CAPITOLO 35
«Che stai facendo?»
A Bröna per poco non sfuggì il libro dalle mani. Trasalì e si voltò verso la porta, sorridendo ad Arthur con gentilezza. «Leggo.» Era una delle cose che amava fare di più e che più le riusciva meglio. Con il corpo fragile che si ritrovava erano poche le attività che non la affaticavano subito. Leggere rientrava tra queste. Inoltre, perdersi in altre realtà la aiutava a dimenticare la propria.
Arthur avanzò di qualche passo e si piegò a veder la copertina. Sorrise. «Il ritratto di Dorian Gray? Davvero?»
Alla leonessa sfuggì un sorrisetto sghembo. «Non è il mio genere, lo so. Te l'ho fregato dalla libreria... sorry, sorry.» Una tra le tante cose che avevano in comune lei e Arthur era la passione per la lettura. Non amavano gli stessi generi ma spesso si erano persi in elucubranti discussioni su libri letti in comune. Si divertivano entrambi e spesso le altre ragazze assistevano ai loro battibecchi ridendo di loro. Mai una volta che fossero d'accordo su qualcosa.
«Era uno spocchioso bastardo, non trovi?» Le passò una mano sul capo in una carezza veloce. Ora che l'incubo, che spesso popolava i suoi sonni, si era allontanato di giorni, riusciva a rivolgerle la parola senza esser trafitto dal senso di colpa. «La ricerca forsennata della bellezza, della giovinezza e dell'immortalità stessa... non portano forse alla perdizione dell'animo umano? Ottieni qualcosa in cambio di qualcosa di ben più importante. Bisogna essere disposti a perdere una grossa parte di sé per ottener tanto.»
Bröna sollevò gli occhi al cielo, infilando un dito tra le pagine e chiudendo il libro. Ecco, si ripartiva. «Prova a chiederlo al tuo amico Vaughan.»
Arthur scoppiò in una fragorosa risata. «Se gli umani fossero certi dell'esistenza dei vampiri... questo mondo pullulerebbe di adepti. Quanti vorrebbero ciò che il vampirismo ha da offrire?» Le si piazzò a sedere accanto, sul divanetto e prendendole le gambe se le sistemò sulle proprie ginocchia. Aveva giusto un paio di ore prima di un colloquio con un ricco e borioso umano con cui avrebbe dovuto far affari. Dopo le parole di Vell di quella mattina, aveva bisogno di un svago. Chiacchiere leggere. E Bröna era sempre lì per lui. E forse lui era un vile bastardo ad approfittarne.
«Non li biasimo. La vita eterna, la giovinezza eterna... è una dolce tentazione per chiunque. "Sono umani"... si dice così, no? Invecchiare, morire... son i timori viscerali di ogni essere conscio di aver sulla testa una data di scadenza.» Bröna ravviò una ciocca di capelli e allungò più comodamente le gambe. «Lo stesso Dorian è consumato da questo desiderio. Un desiderio che si tramuta in ossessione e che lo porta a perdere se stesso. L'immortalità ti porta a pensare che puoi fare tutto, che niente ti intaccherà... persino le azioni più immonde perdono il loro peso.»
Un desiderio che si tramuta in ossessione.
Arthur distolse lo sguardo, massaggiandole i piedi nudi. «Stai forse dicendo che anche certi desideri corrompono la purezza del nostro animo?»
«Oh, sì...» rispose flebilmente lei. Ma stavano ancora parlando di Dorian Gray? Bröna era certa che il desiderio che provava per Arthur le avesse intaccato animo, corpo e mente. Corrosa fino a lasciarla spoglia. «Esistono desideri in grado di inquinare il cuore e l'animo. Desideri capaci di farci dare il peggio di noi, di farci tirar fuori il nostro lato peggiore. Dorian Gray è la rappresentazione letteraria di ciò che ognuno di noi potrebbe essere... se solo trovasse la giusta occasione.»
«Tu però sei una che non bada alla data di scadenza, eh? Te ne infischi della morte. Non cerchi bellezza eterna e immortalità.» Voleva essere una battuta e invece il tono gelido con cui parlò sembrò molto più simile a un rimprovero. Forse perché sapeva bene che a Bröna della vita non importava nulla. In fondo, glielo aveva dimostrato anche qualche giorno prima.
«Non me ne faccio niente di tutte quelle cose se non posso avere te» gli rispose francamente. Arthur trasalì e girò la testa, negandole uno sguardo e lei rimase a fissarlo in silenzio, con bisogno. Voleva toccarlo. Toccarlo e baciarlo. Si allungò verso di lui e vederlo ritrarsi fu la solita e lancinante pugnalata in pieno petto. «Lascia che...» Gli raggiunse le labbra con due dita e il viso di Arthur si deformò in una smorfia di dolore. Il suo tocco gli faceva male. Il suo tocco lo disgustava.
Ritirò la mano, serrandola a pugno.
«Bröna lo sai che io...» Arthur scosse il capo e sospirò.
Una trafittura, dritta al petto.
Dannazione! Lo sapeva. Lo sapeva, eccome! Glielo diceva praticamente ogni volta che si dilungavano a parlare e lei, come una sciocca, non riusciva a frenare quel desiderio lancinante di toccarlo, di essergli più vicino e ridurre quelle distanze fisiche e mentali. Probabilmente non era nemmeno solo il sesso ciò a cui anelava. Il suo bisogno era più radicato, più mentale. Era più la speranza d'esser notata e messa al pari delle altre, esser guardata come una donna e dimostrargli che i sentimenti che provava non erano qualcosa contro-natura ma emozioni che avrebbe potuto accettare o rifiutare come un semplice uomo fa con una semplice donna. «Già.» Si strizzò le dita e cercò con lo sguardo qualcosa in grado di occuparle la mente abbastanza da ricacciare indietro le lacrime. Era sempre così.
Quando Arthur vide che non insisteva ne restò sorpreso e turbato. Solitamente Bröna si spingeva oltre i limiti che le imponeva e invece ora il suo sguardo era vuoto, nei suoi occhi c'era dolore ma anche rassegnazione. La stretta che sentì al petto gli fece afferrare quel viso con irruenza. La obbligò a guardarlo. «Bröna, ti prego... ti scongiuro... non fare così, cerca di capirmi.» Ma a esser sinceri non si capiva nemmeno lui. Gli faceva male quando la sorella lo obbligava a prendersi quell'amore a forza e al contempo gli faceva male vederla in quelle condizioni per ciò che le negava.
«Lasciami, Arthur! Ti ho detto di lasciarmi.» Non voleva capire. Non voleva accettarlo. Girò il viso per non incontrare i suoi occhi. Quello sguardo pieno di dolore e giudizio faceva più male delle botte che le avevano dato gli scagnozzi di Marius.
«No. Anzi, adesso ti giri e mi guardi. Adesso parliamo. Parliamo di tutto e per bene» biascicò lui, tirandola verso di sé. Poi un flashback. Quelle parole. Le stesse che aveva usato nel suo sogno. S'immobilizzò di colpo e mollò la presa come se bruciasse. Balzando indietro per poco non cadde dal divano e lei lo fissò confusa e arrabbiata.
«Io non ti capisco!» Lo colpì allo stomaco con un pugno. Poi colpì ancora, con le lacrime agli occhi che rotolavano giù a rigarle il viso. Aveva tentato di resistere ma alla fine si piegava sempre. Era un male che non sapeva nascondere. «Non sono una marionetta che fa quello che vuoi tu. Non posso sorridere a comando. Non posso fingere che sia tutto a posto.»
«Lo so» borbottò lui.
«E allora cosa vuoi? Che faccia il giullare per alleggerirti la coscienza?» Si alzò di scatto. «Se proprio ti fa male vedermi così e ti da tanta repulsione toccarmi anche solo un polso... non venire a cercare la mia compagnia per occupare i tuoi tempi morti.» Si spostò verso la porta, il libro stretto nella mano e la voglia di tirarglielo addosso.
«Bröna, aspetta. Cazzo!» L'avrebbe voluta raggiungere, abbracciare e scusarsi. Per poi ripeterle che no, tra loro non poteva esserci nulla. Era un controsenso vivente. Doloroso ma immutabile.
Lei si voltò a guardarlo. E con quella sola occhiata lo inchiodò sul divano, scoraggiando ogni sua possibile idea di rincorrerla. «Vado in camera a riposarmi... dopo quello che... bé, mi sento ancora debole.»
Lui si limitò ad annuire e la fissò mentre usciva a passo spedito. Quando fu solo, colpì con un pugno il divano. «Fanculo! Cazzo!»
Bröna lo sentì imprecare mentre era ancora in corridoio e quel lato poco equilibrato del fratello la fece sorridere. Alla fine, era anche per questa sua sfumatura che se n'era innamorata. «Stupido King» sibilò piano, stringendo al petto il libro di Dorian Gray e filando dritta in camera. La testa le girava davvero. Litigare con Arthur riusciva ad affaticarla come se facesse una corsa.
Salì le scale verso il piano superiore, passando davanti alle varie camere da letto. Sbirciò dentro ognuna. Tutte vuote. Le sue sorelle dovevano essere sparse in giro per la villa a far le cose più disparate. Chinò il capo e si morse il labbro, invidiando un po' la facilità con cui riuscivano a compiere gesti ordinari senza sentir affanni. Anche lei avrebbe voluto esser più in forze. Anche solo per il gusto di farsi un'ora di palestra insieme a tutte le altre, come una ragazza normale. Sospirando afferrò il pomello della porta, decisa a barricarsi in camera come suo solito.
«Sapevo di trovarti qui.»
Bröna s'irrigidì e si voltò palesando nell'espressione la poca voglia che aveva di parlare. «Buongiorno, Vell.» Lei era proprio l'ultima persona che avrebbe voluto incontrare. «Cercavi me?» Calma. Doveva stare calma. Prese un respiro e guardò l'altra leonessa. Tra loro le cose erano andate peggiorando e vederla lì la metteva sulla difensiva. Anche se si era scusata per le brutte parole dette, Bröna non dimenticava. Era malata, non stupida.
«Sì, esatto.» Vell le sorrise e afferrandosi una ciocca di capelli iniziò a girarla sul dito. Non sapeva come iniziare il discorso. Era andata lì con uno scopo ma temeva che le cose potessero sfuggirle di mano come sempre. Bröna le faceva questo effetto. La faceva arrabbiare ed esser gelosa. In lei c'era ciò a cui Vell aveva sempre ambito, un riguardo particolare da parte del proprio King che lei non aveva mai avuto.
«Dimmi tutto» le disse sbrigativa l'altra. Sentiva la testa pesante e un crescente bisogno di stendersi. «Ti ascolto» aggiunse.
«Sono venuta per una benedizione» biascicò Vell a denti stretti, espirando l'aria rumorosamente. Non capiva come mai la presenza di quella leonessa riuscisse ad animare i suoi peggiori istinti. Forse era proprio la consapevolezza che Arthur la guardasse in modo diverso, che le riservasse un trattamento speciale, che la preferisse alle altre.
«Come?» Bröna pensò di aver sentito male.
«Sono venuta a cercarti per chiedere la tua benedizione.»
Sul volto della leonessa comparve un sorrisetto crudele. «Forse intendi estrema unzione...»
Ma Vell non colse l'ironia pungente e la fissò di sottecchi, sbattendo quelle folte ciglia in grado di ammaliare sia uomini che donne. Anche se con Bröna non funzionava. «Stamattina io e tuo fratello abbiamo avuto una chiacchierata interessante.» Tacque. Si passò la lingua sui denti e accennò un sorrisetto. «E ho deciso di far parte dell'harem a tutti gli effetti.»
Bröna si appoggiò con la schiena contro la porta. Non sapeva bene nemmeno lei come prendere quella notizia. «E quindi? Non capisco. Vuoi la mia benedizione per far parte di questa famiglia? La maggioranza ha già deciso, no? Che ti importa del mio pensiero? È superfluo ciò che penso... come sempre a dir il vero.» Bröna rise. Una risata secca e scortese. «E poi, lo sai che non mi piaci. Lo sai che ti vedo solo come un ricettacolo di guai. E sai che dopo le cose che mi hai detto mi piaci ancor meno. Non mi fido di te.»
«Lo so, sì. Ma tu sei molto importante per Arthur... speciale, oserei... quindi volevo lo sapessi. Volevo lo accettassi e lo approvassi.»
Bröna deglutì. C'era qualcosa nella voce di Vell che le faceva sospettare non fosse sincera, che non fosse lì in veste pacifica a chieder una tregua. Un tono graffiante che le dava repulsione e la spingeva a non rivolgerle la parola, mai. Un po' come se avvicinarla fosse preludio di dolore. E forse era così, forse Vell si divertiva a farle male. «Io valgo tanto quanto le altre. Non ho nulla di speciale.» Anzi, la sua specialità era proprio il non essere speciale.
Sul volto di Vell passò un'ombra scura, seguita subito dopo da un sorriso ferino. Sollevò il capo e la fissò intensamente. «Sicura? Eppure son certa che tu sia davvero essenziale per Arthur, unica... in fondo, sei sua sorella, no? Ecco perché volevo la tua benedizione.»
Bröna serrò il libro e la fissò con rabbia. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, chissà che ne sarebbe stato di Vell in quel momento. «Bene. Hai la mia benedizione. Ciao.» Si voltò verso la porta e afferrò il pomello ma la mano di Vell si chiuse sulla sua e la bloccò. Con irruenza la spinse contro la porta, comprimendola con il proprio corpo. Crudele come mai prima d'ora. Tanto che Bröna restò atterrita da quella violenza.
«Quindi...» Si avvicinò al suo orecchio parlò piano, in maniera quasi impercettibile: «Quindi posso scoparmi tuo fratello? Mi dai il permesso?» sussurrò, facendola rabbrividire.
«Stai chiedendo a me... proprio a me... il permesso di farti mio fratello?» Rise. Era assurdo. Non sapeva se considerarla una beffa o una crudeltà. Come se volesse sottolinearle quel limite.
«Esatto. Visto che per lui sei speciale... voglio la tua approvazione.»
Bröna sbuffò una risata. «Hai proprio una gran faccia tosta, sai?» Cercò di spostarsi ma l'altra leonessa la tenne bloccata. «Lasciami, Vell! Lasciami prima che usi Dorian Gray per schiaffeggiarti a sangue.» Gli occhi di Bröna divennero gialli e un ringhio le uscì dalle profondità della gola.
Ma Vell non mollò la presa. Sentiva di doversi imporre su Bröna, di doverle imporre quella nuova realtà dei fatti. Bröna era il suo ultimo ostacolo. Voleva che la leonessa capisse e accettasse, che si facesse da parte e le venisse strappata quella sua esclusività. Lei non era speciale per Arthur. Non era niente. Non doveva essere niente. «Dammi la tua benedizione, Bröna... avanti. Dammela.»
Le unghie di Bröna si trasformarono in artigli, affondando nel legno della porta. Raramente la sua natura mannara risaliva a galla. La affaticava troppo e quando accadeva ne perdeva il controllo. «Levati, Vell... o temo di non rispondere delle mie azioni» ringhiò, una voce non più umana.
L'altra la spinse con il viso contro la porta e poi la mollò di scatto; il potere defluì di colpo, Bröna si trovò senza energie e scivolò in terra. Il libro le sfuggì di mano e la testa le girò vorticosamente. Stava per vomitare.
«Ti renderò la vita un inferno.» Era chiaro ormai come Vell vedesse Bröna. Una limitazione alle proprie ambizioni. Dove c'era una non poteva esserci l'altra. E visto che Vell aveva deciso di prendersi quel posto, quel King e quell'harem; Bröna, la leonessa che agli occhi di Arthur era diversa e inarrivabile, era di troppo.
«La mia vita è già un inferno» biascicò Bröna, respirando con affanno. Doveva stendersi, si sentiva male. «Se vuoi rendermela peggiore, mettiti pure in fila... siete in tanti ad aver questa pretesa.»
Vell si chinò al suo livello, posandosi le mani sulle ginocchia. Tra le due ci fu uno scambio gelido di sguardi. «Tranquilla, lo farò. E questo è solo l'inizio.» Quel posto era suo. Arthur era suo. E lei avrebbe fatto di tutto pur di ottenerne il pieno controllo. Il primo passo era proprio liberarsi di Bröna e della sua patetica presenza... poi, sarebbero seguite le altre leonesse. Una ad una. Sorrise. «Solo l'inizio.» Si alzò da terra e se ne andò, lasciandola lì ancora affaticata e con il respiro strozzato in gola.
Bröna la fissò mentre spariva dalla sua vista e pensò che mai come quella volta, la bontà di Arthur era stata un male per tutte loro.
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