CAPITOLO 31
Bröna ci mise cinque giorni per rimettersi in piedi quanto basta per tornare almeno autosufficiente. Gli stessi giorni che servirono ad Arthur per gettarsi alle spalle l'incubo e soffocare i sensi di colpa.
Si incrociarono più volte per i corridoi della Villa, scambiandosi saluti veloci e sguardi imbarazzati. Lei per via del fattaccio, lui per via dell'incubo.
A ognuno le sue colpe.
Arthur le avrebbe voluto parlare, avrebbe voluto passare del tempo con lei assicurandosi che stesse bene ma, ora che non temeva più per la sua vita, aveva un mucchio di lavoro arretrato.
Inoltre, quella giornata sarebbe stata il preludio di una grossa svolta per il King. E forse per l'intero aggregato di sovrannaturali di tutto il Michigan. Soprattutto per i mannari. La tensione, più passavano le ore, più diventava palpabile.
A metà mattina lui e David avevano fatto un veloce briefing, ricapitolando brevemente gli appuntamenti della giornata. Come da ordini, David aveva raggruppato gli appuntamenti con gli esseri umani alla mattina e al primo pomeriggio, lasciando per pomeriggio tardi e sera quelli con i sovrannaturali.
Arthur si era così chiuso nello studio, ricevendo uomo d'affari dopo uomo d'affari. Sovrannaturale dopo sovrannaturale. Era arrivato a sera esausto e sapeva che la parte importante della giornata doveva ancora arrivare.
«Ho parlato così tanto che mi brucia la gola» biascicò verso il vuoto della stanza, abbandonandosi contro la poltrona in pelle ed espirando rumorosamente mentre spizzicava uno snack che le ragazze gli avevano passato in sordina per chiudere il buco nello stomaco.
Non voleva certo rendersi patetico alla grossa riunione che ci sarebbe stata quella sera, rischiando che il suo stomaco brontolasse davanti a tutti.
Guardò l'ora, sfogliò alcune carte e tornò con gli occhi sulle lancette dell'orologio. Le nove in punto. Mezz'ora e tutto sarebbe cambiato.
L'agitazione lo costrinse ad alzarsi dalla sedia, camminando su e giù per lo studio. Quando qualcuno bussò alla porta sentì un brivido colargli a picco lungo la spina dorsale. «Avanti» disse, calibrando il tono. Né troppo scortese, né troppo colloquiale. La faccia di David spuntò dietro l'anta aperta e Arthur non riuscì a trattenere lo sbuffo d'ansia. «David! Diamine! Mi hai fatto prendere un colpo.»
«Le chiedo scusa, Signore. Volevo solo dirle che Quinn è arrivato. Vuole che lo faccio entrare o lo accompagno direttamente al salone per la riunione?»
Arthur scosse la mano. «No, no... a lui fallo pure entrare.»
Il maggiordomo annuì, fece un breve inchino e scomparve per qualche minuto. Riapparve poco dopo, aprendo totalmente la porta e lasciando passare il demone che marciò nello studio a passo di carica. Dall'espressione contrita e le labbra strette e sottili sembrava aver un diavolo per capello.
«Se ho voglia di vedere Bae mi deve prendere un colpo subito. E visto la mia immortalità... la sto dicendo lunga» sbottò, lasciandosi cadere su una delle poltroncine accanto al divano. Si sfilò dalla tasca il pacchetto di sigarette trafficando con la pellicola dell'involucro. «Quel dannato Principe degli Elfi riesce a farmi incazzare ancor prima di degnarci della sua illustrissima presenza» sbraitò, sfilando una sigaretta dal pacchetto e cacciandosela subito tra le labbra. Per un breve istante lo studio sembrò soffocare nell'intenso calore del suo potere. Gli occhi gli divennero completamente neri e con uno schiocco, simile al crepitio di un lapillo, la punta della sigaretta iniziò a scoppiettare e fare fumo. Accesa senza bisogno di accendini ma con il semplice utilizzo del proprio potere demoniaco. Era nervoso. Non c'era nemmeno bisogno lo dicesse.
Arthur sorrise. «A ognuno i propri guai. A te Bae, a me Vaughan.» Ancora non riusciva a crederci. Un'altra manciata di minuti e avrebbe scoperto se le sue preoccupazioni erano fondate o meno. Per una volta tanto sperava di sbagliarsi ma, d'altronde, ormai non aveva più importanza; era già tutto disposto.
Di comune accordo, gli esponenti dei sovrannaturali presenti sul territorio del Michigan avevano deciso di bypassare la riunione per stabilire valida o meno la permanenza dei vampiri sul territorio e indirne una direttamente con la loro presenza. Prima avrebbero fatto le presentazioni, prima si sarebbero resi conto se era possibile una collaborazione.
Arthur aveva cercato di rimandare il più possibile quell'incontro ma quando Lawrence Harks lo aveva chiamato, non aveva più potuto fingere di ignorare la richiesta di Vaughan.
Lawrence era il Supremo stregone del Michigan. A lui spettava regolare tutte le streghe presenti sul territorio. Era un tipo simpatico, carismatico, eccentrico e particolarmente folle; tanto che si pensava non avesse tutte le rotelle a posto.
Una delle sue pecche però, era l'estrema petulanza e quando riteneva che una faccenda meritasse la giusta attenzione si trasformava in un concentrato di insistenza e sfacciataggine; arrivando a toccare soglie molto vicine all'ossessione.
Sia Arthur che Quinn ci andavano d'accordo, ognuno a suo modo. Ma Arthur voleva evitare di ricevere a tutte le ore del giorno e della notte le chiamate di Lawrence e sapeva per certo che ignorandolo questa probabilità aumentava a livelli esponenziali.
Ricordava ancora con una certa inquietudine quella volta che per una serie di eventi si era dimenticato di organizzare la consueta raccolta di beneficenza annuale.
Per quella mancanza, Lawrence lo aveva perseguitato per un'intera settimana, apparendogli in forma fisica o evanescente un po' ovunque e alle ore più improbabili. Una volta perfino durante un amplesso. Questo finché Arthur non si era deciso a prenotare una location, chiamare il catering per l'evento e fissare una data.
Lawrence sapeva distinguersi dalla massa, questo nessuno poteva negarlo.
A vederlo dal vivo non gli si dava il giusto peso, si prendeva sotto gamba il suo valore complice anche l'abbigliamento stravagante e l'aspetto acerbo ed efebico. Avere un centinaio d'anni e dimostrarne a malapena una ventina non era un biglietto da visita che faceva conquistare subito fiducia. Gli uomini d'affari che trattavano con lui credevano sempre di poterlo raggirare a proprio piacimento, eppure Lawrence sapeva bene come ottenere ciò che voleva. E la cosa assurda era che a volte ci riusciva senza nemmeno doversi alzare dal divano.
Arthur si spostò per lo studio cercando di mitigare lo stress con grosse falcate qua e là. Quando raggiunse il minibar riempì due bicchieri di scotch; uno per sé e uno per l'amico. Roba forte. Ne avevano entrambi bisogno.
Allungò il bicchiere a Quinn che lo prese senza fiatare e lo scolò in un solo colpo. «Uther e Saxon arriveranno a momenti. Me lo sento» disse passandosi una mano nei capelli scuri. Non gli erano mai andati a genio quei due, soprattutto per le idee contrapposte alle sue. Sembravano quasi volerlo fare apposta a schierarsi contro ogni sua proposta.
«Sicuramente. Sono sempre molto puntuali.»
Il demone non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto. Proprio non li riusciva a tollerare. Uther aveva la tipica insolenza dei tritoni, mentre Saxon era convinto che gli elementalisti fossero sovrannaturali di maggior valore degli altri; d'altronde nella schiera di questa categoria c'erano anche i fulgor e si sapeva bene che alta opinione avessero di se stessi. Saxon rientrava negli unda, i dominatori dell'acqua, ma nonostante ciò quando parlava dei propri sudditi non faceva distinzione da un elemento all'altro e, almeno questo, era ammirevole visto il suo egocentrismo. «Sai, li ho visti l'altro giorno al centro commerciale. Ridevano e facevano spesa insieme come una felice coppia gay.»
Arthur scoppiò a ridere, costretto a posare il bicchiere sul tavolino per non rovesciarsi addosso il contenuto. «Mi spiace rovinare le tue fervide fantasie ma sono felicemente sposati, anzi, ti dirò di più... le figlie sono migliori amiche. Forse è per questo che vanno tanto d'accordo.»
«Quei due stronzi hanno anche delle figlie?» domandò sorpreso Quinn, mettendosi a sedere più compostamente. «E io che mi auguravo non procreassero...»
«Sì, di qualche anno più piccole di me.»
«Diavolo! Mi auguro che non abbiano preso da loro... altrimenti non vorrei essere nei panni degli uomini che le prenderanno in spose.» Quinn scoccò la lingua sul palato e lasciò roteare lo scotch dentro il bicchiere. La serata era appena iniziata e già aveva urgenza di andarsene.
L'altro scrollò le spalle. «Non le conosco ma so che escono con Susan.»
Gli occhi del demone si allargarono per la sorpresa. «Susan? La Susan del mio Charles? Quella stupida orcin?» Non aveva una gran simpatia per l'orca mannara amica d'infanzia di Charles ma non poteva certo dire che fosse una cattiva ragazza, anzi, forse era una delle poche persone mai conosciute prima d'ora ad aver così tanto buon cuore da risultare perfino stupida. Probabilmente era proprio questa sua ingenuità e dolcezza ad aver spinto Charles a innamorarsene.
«Proprio lei. Hanno la stessa età e pare che quando Susan non è da Charles, la si può tranquillamente trovare in compagnia di Lydia e Rudha.»
«Una orcin, una sirena e una unda.» La risata di Quinn uscì calda e vibrante. «Sembra una squallida barzelletta.» Avrebbe fatto bene a tener per sé quella nuova informazione. Se qualcuno dei suoi sottoposti ne fosse venuto a conoscenza, non era certo di come si sarebbero concluse le cose.
I demoni avevano sempre avuto pochi alleati nel mondo dei sovrannaturali e regolare i rapporti con i loro esponenti diventava per lui un lavoro sempre più impegnativo. Soprattutto quando i propri sudditi sembravano non voler collaborare. Quinn non voleva rischiare di mettere quelle ragazzine in qualche guaio più grosso di loro. Aveva assimilato l'informazione e in qualche modo l'aveva cacciata in un angolo buio e remoto della mente, fingendo già di essersene dimenticato.
«Sembri più arrabbiato del solito» constatò Arthur, sondando l'espressione dell'amico con una certa preoccupazione. Quando il Principe dei demoni era arrabbiato, c'era sempre rischio apocalisse. «Qualche problema con i tuoi demoni?»
Quinn strinse la sigaretta tra i denti e sputò fumo dalle narici. «Magari fosse così... almeno potrei ammazzarli senza sentirmi in colpa. No, no... è colpa di quello stupido di Charles.»
Ad Arthur venne da ridere ma si impose di restare serio. «Che ha fatto?»
«Ah, lasciamo stare... che se ci penso mi vien solo voglia di smaterializzarmi e andarlo a picchiare a sangue.» Afferrò la bottiglia di scotch e se ne servì un'altra ricca dose. Quando afferrò il bicchiere si voltò verso Arthur con un'espressione stralunata a stravolgergli l'imperturbabile viso. «Ieri sera gli è venuto l'ennesimo attacco cardiaco. Così forte che temevo ci restasse secco. E oggi che fa? Si sveglia tutto euforico venendo a dirmi che vuole andare a fare un giro a cavallo. A cavallo. Te ne rendi conto? Lui! Che a malapena si regge in piedi.»
«Avrà bisogno di distrarsi» azzardò il King, sapendo che qualsiasi cosa detta non lo avrebbe minimamente placato.
«Posso distrarlo con una scarica di schiaffi se vuole» berciò in risposta, scolandosi lo schotch e posando il bicchiere sul tavolino con un tonfo.
L'apprensione di Quinn a volte sembrava esagerata, eppure Arthur sapeva bene che il demone non si allarmava mai per un nonnulla. Non sapeva nel dettaglio le condizioni fisiche di Charles, visto che nessuno ne faceva mai parola, ma era certo che se l'amico si comportava in maniera tanto protettiva nei suoi confronti aveva le sue buone ragioni.
In cuor suo, però, sperava che ciò che si raccontava in giro sulla razza dei Papilio fosse solo una terribile legenda.
La porta dello studio si aprì con un colpo facendo trasalire entrambi e un tornado di colori entrò a passo di carica nella stanza. «Biscottini, Lawrence Harks è qui per voi» squillò la voce euforica dello stregone, cacciandosi con un colpo di mano la lunghissima chioma mora dietro una spalla. Con un gesto altrettanto plateale allargò le braccia e si toccò il petto con la punta delle dita, scoccando occhiate incoraggianti in cerca di approvazione. «Vi permetterò di servirmi e amarmi. Amatemi. Amatemi senza riserve.»
«Si - Signore...» ansimò David, arrivando al suo seguito tutto trafelato e aggrappandosi alla porta con il viso rosso come se avesse appena fatto una corsa per rincorrerlo.
Arthur e Quinn si scambiarono un'occhiata e sospirarono.
E uno era arrivato.
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