CAPITOLO 2

L'auto imbucò il vialetto, sbandando leggermente sulla lastra di ghiaccio che aveva ricoperto il terreno. Risalì fino alla Villa e parcheggiò proprio davanti all'ingresso incurante del fatto che ostruisse le vie che portavano ai parcheggi sul retro. Due uomini scesero in tutta fretta e salirono gli scalini aprendo il portone. Sparirono all'interno dell'abitazione qualche attimo dopo, sbattendosi i giacchetti carichi di neve e gelo.

Gennaio era iniziato, portandosi con sé temperature sotto zero, vento e intemperie. Il Michigan si era chiuso dentro una sciarpa e ci sarebbe restato fino a metà marzo.

Arthur King si scosse gli indomabili ricci con una mano mentre con l'altra sfilava le scarpe abbandonandole all'entrata. Era stato fuori per lavoro tutta la giornata e aveva atteso quel momento precisamente da quando, quella mattina, era uscito per raggiungere i suoi appuntamenti.

«Signore, mi dia pure il giacchetto.» L'uomo allungò il braccio e aspettò che Arthur si sfilasse il trench.

«Grazie mille, David. Non saprei come fare senza di te.» Il maggiordomo sorrise al complimento e si spostò nella hall andando ad appendere i soprabiti nel guardaroba.

«Secondo te sono ancora sveglie?» Arthur fissò l'orologio, era passata da molto la mezzanotte. Era parecchio che non faceva così tardi.

Quando David lo raggiunse gli allungò una pila di lettere e degli occhiali da vista che il giovane inforcò iniziando a spulciare la posta. «Credo di sì, Signore. Dakota e Cearra sicuramente. Loro la aspettano sempre.»

Il viso di King si distese in un sorriso e smollò la pila di roba al maggiordomo che l'afferrò senza fare una piega. «Appoggiamele tutte sulla scrivania, domani mattina ci do un'occhiata.» Si tolse gli occhiali posandoli su un tavolinetto e allentò la cravatta sfilandola con uno scatto. La stoffa produsse un sibilo che terminò con uno schiocco, come se avesse appena frustato l'aria. «Che appuntamenti ho per domani?»

Dal nulla David fece apparire un'agenda che tenne sospesa con maestria sulla pila di lettere. «Due appuntamenti con degli azionisti, uno con suo padre e poi ha parte del pomeriggio libero. Ma la sera c'è una cena a casa del Sumtrae, Signore.»

Arthur sgrana gli occhi e si colpisce la fronte. «La cena con Duba, cazzo! Me n'ero completamente dimenticato.» Continuano a camminare l'uno a fianco all'altro salendo le scale verso i piani superiori.

«Lo devo chiamare per disdire?»

«No, no... penso che ci andrò. Ho bisogno di staccare un attimo dalle cene di lavoro. E poi siamo solo noi ragazzi, niente di impegnativo... forse c'è anche Amos. Dubito ci sia Amarok.»

David annuì. «Perfetto, allora le lascio confermati tutti gli appuntamenti salvo altre disposizioni.»

Si fermarono entrambi davanti alla stanza di Arthur e quest'ultimo si voltò verso il maggiordomo con un sorriso stanco cucito in viso. Gli diede una pacca affettuosa sulla spalla e sospirò: «Grazie, David. Ora puoi congedarti... sarai stanco anche tu, immagino.»

«Allora le auguro la buona notte, Signore.» L'uomo fece un leggero inchino e svanì nei meandri fitti della Villa. Sebbene tra loro ci fosse questo rapporto formale, e David fosse l'unico veresh del suo harem, per Arthur era come un secondo padre. Un uomo che rispettava fortemente e che trovava indispensabile per il suo ruolo di Magister e di Erus.

Il giovane King tentennò ancora un attimo di fronte alla porta chiusa poi passandosi la cravatta attorno al collo per liberarsi entrambe le mani, afferrò la maniglia sbadigliando. «Muoio di sonno» biascicò, aprendo e infilandosi in stanza.

Come aveva saggiamente previsto David, ad aspettarlo sveglie c'erano ancora Dakota e Cearra. Erano entrambe sedute sul letto e stavano parlando tra loro scambiandosi battute. «Hai i capelli un po' rovinati nelle punte, dovremmo dargli una spuntata.» Cearra intrecciò le ciocche partendo dalla nuca. Era lei che si occupava delle trecce di Dakota e di chiunque in casa ne volesse una. Maneggiare i capelli la divertiva molto e infatti ogni volta che serviva un'acconciatura o un particolare trattamento o taglio, tutte facevano affidamento su di lei.

Arthur le aveva perfino pagato diversi corsi a cui lei aveva partecipato con un entusiasmo e una passione che l'avevano lasciato sorpreso.

«Tu dici? Non voglio tagliarli troppo... ad Arthur piacciono lunghi.»

Lui sorrise, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi contro una delle quattro travi del letto a baldacchino. Non si erano ancora accorte della sua presenza, troppo prese nelle chiacchiere.

«Ma no, solo due dita. E poi ricordiamoci che Arthur è un maschio... si accorgerebbe che li hai tagliati solo se te ne uscissi con un caschetto.» Le due scoppiarono a ridere.

«Ehi, state sparlando di me... sul mio letto?» brontolò divertito, allargando le braccia con una finta aria sconvolta. Le due balzarono verso i cuscini, cacciando un grido che cercarono subito di attutire con le mani. «Ma buonasera, Signorine» le salutò con l'occhiolino e il solito sorriso birbante.

«Ma sei matto?» bisbigliò una delle due fissando la porta col timore che arrivasse qualcuno.

«Io? Siete voi che abusate del mio letto quando non ci sono e sparlate alle mie spalle.» Si staccò dalla trave del baldacchino e camminò fino alla poltrona su cui si lasciò cadere sfinito.

Entrambe le leonesse si alzarono e lo raggiunsero. «Sei stanco?» Dakota si mise a sedere sul bracciolo e lo fissò con preoccupazione. Tra tutte, Dakota era quella con lo spirito da crocerossina, con l'istinto materno e una dolcezza disarmante che la faceva preoccupare per tutti e tutte indistintamente.

«Un po'. È stata una giornata pensante. A voi com'è andata? Le altre dormono da molto?»

«Oh, sì... lo sai che non reggono questi orari. Soprattutto Phoebe... se arriva alle undici è già tanto.»

Sul volto di Arthur si accese un sorriso divertito che si spense un attimo dopo, poco prima di parlare:  «E Bröna?»

Le due leonesse si scambiarono una rapida occhiata prima di rispondere. «Si è ritirata nelle sue stanze subito dopo la cena.»

«Ha cenato?»

«Sì, qualcosa ha mangiato.»

Il giovane King tirò un sospiro di sollievo. Bröna era una delle sue più grandi preoccupazioni. «Bene.» Si passò una mano nei capelli e lasciò ricadere le braccia sui braccioli della poltrona. Era veramente stanco. Sospirò. «Mi siete mancate. Non vedevo l'ora di tornare a casa. Oggi è stata davvero una giornata da dimenticare.»

Cearra si posizionò dietro Arthur iniziando a massaggiargli il collo e le spalle. Bastò quel tocco a farlo cedere, si abbandonò contro lo schienale della potrona lasciando che le mani di Cearra gli dessero sollievo.

Si sentiva estremamente fortunato ad averle tutte quante per sé, sempre pronte a coccolarlo, viziarlo, prendersi cura di lui.

Il loro era un rapporto speciale, un amore che legava più cuori, che stringeva più persone in un bizzarro ma impareggiabile e indissolubile legame d'amore.

Lui le amava tutte, tutte allo stesso modo e al contempo per motivi totalmente diversi.

Le mani della leonessa si strinsero sulle sue spalle, si abbassò baciandogli l'orecchio delicatamente. Gli soffiò un getto d'alito caldo, fino a farlo rabbrividire. «Vuoi parlarne?»

Arthur deglutì e scosse il capo. «Magari ve ne parlo domani, okay? Ora vorrei proprio rilassarmi.» Sospirò fin quando non sentì le dita di Dakota giocare con i bottoni della sua camicia, pizzicando quello più vicino al colletto e facendolo uscire lentamente dall'asola.

Gli sfuggì un gemito, inarcò leggermente la schiena.

«Sei tanto, tanto stanco... Magister?» Quella voce da gattina lui la conosceva bene. Le usciva ogni volta che voleva giocare con lui, quando non le bastavano quattro coccole e due baci. Tra le gambe sentì scalciare l'erezione.

«A – Abbastanza.» Si agitò sulla poltrona ma le due leonesse bloccarono i suoi movimenti incastrandolo tra i loro corpi. Tutto ciò che riuscì a fare fu socchiudere gli occhi lasciandosi sfuggire un sospiro tremulo mentre loro si divertivano a stuzzicarlo. Sulla lingua sentiva già il sapore dell'eccitazione, del desiderio e del possesso.

Le labbra di Cearra gli tracciarono un percorso sulla guancia, fino a raggiungergli la bocca che sovrastò costringendolo a schiudere le labbra. Ci fu un sussulto da parte di entrambi prima che le loro lingue si intrecciassero in un bacio caldo e carico di dolci promesse.

Quando si staccarono, lei proseguì i baci sul collo, insaziabile. Arthur inarcò ancor più la schiena agevolando la noiosa operazione di Dakota di aprirgli tutti i bottoni della camicia. Non appena il petto fu scoperto, la leonessa scese a prendergli un capezzolo tra le labbra, succhiandolo leggermente.

Le mani di Arthur si mossero con estrema maestria sui corpi delle proprie donne, infilate sotto i vestiti a sfiorare i loro punti più bollenti. «Spostiamoci sul letto» ringhiò allungandosi verso la bocca di Dakota e afferrandole il labbro tra i denti mentre si attirava Cearra a sedere in grembo.

«Ti abbiamo preparato un bagno con i sali» ansimò la leonessa contro le sue labbra, cercando di sgusciare via da quelle possenti e forti braccia.

«Avreste fatto bene a dirmelo prima di questo.» Afferrandola per i capelli l'attirò a sé in un bacio che non le dava vie di scampo. Si sollevò dalla poltrona con ancora la bocca incollata su quella di Dakota, Cearra sostenuta e premuta contro il proprio corpo usando un solo braccio.

Tenerla così non lo affaticava nemmeno, il suo peso era irrilevante vista la sua natura mannara. Se riusciva a sollevare auto, non sarebbe stato certo il peso di una delle sue femmine a fermarlo.

La leonessa gli afferrò il viso staccandolo dal bacio con Dakota e sostituendo la sua bocca con la propria. Le mani s'infilarono nei ricci, tirando con forza i capelli fino a farlo ansimare poi scesero fino all'inguine, carezzando la vistosa protuberanza. Arthur ruggì.

Era pronto. Era trepidante. Era affamato.

Entrambe vennero gettate sul letto ma sgusciarono veloci verso la porta che dava sul bagno privato. «Avanti, Arthur... ti abbiamo preparato un bagno caldo e ricco di sali» lo motteggiarono, ridacchiando tra loro.

King si appoggiò al materasso con entrambe le mani, il fiato corto e l'erezione che premeva con forza tra le gambe. Era stanco ma non abbastanza da privarsi del sesso.

«E poi se vieni potrai lavarci la schiena... non è allettante?» lo stuzzicò Dakota, scambiando con la compagna uno sguardo complice e malizioso.

Gli occhi di Arthur passarono dal verde smeraldo al giallo scintillante e cangiante della sua bestia. Lasciò schioccare la lingua sul palato mentre assisteva impotente ai dispetti delle due.

Lo stavano tentando. Si stavano divertendo a portarlo al limite. Non lo avrebbe mai ammesso ma adorava quando facevano così, riuscivano a lavare via le preoccupazioni della giornata.

«Allora, Magister... non vuole farsi un bagno con noi?» Dakota iniziò a giocare con la spallina della canottiera di Cearra, lasciandola scivolare sulla spalla fino a scoprirle abbastanza pelle da trovare spazio per posarci le labbra in delicati e sonori baci. «Ci lascia giocare da sole?»

Arthur espirò rumorosamente, la voglia di prenderle entrambe e subito gli martellava con prepotenza i timpani. L'erezione tirava e doleva con forza nei pantaloni del completo supplicando un sollievo che tardava ad arrivare.

Le due si continuarono ad accarezzare con provocazione, passandosi le mani e le labbra su ogni lembo di pelle scoperta. Le loro bocche si raggiunsero, affamate e vogliose, s'immersero in un bacio dalla lunga e intensa esplorazione.

Impotente di fronte a quello spettacolo, Arthur rimase a guardarle baciarsi e toccarsi, spingersi contro lo stipite della porta infilando le mani un po' ovunque sotto i vestiti.

Il respiro del leone si fece più pesante, l'aria più densa di potere, più avvolgente. Il corpo rigido e pronto ad accogliere ogni loro capriccio.

Era facile per le sue femmine piegarlo. Erano loro ad avere il pieno potere. Si sentiva schiavo delle loro fantasie e dei loro dispetti.

Le due gli lanciarono qualcosa e poi scoppiando a ridere corsero bel bagno. Qualche istante e subito si udirono rumori di schizzi d'acqua.

«Ah, cazzo!» Scacco matto. Arthur ebbe solo il tempo di realizzare che in terra c'era il loro intimo; il suo corpo scattò come una molla. Si sfilò la camicia nel tragitto e aprì i pantaloni. Quando arrivò sulla soglia della porta le leonesse si lasciarono sfuggire gridolini concitati. Sapevano cosa sarebbe successo ora, ma in fondo, erano rimaste sveglie ad aspettarlo apposta.

Arthur lasciò cadere i pantaloni in terra. Non indossava intimo. Un sorriso malizioso gli spuntò in viso mentre richiudeva la porta con un piede.

Lo aspettava un rilassante bagno con i sali e una ricca dose di sesso. Tanto sesso.

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