CAPITOLO 22
Il sorriso di Blake restava tenacemente inchiodato su quel viso freddo e impassibile. Sembrava qualcosa di anomalo posato lì per puro caso, in totale contrasto con la postura rigida, lo sguardo distaccato e la trasudante atmosfera austera.
Era chiaro che fosse uno di quei sorrisi di circostanza, tenuto lì per convenienza e null'altro.
Forse Blake aveva voglia di restare a quella festa tanto quanto loro.
Anche Arthur sorrise. Un sorriso cordiale ma vuoto, dello stesso spessore di quello di Blake. Assomigliava molto a un silenzioso vaffanculo pronto per essere scambiato con una stretta di mano.
Matthias oscillò da un piede all'altro, roteando svogliatamente lo champagne dentro il flute. Approfittò del passaggio di un cameriere per svuotare in un sorso il bicchiere e posarglielo sul vassoio. «Mi spiace molto disturbarvi» disse, accentuando il sorriso ipocrita che si tese fino a increspare gli angoli della bocca.
Sfilando la mano che teneva in tasca la allungò verso Arthur che subito gliela strinse senza esitazione anche se in cuor suo avrebbe preferito non farlo.
Non era la prima volta che lui e Blake si stringevano la mano e, ogni volta, sentiva risalirgli lungo quella stretta una miriade di brevi scosse che terminavano alla base della nuca, per poi scivolare giù in un brivido gelido in grado di bloccarlo sul posto.
Si lasciarono la presa un attimo dopo e il King dovette usare ogni briciolo di autocontrollo per non ripulirsi il palmo contro i pantaloni.
Quando però Matthias sporse la mano verso Vell ad Arthur venne un tuffo al cuore. Si sentì stringere lo stomaco come se gli aggrovigliassero le budella e non poté fare a meno di assistere la scena affilando lo sguardo.
Vell gli lanciò brevemente un'occhiata, in cerca di una muta conferma e non appena Arthur fece un cenno d'assenso con il capo, allungò a sua volta la mano e strinse quella di Blake. Il contatto di pelle contro pelle le tolse il respiro, stritolandoglielo in gola come due mani in grado di soffocarla. Mentalmente ringraziò di essere seduta, le tremavano perfino le gambe.
Non sapeva con certezza il motivo di quella reazione. Le sembrava quasi che il suo stesso corpo rigettasse quel contatto.
«Matthias Blake, piacere.»
«Ve – Vell Brass» farfugliò lei, solo dopo aver preso una grossa boccata d'aria. Aveva bisogno di sciogliere quella stretta, subito.
Ma Matthias non aveva alcuna intenzione di lasciarla. Non subito per lo meno. La guardò intensamente, corrucciando la fronte e inclinando il capo. «Mi sembra di averla già vista da qualche parte ma... non ricordo dove.»
Arthur irrigidì la schiena e serrò la mano a pugno. Avrebbe voluto prendere Vell e strapparla lontano da lui. Non era gelosia o istinto di possesso, il suo. Più stava a contatto con Blake, più registrava in lui una minaccia. Diciamo che era più paragonabile all'istinto di sopravvivenza, come se nel proprio cervello fosse improvvisamente scattato un allarme di pericolo.
Eppure Blake era umano.
Eppure quella spiacevole sensazione non svaniva.
Cercò comunque di rilassarsi, espirò piano e distese le dita sul tavolino.
Vell cercò di non fare smorfie e fece un sorriso intimidito. «Fo – forse mi ha visto su qualche rivista... sono una modella.»
Gli occhi di Blake si illuminarono giusto un attimo, come se alla mente gli fosse giunta qualche inaspettata illuminazione. «Oh, sì... ma certo. Ora ricordo, ricordo tutto.» Lasciò la presa e la tensione sembrò allentarsi.
Vell ritirò di scatto la mano, nascondendola sotto il tavolo. Nella mente le venne voglia di lavarsela, senza saper bene il perché.
Era una sensazione strana ciò che provava, una sorta di ripugnanza a cui non riusciva a dare un senso. Il tocco di quell'uomo l'aveva disgustata, il palmo continuava a pizzicarle e bruciarle. Le sembrava perfino peggio di quella volta che da piccola aveva strappato l'ortica a mani nude.
Con la coda dell'occhio fissò Arthur e vide che le stava sorridendo, sicuramente più tranquillo ora che tra lei e Blake era tornata una buona distanza.
«Sono venuto solo per darle questi.» Mr.Blake allungò ad Arthur un plico di documenti che l'altro prese accigliato.
Li sfogliò un attimo prima di parlare: «I documenti per l'acquisto dei terreni di suo padre?»
«Esatto. Li ho visti sulla sua scrivania e ho pensato di portarglieli qui direttamente.» Scrollò le spalle e si passò una mano nei capelli, annoiato. «Non sapevo facesse affari con mio padre.»
«Solo recentemente. Ho deciso di comprare alcuni dei suoi terreni per costruire degli stabilimenti.» Non specificò che ci avrebbe costruito strutture pubbliche per mannari, qualcosa per poter agevolare le vite di tutti i suoi sudditi. In fondo, a Mr.Blake non doveva interessare nulla di cosa ci avrebbe fatto poi. «Come mai me li ha portati lei?» Arthur non amava questo genere di cose. Quando iniziava a trattare con qualcuno, preferiva arrivare alla conclusione degli affari sempre con la medesima persona.
«Purtroppo la malattia di mio padre sta progredendo rapidamente e ora è costretto a letto. Temo ci sia rimasto ben poco da fare.» Seppur il tono sembrasse trasudare dispiacere, in realtà il sorriso che gli si dipinse in viso sembrò il più sincero di tutti quelli sfoggiati fino ad ora; permeato di un piacere che non riusciva a contenere, gonfio di un segreto e malvagio godimento.
Arthur rimase sgomento e mentalmente si chiese cosa potesse renderlo così felice della morte del padre, in cosa potesse trarne vantaggio. Forse si trattava di una ricchezza inestimabile o un bottino che valeva la pena non condividere, qualcosa di abbastanza grosso da ripagarlo della sua morte.
Non era certo che tra Blake Senior e Matthias Blake scorresse buon sangue ma mai aveva visto un simile sorriso sulla faccia di qualcuno che annunciava la disfatta del padre.
Ad Arthur diede i brividi.
Ogni volta che lo vedeva, in lui nasceva questo forte rigetto. La sua sola presenza riusciva a smuovergli in petto sentimenti contrastanti. Se da un lato la sua spiccata vena imprenditoriale lo incuriosiva, dall'altro ne era profondamente disgustato.
Era il suo odore. Lo sapeva.
C'era qualcosa nel suo odore a stridere fortemente, a fargli arricciare il naso con disappunto. La sua vicinanza gli costava un grande sforzo di autocontrollo. Era come una stecca nel bel mezzo di una canzone bellissima o il fischio stridulo di uno strumento durante la perfetta sonata di un'orchestra.
«Mi spiace molto per suo padre» fu l'unica cosa che riuscì a dire, pescando a casaccio nel suo repertorio di frasi di circostanza.
«Oh, anche a me... anche a me.» Matthias si sarebbe dovuto fingere dispiaciuto. Da bravo figlio avrebbe dovuto mettere su un'espressione addolorata e invece, quel sorriso sottile e ironico continuava a restargli lì, stampato in faccia come se avesse appena ascoltato una barzelletta.
Arthur si passò una mano sulla nuca, a disagio. «Immagino che questo vorrà dire che dovrò concludere le mie trattative con lei. Spero non le crei problemi.»
Matthias rise. Una risata calda e profonda, indubbiamente artefatta. «Non si preoccupi Signor King... posso trattare benissimo con un gentiluomo come lei, anzi, sarà un vero piacere per me spendere del tempo in sua compagnia. Mi risolleverebbe le giornate visto che solitamente sono abituato a gestire bestie...» Lasciò schioccare la lingua sul palato e sorrise. Fu una battuta voluta, volta a metterlo a disagio e sotto sotto si compiacque quando vi riuscì.
Blake trovava la società sovrannaturale divertente. I piani alti erano così ben istruiti da non sembrare nemmeno delle schifose bestie. I King erano uno di quei rami del mannarismo che Blake definiva d'élite. Avevano quel genere di influenza tipica dei leader.
Per Blake era esilarante parlare con lui nascondendogli la propria identità. Essere Collezionisti dava qualche vantaggio in più, avere nella propria collezione esemplari di certe razze ti dava automaticamente un lascia passare garantito a una vasta moltitudine di informazioni. E lui, aveva già la sua personale leonessa. Arrivata da poche settimane, ma ce l'aveva.
Sì, è vero, gli mancava un leone. E forse quella era una delle poche razze mannare dove sarebbe valsa la pena avere entrambi gli esemplari ma, Arthur King non lo affascinava solo per il suo punto di vista bestiale. Aveva un brillante intelletto e degli ideali invidiabili, era ricco e meticoloso nelle proprie scelte imprenditoriali. Aveva occhio per gli investimenti e sapeva quand'era il momento di fermarsi e abbandonare un progetto svantaggioso.
No, non si sarebbe giocato la carta della conoscenza solo per inserirlo nella sua collezione. Avrebbe approfittato proprio di questa vendita di terreni per avvicinarlo e fingersi amico e chissà, magari strappargli indirettamente informazioni su altre razze oltre la sua. Sorrise astutamente, pregustandosi un forte ampliamento della propria collezione. In fondo, un King regolava i mannari del proprio territorio, quindi, chiunque avesse visto bazzicare alla Villa sarebbe stato automaticamente inserito in una speciale lista di sorveglianza.
E poi, avrebbe giocato con loro come un bambino con le figurine. Ce l'ho, ce l'ho, mi manca.
Una mano gli si posò sulla spalla e Blake si riscosse dai suoi pensieri di dominio e possessione. Le sue malsane fantasie sui giochi di potere vennero nuovamente messe a dormire in fondo alla mente, in un angolino ben lontano dalla facciata pubblica che offriva di sé. Quando si voltò vide uno dei tanti ricconi della festa, pronto a imbottirlo di proposte futili, racconti noiosi e gossip di cui non gliene fregava un cazzo. Eppure sorrise. Un sorriso a trentadue denti che iluminò il vecchio uomo più di una lampada al neon sparata in faccia.
Si voltò giusto un attimo verso Arthur e gli fece un cenno di saluto col capo. «Spero di rivederla presto Signor King. La chiamerò nei prossimi giorni per ultimare le pratiche.»
Arthur annuì e lo fissò allontanarsi al seguito di Mr.Loower, un vecchio imprenditore vinicolo. Se ti prendeva in simpatia, era disposto a investire su qualsiasi cosa gli proponessi, di tutto, senza pensarci due volte. Era anche un abile giocatore di poker, nonché accanito bevitore; un tipo dalla mano pesante, che non ammetteva sconfitte e sapeva sempre come fregarti. Arthur non ci aveva mai voluto aver niente a che fare. Umani di quel tipo portavano solo guai.
«Quel – quell'uomo...» disse Vell, riferendosi a Blake. Rabbrividì.
«Vorrei che tu gli stessi il più possibile alla larga.» L'espressione di Arthur si fece cupa, corrucciò la fronte e si passò una mano sul volto. «Non so chi sia, né cosa sia... ma ha un odore che mi nausea.» Non sapeva nulla di Blake, solo qualche futile informazione circa i suoi investimenti. Della sua persona, non lasciava trapelare nulla se non il giusto indispensabile.
Vell annuì con frenesia. «Sembra quasi che... che sia un sovrannaturale ma al contempo gli manchi qualcosa per esserlo al cento per cento» bisbigliò, coprendosi la bocca con la mano per non farsi sentire dal gruppo di umani poco lontano.
«Sai, ho pensato possa essere un tossico di sangue sovrannaturale... non credo sia un ibrido. Avrebbe un odore diverso. Resta il fatto che non mi piace per niente quell'uomo... proprio per niente.» Con un sospiro le prese una mano, stringendogliela delicatamente tra le proprie. Con il pollice le disegnò alcuni segni circolari sul dorso. «Scusa, forse sono troppo paranoico. È che... non so, quando lo vedo schizzo sulla difensiva.»
Vell aveva provato la medesima sensazione. Scosse il capo e con gentilezza gli carezzò a sua volta la mano. «Tranquillo. Ammetto che ha dato i brividi anche a me.»
«Per fortuna. Almeno non sembro il solo pazzo della situazione» le disse, mostrando la lingua come un ragazzino.
Vell gli sferrò una pacca alla spalla e rise. «Stai forse alludendo che sono pazza anche io?»
«Forse... chi lo sa.» Le pinzò il naso con due dita. «Comunque saresti una pazza davvero niente male.» Si allungò verso di lei sperando non si ritraesse. Voleva baciarla da giorni, da quando avevano fatto l'allenamento insieme. Eppure, sebbene il suo corpo smaniasse per congiungere le proprie labbra alle sue, resisteva fermamente cercando di attendere una sua mossa. Voleva fosse lei a volerlo. Era rispettoso delle sue scelte iniziali, quelle che gli aveva imposto.
«I pazzi stanno bene insieme» bisbigliò Vell, sporgendosi, seppur di poco, verso di lui.
«Allora direi che ci completiamo alla perfezione, non credi?»
«Oh, Arthur... sei così dolce che se almeno uno dei miei ragazzi fosse dolce come te.. bé, ammetto che mi spiacerebbe ucciderlo dopo averci scopato.»
Arthur trasalì per un attimo, costretto a fermare, di nuovo, quel loro attimo d'intimità. Non riuscì però a trattenere il sorriso che gl'increspò le labbra mentre sghignazzava divertito. Raddrizzò la schiena e appoggiandosi allo schienale si voltò verso la giovane mannara che gli aveva appena servito su un piatto d'argento la battuta. «Il tuo romanticismo riesce a colpirmi ogni volta, Penelope.» Accanto a lei, altre due donne sorrisero beffarde.
«Quel vomito di Blake se n'è andato per fortuna» disse una, affondando la mano nella massa di capelli biondo miele che le ricadevano in voluminose onde fino a metà schiena. Gli occhi color caramello indugiarono un attimo su Arthur, poi verso Vell. «Peccato che odori così tanto di tanfo... ha un culetto davvero sodo!»
Quella che fino a quel momento era rimasta in silenzio, storse il naso con disgusto. «Santo Cielo, Maia... no! Non me lo scoperei nemmeno con la vagina di un'altra.»
Arthur per poco non si strozzò nel vano tentativo di trattenere una risata. «Siete delle stupide! Proprio delle stupide» sbottò infine, alzandosi per andarle a salutare come si doveva.
Le abbracciò con affetto una ad una, baciandole sulle guance e scostandosi abbastanza per vederle nei loro vestiti lussuosi. «Vi siete date da fare, eh? Non sembrate nemmeno così tanto da buttare come al solito.»
«Ma sentilo, questa faccia di sterco.» Una cercò di colpirlo ma lui si spostò abilmente.
«Oh, Thalis... nemmeno con le tue otto zampe riusciresti ad acciuffarmi» la scimmiottò lui, restando sulla difensiva pronto a parare l'ennesimo attacco.
La giovane lo disintegrò con lo sguardo e sibilò: «Ringrazia che ho questo cazzo di coso enorme addosso, sennò ti facevo vedere io, piccolo Simba.»
Penelope sghignazzò. Aveva sempre provato un certo gusto nel vederli bisticciare come bambini. «Forza, su... smettete di fare i ragazzini, siamo a una cena di gala... qui dobbiamo sembrare degli adulti seri.» Fingersi la più matura non era da lei. Non con loro per lo meno.
I due si indicarono in simultanea. «È colpa sua» dissero all'unisono, scambiandosi sguardi carichi di sfida. Fu Arthur il primo a cedere, si sistemò la cravatta con un certo puntiglio, senza però smettere di dare occhiate fiammeggianti all'altra mannara. Thalis dal suo canto, nascose la mano dietro il ventaglio, facendo spuntare il dito medio di tanto in tanto.
Due ragazzini insomma.
Quando Arthur si passò una mano nella folta massa di capelli ricci ramati, Penelope fece un finto sospiro svenevole e allungando la mano gli acciuffò un boccolo. «Oh, caro Arthur... quant'è invidiabile una testa come la tua... così difficilmente decapitabile, eppure...» Ghignò. «Cosa darei per poterlo fare.»
Maia roteò gli occhi al cielo. «Oddio, Penny... sei più smielata del mio intero alveare» berciò, pungente come suo solito. L'altra rise.
Arthur rifilò a tutte e tre una gomitata. «Eddai, smettete di prendermi in giro! Siete i soliti impiastri.» Si voltò verso Vell con il sorriso ancora a illuminargli il volto. «Queste tre stronze sono Penelope Prex, Tharis Hogan e Maia Honey. Rispettivamente una mantis, una mactan e un'aculex.»
Vell le fissò sgomenta mentre si apprestavano a far un simpatico inchino pizzicando i bordi della gonna e sollevandola un po'. «Piacere di conoscerti» dissero in coro, sorridendole con affabilità.
La leonessa strabuzzò gli occhi. «I – io sono Vell Brass, pia - piacere» farfugliò, arrossendo imbarazzata. Era completamente rapita da quelle tre giovani e bellissime donne.
Una mantide religiosa, una vedova nera e un'ape mannara. Continuava a far rimbalzare lo sguardo dall'una all'altra senza riuscire a smettere di osservarle. Le sembrava tutto assurdo e affascinante al contempo.
Non aveva mai visto una vastità tanto estesa di razze mannare. Certo, sapeva che esistessero, le aveva studiate bene quand'era piccola; eppure a cospetto di Marius ci andavano ben poche razze, chiaro segno di quanto pochi volessero aver a che fare con uno come lui.
Vell non poteva certo dar loro torto. Anche lei se ne sarebbe tenuta ben alla larga se il destino gliel'avesse continuato a permettere.
Però, per quanto ci provasse, non riusciva a smettere di stupirsi di quanto Arthur fosse diverso da Marius.
Con lui tutti sembravano andare d'accordo. Perfino quelle tre femmine alfa, di razze particolarmente territoriali e aggressive sembravano volergli bene. Bé, più o meno visto come battibeccavano.
Eppure Vell conosceva bene le loro idee di branco, così fermamente sessiste e che vedevano l'uomo quasi un essere inferiore. Come Arthur aveva il proprio harem con le proprie leonesse; anche mantidi religione, vedove nere e api mannare avevano il proprio harem di maschi. Era un po' come se il mondo dei King fosse per loro la versione capovolta: una femmina con tanti maschi.
«Allora, come vi sta andando la serata?» domandò Arthur, cercando di andare in soccorso a Vell, completamente persa a fissarle.
Maia gli passò un braccio attorno al collo, strizzandolo nella propria presa. «Molto bene prima di vedere te, Simba.»
«Ma se siete venute voi qui a rompere il cazzo!»
«Non essere scurrile» lo riprese Penelope.
«Solo per infastidirti.» Maia strinse la presa.
«Mi – mi soffochi, May.»
«Uh, sì... forza, uccidiamolo» squittì Thalis, battendo le mani mentre Maia sembrava prenderci gusto.
«Ra – ragazze...» rantolò Arthur, rosso in viso.
«Non toccategli la testa. La testa è mia» bisbigliò Penelope, facendogli l'occhiolino divertita.
Arthur tentò di divincolarsi dalla presa di Maia, cercando di farle allentare la stretta con del solletico. «Cazzo, quando serve Duba non c'è mai.»
Tutte e tre si lasciarono sfuggire un'imprecazione colorita. Voltandosi subito verso Vell con aria dispiaciuta. «Devi sapere che noi tre siamo andate a scuola con Duba e questo coso brutto» disse Thalis, indicando Arthur col pollice.
Penelope rise. «Oh, sì... tra lui e quella merda secca di Duba ci hanno fatto fare tutte le scuole, dall'asilo all'high school, piangendo come fontane.»
«E – eravamo solo ragazzini. Vi facevamo solo un po' di dispetti» rantolò Arthur.
«Dispetti? Ma se mi avete spezzato un'ala una volta, stronzi!» berciò Penelope, dandogli una gomitata nello stomaco abbastanza forte da farlo tossire.
«Zitto che non vi abbiamo ancora menato abbastanza. Pentiti bestia!» Maia iniziò a scompigliargli furiosamente i capelli, fino a strappargli un lamento.
«Ra – ragazze, non – non potete seviziarmi ogni volta che mi vedete... mi basta già Naomi a picchiarmi giornalmente.»
Le tre risero. «Come sta la ragazza? Lo sai che è la nostra preferita.»
«Bene. È a casa. Lo sapete che odia queste cene.»
«Come la capisco. A me fanno già male i piedi su questi cosi del cazzo» biascicò Maia, indicando i tacchi.
«Potevi fare come me.» Thalis alzò un po' la gonna, era scalza. Fece una linguaccia birbante e rise. «Non mi avrete mai, brutti ricconi stronzi e imbacuccati.»
I quattro scoppiarono a ridere di gusto e per un attimo Vell fu livida d'invidia e gelosia. Così tanto che si alzò di scatto dalla sedia attirando senza volere la loro attenzione.
Forse per loro era normale quel comportamento, visto che tutti e quattro avevano un harem; ma a lei dava fastidio che lo toccassero con tanta confidenza.
Era anche vero che erano amici sin da bambini e pretendere che si comportassero come sconosciuti era forse una richiesta egoistica, però era gelosa. Gelosa che con lei non fosse così altrettanto espansivo. Gelosa che si tenesse sempre a freno e facesse attenzione a ogni parola che le rivolgeva.
Arthur non era il loro. Non si dovevano permettere.
Tramortita da quei pensieri così scottanti e possessivi, si rassettò la gonna con frenesia. «Devo – devo andare al bagno» si affrettò a dire. Sentendo comunque la necessità di un attimo per sé e anche l'impellente bisogno di lavarsi le mani.
Quella necessità non le era per nulla passata da quando aveva toccato Blake.
Arthur si staccò subito dalle ragazze, raggiungendola. Loro per lui erano semplici amiche, un po' come Duba. In fondo avevano fatto i bambini insieme, erano un po' come delle sorelle troppo moleste. Vell invece aveva tutt'altro valore nel suo cuore, un valore che cresceva piano piano. «Ti accompagno.»
«No. Tranquillo. Ho visto dove si trova.»
«Preferirei venire comunque con te. Non voglio lasciarti sola nemmeno un attimo... ce l'eravamo detti, no?» Arthur le posò una mano sull'avambraccio ma Vell si scostò così bruscamente da lasciarlo interdetto. Per un attimo rimase immobile, troppo sorpreso per reagire.
«Ho detto che so dove si trova» ribatté piccata.
«Ma Vell... sai che preferirei non allontanarmi da te. Anche per sicurezza tua.» Quel rifiuto lo aveva ferito. Quell'ostinazione a voler prendere le distanze lo stava facendo sentire un vero schifo.
Si sentì mortificato.
Era chiaro che quella sera doveva aver superato il limite. Toccarla era un taboo che lei aveva messo ben in chiaro sin da subito e forse a quella cena lui si era preso troppe libertà.
Inoltre doveva essersi seccata molto a vederlo chiacchierare prima con Charles e Quinn, poi di affari con Blake e ora con le sue tre amiche d'infanzia.
Doveva essersi annoiata, ferma lì, a sopportare.
«I – io vorrei solo accompagnarti» farfugliò, turbato; chinando mestamente il capo.
«Senti, lascia stare. Non mi va. Resta pure qui con... con loro» disse lei, acidamente, indicando con la mano le tre mannare che la fissarono leggermente sgomente e sul punto di ribattere con altrettanta poca cortesia.
Per quanto amassero fare i dispetti ad Arthur e a Duba, erano molto protettive nei loro confronti; un po' come sorelle maggiori, sebbene avessero la stessa età.
Senza aspettare che Arthur cercasse di convincerla si avviò verso il bagno da sola, macinando la strada a passi pesanti e facendo schioccare i tacchi sulle mattonelle. Passò attraverso la folla facendosi largo a spintoni.
Era furiosa.
Con se stessa, con lui e con quelle tre tizie che si permettevano di toccarlo come se... bé, come se fossero cresciuti insieme.
Ma dannazione, loro sono cresciuti insieme! Pensò. Arrabbiandosi ancor di più.
Bé, non dovevano. E lui non avrebbe dovuto esser tanto espansivo. Era lì alla festa con lei, no? E allora perché perdeva tempo con altre donne?
Aprì con un colpo secco la porta del bagno e andando davanti al lavandino lasciò scorrere l'acqua. Solo dopo aver tenuto per qualche istante le mani a mollo ed essersele passate più volte su fronte e collo si sentì meglio. Meno agitata. Più razionale.
La sua gelosia la spaventava.
Era questo l'amore? Era così annebbiante, così in grado di tirarle fuori tutta questa cattiveria?
Sarebbe sempre stata così con Arthur? Così poco disposta a fargli vivere liberamente perfino le sue amicizie?
Si morse con rabbia il labbro e con la coda dell'occhio catturò un'ombra alle proprie spalle.
Non fece nemmeno in tempo a voltarsi che una mano guantata le tappò la bocca, arpionandola in una presa salda e crudele. «Ti abbiamo trovata, puttanella» le bisbigliò una voce maschile all'orecchio.
Gli occhi di Vell si sgranarono per il terrore. Fissò lo specchio di fronte a sé e riconobbe subito i due uomini che aveva alle spalle: i sinnal di Marius.
Un grido pieno d'orrore le uscì dalla bocca, così forte da raschiarle la gola.
Peccato che quella mano guantata soffocò ogni supplica.
Peccato che nessuno potesse più sentirla.
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