CAPITOLO 3
Arthur si rigirò nel letto vuoto, allargando le braccia alla ricerca di qualcuno da stringere. Nonostante ancora fosse addormentato il suo corpo cercava automaticamente il contatto con le sue leonesse.
La massa di capelli si allargò come una criniera, i ricci ribelli gli incorniciavano il viso giovane e delicato. I tratti maschili si equilibravano perfettamente con un'eleganza quasi efebica. Le labbra carnose e rosee somigliavano a boccioli di rosa pronti da cogliere ma erano i suoi occhi a catalizzare sempre tutti gli sguardi. Verdi come un prato in piena estate, come uno smeraldo luminoso, come l'accecante speranza che una sua sola occhiata riusciva a infondere. La gente era come ipnotizzata da quegli occhi tanto vivi e caldi come il sole, come le efelidi che punteggiavano simpaticamente il suo naso e le guance, rendendolo ancor più affascinante oltre che eternamente fanciullo.
In lui convogliava tutto il sangue più puro dei King, il frutto di un perfetto connubio di geni che lo rendevano migliore di tanti altri leoni mannari, speciale. Degno. Meritevole.
Con un sospiro si girò a pancia in giù, il lenzuolo scoprì la schiena lasciando nudi i segni di un suo recente errore: sulla candida pelle stagliavano lunghe cicatrici che gli dipingevano la schiena in un triste quadro di un dolore che gli aveva lasciato il proprio marchio. Frustato con argento ed elettricità. Aveva pagato un prezzo alla sua negligenza e alla sua giovane età.
Due mani lo carezzarono dolcemente, passando le dita in mezzo ai ricci e disegnandogli con un dito il profilo fin sulla punta del naso. Arthur sospirò, strofinando il viso contro il cuscino.
Bröna continuava a fissarlo, accucciata contro il letto, domandandosi se fosse il caso di svegliarlo con un bacio o semplicemente con una carezza. Dalle labbra le uscì un basso, vibrato e prolungato bruito.
Le ragazze si erano svegliate prima di lui lasciandolo riposare ed erano andate in cucina a preparare la colazione. Lei, invece, non partecipando ad alcuna attività domestica per via della sua cagionevole salute, ne aveva approfittato per sgattaiolare nella sua camera.
Lo faceva spesso, nonostante più volte David l'avesse ripresa. Le altre potevano, lei no.
Strizzandosi nervosamente le mani, la giovane leonessa si allungò su Arthur e impresse le proprie labbra sulle sue. Il King rispose al bacio automaticamente. Sfilò le braccia da sotto il lenzuolo, con una le tenne bloccata la testa e con l'altra le cinse il corpo minuto. Le lingue si fusero in un bacio caldo e bollente, denso di potere e desiderio. Un intreccio di saliva, gemiti, sentimenti traboccanti e istinto primordiale.
Quello era l'unico momento che Bröna riusciva a essere desiderata da Arthur.
Il Magister mugolò con un sorriso, gli occhi ancora chiusi. «Ma che bel risveglio.»
«Già, buongiorno.»
Arthur sgranò gli occhi di scatto. «Bröna.» Allargò le braccia sottraendosi da quell'abbraccio e si mise a sedere trafelato. Quella leggerezza di poco prima era svanita in un battito di ciglia. «Buo – buongiorno, sorella.»
Un triste sorriso scivolò sul viso della fanciulla. Sì, sorella. Lei era la sorella di King. E non c'era attimo che lui non glielo ricordasse con forza e in maniera quasi dolorosa.
Bröna chiuse gli occhi, sospirò, il cuore tremò fino a sgretolarsi. Doveva ricomporsi. Doveva sorridere. Doveva cercare di tenersi stretta quei cocci rotti che le stavano in petto colmando quella voragine insanabile. Ne aveva bisogno. Anche se erano briciole. Anche se probabilmente non le sarebbero mai serviti a nient'altro che soffrire ancora. Di più.
L'amore cocente che covava per lui sin dalla sua infanzia non era per nulla appassito. Nemmeno quando era diventato Magister, nemmeno quando era diventato Erus e aveva finalmente ottenuto il proprio harem personale.
Lui però non la voleva. Glielo continuava a ripetere dolcemente a ogni occasione, ma anche se il tono era gentile, quelle parole la ferivano più di mille coltellate.
Non posso amarti. Sei mia sorella... non ti vedo in altri modi.
Sì, siamo bestie... ma solo in parte. La mia natura umana non cesserà mai di vederti come una sorella.
E così lei si ostinava, si feriva, non mangiava, cercava attenzioni. Non lo lasciava quell'harem maledetto, quello che le stava rovinando l'esistenza. Non lo mollava a quel fratello tormentato di dispiacere per il suo lento declino.
E più e più volte lui le aveva proposto soluzioni che la allontanassero da lì, per il suo bene diceva, eppure per lei l'unico bene era restare al suo fianco. Restare lì e sperare. Sperare che un giorno quegli occhi si posassero su di lei e la vedessero come tutte le altre, degna di giacere nel suo letto e degna di quelle attenzioni che puoi dare a ogni femmina del tuo harem.
Bröna serrò i pugni e le labbra si fecero sottili, la furia di un'imminente scenata le ribolliva addosso pronta a eruttare come un vulcano. Quando aprì gli occhi si sentì trafitta dal suo sguardo turbato e questo le fece ancor più male.
Le dita di Arthur le tracciarono una carezza sulla guancia. «Stai bene, sorella?»
Ancora. Ancora quel "sorella". Ancora a ricordarle quel legame di sangue che lei tanto odiava. Bröna accennò un altro dei suoi sorrisi sbagliati, di quelli che ci sono ma in realtà non hanno senso d'esistere. Sorrisi falsi e dolorosi. «Sì, fratello. Sono solo venuta a svegliarti.»
Le spalle di Arthur si rilassarono, la tensione sembrò sciogliersi nell'aria. Il timore di una richiesta a cui non avrebbe potuto dar accoglimento abbandonò il suo viso e le ombre lasciarono posto a un sorriso gentile. «Sono veramente felice che mi hai svegliato. Grazie, Bröna.» Si allungò posandole un bacio delicato in fronte.
La giovane leonessa fu assalita da un brivido, ogni volta che la chiamava per nome qualcosa in lei andava in frantumi. Il calore di quel bacio si sciolse fino a raggiungerle il cuore. Le si riempì con poco quel cuore arido di amore, così disposto a donarne a volontà e così ingabbiato in un dolore senza vie di scampo.
Allungò una mano e intrecciò le dita in quelle del fratello, rimase immobile così, a guardarlo appena sveglio. Arthur non se ne rendeva conto ma era splendido come il sole. La sua bellezza poteva eguagliare quella dei più famosi modelli e i suoi modi di fare trasudavano mascolinità in ogni gesto, senza che nemmeno si sforzasse.
«Hai fatto colazione?»
Lei negò con la testa, si morse il labbro e lui le strinse un po' la mano attirandola a sé in un abbraccio. Con il volto affondato nel suo petto Bröna sentì il cuore scalciare. Un villano desiderio si fece strada nelle pieghe della sua mente, scivolando giù fin sotto le mutandine. Si sentì eccitata e le gote avvamparono d'imbarazzo.
Possibile che solo a lei facesse questo effetto la loro vicinanza?
«Devi mangiare, Bröna. Mi farai preoccupare.»
D'istinto la giovane affondò le unghie nella schiena del fratello che si irrigidì. «Mi – mi dispiace.»
Arthur le carezzò la testa. «Non ti preoccupare. L'importante è che fai del tuo meglio, no? Io sono certo che ci riuscirai.» Bröna ebbe un sussulto e nascose il viso con vergogna. Il naso le strofinò contro la pelle nuda. Respirare il suo profumo la confondeva e la rilassava. La gettava in un limbo senza fine fatto di amore e odio, di gelosia e rassegnazione, di felicità e sofferenza, di colpa e pretesa.
«Ci – ci proverò.»
Tacquero a lungo, restando in quella posizione. Vicini fisicamente ma lontani con i cuori. Lei si sentiva sempre così. Anche se poteva tenerlo così stretto, in realtà era come se non lo toccasse affatto. Un muro. Una barriera. Il suo amore non lo avrebbe mai sfiorato. Lui non avrebbe mai assaggiato la vastità della sua devozione. «Ah, Bröna... se solo potessi fare qualcosa... trovare una soluzione a tutti i tuoi dispiaceri.» Era addolorato, il tono greve e costernato. Avrebbe davvero fatto di tutto pur di renderla felice.
Tutto, o quasi.
L'unica cosa che lei voleva, lui non intendeva dargliela.
Puntellando le mani sul petto nudo di Arthur, Bröna si sollevò per guardarlo in faccia. «Una cosa potresti farla.»
«E cosa?»
«Baciami. Baciami, fratello.»
Agitazione. Covata là, in fondo allo stomaco. Nel volto del giovane King passò veloce come una pioggia estiva. La fissò di sottecchi e scosse brevemente il capo. «Lo sai, Bröna. Sai che non voglio. Sai che per me non è... ecco... non è normale.»
Lei rise. «Oh, certo... perché avere un harem lo è, vero?»
Arthur sbuffò, sollevò lo sguardo verso il soffitto e storse il naso. «Sì, hai ragione. Anche l'harem non è qualcosa che rientra nella normalità... ma noi... noi...» Fuggì con lo sguardo e serrò la stretta sul lenzuolo. «Non ce la faccio, Bröna. Non riesco a vederti come loro. Questa cosa è troppo anche per me... troppo anche per noi.» Si coprì il volto con una mano, si sentì spregevole ad averla rifiutata ancora. Molti King avevano sorelle nei propri harem, per nessuno di loro era un problema la parentela.
Eppure lui non ci riusciva. Ogni volta che lei gli rubava un bacio o che lui doveva dargliene uno forzatamente si sentiva privato di un po' di quella umanità a cui restava tanto tenacemente aggrappato.
Quanto ancora doveva perdere della propria umanità per essere un giusto King?
E perché non riusciva a far altro che sentirsi manchevole, mediocre? Più tentava di raggiungere quel tanto agognato podio degno solo dei veri King, più si sentiva sprofondare nell'inettitudine.
Il palmo della mano si bagnò delle sue lacrime. Amava sua sorella ma non nel modo che avrebbe desiderato lei. Lo avrebbe voluto. Avrebbe voluto darle ciò che voleva senza sentire addosso quella colpevolezza tipica di chi sa che è qualcosa di sbagliato e innaturale. E invece, nonostante i ferrei insegnamenti e le ferree raccomandazioni, nonostante fosse stato allevato con una certa linea di pensiero, ancora non riusciva a lasciarsi cadere nel profondo baratro della propria bestialità.
Sono bestia ma anche uomo. Sono leone ma anche umano.
E si tormentava.
Che diritto aveva di considerarsi un vero King se nemmeno riusciva a seguire le regole e le usanze?
Bröna era il suo più grande peccato. La sua più grande e spregevole tortura. Il suo punto debole e dolente. La sua manchevolezza.
La giovane leonessa gli tolse la mano dagli occhi e scese a baciargli le lacrime. Il sapore salato sulle labbra e sulla lingua. «Mi spiace... odio vederti soffrire per me.»
E allora perché restava? Perché resisteva? Perché non fuggiva da quel posto? Perché continuava a chiedergli qualcosa che andava al di là dei propri limiti?
Le labbra di Bröna scesero a baciargli il naso, il mento e poi si posarono delicate sulle sue labbra. Arthur indietreggiò cozzando contro il cuscino, oltre non sarebbe potuto sfuggire.
«Solo un bacio e poi me ne starò buona per un po'.» Ma era una bugia. Lo sapeva lei e lo sapeva Arthur. Diceva così ogni volta e poi, ottenuto ciò che voleva, faceva peggio.
Perché lei non si arrendeva, lei voleva sempre di più. Lei non ne aveva mai abbastanza di lui.
Con un ruggito spinse le labbra contro la sua bocca e lo costrinse ad aprirla. Quando le loro lingue si toccarono, Bröna ansimò. Non era come prima. Non era come quando, ancora addormentato, credeva fosse una delle sue femmine. Non era più piacere. Era dolore, sofferenza. Era soffocante e spregevole.
«Non resistermi, Arthur.»
Allora lui l'afferrò per la nuca, le diede ciò che voleva, ciò che ogni tanto lei riusciva a strappargli. Con rassegnazione, furia e pentimento.
Vergognoso. Peccatore. Inumano.
Avvolgente e rabbioso, il potere si estese inglobandoli. Per un attimo Bröna si spaventò, il bruciore sulla pelle le fece male, la fece miagolare come un gattino ma Arthur non la lasciò. Mosse le proprie labbra sulle sue, senza dolcezza, rude. Le lasciò scivolare la lingua dentro prendendosi quell'amore che lui non voleva. Quell'amore malato che lo contaminava giorno dopo giorno, come un veleno.
Le mani di Bröna si strinsero sul lenzuolo, reggendo il peso del potere. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra mentre la lingua di Arthur scioglieva ogni parte che toccava di lei, come lava. Affondava, prendeva, rubava, violava. Le toglieva tutto. Ad ogni movimento, ad ogni leccata prendeva una parte di lei, la uccideva.
Quando la mollò di scatto, nei suoi occhi smeraldo si potè leggere rabbia e delusione. Un dolore traboccante. Ansimavano entrambi.
Avrebbe voluto dirle di andarsene, di lasciarlo solo, di sparire almeno per il momento dalla sua vista; invece corrugò la fronte in un'espressione piena di tutto ciò che la voce non riusciva a dire. Si portò una mano al petto, proprio lì, proprio dove il cuore stava pian piano appassendo; come una rosa che non beve e lentamente sfiorisce. Gli mancava il respiro. Gli faceva male. Il viso si bagnò di lacrime. Ancora.
La porta si aprì di scatto e David entrò senza permessi, seguito a ruota da Dakota e altre due leonesse. Lo sguardo del maggiordomo passò dalla giovane e scarmigliata Bröna al proprio King. Quando Arthur sollevò lo sguardo, il vuoto dei suoi occhi lo fece fremere di terrore e preoccupazione. Quegli occhi così vivi riuscivano a morire pian piano accanto alla sorella, si svuotavano e annullavano. E il suo King si perdeva, diventava una bambola vuota.
David serrò i pugni e scattò come una molla. Afferrò Bröna per un braccio e la sollevò dal letto come un fuscello. La giovane si dimenò come una serpe ma quando capì che non poteva competere con la determinazione del maggiordomo grugnì rabbiosamente. «Lasciami, David. Lasciami.»
«Forza, Signorina... è ora che lasci preparare il Signor Arthur. Oggi avrà una pesante giornata di lavoro.» Non era vero ma questo bastò a farla desistere da quel capriccio. Dakota le allungò la mano che lei strinse con una certa stizza e poi la seguì fuori dalla stanza. Non sarebbe finita lì, la frustrazione e la furia della leonessa si sarebbero ripercosse su tutto l'harem.
«Signore? Signore?» Le paterne mani di David scossero delicatamente Arthur per una spalla. Il giovane Magister subito si riscosse da quella trance e gli rivolse un sorriso gentile.
«Grazie, David... previdente come sempre.»
D'istinto l'uomo gli carezzò la testa come faceva un tempo, quand'era bambino. «Non abbastanza, Signore. Non abbastanza.» Dell'amarezza trapelò nella sua voce. Come veresh e come maggiordomo si sentiva impotente di fronte alla sofferenza del proprio Erus. Più passavano gli anni più lo vedeva incagliarsi in quel rapporto malsano con la sorella, imprigionato in quell'amore sbagliato e corrosivo. L'amore di Bröna stava distruggendo entrambi, lo stava portando giù con lei e David non sapeva come fare. La suoneria del cellulare trillò proprio in quel momento riempiendo il vuoto di quel silenzio, Arthur si schiarì la voce e lo agguantò dal comodino. Quando rispose era tornato il solito King di sempre. Una maschera che nascondeva le sue sofferenze. Era bravo a fingere che era tutto a posto. «Pronto? Chi parla?» Il numero era sconosciuto.
Una voce di donna arrivò dall'altra parte della cornetta. «Arthur King?»
«Proprio io. Mi dica.»
«Mi chiamo Vell Brass, ero una femmina dell'harem di Marius King, Kansas... l'ho chiamata per chiederle un colloquio.»
Arthur sollevò il capo verso Cearra e Phobe, che fin a quel momento erano rimaste silenziose in disparte. Lo guardarono incuriosite ma restarono mute. «Quando?» domandò lui, aggrottò la fronte.
«Il prima possibile. Anche oggi.»
Già, anche oggi.
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