CAPITOLO 32

Lawrence aveva il vizio di fare sempre come se fosse a casa propria. Si prendeva queste libertà conscio che gli veniva permesso più per evitare discussioni che per effettivo piacere. Dandosi qualche pacca allo sgargiante completo si mosse per la stanza guardando e toccando un po' tutto. Tirando fuori un paio di libri dalle varie mensole disseminate nello studio ne osservò il titolo e sospirò annoiato. «Scusa, Arty... ma non hai nessun porno da farmi sfogliare mentre Alfred mi porta del tè?»

Ad Arthur andò di traverso il sorso di scotch scoppiando in un eccesso di tosse. «Ma che diavolo dici, Law?» La scioltezza con cui il Supremo stregone del Michigan chiedeva dei porno lo imbarazzava.

«Non sono di gusti difficili. Mi va bene anche qualcosa da leggere senza figure, anche se... bé... le figure me lo mandano in erezione meglio.» Girandosi con una piroetta intercettò David e gli accennò un sorriso cordiale che subito mise l'altro sulla difensiva. Quando Lawrence sorrideva in quel modo non c'era mai da stare tranquilli. «Alfred, mi andresti a prendere del tè?»

«Si chiama David» lo corresse Arthur.

Lawrence si toccò il petto sbigottito. «Davvero? ha un nome? Oh, per la barba di Merlino... dopo aver visto Batman credevo che tutti i maggiordomi si chiamassero Alfred.» Scosse il capo e posò le mani sulle spalle del povero veresh, scuotendolo con enfasi. «Scusami, Alfred. Sono contento che tu abbia un nome.»

«Ehm... ce l'ho dalla nascita, Signore!» rispose David, confuso.

L'altro si voltò sorpreso verso Arthur. «Hai sentito, biscottino? Questi Alfred ne sanno una più del diavolo.»

Arthur roteò gli occhi esasperato. «Forse volevi dire "Scusami, David".»

«Ma certo, certo... e io che ho detto?»

Quinn rantolò reprimendo il forte istinto di fuga. Se solo con Lawrence era arrivato al suo limite massimo, non osava immagiare come sarebbe finita con l'arrivo di Bae. «Lawrence, piazza quel tuo culo multicolor su questa poltrona e smetti di dire stronzate.»

Come da copione Lawrence mise il broncio. Gli altri due non ne furono affatto sorpresi. «Sei sempre scortese, Queen.» Lo faceva sempre. Storpiava il suo nome.

A Quinn venne un tic all'occhio e artigliando il bracciolo del divano domò l'impulso di alzarsi, picchiarlo e ridurlo a mucchietto arcobaleno. In compenso si estrasse l'ennesima sigaretta che si cacciò malamente in bocca.

«Siediti pure comodo, Law» tentò di intercedere Arthur, notando che gli animi iniziavano già a scaldarsi. Quinn era suo amico ma non si poteva certo definire un tipo paziente e così, toccava sempre a lui fare da intermediario.

«Grazie, caro Arty. Lo farò. Ma prima...» Lo stregone si voltò verso David e prendendogli le mani le congiunse a preghiera. Sarebbe stata una lunga serata per il maggiordomo. «Alfred, carissimo... potresti andare a farmi un tè Oolong con una spruzzata di lime, un goccio di latte e due zollette di zucchero?»

«Oo-che?» domandò David, fissandolo stralunato.

«Oolong, sciocchino. Ora va'... va' e stupiscimi!» L'aria divenne satura di potere, ronzò e scoppiettò in brevi scintille e quando Lawrence schioccò le dita David sparì dallo studio. Puff. E poi il nulla. Il vuoto. Come se mai fosse stato presente nella stanza.

Arthur si passò una mano sul viso. Erano riuniti lì da pochi minuti e già si sentiva provato. «Law, potresti evitare di smaterializzare il mio maggiordomo?»

«Oh, scusa biscottino... hai ragione.» Con un'altra schioccata di dita fece ricomparire David. Il poveruomo barcollò rischiando di stramazzare al suolo mentre tra le mani stringeva una brocca vuota per il tè. Non appena fu stabile, lo stregone gli diede qualche pacca d'incoraggiamento sulla spalla e lo spinse con delicatezza verso la porta. «Ecco... ecco... va'. Va' e fai quello che fate voi maggiordomi quando fate il tè» disse sbrigativo, agitando una mano. Poi si voltò verso il King con espressione entusiasta. «Eh? Come sono andato?»

Ad Arthur uscì dalle labbra un gemito molto simile a un gorgoglio sofferente. Quinn rantolò ancora. La serata era partita con il botto, forse un po' troppo botto.

David uscì dalla stanza, non prima di essersi scambiato un'occhiata supplichevole col proprio King. Solo allora Lawrence si mise a sedere vicino ai due, tamburellando le mani sui pantaloni alla turca dal colore azzurro fluo.

«Non ci hai ancora detto se per te va bene che questi vampiri vengano a stabilirsi in Michigan.»

«Ci sono pochi stregoni sul territorio, la mia scelta ha poco conto. Il Michigan è pieno zeppo di mannari e credo che il voto rilevante in questa decisione spetti solo ad Arthur.» Il suo tono era serio, il suo sguardo intenso e perso nel vuoto. Quando si parlava di cose importanti Lawrence cambiava completamente e sapeva ben dimostrare il motivo per cui era arrivato dov'era e anche quello per cui veniva temuto. Sollevò il capo dalla fascia in stoffa che stava tormentando a suon di pizzicotti e inclinò il capo. Un bagliore cangiante gli passò veloce come vento nelle iridi. «Ma non ti preoccupare, Arthur. Nel caso fossero un problema, al massimo li ammazziamo tutti.» Sulle labbra gli spuntò un sorriso ferino e Quinn rabbrividì.

Lawrence era anche questo. Aveva un'aura da ragazzino, un comportamento infantile e spesso indecifrabile perciò questa scioltezza con cui ammetteva di poter uccidere una manciata di vampiri solo per gusto personale era di per sé ancor più scioccante. In lui non esisteva una distinzione tra bene e male o giusto e sbagliato, proprio come i bambini. Faceva e seguiva solo ciò che più lo interessava, senza preoccuparsi dell'impatto che le proprie azioni potevano aver sugli altri. Questo era un comportamento tipico dei demoni, Quinn lo sapeva bene, eppure non smetteva mai di restare sorpreso per la naturalezza con cui lo stregone parlava di morte e uccisioni. Come se fosse un gioco.

David tornò con il vassoio del tè. C'erano fettine di limone, latte e una vastità di bustine diverse. «Signor Harks le ho portato un'ampia scelta di tè, così magari può scegliere di provarne uno nuovo se le aggrada.» Appoggiò il vassoio proprio sul tavolino davanti a lui. Non gli disse che non aveva minimamente idea di quale fosse il tè Oolong ma era implicito nelle sue parole.

Lawrence batté gioiosamente le mani. «Oh, Alfred... stupendo! Stupendo!» Sfogliò le bustine come un catalogo di alta moda e ne scelse una nuova, mai provata. Si servì da solo. La mise ammollo nella brocca e poi dopo averla lasciata un po' in infusione si riempì la tazza. Gli altri lo restarono a guardare in silenzio, aspettando i suoi comodi. Quando la sorseggiò chiuse gli occhi e sospirò compiaciuto. «Delicata al palato e dal sapore fruttato.» Bevve un altro sorso. «Certo che sono cafoni questi succhiabiscottini... insomma, chi indirebbe una riunione dopo l'ora di cena? Non sono nemmeno riuscito a farmi la mia maschera ai cetrioli!» Se ne uscì d'un tratto, posando la tazza.

«Bé, non ci potevano certo dare udienza di giorno, Law. I vampiri escono quasi esclusivamente di notte. E lo sai che quando si fanno certe riunioni si cerca sempre di andare incontro alle esigenze di tutti.» La pazienza smodata di Arthur certe volte gli faceva credere che meritasse un premio annuale, una fascetta commemorativa, una coppa... qualsiasi cosa.

«Cosa? Non lo sapevo. Giuro. Pensavo potessero uscire. Insomma... ieri sera per saperne di più ho guardato Twilight. E lì i vampiri vanno a scuola.» Sospirò. «Eh, cosa darei per una pelle così luminosa e abbagliante... cosa darei...»

«Ma che cazz...» ringhiò Quinn, fissando Arthur che aveva ripreso a scuotere la testa ormai totalmente sconfitto.

«Inotre sono rimasto male quando ho scoperto che succhiano sangue. Mi è sembrata una moda strana, tipo Herbalife... che poi, chi mai berrebbe quella roba? Cioè... sa di ferro, per la barba di Merlino! Sai che alito...»

«Law!» ringhiarono gli altri due, esasperati.

Lawrence sollevò le mani in aria. «E va bene... e va bene... domani guarderò anche Dracula Untold... così studio meglio le loro origini.»

Entrambi avrebbero voluto dirgli di prestare più attenzione alle parole o comunque non essere così frivolo una volta arrivati gli ospiti ma il loro rimprovero venne troncato sul nascere dell'entrata di David che facendo un breve inchino annunciò l'arrivo di altri due invitati. «I Signori Uther Fox e Saxon Moore sono qui.» Si fece da parte lasciandoli entrare e la loro presenza portò una ventata gelida di potere.

Lawrence si frizionò le braccia tracannando una grossa sorsata di tè, Arthur invece si alzò dal divano e li raggiunge, tendendo loro la mano come un buon padrone di casa. «Sono felice di vedervi.»

Entrambi gli sorrisero e ricambiarono la stretta. «Era un po' che non ci riunivamo, Arthur. Sembri in forma come tuo solito.» Il giovane King era stimato tra i suoi colleghi esponenti. Erano la sua diplomazia e l'impeccabile cortesia ad aver fatto breccia nei cuori anche più ruvidi come quello di Quinn. Piaceva un po' a tutti e molti di loro, nonostante le divergenze, riuscivano grazie a lui ad andare d'accordo senza troppi intoppi.

Uther si lisciò la folta barba bionda e guardando al di là del King storse il naso. «Oh, ci siete anche voi» biascicò alla vista di Lawrence e Quinn. Il demone non rispose, lo stregone agitò la mano con eccessivo ardore.

«Per fortuna siamo arrivati in tempo. Temevamo fossero già arrivati.» Saxon si guardò attorno. Non erano tante le volte che aveva fatto visita a villa King. Era una dimora che gli piaceva e tutto quel bianco riusciva a rillassargli i sensi. Arthur aveva buon gusto.

«No, non ancora. Ma spero arrivi anche Bae prima del loro arrivo.» Il Principe elfo arrivava sempre per ultimo. Non era una novità. Sembrava quasi lo facesse di proposito.

Quinn roteò gli occhi, rabboccandosi il bicchiere di scotch. Coraggio liquido. Aveva bisogno di una ricca dose di quello per riuscire a sopportare quell'elfo dalla puzza sotto il naso. «Quel fighetto arriverà all'ultimo, come ogni buona Principessina che si rispetti.» Quella battuta riuscì a strappare un ghigno a Saxon che si coprì la bocca per tornare serio.

Mentre raggiungevano i divanetti i due uomini presero posto vicino a Lawrence piuttosto che al demone. Non che non andassero d'accordo con lui ma la sua natura bellicosa finiva sempre per portarli al litigio. Trovare un punto in comune era molto difficile.

«Ho fatto alcune ricerche. Non sembrano un gruppo numeroso.» Uther allungò ad Arthur un plico di fogli che venne subito sfogliato e passato tra i presenti. «È una comunità ristretta. Un centinaio di individui, nemmeno troppo antichi.»

«Un centinaio?» rantolò Saxon, sfogliando le varie pagine del fascicolo. «Son anche troppi.»

Il timore generale era che il loro arrivo rompesse l'equilibrio faticosamente creato. Il Michigan era uno dei pochi Stati senza lotte intestine tra razze e ai suoi esponenti andava benissimo anche così.

«Volete del tè?» domandò Lawrence, spezzando la tensione; o almeno provandoci, più o meno. Tutti lo fissarono senza parole. Riusciva sempre a risultare inopportuno. «Quindi non ne volete, eh?» Si riempì di nuovo la propria tazza.

«Sono teso. Lo ammetto.» Per quanto Saxon non piacesse a Quinn, tra tutti era il più equilibrato. Sapeva essere ragionevole e sotto alcuni aspetti perfino accomodante. «Questa nuova entrata nel territorio potrebbe destabilizzare tutti quanti. Gli elementalisti sono pochi ma non mi piacerebbe l'idea di sentirmi minacciato a casa mia.»

Uther annuì. «Condivido. Anche noi figli dell'acqua siamo pochi... e non abbiamo intenzione di cambiare il nostro stile di vita per adattarci ai vampiri.» Su questo era inflessibile. Ravviò la chioma e alcune perle incastrate nelle varie treccine tintinnarono tra loro. Era un bell'uomo. A guardarlo gli si davano sui quarant'anni, anche se alle spalle aveva diversi secoli. Tritoni e sirene erano conosciuti per la loro longevità e come le fate spesso vivevano una media di cinquecento o seicento anni, invecchiando con lentezza indicibile.

Gli elementalisti non avevano la stessa fortuna. Erano come umani ma potenziati grazie ai poteri speciali derivanti dagli elementi. La loro vita aveva un ciclo umano normale ma spesso chi abusava del potere ne poteva essere consumato, come se il troppo utilizzo accelerasse l'invecchiamento.

«Gli spiegheremo bene le nostre regole» li rassicurò Arthur, che nonostante tutto condivideva le medesime preoccupazioni. «Se si atterranno alle regole, bene. Altrimenti li bandiremo dal Michigan.» Tutti annuirono.

«Hai ragione. Meglio sempre essere chiari sin da subito. Ti prego di perdonare il mio scetticismo.» Saxon allungò il braccio posandogli una mano sul braccio e i due si scambiarono un cenno col capo.

Era un grosso cambiamento per il Michigan. E Arthur ne era conscio. L'impatto sui mannari sarebbe stato brutale. Temeva che i suoi sudditi non fossero ancora pronti per una convivenza pacifica, soprattutto i lupi mannari, acerrimi nemici dei vampiri. Le preoccupazioni erano a non finire ma d'altronde non poteva rimandare in eterno questa scelta. Quella sera avrebbero capito se la coesistenza tra le due razze era possibile.

«La riunione di questa sera serve anche per questo. Vedranno che siamo tanti, che facciamo fronte comune... capiranno subito che siamo un gruppo coeso. Saremo chiari.» Per una volta tanto gli altri si trovarono d'accordo con Quinn.

«Se lasciate parlare me filerà tutto liscio... come sempre, d'altronde» disse una voce proveniente dalla porta. Sollevarono tutti il capo e Arthur non riuscì a reprimere un sorrisetto divertito quando notò la smorfia di Quinn alla vista di Bae.

«Ben arrivato!» lo accolsero tutti, salutandolo, chi più chi meno.

«Alla buon ora, elfo!» biascicò il demone.

Bae entrò nella stanza infilandosi un elastico tra i denti. Si passò le mani nei capelli legandoli in una rapida coda alta. Erano di un biondo tendente al bianco, così lisci e lunghi che anche da legati gli arrivavano alla cintola. Le orecchie a punta sbucarono non appena li tirò indietro, costellate di piercing e con dei lunghi orecchini a pendente nei lobi. C'era qualcosa di regale nel suo portamento, sebbene indossasse abiti del tutto casual: dei jeans bianchi aderenti e una felpa nera con cappuccio, nei piedi aveva delle Vans a scacchi bianchi e neri. Un ragazzino con poco meno di mille anni. «Buonasera bella gente.» Salutò con un'alzata di mento. «Bella... oddio...» aggiunse, guardando Quinn che gli mostrò un sorriso fatto di denti appuntiti e un sottile vaffanculo non detto.

«Finalmente, biscottino! Ero stanco di stare da solo con questi bifolchi.» Lawrence si alzò dalla poltrona di slancio acciuffando l'elfo sotto braccio, come ad ogni loro incontro gli passò le dita tra i capelli e sospirò. «Così lucenti e morbidi e profumati...»

Bae rise. «Uso solo roba naturale. Il mio corpo è il mio tempio.»

«Tempio di 'sto caz-» Arthur tappò la bocca di Quinn prima che terminasse la frase. Ciò nonostante, tra demone ed elfo ci fu un'occhiata densa di rancore.

«Sono contento di vederti, Quinn.» Bae ghignò.

«Oh, anche io... da morire» rispose l'altro, accompagnando l'ultima parola da una sferzata di potere che gli accese con un crepitio la sigaretta spenta che tratteneva tra le labbra.

«Avanti, non mi tenere il broncio. Se ti brucia ancora per il nostro ultimo incontro... se vuoi... posso darti la rivincita.»

Quinn si alzò di scatto, puntandogli il dito. «Rivincita? Per vederti ancora barare? Oh, cazzo... proprio no, elfo. Non mi fregherai più.»

Bae avanzò minacciosamente. «Cos'è... hai paura?»

Nell'aria si levarono due poteri densi e pesanti, uno fresco e fruttato, l'altro bollente e acre. La stanza sembrò improvvisamente rimpicciolire e tutti i presenti presero a frizionarsi gli arti accusando i primi pizzicori dovuti all'energia che si stava addensando.

«Paura? io?» tuonò Quinn. «Arthur! Dove cazzo hai il tuo biliardo, eh?»

Il King strabuzzò gli occhi. «Bi – biliardo?» balbettò, spaesato. «State davvero parlando di una partita a biliardo?»

«E di cosa sennò?» ringhiarono gli altri due, con gli occhi scintillanti di potere e un'espressione furente a sfigurarne i visi.

«Ho bisogno di altro scotch» ammise il mannaro, afferrando la bottiglia e versandosene una generosa dose.

«Non litigate, biscottini» cinguettò Lawrence, aprendo le braccia platealmente e picchiettandosi più volte le dita sul petto. «Vi permetto di placare le vostre ire usando il mio corpo. Forza. Venite. Venite e usatemi. Sono pronto.»

«Lawrence!» gridarono tutti, in un unico coro di voci.

Lo stregone si nascose dietro Bae. «Li vedi, Bae? Li vedi quei loro sguardi carichi di insoddisfazione sessuale? È per questo che mi trattano così. Io semino amore... ma loro sono aridi. Loro non mi amano.»

Bae gli posò una mano sul capo, arruffandogli i capelli. Tra tutti era l'unico che in qualche modo assecondava i suoi sproloqui. «Non ci fare caso, Law... tu fai del tuo meglio e vedrai che non avrai mai di che pentirtene.»

«Hai ragione. Detto questo allora... vi darò il mio corpo a forza. Instillerò il mio amore dentro di voi costi quel che costi.» Allontanandosi dall'elfo lo stregone iniziò ad aprirsi la giacca, scoprendo il petto glabro e dal pallore etereo. «Prendetemi. Prendetemi» gridò, gettando i vestiti in terra alla rinfusa.

«Cazzo, ancora una volta, no!» berciarono un po' tutti, alzandosi con gran slancio dai divani. E ci fu uno scalpitare generale tra corse, placcaggi, strette energiche e imprecazioni colorite. Riuscirono per lo meno a bloccarlo prima che fosse troppo tardi, mentre tentava di sfilarsi i pantaloni.

David rimase immobile sulla soglia osservando quei sei uomini, teoricamente i massimi esponenti del Michigan, in un groviglio di vestiti, braccia, corpi dall'aria discutibile e fraintendibile. Erano crollati in terra ammassati l'uno sull'altro. «Ehm... Signori... non vorrei disturbare le vostre preziose consultazioni ma... i vampiri sono arrivati.» Tutti si voltarono a guardarlo con espressioni tra lo stralunato e il folle.

«Oh, ah!» biascicò Arthur. «Arriviamo» ansimò, mollando di scatto la cintura di Lawrence e dandogli qualche pacca per rimetterlo in sesto.

«Rivestiti prima che ti riduca una fottuta palette di ombretti» gli ringhiò all'orecchio Quinn, sbattendogli sul petto la camicia.

Si rialzarono tutti e Lawrence si coprì con pudore. «Siete dei bruti» sibilò oltraggiato, infilando la camicia. «Io mi dono a voi... e voi mi ripagate così.» L'occhiata di Quinn lo mise definitivamente a tacere. Il demone gli allungò la mano e con uno strattone lo sollevò da terra.

Quando tutti sembrarono riacquistare una parvenza di controllo, David aprì la porta dello studio e segnò la hall. Senza aggiungere altro i sei uomini si spostarono lungo i corridoi di villa King. 

«Se mi vogliono succhiare il sangue io grido, eh» bisbigliò Lawrence all'orecchio di Bae che scosse la testa.

«Non lo faranno» lo rassicurò l'elfo, augurandosi che lo stregone non gli facesse fare qualche figuraccia.

I vampiri attendevano sulla soglia. Ed erano solo tre. Vaughan al centro e ai lati due donne che con ogni probabilità erano le sue guardie.

Arthur rimase interdetto alla vista del Master. Si girò confuso a cercar lo sguardo dei colleghi che però lo ricambiarono altrettanto turbati. Tutti probabilmente si aspettavano un aitante non-morto dalle sembianze di un giovane uomo. E invece ad aspettarli c'era un bambino.

Sì, un bambino.

La sua vita umana doveva essersi spenta intorno ai sei anni. Aveva tutti i tratti infantili ancora ben marcati, compreso un leggero rossore nelle gote paffute, sebbene fosse bianco come un foglio di carta. Indossava un completo che lo faceva sembrare una bomboniera nera, i capelli mori lisciati indietro col gel e un sorriso gentile che strideva fortemente con tutto il resto.

I presenti avrebbero voluto farsi una grassa risata eppure quando gli arrivarono in prossimità la cappa di potere che li inglobò tolse loro ogni sorriso. Un'energia buia, antica, fatta di ombre e morte. Fredda come un cadavere e dal tipico odore stantio dei mausolei. Chiunque fosse quel bambino, superava abbondantemente i mille anni di vampirismo. Arthur lo percepiva nelle ossa, nel crepitare dell'aria, nella fatica con cui prendeva fiato e nella pensatezza delle membra.

«Merda» biascicò Quinn, slacciandosi il primo bottone della camicia.

«Sembra quel bambino di The Grudge» rantolò Lawrence, stringendo la manica di Bae e nascondendosi dietro l'imponente stazza dell'elfo.

Saxon e Uther erano paralizzati sul posto. Non riuscivano a muovere un solo muscolo, soprattutto l'elementalista a cui tremavano perfino le gambe per lo sforzo.

«Piacere. Benvenuto in Michigan» disse Arthur, ospitale, allungandogli la mano in un gesto di cortesia.

Le due donne scattarono in contemporanea, veloci come il vento. In meno di qualche secondo Arthur si trovò una spada sotto la gola e una pistola puntata alla tempia. «Attento a quello che fai... micetto» lo minacciò quella con la pistola. I corti capelli rosso fuoco che ondeggiavano arruffati erano l'unico punto di colore nel vestiario total black.

Vaughan sospirò spazientito, come se non fosse la prima volta che succedeva qualcosa di simile. «Tara, Vanessa... mettete giù le armi. Grazie.» La rossa grugnì con disapprovazione. «Ho detto giù le armi, Vanessa. Non fatemi ripetere.» Entrambe rinfoderarono spada e pistola, slittando indietro e tornando ai propri posti come bravi soldatini.

Arthur non le voleva biasimare, facevano il loro lavoro in fondo; però... diamine, questa alleanza era iniziata proprio col piede sbagliato.

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