CAPITOLO 26
Il brusio del centro commerciale era costante, fitto. La gente camminava nei corridoi chiacchierando e ridendo, i gruppetti di persone erano disseminati qua e là indaffarati nelle più disparate faccende, le coppiette sparse si scambiavano effusioni tra una compera e l'altra.
Seppur il luogo fosse affollato, Bröna tirò un sospiro di sollievo.
Ne aveva bisogno. Sentiva la necessità di quel momentaneo distacco dalla Villa, da Arthur, dalle ragazze e soprattutto da Vell.
Una boccata d'aria fresca, diversa. Un panorama nuovo da guardare e che non le arrecasse il solito dolore al petto.
Incespicando nei propri piedi si resse al braccio di David che le regalò l'ennesimo sorriso. Il veresh era più elettrizzato di lei.
L'idea di essere riuscito a trascinarla fuori da quelle quattro mura gli faceva sperare che ci fossero miglioramenti dietro l'angolo.
David non lo diceva mai, però era chiaro quanto avesse preso a cuore i tre giovani King. Ognuno per un motivo diverso.
Arthur era un puro di cuore, dagli ideali forti e nobili. In lui vedeva la spiccata figura di King, quello vero. Un ritorno alle origini, quando la loro società non era corrotta da vili individui alla stregua di Marius ed essere King era un vanto.
William era l'anima ribelle, indomabile, impossibile da imbrigliare nelle regole. Di lui ammirava la forza e la tenacia con cui affrontava il proprio cammino, incurante del fatto che potesse o meno suscitare disappunti.
E infine, Bröna. Per David la giovane leonessa aveva sempre avuto un posto speciale nel proprio cuore. La sua fragilità aveva colpito il suo lato sensibile. Sin da piccola era stata messa sotto le sue cure e in lei aveva riversato l'amore di un padre. Una figura che mai avrebbe potuto ricoprire veramente.
A dir il vero, li vedeva tutti e tre un po' come figli propri. Troppo abituato a crescerli e a prendersi cura di loro per tracciare un confine rigido che determinasse i ruoli di tutti.
David sapeva di essere solo un maggiordomo, un veresh che doveva occuparsi dell'harem; eppure quei tre bambini erano cresciuti tra le sue braccia e con le sue sgridate. Nel suo cuore non potevano essere altro che figli.
A volte il sangue non lega tanto quanto un sentimento d'amore coltivato per anni, giorno dopo giorno.
«Siete emozionata?»
Bröna annuì. «Un po'. Era tanto che non venivamo a fare uno dei nostri giretti, eh?» Gli strinse la presa sul braccio e David rise.
«Vero, vero, Signorina. Un tempo ce ne concedevamo molti di più.» Avrebbe voluto aggiungere che l'idea di riprendere quelle uscite lo rendeva felice ma decise che non doveva spingersi oltre il proprio ruolo.
«Ricordi quella volta che siamo venuti al cinema?» domandò lei, svoltando in uno dei tanti corridoi e fissando avidamente le vetrine. Voleva provare qualche vestito. Qualcosa che la rendesse un po' più carina, sia ai propri occhi che a quelli di Arthur.
David annuì. «Parlate della volta che abbiamo visto quel film di zombie?» Scoppiò a ridere. «Ne avrete visto sì e no dieci minuti. Il restante tempo lo avete passato con il viso nascosto sotto il mio braccio.»
Bröna divenne paonazza e gonfiando le guance si finse offesa. «Era perché avevo sonno... era un film noioso.»
L'altro sghignazzò, posandole una mano sul capo in una breve carezza. «Ma certo, Signorina. Certo.»
Era sempre stato così tra loro. Quando Bröna non stava male, spesso uscivano insieme, si ritagliavano del tempo da trascorrere al di fuori della Villa e per qualche ora diventavano altre persone. Persone totalmente distanti da ciò che erano in realtà.
Per Bröna quelle uscite erano un toccasana. L'avevano più volte aiutata a divagare con la mente, a disconnetterla quando i pensieri sembravano essere troppo opprimenti.
«Guardate quel vestito, Signorina. Il colore le starebbe d'incanto.» Con un dito indicò un abito semplice, dalle sfumature verdi e gialle. «Sembra fatto apposta per lei.»
Bröna lo restò a guardare e sentì il viso prender colore. Imbarazzata oscillò sui talloni. «Tu dici?» Lei non si vedeva mai bene con niente.
«Dico, dico. E poi ha le stesse sfumature degli occhi del Signor Arthur.»
Lo sguardo della giovane si inchiodò sull'abito, sul colore, su quel verde così luminoso e tanto simile agli occhi del fratello. La mano libera si sollevò sfiorando la vetrata e il cuore le sembrò di colpo un po' più pesante. «Dici che se lo metto gli piacerò?» Era scontato che no, non gli sarebbe comunque piaciuta.
David sospirò, avrebbe voluto dirle di sì, dirle che Arthur sarebbe capitolato ai suoi piedi; eppure era conscio che non sarebbe mai accaduto. E ciò gli dispiaceva.
Per quanto Arthur fosse ligio al proprio dovere e ricoprisse la carica di King con onore, c'erano limiti che non riusciva a valicare. E il rapporto con Bröna era uno di questi.
Non importava che nella loro società aver rapporti con le sorelle fosse consentito, Arthur non sarebbe mai riuscito ad andare oltre con lei, a vederla come un uomo può vedere una semplice donna. E David lo trovava triste.
Aveva visto crescere l'amore di Bröna passo dopo passo. Lo aveva assecondato come avrebbe fatto ogni buon veresh e poi, quando si era accorto che Arthur non l'avrebbe mai presa attivamente nel proprio harem, lo aveva cercato di contenere, di sopprimere, per limitare i danni al cuore della giovane leonessa.
Ma era stato troppo tardi. Il dolore si era già annidato nel suo cuore, l'aveva distrutta, l'aveva trasformata. E quella che prima era una giovane e spensierata ragazzina, era improvvisamente diventata qualcosa di rotto, da buttare.
Per Bröna quella marcia indietro di David era stata un tradimento, l'aveva ferita profondamente. Si era sentita abbandonata, sbagliata anche quando era stata cresciuta con valori differenti, valori che con il suo amore stava rispettando.
Eppure il veresh non poteva andare contro le decisioni del proprio King. Se Arthur non la voleva, a lui non restava che obbedire.
«Sicuramente lo apprezzerà moltissimo» le rispose David, sperando che la risposta la soddisfacesse abbastanza.
Il sorriso di Bröna si affievolì. «Già... lo apprezzerà. Immagino che addosso alle ragazze gli farebbe un effetto tutto diverso.» Probabilmente si sarebbe eccitato.
Il maggiordomo si morse il labbro cercando di non intervenire oltre il buonsenso. In realtà non sarebbe stata nemmeno la prima volta.
In più occasioni aveva tentato di dare i giusti consigli, spingendo Bröna a far qualche passo in direzione di Arthur e poi frenandola una volta appreso che lui non l'avrebbe mai ricambiata. Era anche colpa sua se le cose si erano complicate fino a quel punto.
Eppure, più cercava di vederci un senso, più la decisione del proprio King gli sembrava ingiusta ed egoistica.
Nato e cresciuto con i medesimi valori di Bröna, non riusciva a comprendere la repulsione che Arthur aveva per lei, seppur la rispettasse.
Inizialmente credeva fosse solo un periodo, un passaggio. Invece, crescendo, le idee di Arthur si erano fatte più solide e le decisioni più irremovibili.
La natura umana del King aveva prevalso su quella animale e alcune idee si erano radicate in lui, come quella che l'incesto fosse il male, fosse sbagliato. Eppure loro non erano umani. O meglio, lo erano a metà.
Metà bestie, metà uomini.
Che male c'era nell'amare diversamente dall'ordinario? Qual era il modo giusto di amare?
Ma in fondo, era da sempre stato così, sin da quando erano bambini. David lo aveva notato dalle piccole cose, dal modo in cui non riconosceva certe regole del mondo mannaro, dalla fatica con cui aveva accolto l'harem; senza contare il disprezzo della mutazione, del corpo che cambia e diventa altro.
Ci erano voluti anni affinché Arthur accettasse tutto questo di sé.
Eppure, il rapporto con Bröna era rimasto immutato. Né un passo indietro né uno avanti.
E più passava il tempo, più David si ritrovava a raccogliere i pezzi di quella ragazza, di quella bambina che aveva cresciuto e che stava perdendo sempre un po' di più, giorno dopo giorno.
«Io direi di provarlo» suggerì, carezzandole il capo.
Bröna strinse un po' la presa sul suo braccio e con un cenno del capo acconsentì. «Ma devi essere sincero, Dadi... se non mi sta bene me lo devi dire.»
Quel vezzeggiativo lo fece arrossire. Era tanto che non lo usava più. Lo usava da bambina, quando voleva essere presa in braccio.
Per un attimo David sentì un groppo in gola e deglutire gli sembrò più difficile.
Se solo avesse potuto. Se solo avesse potuto, avrebbe allontanato Bröna da ogni male, da ogni dolore. Avrebbe preso lui ogni sua sofferenza, ogni suo turbamento. Come un padre con la figlia, a cui mai si vuol vedere qualcosa di traverso.
Ridandosi un contegno, entrarono nel negozio e lei iniziò a parlare con la commessa fin quando questa non l'accompagnò ai camerini.
«Non ci metterò molto.» Lo rassicurò Bröna, mentre il maggiordomo prendeva posto in una delle comode poltroncine.
Afferrò un giornale. Sapeva che sarebbe stato qualcosa più lungo del previsto, Bröna aveva maturato un forte disprezzo del proprio corpo.
Anche solo stare davanti a uno specchio a fissarsi le costava enormi sforzi.
«Prego, Signorina... da questa parte» disse la commessa, indicandole una fila di camerini vuoti. «Scelga pure quello che preferisce.»
Bröna ringraziò sottovoce, imbarazzata. Con gli sconosciuti era impacciata, si sentiva sempre inadatta a ogni situazione. Ed era anche per questo motivo che non aveva mai partecipato a nessuna cena di gala con Arthur o alle riunioni dei King. Temeva sempre di farlo sfigurare con qualche comportamento imbarazzante o intervento inadeguato.
Ecco perché quando Vell aveva partecipato alla cena di gala, si era sentita ancora una volta messa da parte; capendo che Arthur preferiva dar la precedenza a una sconosciuta piuttosto che portarle in qualche modo rispetto optando per una scelta alternativa.
Si infilò nell'ultimo camerino e restò immobile di fronte allo specchio. Fece una smofia. Odiava quella ragazza riflessa. «Inadatta. Fallata. Imperfetta.» Iniziò a togliersi gli abiti per provare il vestito che le aveva consigliato David quando le tende vennero scostate di botto e due uomini in divisa da vigilante la fissarono con sguardo severo.
Per poco non cadde a terra, gettandosi contro lo specchio con le mani a coprirle il corpo. Aveva giusto fatto in tempo ad abbassarsi la zip sulla schiena e l'abito le ricadeva sulle spalle nude. «Ma – ma che succede?» farfugliò rossa in viso, confusa.
«Signorina, potrebbe seguirci?» domandò uno dei due, allungando il braccio e porgendole la mano.
«Cosa? Ma io non... io non ho fatto niente.»
«Ne siamo al corrente, Signorina. Ma vorremmo comunque che ci seguisse.»
Bröna abbassò gli occhi sul corpo semi nudo e avvampò. «E – ecco... potreste darmi un attimo per – per... insomma, per rivestirmi?»
I due annuirono e richiusero la tenda. Rimasero in attesa fin quando Bröna non emerse dal camerino di nuovo vestita di tutto punto, con il vestito verde che ancora non aveva provato tra le braccia.
«Signorina, la preghiamo di seguirci.» Uno dei due le prese l'abito, gettandolo nel camerino con noncuranza. La leonessa ne seguì la traiettoria, spiazzata.
«È successo qualcosa? Giuro che non ho fatto nulla... so – sono appena entrata nel camerino.» Pensavano che avesse rubato? Non poteva credere che nell'unica volta che usciva di casa per farsi un giro, venisse fermata da due guardie.
«Ci segua» ripeté uno dei due, facendole segno col braccio.
«Un – un attimo. Non sono venuta da sola. Devo avvisare il mio accompagnatore.» Fece per voltarsi, per andare verso David ma uno dei due l'afferrò per un polso, stringendo la presa quel tanto che basta per farle capire che non avrebbero aspettato i suoi comodi.
Bröna ne restò turbata. Si lasciò trascinare sul retro, verso l'uscita di sicurezza e quando le due guardie aprirono i portelloni cercò di impuntare i piedi e di fare resistenza. «A – aspettate. Perché dobbiamo uscire sul retro? Che sta succedendo?»
«Non faccia resistenza, Signorina.» Il vigilante le diede uno strattone e per poco Bröna non si trovò in terra. «La stiamo conducendo agli uffici del centro commerciale passando dal retro perché useremo la scala esterna. C'è meno strada da fare.»
Bröna incassò le spalle e non disse nulla, li seguì silenziosamente sulla rampa di scale in ferro battuto e poi si lasciò condurre fino a una porta che si trovava esattamente un piano sopra il centro commerciale. Sì, aveva sempre saputo che quel piano chiuso al pubblico era riservato agli uffici ma non aveva mai avuto modo di visitarlo. Non che ce ne fosse mai stato bisogno, insomma.
«Prego» disse il vigilante che la tratteneva ancora, aprendo la porta e liberandola dalla presa.
Bröna si massaggiò il polso, esitò un attimo, intimorita. Stava per entrare in una stanza insieme a due sconosciuti, senza aver avvisato David.
Arthur avrebbe disapprovato con tutto se stesso.
Con questa idea in mente, si bloccò sulla soglia. «I – io non posso... cioè, non – non mi sembra il caso senza aver prima avvisato David.» Le girava la testa, sentiva il respiro pesante. Improvvisamente il suo corpo sembrò non rispondere ai comandi. Conosceva bene quella sensazione, era il preludio di una delle sue crisi. Stava andando nel panico ed era sola, senza nessuno che la conoscesse abbastanza bene da saper come comportarsi in caso di emergenza.
«Non si preoccupi, Signorina. È questione di un attimo... poi la lasceremo di nuovo alle sue compere.»
Bröna si strinse le mani al petto e annuì, seguendoli dentro l'ufficio.
Non appena fu dentro e la luce venne accesa, si rese conto che era spoglio; salvo un tavolo, una sedia e un computer portatile aperto. «Prego, si sieda.»
Le sembrava una scena di qualche film di spionaggio. Bröna si sentiva a disagio, ed era preoccupata. David la stava aspettando e lei lo aveva lasciato in quel negozio senza nemmeno avvisarlo.
Assecondando la loro richiesta si mise a sedere sulla sedia di fronte al computer spento e attese che le dicessero qualcos'altro. Le sembrava tutto molto assurdo, irreale.
Una delle guardie si sporse ad accendere il portatile, armeggiando per qualche attimo con programmi e quant'altro. Solo quando si discostò dallo schermo Bröna potè finalmente vedere cosa le tentavano di mostrare.
Una stanza. Una stanza vuota al momento. Avevano attivato un collegamento skype che dava su una stanza, vuota, spoglia al pari di quella in cui era lei. «I – io non capisco. Continuo a non capire.»
Nessuno dei due le diede risposta. Restarono fermi alle sue spalle, le braccia incrociate al petto, lo sguardo puntato sulla sua nuca come un mirino.
Bröna rabbrividì e tornò a guardare lo schermo, la stanza era ancora vuota. Poi qualcosa si mosse. Ci furono dei movimenti, un corpo di uomo occupò tutta la visuale della telecamera e infine, l'uomo si mise a sedere e sorrise. Gli occhi gialli scintillarono vividamente e Bröna fremette sul posto, contenta di essere seduta.
Un mannaro. Era un mannaro. E forse lo erano anche quegli uomini alle sue spalle, solo che lei non se n'era accorta perché la sua salute cagionevole l'aveva resa troppo debole anche per quello.
«Signorina King... è un piacere vederla. Ho atteso tanto questo momento, il momento in cui saremmo riusciti a parlare faccia a faccia.»
«Le – Lei chi è?» domandò, spaventata e confusa.
Sul volto dell'uomo si aprì un sorriso crudele, malvagio, capace di infondere paura anche attraverso uno schermo. «Sono King. Marius King.»
Bröna prese un respiro profondo e si guardò attorno, spaventata, alla ricerca di una via di fuga. Cosa voleva da lei? Cosa sperava di ottenere portandola lì? Era troppo debole, non sarebbe mai riuscita a scappare.
«Non si preoccupi Signorina King... non l'ho fatta portare qui per farle del male.»
«Ah, no?» chiese lei, titubante.
Marius congiunse le mani intrecciando le dita e il sorriso sembrò allargarsi maggiormente, diventando qualcosa di grottesco, deturpandogli il viso fino a trasformarlo in una maschera di terrore. «No, Signorina King... sono qui per farle una proposta... un'allettante proposta che non potrà rifiutare.»
Bröna non ebbe bisogno di altre spiegazioni. Comprese tutto. Fin troppo. Si portò una mano alla bocca e scoppiò a ridere fragorosamente.
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