CAPITOLO 4

La sedia si schiantò contro il muro esplodendo in mille pezzi e Marius gridò fino a diventare viola. Gridò fino a farsi uscire pulsanti vene sul collo e fino a farsi scoppiare i capillari in viso.

L'energia mannara dilagò, potente abbastanza da crepare i vetri delle finestre e corrosiva tanto che le leonesse si accucciarono in terra piangendo. I veresh presenti s'inginocchiarono con reverenza congiungendo le mani in una muta richiesta di perdono. Era così che funzionava con il King del Kansas quando s'infuriava: dovevano tutti chiedere perdono. Tutti quanti.

Marius calciò il tavolo che cadendo rovinosamente di lato disperse in terra tutte le portate della colazione: piatti e bicchieri si disintegrarono in una miriade di schegge, il cibo divenne poltiglia immangiabile. Era da oltre mezzora che stava sfogando la sua rabbia sull'arredamento, niente si riusciva a salvare sotto quel crudele tocco. E presto anche qualcuno dei presenti avrebbe pagato caro il prezzo della sua furia.

Superando a grandi falcate i sottoposti, raggiunse Faith e afferrandola per i capelli la sollevò la terra. La giovane leonessa gridò per la paura, il dolore era diventato abitudine tra quelle mura ma la paura... quella non passava mai. Una grossa macchia di sangue le aveva tinto la veste alla base del collo, il viso tumefatto non rimarginava abbastanza velocemente nonostante la sua natura mannara. Troppe botte. Ne aveva ricevute così tante che la guarigione, seppur rapida, non stava dietro alla mole di percosse.

Marius le sbattè più volte la faccia contro un piccolo tavolino che era scampato alla sua inarrestabile violenza. L'agghiacciante rumore di qualcosa che si rompe echeggiò nella stanza soffocando tutti gli altri suoni. Faith si portò le mani al naso cercando di arrestare la discesa del sangue. Il naso storto in una posizione innaturale. «La prego, mio Sire. La prego. La scongiuro.» Più lo supplicava, più l'energia cresceva inghiottendo i presenti, schiacciandoli al suolo come miseri e inutili insetti.

Marius era fuori di sé. La fuga di Vell lo aveva non solo umiliato di fronte a tutti ma anche tacitamente sfidato. Era come uno sputo in faccia, una risata beffeggiatoria. Lei credeva di poter fare ciò che voleva ma lui non gliel'avrebbe permesso. Vell non capiva con chi aveva a che fare. Non si rendeva conto di chi e cosa aveva scatenato.

Con grosse falcate avanzò verso il trono di oro puro che si era sfacciatamente fatto costruire, proprio per ostentare il proprio ruolo di King, Erus e Magister. Stretti in pugno teneva ancora i capelli di Faith, la trascinava dietro di sé come un sacco d'immondizia.

«La prego, mio Sire. La prego.» In terra una macabra scia di sangue segnava il loro passaggio.

Tra le mura di quella villa succedeva spesso. Quell'uomo non aveva alcuna pietà. Non conosceva l'amore ma solo il possesso e uno spietato desiderio di dominio.

Quando Marius arrivò al seggio, si mise a sedere e solo allora le riservò delle attenzioni. Serrando la presa sui capelli l'attirò a sé in modo da poterla guardare dritto negli occhi. «Ripetimi quello che è successo, puttana!»

Faith dubitava perfino che ricordasse il suo nome, tanto che mai l'aveva chiamata in altro modo prima d'ora se non con quegli appellativi spregevoli. Tremando come una foglia si portò le mani al petto alla ricerca delle giuste parole, quelle che non l'avrebbero resa schiava dei suoi capricci, della sua violenza e della sua furia. «Qua – quando ieri sera ho visto Vell... le – lei era arrabbiata e furiosa.» Deglutì. «Pe – però non mi ha dato l'idea di voler fuggire, mio Sire.» Lei e Vell non erano mai andate d'accordo prima d'ora, eppure nel suo piccolo aveva tentato di aiutarla. La sera precedente le aveva dato del vantaggio, evitando di andare a spifferare tutto a Marius. Non avrebbe però immaginato che quell'aiuto le si sarebbe ritorto contro. Non era così folle da mettere la propria vita a rischio per una sciocca come quella.

Marius le afferrò il viso con la mano libera e le vomitò addosso la propria rabbia con voce carica di disgusto. «Sei proprio sicura di quello che mi stai dicendo?» Fiutava la sua menzogna, sentiva il peso di quella bugia scivolargli sul corpo e sul palato come se fosse melma. Quella puzza di marcio e di indegno. Un affronto che non sarebbe restato impunito. Lui non ammetteva simili cose alla sua corte.

Faith tremò senza trovar voce per ribellarsi o riconfermare le proprie parole.

«Allora?» la sollecitò lui, strizzandole il viso in quella ruvida mano fino a farla piangere.

«Mi – mio Sire» tentò di giustificarsi lei. Lo sapeva bene che era finita. Era stata colta in fallo e ora avrebbe pagato. Non c'era cosa che la spaventasse di più che l'ira del proprio Erus, implacabile e sanguinario.

«Sai, piccola ingrata... mi fidavo molto di te. Sei stata una delle prime ad arrivare qui.» La spinse in terra e alzandosi dal trono le passò accanto, calciandola. La leonessa si cercò di coprire il ventre con le mani ma la punta dello stivale affondò proprio lì, con precisione. «Peccato che una vostra sorella vi ha viste e sentite... il tuo tradimento non è passato inosservato.»

Tra le altre leonesse una chinò il capo, colpevole.

Non c'era coesione in quell'harem. Non c'era amicizia. C'era solo terrore e paura, disperazione e sottomissione. Pur di ricevere da Marius un trattamento migliore delle altre, si sarebbero tutte pugnalate alle spalle, senza rimpianto.

Faith tremò, le braccia serrate in una morsa attorno alla vita, il volto rigato di lacrime e sangue. Nella sua testa una vocina le disse che in fondo lo meritava. Non era capitato anche a lei di fare la spia? Di gettare in pasto all'implacabile collera di Marius qualche altra sua sorella di harem? Non era stata sempre lei a permettere che alcune leonesse venissero portate al limite delle loro stesse esistenze?

Rose e Mary si sono tolte la vita a causa di quelle confessioni.

E ora è giusto che paghi.

«Dico bene, Zena?»

La leonessa colpevole annuì, quasi con troppa energia. «S – sì, mio Sire. Le ho sentite parlare animatamente. Vell voleva scappare, lo disse molto convinta.» Seduta sui talloni strizzò la veste logora che indossava. Ci aveva pensato parecchio prima di andare a vuotare il sacco. Cosa sperava di ottenere da quella confessione? Forse solo un vestito meno rotto, del sesso più delicato, delle attenzioni più gentili. «Faith non la fermò. Le fece capire che le avrebbe fatto guadagnare tempo per fuggire.»

L'interessata cercò di sollevarsi, le tremavano le ginocchia; un po' per il potere del King, un po' perché le percosse ricevute l'avevano svuotata di ogni forza. Ogni fibra del suo essere le gridava a gran voce di scappare da lì, di fuggire, a costo di trascinarsi il corpo. Eppure non riusciva a muovere un solo muscolo.

Marius rise. «Sentito? Era per questo che ieri notte eri così partecipe nelle mie stanze? Per distrarmi?» Si chinò su di lei, rigirandole davanti al viso un coltello in argento che aveva estratto dal fodero che teneva sempre alla cintola. «Ora capisci perché dovrò punirti? Ti insegnerò a non mentire. Ricorderai per sempre questo castigo.» Sapeva cosa le avrebbe fatto. L'avrebbe deturpata in viso costringendola a convivere ogni giorno con l'onta del proprio peccato. Costretta a vivere dentro un corpo sfregiato, rotto.

Doveva ringraziare Vell. Era merito suo, no?

Aveva taciuto e si era resa cieca di fronte un simile affronto? Ebbene, lui le avrebbe tolto la parola e la vista, gliele avrebbe strappate via. I muti non hanno bisogno di lingua. I ciechi non hanno bisogno di occhi.

E poi, sarebbe diventata il suo giocattolo peggiore, quella su cui riversare la sua rabbia ogni volta che ce ne fosse stato bisogno, quella su cui sperimentare i passatempi peggiori, umilianti e che l'avrebbero gettata in un baratro da cui non sarebbe più uscita. Si era scavata la fossa da sola. Si era messa da sola in quella situazione.

Ora era un oggetto. Un inutile e schifoso ammasso di carne che si sarebbe scopato senza ritegno e senza pietà, a cui avrebbe fatto rimpiangere ogni singolo istante quell'errore. «Portatela nella stanza delle punizioni. Portatela via.»

Due veresh l'afferrarono per le spalle. Faith gridò con tutta la forza che aveva, gli occhi sgranati e ricolmi di terrore. Scalciò cercando di liberarsi dalla stretta dei due sottoposti ma ormai le forze l'avevano abbandonata da tempo. «Vi prego. No. Vi prego. È stato un errore. Un errore» continuava a gridare. Alcune leonesse si tapparono la bocca per soffocare i singhiozzi del pianto. In aria si respirava un fetore di sangue e piscio, di paura e angoscia. Anche deglutendo quel sapore acre di quei spaventosi sentimenti sembrava non scivolare via a nessuno dei presenti.

Sulle labbra di Marius si disegnò un sorriso crudele, incastrato tra due fossette che su qualcun altro forse sarebbero perfino state graziose. «Portate via anche l'altra.»

Zena si guardò attorno spaesata, il corpo iniziò a fremere di terrore. Le dita arpionarono la veste e nella foga strappò un lembo di tessuto. «Cosa? No. Perché?» Altri due veresh la raggiunsero, agguantandola poco carinamente. «Mio Sire... ma io... io l'ho informata.»

Un'ombra scura ottenebrò il viso del King, del sorriso non v'era più traccia. «Già. Peccato che tu abbia aspettato questa mattina per farlo. Quindi... presumo che serva una lezione anche a te.»

La ragazza gridò mentre veniva trascinata via, nello stesso posto dove avevano portato Faith. Per una punizione minore ma non meno spaventosa.

Con un breve movimento della mano scacciò le leonesse restanti e quando la stanza fu sgombra dalle femmine si abbandonò sul trono, esausto. Arrabbiato. Furioso.

I veresh rimasti non si erano mossi dalla loro posizione prostrata, fermi in attesa di ordini. Nessuno osava alzare il capo. Se per le femmine dell'harem Marius riservava torture speciali, per i veresh un passo falso e c'era solo la morte.

«Dov'è Hook? Gli ho affidato un compito.» La domanda echeggiò nel silenzio della sala trono. Senza il permesso diretto di parlare nessuno dei presenti rispose, si strinsero nelle spalle e restarono muti in ginocchio. Marius sbatté il pugno contro un poggiolo, digrignando i denti con irritazione. Un ammasso di idioti e senza palle, nel vero senso della parola d'altronde.

Proprio in quell'istante le pesanti porte della villa si aprirono, ritagliando uno spiraglio di luce su nove figure che avanzarono con una certa deferenza verso il Magister. Due gruppi distinti e separati con a capo Hook.

Il veresh si chinò. «Eccoli, mio Sire. Li ho trovati e chiamati come mi avevate chiesto.»

Quando gli uomini raggiunsero Marius, uno ad uno s'inginocchiarono chinando con reverenza il capo. Il Magister rimase seduto sul trono, picchiettando le unghie sui poggioli con estremo compiacimento. Quella prostrazione, quella devozione e umiliazione gonfiava il suo già smisurato ego e rimpolpava la sua voglia di vendetta e dominio. Vell doveva pagare. Doveva pagare per averlo mortificato a quel modo.

«Mio Sire... siamo a sua completa disposizione» si affrettò a dire il Krokut, capobranco delle hyaen: iene mannare. Si piegò così tanto che il respiro opacizzò le mattonelle. Anche gli altri hyaen lo imitarono.

Marius resistette all'impulso di scoppiare a ridere. Ridicoli, insulsi, sudditi privi di valore.

La loro esistenza girava in maniera imbarazzate attorno alla sua figura. Mostrando questa reverenza quasi  morbosa speravano sempre di ottener ricompense degne di un King, offerte vantaggiose per il loro branco o ingenti quantità di denaro.

Inutili per maggior parte del tempo, se non per questi lavoretti in cui si rivelavano eccezionali collaboratori. L'avidità d'altronde rende gli uomini schiavi dei bisogni.

In disparte gli altri tre uomini che non facevano parte del branco di hyaen rimasero zitti senza annunciare platealmente la loro completa disponibilità. In fondo, se erano lì, era scontato che si sarebbero piegati a qualsiasi richiesta del loro Magister.

E Marius li aveva chiamati perché voleva fargli una proposta interessante. Vantaggiosa.

D'altronde loro erano dei reietti della società di leoni mannari, dei perdenti. Li chiamavano Sinnal. Erano branchi per lo più di quattro o cinque esemplari maschi che vivevano senza nessun harem, solitari e dimenticati. Dislocati sul territorio in tante piccole macchie che non potevano congiungersi: troppi leoni mannari insieme finivano sempre per aver scontri.

Se avessero fatto ciò che voleva, avrebbe dato a ognuno di loro ciò che più desideravano al mondo. E forse era proprio per questo che erano lì a suo cospetto. Sorrise crudelmente e lanciò ai loro piedi una foto. Avrebbe potuto scegliere una delle tante foto di qualche servizio fotografico a cui Vell aveva partecipato e invece ne aveva scelta una che aveva scattato lui personalmente. Lo faceva con ogni propria leonessa, proprio un attimo dopo averla scopata per la prima volta. Le faceva mettere in piedi di fronte a questo muro bianco e scattava la foto con una polaroid. Sembravano tutte carcerate. Tutte tristi, vuote.

Le sue puttane. Le sue schiave. Inutili ammassi di carne e sentimenti che Marius si divertiva a usare a piacimento, come oggetti.

«Lei.»

Lo sguardo del sinnal più vicino accarezzò languidamente le forme della giovane, anche solo vederla in foto lo riusciva a eccitare. A loro, leoni di basso rango, non era permesso toccare le poche leonesse presenti al mondo. Tutte erano riservate ai King. Nessuno scarto per i sinnal, nemmeno le più brutte o le più scorbutiche. Si dovevano accontentare delle umane o di altre femmine di altre razze che non si facevano tanti problemi a scoparsi tipi meschini e reietti come loro. Ma non era lo stesso.

«È lei che voglio. Lei che dovete riportarmi. Ad ogni costo.» Marius si rigirò il coltello in argento tra le mani. Il contatto con la pelle produceva un basso sfrigolio che gli bruciava i palmi. Quel dolore misto a potere lo faceva sentire forte, migliore, assoluto. «Si chiama Vell Brass. È una femmina di questo harem... ed è fuggita.»

Il sinnal prese la foto, osservò con più attenzione. Gli sembrava d'averla già vista quella donna.

«Ti sembra familiare?» domandò Marius, sghignazzando. Vell era il suo trofeo selvaggio, la femmina che portava alle cerimonie d'affari e quelle di altri King solo per poterla esibire, per creare scompiglio e invidie. Non era la sua Prae, nessuna era degna di quella carica nel suo harem; però aveva sempre avuto una corsia preferenziale. Forse era per questo che la torturava più delle altre.

«Credo di sì, mio Sire.»

Marius mosse la mano come se stesse scacciando un moscerino, fingendo una modestia che non gli apparteneva. «Bé, sì... faceva la modella e l'attrice prima che firmasse la sua condanna a morte.» Sottili e taglienti parole che arrivarono dritte al punto. Il sinnal sgranò gli occhi ma comprese immediatamente cosa sarebbe successo qual ora avessero riportato indietro quella giovane.

Il King del Kansas era spietato. Con lui non esistevano giochetti, né perdoni.

Il krokut sfilò la foto dalla mano del sinnal e l'osservò con indifferenza: lunghi e fluenti capelli biondi, occhi azzurri, carnagione pallida e un corpo atletico. Quella ragazza per lui era una come tante altre. Sì, piacevole all'occhio ma nulla di più. Avrebbe pensato la stessa cosa di mille altre modelle umane. «Quindi volete che ve la riportiamo.» Non comprendeva l'ossessione di Marius, forse era dettata da un fattore d'orgoglio. A lui d'altronde non interessava nulla più che il suo compenso. Ricevuto quello avrebbe fatto di tutto per il King, perfino uccidere.

E poi, ognuno aveva i propri scheletri morti e sepolti nell'armadio. Chi era lui per giudicare?

«Esatto. Voglio che me la riportiate. Viva e sana. Di lei mi occuperò io... io soltanto.» Con le dita della mano libera si tracciò una scia sulle labbra, scendendo sul collo, sul petto e tra le gambe. Si strinse con forza l'erezione soffocando un gemito di piacere e rabbia. Un pensiero velenoso e immorale si era affacciato alle porte della sua mente. Se era bastata una semplice immagine a eccitarlo tanto, farlo sarebbe stato mille volte meglio. «A lei spettano le mie attenzioni peggiori. Le notti più crudeli. Le violenze più inaudite e la sottomissione più totale. E infine... la morte, lenta e dolorosa.»

Sollevando gli occhi dalla giovane, la iena mannara sorrise. «Mio Sire... non scendiamo in particolari di cui non ho interesse. Mi dica solo il compenso che riceverò.»

Marius rise. «Come sempre dritto al sodo, Luke. Può bastarvi una montagna di denaro?»

La iena scosse le spalle. «Stiamo parlando del rapimento di una donna... non faccia il mediocre.»

Un'altra risata si levò nell'aria seguita da un colpo secco che smorzò tutti gli altri rumori. Il coltello in argento oscillò impiantato in uno dei poggioli del trono mentre Marius si alzava con un'espressione indecifrabile in viso. «Mi chiedo sempre se tu sia sciocco o estremamente scaltro.» Lo raggiunse lentamente e nell'aria si iniziò a respirare una tensione soffocante, concreta. Il calore del potere mannaro divampò dal corpo del King allargandosi come tante mani invisibili. Agguantò uno a uno i presenti, li piegò, li sottomise.

Il krokut si trovò in pochi attimi piegato in terra, in ginocchio, ansante. La fronte imperlata di sudore, le mani tremanti a sorreggerlo a malapena. «Poco di più» ringhiò snudando i denti, allungati e taglienti. Gli occhi gialli sinonimo della presenza della bestia che rimescolava la superficie.

«Che ne dici di un piccolo territorio di Pittsburg?»

Gli occhi del krokut scintillarono d'eccitazione.

«Dovrete sempre fare capo a me, ma... insomma, potresti gestirlo tu... con delle tue regole interne.» Era disposto a cedere perfino una infinitesimale fetta del proprio potere pur di riavere Vell. Potere che più in là si sarebbe poi ripreso facendo massacrare l'intero branco di hyaen; questi però erano dettagli che non avrebbe svelato a Luke.

L'altro si passò la lingua sui denti, un rivolo di bava gli colò dal lato della bocca. La pressione era così schiacciante che gli sembrava quasi di aver una mano serrata attorno al collo. Respirare diventava ogni istante più difficile. «Mi – mi sembra un'allettante proposta.»

«Quindi accetti?»

E che altra scelta aveva? Se diceva di no, si sarebbe trovato morto su quel pavimento. «Sì, mio Sire.» Tirare troppo la corda con Marius King era un gioco pericoloso come la roulette russa.

L'energia si ritirò come risacca. L'aria si fece più leggera e tutti presero a tossire.

«Vi darò una mano. Sarò parte attiva di questa ricerca.» Non sarebbe rimasto in attesa. Si sarebbe mosso anche lui per chiudere il prima possibile la questione.

Solo allora i sinnal si scambiarono un'occhiata e uno di loro parlò: «E noi? Non faremo questa cosa gratis. Spetta anche a noi un compenso.»

Marius sorrise. Per loro aveva in serbo una chicca che non avrebbero rifiutato. «Giusto.» Si spostò per la sala, tornò verso il trono. «Sapete... immagino che la nostra piccola Vell chiederà rifugio da qualche parte... magari a qualche altro King più magnanimo di me.» Si mise a sedere, divelse il coltello dal poggiolo e se lo rigirò tra le mani. Nella sala padronale era calato il silenzio. «Che ne dite di un harem tutto vostro?» I suoi occhi scintillarono di giallo mentre sorrideva malignamente.

A quel King, non sarebbero più servite le sue leonesse da morto.

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