo per la camicia, per i fianchi, per le spalle. Arthur si sentì improvvisamente toccare ovunque, in ogni angolo del corpo, in ogni punto di pelle coperta e scoperta. Ansimò, senza resistere a quel contatto.

«Bacerà solo me oggi.»

«Zitte, iene. Bacerà me.» Naomi s'insinuò tra le altre, afferrandolo per il viso.

«Lascialo stare, lo sgualcisci!»

«Ragazze, mi ammazzate» gracchiò Arthur, un attimo prima di crollare in terra con tutte loro addosso.

Si sollevarono sulle braccia tutte di scatto, fissandolo con occhi sfavillanti e pieni di pretese, ancora stese in parte su di lui. «Non te ne andrai senza averci baciato, vero?» lo domandarono quasi in coro.

«È – è una minaccia?» farfugliò lui, passandosi però la lingua sulle labbra e lasciando intravedere i canini leggermente allungati.

Eccitato. Non c'era nulla da fare.

Le sue femmine, i loro giochi, i loro dispetti, lo riuscivano sempre a eccitare.

Tra di loro funzionava così, come un vulcano: un attimo prima la quiete e subito dopo un'eruzione fantastica. E il desiderio traboccava come lava incandescente, li bruciava e consumava.

Le assecondava, si divertiva, veniva pervaso da una leggerezza che gli faceva dimenticare tutto. Accanto a loro era certo di poter affrontare ogni cosa, di poter superare ogni problema.

Le baciò una a una. A lungo, a fondo. Prese i loro corpi tra le braccia, li tenne stretti fino a sentire i calori delle bestie sciogliersi l'uno contro l'altro. Affondò la propria lingua nelle loro bocche, la intrecciò con le loro, giocò a una danza fatta di sapori e saliva, piacere e possesso. Lasciò che lo toccassero, che baciassero parti di lui diverse dalle labbra, che prendessero tutto il calore del suo potere, che prendessero tutto l'amore che poteva donargli.

«Si - signore... Signore, dobbiamo andare.» La voce esasperata di David riportò un po' tutti alla realtà. «Dobbiamo andare, Signore.»

«Ah, già.»

Aiutò Arthur a sollevarsi da terra e distolse lo sguardo imbarazzato quando lo vide ansante, eccitato e con le gote rosse come ciliegie. Aveva la camicia completamente aperta e i bottoni dei pantaloni slacciati.

«Bene... allora è il caso che vada» fu pervaso dall'imbarazzo quando ricordò che tra le sue femmine anche la Signorina Brass era lì, a guardare. «Mr. Finley è una vecchia iena mannara con un sacco di soldi e poca simpatia... non credo capirà se gli dirò di aver fatto tardi per una ricarica di focosi baci.»

Le ragazze risero. Arthur tentennò ancora un attimo prima di far qualche passo indietro e uscire dalla cucina. Sollevò la mano in segno di saluto. Non si fermò altro tempo o non sarebbe più riuscito a sfuggire da loro. Le incombenze di Magister erano tornate a oscurare nuovamente la sua vita spensierata.

Solo allora, quando scomparve del tutto, Vell riprese a respirare e per farlo dovette appoggiarsi al tavolo, sorreggersi per non pesare sulle gambe tremanti. Aveva la gola arida, le mani sudate e un calore che la pervadeva da cima a fondo. Per tutto il tempo in cui il King era stato presente si era sentita come punta da minuscoli tizzoni ardenti lungo tutto il corpo. Ancora una volta, sebbene nessuno l'avesse toccata, si era sentita immersa nelle loro effusioni, quasi avesse partecipato a sua volta. Il potere le era scivolato addosso, l'aveva toccata, presa, scaldata ed eccitata. Le si era infilato sotto i vestiti, come tante mani; aveva sfiorato parti di lei che a lungo aveva usato solo per dar piacere a Marius e mai a se stessa. Si era sentita libera e al contempo ingabbiata, ancora chiusa in quelle barriere che la vita stessa le aveva creato. Si era sentita così sull'orlo del piacere che ora le veniva da piangere. A un passo da slegare il proprio corpo da ogni limite, da ogni vincolo.

Strinse le gambe e trattenne quella pulsante eccitazione che ancora risuonava nel suo corpo. Serrò le labbra in una linea dura e si chiuse a riccio, abbracciandosi.

Tutto ciò che aveva provato la terrorizzava. Non era stato nulla di violento o crudele, eppure aveva riscosso in lei la stessa paura, lo stesso smarrimento.

«Scusaci, Vell... se ti abbiamo inavvertitamente coinvolto nell'onda del branco.» Dakota allungò la mano e le carezzò velocemente un braccio. Vell non si ritrasse ma restò chiusa nel proprio abbraccio. «Non era nostra intenzione sconvolgerti a tal punto.»

Vell avrebbe voluto dirle che non era sconvolta per quel loro errore, bensì, lo era per il piacere provato e per il segreto desiderio di volerlo provare ancora. E ancora.

Ma non era degna. In fondo, era solo una puttana scappata da un altro harem, uno scarto di altro King. Non poteva ambire lo stesso sguardo ricolmo d'amore che Arthur rivolgeva a tutte loro o quelle delicate attenzioni e quei baci roventi. Eppure, per un solo attimo, lo aveva bramato con tutta se stessa.

«Tra – tranquilla, sto bene. Ne sono solo rimasta sorpresa.» Ed in parte era vero, tutte quelle nuove sensazioni non facevano altro che sorprenderla e confonderla.

Dakota le passò una mano sulla schiena e tornò a preparare le colazione con le ragazze. La giocosità che fino a poco prima era traboccata in risa aveva lasciato posto a una rilassante quiete. «Bröna, buongiorno. Sono felice che tu ti sia aggiunta.»

Vell si voltò di scatto e per la prima volta vide una femmina che mai aveva visto prima tra loro: pallida, sofferente, con una lunga chioma bionda e una veste bianca che la rendeva ancor più cinerea. Sembrava un'apparizione funesta.

«Quindi è lei» fu tutto ciò che disse Bröna, alla vista di Vell. «È davvero bella. Arthur ne sarà felice.» Piatta, vuota. Ferita.

Un'altra femmina che forse avrebbe giaciuto con lui, mentre a lei non era permesso nemmeno toccarlo. Ogni volta era come affondarle nel cuore un coltello, il dolore che provava era il medesimo.

Vell strinse i pugni, si lisciò i palmi sui pantaloni e allungò la mano. «Piacere, Vell Brass.»

«Non mi interessa. Non mi interessa nulla di te.»

Fu come uno schiaffo ma fatto di parole e non di sostanza. Vell fu investita da quella scortesia e ne rimase turbata. Allora anche in quell'harem c'era del marcio, della crudeltà. Non era un'isola felice come volevano darle a credere, non al cento per cento per lo meno.

Dakota fulminò la leonessa con lo sguardo. «Non essere scortese.»

Bröna la fissò con disappunto, con dolore. Nessuno riusciva a capire la sua sofferenza. Nessuno riusciva a comprendere lo struggimento che ogni giorno era costretta a sopportare, quell'amore che la stava annullando e mangiando, che la stava corrodendo e corrompendo. Si cibava di lei quell'amore. La annientava piano piano, facendola impazzire sia nel cuore che nell'animo ma soprattutto nella mente.

Digrignò i denti trattenendosi dall'esplodere con uno dei suoi soliti eccessi d'ira e strinse i pugni fino a sbiancare le nocche. «Me ne torno nelle mie stanze.»

«Non fai colazione con noi?» Dakota cercò lo sguardo delle altre leonesse nella speranza di aver un appoggio.

«Sì, resta, Brö... Phoebe ha preparato i biscotti che ti piacciono tanto» aggiunse Cearra, cercando di convincerla.

Bröna scosse il capo e si voltò dando loro le spalle. Gli occhi traboccanti di lacrime che non volevano scendere. «Mi – mi dispiace. Mi è passato l'appetito.» Se ne andò via com'era arrivata: evanescente come una nube, silenziosa come un fantasma.

Lasciò nell'aria quel senso di rammarico, quella tristezza che si portava sempre dietro. Nessuna riuscì più a scherzare, a sorridere.

Bröna ricordava a tutte come a volte l'amore fa male. Male da morire.

Dakota sospirò, posò tutto ciò che stava trattenendo tra le mani e si rivolse alla nuova: «Vell, seguimi. Dobbiamo parlare.»

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NOTE MOLESTA DELL'AUTRICE:

Ehi, ehi, ehi... buongiorno miei dolci muffin al cioccolato... come va? Come state? Raccontatemi qualcosa ❤ Scuola? Uni? Lavoro?

Come sta procedendo questo Artigli? Vi piace? Ammetto che è qualcosa di molto diverso da tutti gli altri... è un'esperienza totalmente nuova anche per me 😍

Non so voi... ma devo dire che Arthur è qualcosa di troppo, super dolcioso ❤ Usarlo mi diverte molto (è totalmente differente da Amos e Amarok).

Coooomunque, già che ci sono vi pubblicizzo/molesto con l'altra mia storiella, quella meno cagata ma che mi piace e diverte un sacco 😂 ed è pure un po' trash 😂😂😂 (e lì siam già a decimo capitolo ommaigod 😱)

Bene... mi concentro, eh! Okay... ci sono... vado:

Una studentessa ex teppista.

Un professore sexy da morire.

Un giapponese con la mania degli inchini.

Un motociclista misterioso e scontroso.

E un collega leggermente tsundere.

Una storia ricca di stupidi colpi di scena, gag comiche, frasi idiote, istinti omicidi trattenuti, casini e inciuci.

Tutto parte da uno sfratto. E la nostra protagonista improvvisamente si ritrova a fingersi uomo con il proprio nuovo coinquilino.

Vi potrebbero interessare delle storie d'amore? Quelle senza sovrannaturali ma piene zeppe di bei ficoni e fraintendimenti? Quelle da "wtf" e scleri potenti?

Vi potrebbero interessare un muccchio di risate, scenette stupide, giapponesi vergini e impressionabili e la protagonista che vuole usare dei calzini per simulare un finto pene?

Bé, allora...

UN PROBLEMA PERICOLOSO fa proprio per voi... leggero, semplice e divertente.

Rob, vi aspetta... e anche io 😏😏😏

Bene, detto questo... miei cari budini caramellati... vi saluto con uno dei miei baci slimonosi, slinguazzosi e pieni di bava.

Vi amo.

V.


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