CAPITOLO 6

La piccola valigia le scivolò dalle mani e rotolò in terra non appena aprirono la porta della sua nuova stanza. Vell rimase a bocca aperta sulla soglia, come uno stoccafisso, trattenendo perfino il respiro.

Si affacciò timidamente, si guardò attorno sgomenta.

La stanza era molto più grande di quanto immaginasse, un letto matrimoniale al centro e un arredamento non troppo sfarzoso ma di lusso. Ogni dettaglio sembrava studiato per soddisfare anche la più piccola esigenza. C'era un enorme armadio a muro ricco di scomparti e ante, una scrivania con tanto di computer e un piccolo bagno di servizio privato.

Cearra si abbassò raccogliendo la valigia e le fece segno di entrare. «Dai, non stare sulla porta. Questa è camera tua.»

Sentirglielo dire non riuscì comunque a placare la sua incredulità. Vell aprì la bocca per rispondere ma si accorse di essere a corto di parole. Quando Arthur King le aveva detto di trasferirsi lì, non immaginava che le avrebbe perfino dato una camera tutta sua, solo per lei.

Non era abituata a tutto quello spazio, tutte quelle comodità. A volte Marius nemmeno le permetteva di asciugarsi i capelli con il phon, obbligandola a tenerli bagnati magari dopo averli sfregati il più possibile con un panno. Non era vissuta nel lusso e negli agi. Anzi, non aveva avuto nulla che ogni ragazza normale poteva avere giornalmente e in maniera del tutto ordinaria.

Per lei ogni più piccola richiesta andava ponderata, conscia che si sarebbe preteso un alto prezzo per essere assolta. Distrattamente si portò una mano ai capelli, li aveva lavati in quella bettola in cui aveva pernottato e trovare un campioncino di shampoo le era sembrato un miracolo. Alla mente le venne un ricordo doloroso: una volta chiese a Marius uno shampoo profumato, nessuna marca specifica. Era ancora agli albori della sua permanenza nell'harem del Kansas. Ancora non aveva capito come funzionavano le cose lì, era arrivata da una sola settimana. Marius le aveva concesso il lusso del suo shampoo ma in cambio aveva preteso la sua verginità. Era così che se l'era presa, così che l'aveva persa. Per uno stupido e schifoso shampoo alla fragola di marca scadente.

«Vell? Vell? È tutto okay?» Dakota le posò gentilmente una mano sulla spalla ma l'altra si ritrasse fulminea e le scoccò un'occhiata torva. «Scusami. Stavi tremando.»

«Sto – sto bene» farfugliò, passandosi più volte le mani sulle braccia. Quella sensazione disgustosa non la lasciava. Non se ne andava. Le restava attaccata addosso peggio del fango, la macchiava, la rendeva lercia e sporca, la intossicava e contaminava. «Sto bene» ripeté, più per convincere se stessa che le altre.

«Arthur ha detto di metterti comoda e rilassarti. Questa sera è a cena da amici e quindi saremo solo noi ragazze. Non è un problema per te, vero?» la voce di Dakota era gentile, delicata. Era come se la leonessa intuisse, senza che Vell glielo dicesse, quanto dolore il suo cuore trasudava.

Vell annuì e si fissò ancora una volta attorno. «Come può essere la mia camera? Insomma... io non ho mai... mai avuto una stanza tutta mia.»

Linnette, che fino a quel momento era rimasta seduta sul bordo del letto, sorrise. «Ognuna di noi ha la propria stanza. Anche se col tempo qualcuna ha preferito riunirsi con altre.» Si alzò. «Io e Naomi ad esempio condividiamo la stanza.»

«È tutto così...» Non seppe che aggiungere. Ancora un paio di passi e fu vicina al letto. Le dita di Vell si posarono sul velluto delle lenzuola e tremarono quando le sentì così morbide. Una leggera vampata di detersivo le solleticò il naso lasciandola piacevolmente sorpresa. Tutto profumava. Tutto aveva un odore fresco e di pulito. «...buono» terminò.

Per la prima volta le sfuggì un sorriso e si chiese se finalmente, nella sua vita, un evento fortunato le avesse permesso di imboccare la giusta strada per la felicità.

Una stanza tutta sua, enorme e con addirittura un bagno privato. La possibilità di vivere una vita nuova e totalmente differente da quella precedente. Una vita degna e meritevole d'essere vissuta. Una vita in cui non era una puttana schiava dei capricci del proprio King.

Era un sogno? Bé, se così fosse stato, non era certa di volersi svegliare.

«Vi ringrazio per l'ospitalità. Siete davvero molto cortesi.» Si sentiva stretta in quelle parole formali, eppure era giusto che le dicesse. Quelle leonesse erano state veramente gentili e premurose. Sembravano lontane anni luce dalle sorelle del suo vecchio harem del Kansas.

Le sarebbe piaciuto abbassare la guardia, fare quattro chiacchiere sincere, scambiarsi qualche confidenza e magari anche ridere. Non lo aveva mai fatto in tutta la sua vita, era sempre stato uno dei suoi più grandi desideri: ridere. Ridere e basta.

Linnette si spostò verso la porta. «Senti, che dici se vado a prepararti qualcosa di veloce da mettere sotto i denti? Sei venuta senza cenare scommetto.»

Vell arrossì. Colpita e affondata. D'istinto posò una mano sullo stomaco che borbottò quasi in risposta. «I – io non – non vorrei che... ecco...» fece un respiro. «La cucina è ancora aperta?»

«Ma certo. La cucina qua è sempre aperta.»

Marius dava loro giusto mezz'ora di tempo per mangiare. Mangiavano dopo di lui, tutte strette in un tavolo, in cucina. Cibi di seconda mano, avanzi. Trangugiavano tutto in fretta e furia, la testa china sui piatti e zero parole. Nessuna aveva voglia di chiacchiere. Nessuna aveva sorrisi da regalare.

«Allora se non è un disturbo... ecco, volentieri, sì.» Le costò fatica dirlo francamente ma per certi versi si sentì quasi sollevata.

Linnette le sorrise raggiante. «Perfetto. Allora corro a prepararti qualcosa.» Si girò verso le altre presenti. «Che dite, faccio anche un po' di cioccolata calda? Così magari le facciamo compagnia.»

A Cearra si illuminarono gli occhi. «Oh, sì... ti prego. Vivrei di cioccolata calda.»

«A me aggiungici un po' di panna» disse Phoebe, mostrando la lingua.

Quando Linnette uscì dalla stanza, Vell trovò il coraggio di sedersi sul letto. Il materasso le sprofondò sotto il sedere e questo la fece inspiegabilmente arrossire.

«È uguale ai nostri. È comodo, vero?» chiese Dakota, poco lontano da lei. «Li ha scelti Arthur. Ha scelto i migliori... sai, dice che in un letto così si possono solo far bei sogni.» Rise.

Vell trovava questo King stranamente gentile. Questa delicatezza che usava nei suoi confronti e nei confronti dell'intero harem che aveva sotto di sé la spiazzava. Non era avvezza a simili comportamenti, né a tanti riguardi. Allargò la mano sul lenzuolo e sospirò. «Quindi... qual è il regolamento?»

Le ragazze si scambiarono un'occhiata confuse. «Regolamento?» chiese Cearra, visibilmente sorpresa.

«Sì, bé... immagino abbiate comunque delle regole, no? Una sorta di etiquette da tenere o delle cose che potete e non potete fare, no?»

Tra le leonesse calò un silenzio pesante, opprimente. Fu Dakota la prima a spezzare quell'atmosfera improvvisamente greve. «Era così che funzionava nel tuo harem?»

Vell distolse lo sguardo. Nonostante sapesse che non era così, si sentì comunque giudicata. «Come in tutti, no?»

«Come in tutti un corno!» sbottò Cearra. «Arthur non ci imporrebbe mai nulla. Nessuna regola. Niente di niente. Se volessimo... potremmo perfino mangiare con i piedi o rotolarci nel fango. Lui dice sempre che la nostra felicità è anche la sua.»

Oh, sì. Proprio come Marius! Pensò Vell, lasciandosi scappare un triste sorriso.

«Diamine! Eri proprio in un posto orribile.» Phoebe si avvicinò posandole una mano sulla spalla e gentilmente le fece alcune carezze circolari. Sebbene Vell provò l'istinto di scansarsi, non lo fece. Rimase lì, immobile. «Tranquilla. Qui non esistono regole. Possiamo far tutto ciò che vogliamo ed essere come più ci piace.»

Dakota annuì. «Già. Arthur è molto lontano dal King che conoscevi. Mi è bastato poco per capire con che genere di uomo avevi a che fare.»

L'altra non confermò le sue parole, si limitò a guardarsi le mani, tenendo la testa bassa. In cuor suo sentì un forte sollievo a quella conferma. Arthur King le era sembrato davvero diverso da tutti gli altri e questa conversazione era una piccola riprova. «Niente regole» bisbigliò.

«Esatto.»

«Niente tuniche.»

«Assolutamente no. Ci possiamo vestire come ci pare e piace.»

Vell sollevò la testa di scatto, le guardò una ad una, come per accertarsi che dicessero il vero. Poi le sovvenne un dubbio, una curiosità: «E la doccia?»

«Bé, puoi decidere. Doccia, vasca... abbiamo anche un bagno con la vasca idromassaggio. Insomma... hai libera scelta su tutto.»

La giovane leonessa strinse le mani sulla gonna, il tessuto si sgualcì più di quanto già non fosse. Quel giorno lo aveva più e più volte messo a dura prova, scaricando su di lui la propria inquietudine. «Con acqua calda o solo fredda?»

«Oh, cielo.» Dakota si avvicinò afferrandola per le braccia e tirandola in piedi la trascinò al suo bagno personale. Aprì la porta e la spinse dentro con delicatezza. «Acqua calda, fredda, tiepida... quella che ti piace di più. Puoi starci dentro due minuti o due ore.» Entrò nella stanza con lei e toccando i prodotti aggiunse: «Shampoo, balsamo, creme per capelli, creme per il corpo, creme per il viso... insomma, guarda quante ne hai. Hai l'imbarazzo della scelta ed è tutto tuo.»

«E in cambio di tutto questo?»

Il sorriso di Dakota svanì. Lo sguardo della leonessa divenne triste. «Nessuno ti chiederà niente in cambio, tranquilla» la rassicurò. Era scioccante la realtà contro cui aveva combattuto quella ragazza fino a quel giorno. Dakota non riusciva a credere di avere di fronte un caso tanto grave di soprusi. Nemmeno Naomi e Linnette, che venivano a loro volta da un ex harem smantellato, avevano subito tanto. Sebbene si portassero dietro tutt'ora gli strascichi di violenze inaudite.

Vell fu costretta ad appoggiarsi al lavabo. Improvvisamente le gambe le avevano iniziato a tremare e faticava a respirare tanto da dover prendere l'aria con grosse boccate. Era tutto troppo. Tanto.

Soffocata da tutta quella libertà, piegata di fronte a troppe possibilità che mai aveva avuto. Come poteva farsi sconfiggere per così poco? Come potevano quelle banalità quotidiane farla sentire tanto miserabile?

Dakota le posò una mano sulla schiena. «È tutto okay. Piano, piano. Non aver fretta di comprendere tutto, Vell. Non sei la sola ad esserci passata.» Si spostò verso la porta e fece segno di seguirla. «Vieni. Torniamo di là.»

Linnette arrivò con un vassoio traboccante di cibarie e tante tazze. «Eccomi qua» cinguettò felice. «Ho preparato una cena squisita... e un mucchio di cioccolata calda.»

Le ragazze esultarono e Vell non poté fare a meno di sorridere e chiedersi se anche lei avesse finalmente trovato il suo posto.

Esisteva davvero una casa per una femmina miserabile, fallata e inetta come lei?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top