CAPITOLO 29

La testa le faceva male e quello spiraglio di luce che le danzava sugli occhi era un tormento.

Cercò di aprirli. Bruciavano. Tutto rimbombava. Le sembrava di essere sott'acqua, i suoni le arrivavano ovattati e distorti.

Respirare era una dolce tortura. Sentiva il petto contrarsi, la gola secca ardere.

Faceva tutto male, così male che si sentiva andare in pezzi e ricomporre, andare in pezzi e ricomporre. Ogni lembo di pelle, ogni pezzo di osso, ogni angolo di corpo.

O forse era solo una sua impressione? Ce l'aveva ancora un corpo?

Era così l'inferno? Era questo assillo? Questo travaglio?

Dalle labbra le uscì un gemito, Bröna riuscì a schiudere gli occhi, piano.

Sollevò debolmente la testa e si accorse che era in camera propria, nel proprio letto. Si lasciò ricadere sul cuscino e sospirò. «Merda. Sono ancora qui.»

Non voleva sembrare ingrata, ovviamente; ma la vita sembrava non volerla mollare. E lei ci provava ad ammazzarsi, davvero. Con tutte le forze.

Eppure restava lì. In quel mondo che non aveva spazio per lei.

Aveva perso la sua occasione. Ora le ragazze non l'avrebbero mollata un secondo e Arthur sarebbe diventato il triplo paranoico. L'avrebbero badata a vista d'occhio e con le forze rasenti lo zero non sarebbe più riuscita a fare quello che andava fatto.

Perché sì, era decisa a non essere la pedina di Marius; non a discapito della sua famiglia.

«Merda» biascicò ancora. Imprecando verso la sua sfortuna. Era sfortunata perfino nel suicidio.

Qualcuno da lassù doveva farsi ricche beffe di lei. O forse in qualche vita precedente doveva aver pestato i piedi alla persona sbagliata per ritrovarsi questo concentrato di sfighe.

Quando girò la testa sussultò nel vedere che non era sola. Una massa riccia di capelli rossi si allargava sul copriletto e il viso di Arthur sbucava appena, nascosto dalle braccia in cui era affondato stremato. Bröna gli vedeva le occhiaie e un accenno di barba incolta. Dormiva profondamente, come se fosse rimasto sveglio per giorni e notti intere.

E lei? Da quanto dormiva? Per quanto tempo era rimasta in quel letto priva di sensi?

Cercò di alzare il braccio, di carezzargli la testa ma le forze ridotte all'osso non le permisero nemmeno di sollevare la mano. Fissò così l'arto incriminato, quello che in teoria avrebbe dovuto aprirle le porte per la miglior vita e vide che era fasciato stretto, con una flebo. Il tubicino spariva sotto le bende.

«Quinn... dannato demone» sibilò, roteando gli occhi esasperata. Era sicura che quel bendaggio fosse opera sua. Aveva stretto abbastanza forte da ricordarle quanto preferisse strangolarla invece che salvarla. «E ora chi lo sopporta a quello?» biascicò, immaginandolo alla prossima visita.

Già lo sentiva. Le avrebbe fatto una lavata di capo epica da farle rimpiangere ancor più di non essere morta.

«Ehi, ma tu sei sveglia» la voce assonnata di Arthur fu come balsamo per le orecchie di Bröna che sorrise silenziosamente sentendo il viso bagnarsi delle proprie lacrime. Lui allungò un braccio, raccogliendo sul dito la sua sofferenza. «Non c'è bisogno che piangi. È tutto okay. Non sono arrabbiato.»

A Bröna non venne difficile capire perchè il fratello le parlasse in quel modo. Ovviamente, come lei stessa aveva ipotizzato, Arthur aveva attribuito il suo gesto alla sua condizione di salute dovuta al loro rapporto malsano. In fondo, lei era proprio su questo che aveva giocato.

Se solo avesse tagliato più a fondo, se solo avesse reciso meglio quella vena... forse ora piangerebbero sul suo cadavere pensando a lei come una povera squilibrata. E tutto sarebbe finito lì, per il momento, almeno finché Marius non avesse escogitato un piano migliore per portare Arthur sulle sue terre.

Sì, magari era egoistico un gesto simile, quasi un volersene lavare le mani. Eppure i propositi che l'avevano spinta a farlo erano tutt'altro che egoistici.

Almeno per una volta, le piaceva pensare che aveva tentato di fare qualcosa per gli altri anziché solo per se stessa.

«Come ti senti?» azzardò Arthur, guardandola come si può guardare un pazzo di un manicomio. Quegli occhi ricolmi di commiserazione lei proprio non li sopportava. Era una vita che lui glieli rivolgeva, da quando all'età di tredici anni aveva capito di amarlo e si era confessata.

Il ricordo di quella dichiarazione sconnessa e farfugliata con imbarazzo, di quella risata tesa e di scherno in risposta al suo amore e quello sguardo di compatimento le bruciò la gola come se fosse successo ieri e non tanti anni prima.

Dio, quello sguardo carico di pietà l'avrebbe inseguita fino all'inferno. E vederglielo comparire tutt'ora, ogni volta che la rifiutava candidamente ogni volta, la faceva quasi incazzare.

Bröna pensò a tante cose da dire, poi in realtà se le rimangiò tutte ed espirò rumorosamente dalle narici: «Prosciugata?» ironizzò, pensando alla pozza di sangue in cui l'avevano trovata le ragazze.

Il sorriso di Arthur si incupì e la sua mano andò in cerca di quella della sorella. «Mi dispiace, Bröna. Mi dispiace averti portato a questo.»

La leonessa si morse la lingua. C'erano molti oscuri e gravosi fardelli che non poteva condividere con lui. E questo sarebbe diventato uno dei tanti.

Dirgli che non era colpa sua gli avrebbe portato sollievo? Dirgli che si era tentata di uccidere per proteggerli non lo avrebbe comunque gettato nello sconforto?

No, affatto. Meglio lasciar credere nella sua ordinaria follia.

Senza contare la minaccia ancora valida di Marius, bluff o meno che fosse.

«Non pensarci.» Cercò di stringergli la mano ma le dita non reagirono a quel comando. Tentò di nuovo, poi gli occhi guardarono giù, sulla punta delle dita, mentre si sforzava per stringere e muovere. Niente. Che seccatura. «Volevo ricambiare ma... non riesco a muovermi, Arthur» disse, facendo una smorfia.

«Tranquilla, è normale. Hai perso così tanto sangue che sei perfino rimasta in coma quattro giorni.»

Quattro giorni. Quattro giorni a fare il vegetale.

Bröna lasciò saettare lo sguardo nella stanza, sui comodini, alla ricerca di qualcosa. Tentò ancora di muoversi ma il corpo le sembrò pesare tonnellate, un macigno impossibile da spostare. Cercò di deglutire ma ingoiare l'aria in quella gola secca le diede l'impressione di mandare giù una manciata di sabbia. Rassegnata guardò il fratello. «Arthur, potrei avere dell'acqua? Mi sarei voluta alzare e prenderla da sola ma... insomma, sembra che sarò fuori uso ancora per un po'.»

Il King si alzò dalla poltroncina con un balzo e la fissò in parte sollevato, le gote arrossate. Se parlava così fluidamente poteva solo augurarsi in una rapida ripresa. Quinn aveva fatto proprio un bel lavoro, come sempre, anche se il braccio di Bröna avrebbe riportato grosse conseguenze. Ma di quello ne avrebbero parlato poi. «Ma certo! Tu non ti preoccupare. Vado a prendertela io... in fondo, son quattro giorni che non bevi.»

Bröna lo osservò svanire dietro le porte, incespicando sui propri passi così goffamente da renderlo agli occhi della sorella estremamente tenero. Le venne da ridere. Si era innamorata di un completo tonto.

Forse era sempre stato questo che le piaceva di lui, il fatto che sapesse equilibrare i propri lati goffi e quelli severi che gli aveva insegnato a sfoggiare il padre.

Chiuse gli occhi un attimo, finché non si sentì osservata e quando li riaprì restò sorpresa nel vedere Vell al proprio capezzale. Aveva una strana espressione sul viso, un sorriso crudele a incresparle le labbra.

«Quindi sei viva» fu la prima cosa che le disse, guardandola con disprezzo e qualcos'altro di più spaventoso.

Bröna ne aveva viste tante di espressioni rivolte alla propria persona, ma mai di puro odio.

A volte i sudditi la guardavano con pietà, con disgusto, con derisione. Ma mai con odio, quello mai. Anche perché, che motivo ne avrebbero avuto? Lei era sempre molto riservata, parlava poco, la gente sconosciuta le metteva soggezione.

Però Vell la stava guardando proprio così. Con quegli occhi brucianti di un sentimento che non sapeva nemmeno come aveva potuto innescare.

Possibile che il loro scambio acceso di battute, la loro litigata, le avesse suscitato un simile livore?

«Buongiorno anche a te» le rispose Bröna. In quel momento avrebbe tanto voluto mettersi a sedere sul letto. Stare lì immobile alla sua mercé la faceva sentire incredibilmente esposta e fragile, più di quanto già non fosse di suo.

«Pensavo saresti morta...»

«Eh, vedi un po' te le sfighe della vita...» disse Bröna, con sarcasmo. «Lo pensavo anche io.»

Vell rise. Una risata che all'altra non piacque per nulla. Le metteva i brividi. «Ho pregato fino all'ultimo perché il tuo tentativo andasse a buon fine.»

Fu una sorpresa. Bröna girò di scatto il viso per guardarla. Non pensava di meritare quelle parole. Rancore e dissapori, sì; ma non fino a quel punto. Serrò le labbra in una linea dura prima di parlare: «Non sei abbastanza devota. Forse dovresti impegnarti di più nelle tue preghiere» rispose, seccata.

Vell sorrise, lasciò scivolare le dita sul letto, sfiorando la coperta ma non lei. Nonostante non ci fosse alcun contatto tra loro, Bröna sentì dei brividi risalirle lungo la schiena. «Sai, Arthur in questi giorni si è eclissato dal mondo, da tutti... anche da noi altre. Non ha fatto altro che restare aggrappato a questo letto, a guardare il tuo visino beato mentre dormivi come una principessa delle fiabe.»

Oh, possibile fosse davvero questo? Possibile che le mancate attenzioni di Arthur l'avessero ridotta a quell'ammasso di rabbia e veleno?

Bröna restò muta. Troppo sconcertata dalle sue parole perfino per ribattere con una delle sue taglienti risposte.

«Devo ammetterlo, Bröna. Non avevo mai incontrato una persona come te» le disse, acciuffandole una ciocca di capelli biondi e tirando un pochino, fino a strapparle un gemito. Gli occhi di Bröna si allargarono come pozze, sgranandosi per la sorpresa. «È singolare come tu riesca a impietosire tutti... come il tuo visino angelico riesca a sfondare i cuori della gente muovendo pietà. Ma non a me. Io ti ho capito, sai?»

L'altra deglutì a vuoto. Le avrebbe voluto schiaffeggiare la mano ma non riusciva a muovere un solo muscolo. «Ah, sì? E sentiamo. Cosa è riuscito a cogliere il tuo cervellino sottosviluppato?» domandò, tesa.

Vell si piegò in avanti, a sovrastarla. «Ho capito che sei patetica. Uno scarto di donna, un rifiuto. Perché è così in fondo, no? In fondo Arthur ti ha rifiutato, no? Sei l'ombra di una femmina. Fallata, malata, sbagliata.»

Fu come uno schiaffo invisibile. Fu come risentire Marius mentre la derideva.

Perché? Cosa le aveva fatto di così spregevole da meritarlo?

E dire che nel suo patetico tentativo di proteggerli si era prodigata anche per lei.

Gli occhi di Bröna si riempirono di lacrime che trattenne con tutte le forze. Non voleva piangere davanti a quella stronza. Non le avrebbe dato questa soddisfazione. Ricacciò indietro il magone e fece un lungo respiro. «Cos'è che ti da tanto fastidio? Il fatto che mio fratello abbia preferito stare al mio capezzale?» Fece una pausa. «Ti ha forse ricordato che non sei nulla di speciale? Nulla più che le altre?»

Colpita e affondata. Vell risucchiò l'aria rumorosamente, una maschera di odio a contorcerle il bel viso. «Preferisco essere come le altre piuttosto che fargli pietà come te. Almeno c'è più probabilità che lui guardi me in un modo che a te non guarderà mai.»

Un altro invisibile schiaffo.

Bröna girò il viso, tagliandola fuori dal suo sguardo. Voleva che se ne andasse. Voleva restare sola. Voleva piangere tutte le lacrime che aveva e maledire la vita con tutte forze. Perché non era morta? Perché?

Dannazione. Che ho fatto di così male, eh?

Perché non mi lasci morire, Dio? Mi senti? Perché non mi lasci morire?

Quei pensieri tornarono a tormentare la giovane King, a dilaniarle anima, cuore e cervello. Sarebbe impazzita prima o poi, ne era certa.

«Sei così devota ma al contempo psicologicamente malata da esser alla costante ricerca di attenzioni. Disposta perfino a farti del male pur di riceverne. Ogni cosa pur  di far sì che lo sguardo di Arthur ti degni del proprio interesse. Così vomitevolmente egoista e patetica.» La mano di Vell si allungò ad accarezzarle il viso, stringendole le guance con rabbia e riportando il suo sguardo su di sé. Negli occhi di Bröna qualcosa sembrò rompersi e perdersi. Per un attimo provò pietà per lei poi la rabbia tornò a farsi sotto.

Erano giorni che le si agitavano queste parole in petto, un fardello di cui si era voluta liberare subito, appena possibile.

Più la guardava, più l'avrebbe presa a schiaffi. Bröna ai suoi occhi era solo una stupida e ingrata ragazzina che aveva tutto e voleva sempre di più. Egoista fino al midollo, irriconoscente all'inverosimile.

Senza contare che sì, odiava come Arthur se ne prendeva cura, come la trattava con rispetto e devozione; quasi fosse divina, quasi fosse di cristallo. Messa su un piedistallo, in alto da tutto e tutti, perfino da se stesso, perfino ai suoi impulsi sessuali.

Perché lei lo aveva visto come la guardava. Non le erano sfuggiti quegli sguardi carichi di angoscia e struggimento. E non c'era mai stato sesso tra loro, no; eppure l'amore si può dimostrare in tanti modi. Ed era innegabile che Arthur amasse la sorella con tutto se stesso, forse più di tutte loro messe assieme.

Era gelosa. Era gelosa perché lei agli occhi di Arthur era speciale.

«Che cosa vuoi da me, Vell?» domandò Bröna, con la voce incrinata di pianto. Dannazione! Odiava mostrarle questa debolezza.

L'altra le lasciò andare il viso e ghignò quando vide le lacrime scenderle sulle guance. «Niente. Ero solo venuta ad assicurarmi che tu non ti fossi dimenticata cosa sei. Vederlo al tuo risveglio al tuo capezzale non vuol dire nulla.»

Bröna chiuse gli occhi e sospirò. «Grazie per avermelo ricordato... anche se non ce n'era bisogno. È una vita intera che lo so.»

Vell rise, abbassandosi su di lei fino a sfiorarle con le labbra l'orecchio. «Comunque se vuoi fare un altro tentativo e ti serve una mano... non hai che da chiedere» bisbigliò, facendo trasalire l'altra.

Le aveva appena proposto che l'avrebbe aiutata ad ammazzarsi? Assurdo. Follemente assurdo.

Vell avrebbe aggiunto volentieri qualcos'altro di più crudele ma una mano le si posò sulla spalla, stringendo con una forza talmente devastante da costringerla a voltarsi di scatto. L'energia mannara esplose nella stanza come un fuoco.

Dakota era immobile di fronte a loro, gli occhi gialli e il respiro affannato che le faceva sollevare il petto velocemente. «Credo che Bröna ora debba riposare» sibilò, cercando reprimere l'impulso di schiaffeggiare il viso dell'altra leonessa.

Quell'ultima proposta disgustosa non le era sfuggita e non le era piaciuta affatto, ne erano la riprova i suoi occhi di bestia. Le era costato molto non farle violenza, proprio lì. Non le erano mai pizzicate le mani come in quel momento.

Vell chinò il capo e si congedò così, senza nemmeno salutare. Sparì dietro la porta portando con sé il proprio odio.

Bröna espirò e chiuse gli occhi. «Odio tutto questo, Daki.»

«Lo so, Brö. Lo so, tesoro.» Dakota le diede da bere e le baciò la fronte più e più volte. Per lei Bröna era quasi alla stregua di una figlia. «E ora, raccontami tutto.»

Il lieve sorriso sulle labbra della giovane King si increspò. «Non ho da raccontare niente, Daki. Lo sai, quando ho questi miei attacchi finisce per-» L'altra le tappò la bocca e sorrise.

«Posso definirti in molti modi... ho una lista lunghissima di aggettivi più o meno belli da affibbiarti... ma "bugiarda" non è tra essi.» Rise. «Sei una pessima bugiarda, Brö.»

«Davvero pessima» disse alle loro spalle Naomi, raggiungendole con le braccia incrociate al petto.

Bröna buttò fuori l'aria con uno sbuffo. Si sarebbe voluta massaggiare le tempie se solo non fosse stata immobile su quel letto. «Allora mettetevi comode... è una cosa lunga.»

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