CAPITOLO 36

Sfuggente e tesa. Vell aveva passato così gli ultimi cinque giorni. A evitare Arthur come la peste e controllare ogni stanza prima di entrarci. Dopo ciò che gli aveva detto, l'ammissione del proprio interesse e la proposta nel partecipare attivamente anche alle pratiche sessuali dell'harem; Vell aveva passato i seguenti giorni a crogiolarsi in un limbo di insicurezze. La sua vita nell'harem di Marius gli aveva fatto sognare qualcosa che credeva impensabile e solo arrivando nella villa di Arthur lo aveva scoperto possibile.

Peccato che nemmeno quella realtà facesse per lei.

Ci era arrivata piano, con fatica, lasciando che passato e presente giocassero con le sue paure, permettendo alle proprie emozioni di fluire libere. E sì, forse era stata scorretta ad aver usato quell'harem per testare quella nuova realtà ma in fondo, lei stessa non sapeva cosa si celava nel proprio animo.

Non fino a quel momento. E ora che aveva tutto chiaro, non poteva ignorare ciò che minava la sua felicità. Non più. Non avrebbe più indossato una condizione che le stava stretta. Non si sarebbe più adattata. Non avrebbe più piegato la testa. Non sarebbe scesa a patti con nessuno, se non con se stessa.

E avrebbe preso. Preso tutto ciò che voleva e che le spettava. Perché dopo tutto ciò che aveva subito, era certa che le spettasse della felicità. La vita stessa glielo doveva, come un conto da saldare, un favore da ricambiare.

Basta harem. Basta essere una fra tante. Basta dipendere da un uomo che non sapeva convogliare il proprio amore solo verso un'unica donna. Basta sentirsi troppo poco e mai abbastanza.

Ma in fondo l'universo dei King era questo. E anche Arthur lo era. Ancora era legato ad altre donne, ancora succube della società dei King e delle loro regole patriarcali e misogine. Ancora... ma non per molto.

Vell lo aveva scelto. Aveva deciso. Il suo buon carattere l'aveva conquistata e ora non le restava che scavarsi un posto al suo fianco. Un posto in grado di riempire tutti gli spazi delle altre, in grado di elevarsi al di sopra di tutte, di renderla unica e speciale, essenziale, sola. Non prima tra quelle dell'harem, non Prae; ma donna e moglie, femmina e compagna, in una coppia monogama dove lei era unica regina.

Sogghignò. Ogni cosa a suo tempo. Nemmeno Dio aveva creato il mondo in un solo giorno, no?

Spostandosi lungo il corridoio si bloccò davanti alla porta dello studio di Arthur, dentro c'era solo Bröna, allungata sul divano con la testa affondata in un libro. I capelli le ricadevano in una massa bionda di ricci fin oltre le spalle, la pelle bianca come sempre pallida peggio di un foglio di carta, la magrezza a segnarle il corpo. Eppure, sebbene la sua esile figura sottolineasse la salute cagionevole, la bellezza che emanava sembrava non essere intaccata da quella sofferenza fisica e mentale. Bröna era bella. E Vell ne era gelosa. E non perché ciò sminuisse la sua bellezza, in fondo, quando era nell'harem di Marius, faceva la modella. Vell era gelosa del modo in cui la guardava Arthur, con una adorazione che forse andava al di là perfino dell'aspetto fisico, una devozione che lo spingeva a soffocare i propri pensieri impuri e una premura che non riservava a nessuna delle altre leonesse. Ecco perché ne era gelosa. Ecco perché Bröna era la prima, della sua lunga lista, che andava eliminata; perché lei era l'ostacolo più grande.

Con le nocche della mano picchiettò sul legno della porta e la leonessa sobbalzò alzando la testa dal libro, quando vide che era Vell come sempre fece una smorfia. «Buongiorno, Brö.»

Bröna assottigliò le labbra. «Prima, forse... ora non più.» Vederla così sprizzante di energia e così felice le dava il voltastomaco. Sguazzava bene nel mondo che Arthur le aveva concesso. Inoltre, sentirla chiamare con il diminutivo che usavano il fratello e le sue sorelle di harem la faceva arrabbiare, non ne aveva diritto. «Ti è venuta in mente qualche altra minaccia da farmi?»

A Vell scappò una risata. Per quanto fosse debole, malata, con la mente instabile; Bröna aveva una lingua biforcuta e sempre una risposta scortese pronta da servirle. La divertiva e la faceva infuriare. Incrociò le braccia e la fissò con il solito disgusto. «Ammiravo solo la tua patetica solitudine.»

«Sai com'è... meglio soli che mal accompagnati.»

«D'altronde non potrebbe essere diversamente per una come te.» Per una difettosa. Non lo disse ma era implicito nelle sue parole. «Ti lascio sola al tuo libro. Sola come sempre.» Bröna non la salutò, la fissò sparire oltre la porta e gesticolando una mano sventolò un dito medio nell'aria. I vaffanculo non hanno bisogno di parole.

Quando Vell raggiunse una delle camere delle ragazze non fu sorpresa nel sentire dei bisbiglii al suo interno. Erano un harem molto affiatato, le leonesse erano sempre in gruppo e condividevano la maggior parte delle cose. Ciò che però la sorprese fu la voce di Arthur, delicata e vellutata come sempre. Lo aveva evitato per tutti quei giorni e ora se lo ritrovava lì davanti, un po' come un segno divino. Questa era la sua occasione. Un gran filosofo cinese diceva che tutti i grandi viaggi partono sempre da un primo passo e Vell era certa che quell'affermazione fosse alla base di tutta la sua vita.

Schiuse la porta non sapendo bene cosa aspettarsi e quando vide Cearra e Linnette, nude, stese sul letto a baciarsi, una contrazione allo stomaco la fece irrigidire sul posto. Arthur era seduto poco distante, in una poltroncina accanto al letto, a fare da spettatore. Il suo sguardo era puntato sulle due leonesse aggrovigliate nelle lenzuola, gli occhi gialli della bestia lampeggiavano nella penombra della stanza e sprizzava un desiderio a fatica contenuto. Quando si accorse di Vell, ferma sulla porta, sussultò ma non distolse lo sguardo. Rimase immobile, in attesa di una sua mossa.

Le ragazze sospesero i baci per guardarla, le tesero la mano, lo sguardo appannato di desiderio, il potere che rotolava fuori dai loro corpi come lingue di fuoco. «Vuoi...» propose Cearra, la voce calda e le gote arrossate. Ma Linnette le abbassò la mano.

«No, non la forzare» bisbigliò, prendendo il viso della leonessa e baciandola con trasporto. «Si unirà quando se la sente... e solo se vuole...»

Erano sempre molto accorte. Sempre rispettose di ogni sua decisione. Sempre delicate e mai invadenti. Non la forzavano mai a far nulla che non si sentisse di fare, non la spronavano, dandole i suoi tempi. Vell strinse i pugni. Sentiva lo sguardo di Arthur trapassarle i vestiti. Era un po' come se anche lei fosse nuda in quella stanza, insieme alle altre due.

Avanzò di qualche passo, le ginocchia fin quasi sfiorare il letto. Per far sì che i suoi piani andassero a buon fine doveva introdursi a tutti gli effetti nell'harem, conquistarsi il suo posto anche tra le lenzuola. Soltanto dopo questo passo avrebbe lavorato su Arthur, lo avrebbe manipolato, per essere scelta al di sopra di tutte. «Io credo che...» Allungò una mano e il viso di Cearra le fu subito contro il palmo, strofinandosi come una gatta.

Sebbene non fosse ciò a cui ambiva, Vell non poté negare che fosse eccitante. Anche l'idea stessa che Arthur le guardasse con una brama sempre più crescente lo era.

Si lasciò così trascinare sul letto, le mani delle due leonesse ad accarezzarle ogni angolo di pelle scoperta, le palpebre socchiuse, le labbra tremanti. «Se non te la senti...» le bisbigliò all'orecchio Linnette, facendola rabbrividire. Ma Vell scosse il capo. Non se la sentiva ma doveva farlo. Faceva tutto parte del suo piano.

Il corpo di Cearra si mosse vicino al suo, nudo ed esposto, bollente al contatto. Vell ne seguì i movimenti e d'istinto allungò la mano ad accarezzarne i contorni. Le forme sinuose le scivolavano sotto i polpastrelli come onde. A Cearra sfuggì un sospiro quando la mano le raggiunse i fianchi e le cosce. Allungò il braccio circondando la nuca di Vell con la mano e la attirò verso la propria bocca.

Quel bacio sapeva di cioccolato. E Vell ne fu quasi sopraffatta. Le strinse il viso con le mani, le reclinò la testa e con la lingua scivolò nella sua bocca mentre le dita di Linnette le massaggiavano debolmente i fianchi. Erotico. Andava al di là di ogni immaginazione. E l'idea di quello sguardo solitario, di quel King seduto lontano, la faceva fremere come alla sua prima volta.

Mentre il piacere rincorreva una sorda necessità di appartenenza, Vell scese con le labbra sul collo di Cearra, le morse la gola, le clavicole e poi spaziò con le mani sulla sua nudità prendendole i seni e stringendoli.

Linnette nel frattempo scostò di lato la folta chioma di Vell e prese a leccarle il collo, una lenta scia con la lingua, tracciata dal mento fino alla spalla scoperta. Vell gemette e si abbandonò contro il petto di Cearra, l'altra addosso. Intrappolata tra i loro corpi.

Avrebbe voluto continuare e fermarsi. Chieder loro di prendersi di più e non prendere niente. Spaccata a metà.

Arthur emise un ringhio basso e prolungato, si mosse sulla poltroncina per trovar sollievo; allargò le gambe per permettere all'erezione di respirare. Il bisogno di unirsi a loro era ben leggibile negli occhi gialli, nei denti appuntiti, nel corpo teso, nelle dita arpionate ai braccioli. Resistette. Aveva promesso di far solo da spettatore. Era una tortura.

Guardò Vell mentre veniva adagiata sul materasso. La chioma bionda aperta a ventaglio come un sole. Toccata, baciata, riempita di carezze. Cearra le aprì i bottoni della camicetta e le bocche di entrambe scesero a baciare il pizzo del reggiseno, abbassarono il tessuto, leccarono i capezzoli.

Vell si contorse, gemette. Allungò le mani spaziandole sui ventri di entrambe, cercò le loro mani, intrecciò le dita, sospirò. Il corpo le si inarcò di piacere.

Respirò con affanno mentre Cearra le carezzava le gambe, le passava le mani sulle ginocchia e nell'interno coscia.

Quando le esili dita di Linnette però le si insinuarono sotto gli slip, il suo corpo s'irrigidì di colpo. Le dita carezzarono così piano da sembrare un soffio. Tanto delicate quanto piacevoli.

Vell resistette per un breve istante all'impulso di fuggire poi, senza poter fare altrimenti, si sollevò a sedere di scatto, spingendole via da sé. Stringendosi la maglietta addosso. Saettando con lo sguardo ovunque ma su nessuno.

«Scusate... io non...» Si portò una mano tremante alle labbra e sistemandosi i vestiti si alzò dal letto. Arthur la guardò confuso ma non la trattenne. «Io... io vorrei ma...» No. Non era vero. Non voleva. Non ce la faceva. Ci aveva provato ma andava oltre le sue capacità. Fece qualche passo indietro, incespicò nelle lenzuola e Cearra allungò una mano per acciuffarla prima che cadesse ma Vell si riprese in tempo ed evitò quell'aiuto con altri passi verso la porta. Voleva scappare. «Mi... mi dispiace.» No. Non era vero. Non le dispiaceva. Eppure, doveva far in modo che quel fallimento non le recidesse ogni possibile avvicinamento ad Arthur.

Scappò in camera propria. Come una furia. Si richiuse la porta alle spalle con un tonfo e gettandosi sul letto proruppe in un grido che attutì premendo il viso contro il cuscino. Colpì il materasso con i pugni, con rabbia, ringhiando.

Questo suo dietrofront improvviso rallentava tutti i suoi piani. E lei era stanca di giocare alla famigliola felice. Non esisteva nulla, oltre a lei.

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