CAPITOLO 1
Una risposta sbagliata e ancora una volta la mano che un attimo prima la stava accarezzando l'aveva stretta in una morsa crudele, sottomessa e umiliata. Schiaffeggiata non solo nel fisico ma anche nell'animo, presa di forza, violata, ridotta a un involucro senza sostanza. Sconfitta, domata e usata come esempio per le altre; per incutere timore e reverenza, per mostrare ciò che sarebbe successo a chi avrebbe disobbedito.
I capelli biondi bagnati di sputo e sperma, il labbro rotto con un candelabro in argento, un occhio nero e lividi e tagli ovunque. Il corpo fragile distrutto, l'anima vuota e assente.
Posò le mani a terra, dov'era stata lasciata e si cercò di rialzare. Una fitta si diramò dal fianco a tutto il corpo, le braccia tremarono mentre si rimetteva in piedi, come sempre.
Il ticchettio dei tacchi era l'unico rumore che spezzava il silenzio di quell'enorme villa. Era una notte come tante ma sarebbe stata l'ultima che Vell Brass avrebbe passato in quella prigione.
Continuava a tenersi il labbro gocciolante di sangue mentre correva lungo i corridoi, svoltando con precisione ad ogni angolo e andando dritta al dormitorio. Perfino il lancinante dolore che ad ogni passo si estendeva su ogni parte di lei non l'avrebbe fermata da scappare.
Quando aprì la porta della camera non fu sorpresa di trovare Faith già lì. Sedeva sul suo letto e la guardava con disgusto tenendo le braccia incrociate al petto. «Lo hai fatto ancora una volta arrabbiare» fu l'unica cosa che le disse, scostandosi dal viso una ciocca di capelli neri.
Vell la ignorò completamente e raggiungendo il letto sfilò, da sotto, una valigia impolverata. Quando le chiusure scattarono un tormentato sentimento iniziò a contorcersi nel fondo del suo stomaco. Era molto simile a un attacco di colite: crampi addominali, spasmi, dolori e forse se la stava pure facendo sotto. Ma quello per molti altri motivi.
«Sei seria?» nel tono di voce di Faith percepì scherno.
«Sì. Questa volta, sì.» Si passò due dita sulle braccia scoperte, lo sguardo le cadde sul vestito lacero. Non indossava più le mutandine, lui gliele aveva strappate gridandole che tanto per una come lei erano inutili. Poi aveva fatto con il suo corpo i propri comodi. «Sì. Decisamente» ripeté più convinta.
La leonessa mannara afferrò Vell per un braccio stringendo con forza la presa e sollevandosi in piedi dal letto. Lo sguardo che si fissò nel suo la congelò di terrore come già era capitato altre volte. Una rabbia trattenuta scivolò fuori dalle labbra di Faith quando esalò un sospiro prima di parlare: «Le leonesse degli harem dei King non possono abbandonare i loro Erus tanto facilmente.»
Vell serrò le labbra. Erus non le sembrava più quella carica così elegante e degna di rispetto che un tempo la sua mente aveva concepito. Sì, il suo significato restava il medesimo ma nella sua testa si era macchiata inesorabilmente, come un peccato impossibile da lavare. Sin da piccola le avevano insegnato che essere un Erus era un privilegio ma anche un dovere. Essere padroni, capobranco, leoni alfa, Magister, era una fardello che solo i più degni dovevano addossarsi. Questo erano gli Erus. Questo erano i King.
E allora perché esistevano King come Marius?
A Vell non interessava più nulla di tutto ciò. Voleva solo prendere i suoi quattro stracci e scappare il più lontano possibile da Marius King e forse, anche da tutti gli altri King presenti al mondo. Il Kansas non era più la sua casa. Sarebbe fuggita lontano da lì. «Sono stanca, Faith! Stanca di essere trattata come un oggetto: usata a piacere, maltrattata quando ne ha voglia, disprezzata e senza un valore.»
«Credi che fuori da qui sia meglio? Credi che gli altri Erus siano migliori? Lo sai che a parte la Prae, la Prima Moglie, tutte noi siamo solo schiave e puttane ai loro comodi.» Faith la incastrò tra lei e il letto, gli occhi gialli le scintillavano ferocemente dando voce ai pensieri che non pronunciava. «E poi ricorda... nessun King prenderà mai lo scarto di un altro King.»
Scarti. Ecco cosa diventavano se venivano ripudiate dal proprio Erus.
«Non me ne frega niente! Niente! Si fotta Marius, si fottano tutte le sue regole, si fottano tutti i King e anche questi vomitevoli harem del cazzo» Da un tono sommesso e bisbigliato, la voce di Vell si alzò di parola in parola risuonando nella stanza più forte di un grido; carica di rabbia e disperazione, di paura e tormento. «Non ce la faccio più!» La spinse via malamente e riprese a infilare i vestiti in borsa. Non aveva molto.
Essere una leonessa mannara di un harem non ti dava chissà quale privilegio, né abiti firmati o posizioni sociali elevate. Anzi, era molto più facile essere ridotte a mere incubatrici per la prole se non una bambolina sessuale in carne e ossa.
Non esisteva amore negli harem e Vell era stanca di essere una delle tante. E soprattutto, era stanca della paura, delle botte, della violenza fisica e psicologica. Era disposta a rinunciare al suo status di mannara, rinnegare la sua natura bestiale, infiltrarsi nel mondo umano spacciandosi per semplice donna; pur di ottenere la pace interiore e un posto che la facesse sentire serena e ben voluta.
«Dove andrai?»
«Non lo so... e non credo nemmeno debba interessarti.» Chiuse la borsa esitando un attimo.
Dove sarebbe andata? Cosa avrebbe fatto? Era sicura di quella scelta?
Il Kansas era sempre stato la sua grande gabbia. Non importava dove andasse, Marius la teneva sempre al guinzaglio. Come King e Magister di quel territorio era ovunque e al contempo da nessuna parte.
Sentiva però di non poter più tornare indietro. Se lo avesse fatto, il suo cuore si sarebbe disintegrato in mille pezzetti e il vuoto che avrebbe lasciato non sarebbe mai più stato colmato con niente. Non era fatta per quella vita, sebbene l'avessero istruita a calzare quel ruolo. Nelle storie che le avevano raccontato i suoi genitori si era immaginata tutt'altro tipo di Erus, tutt'altro tipo di harem, tutt'altro tipo di rapporto.
«Come farai per il tuo lavoro di modella e attrice?»
Vell scrollò le spalle. Il manager che vagliava tutti i suoi appuntamenti era stato scelto da Marius nella lista dei suoi veresh: leoni devoti all'Erus che venivano introdotti nelle famiglie dei King solo dopo essere stati evirati. Eunuchi fedeli al proprio padrone e capobranco, disposti a privarsi della loro vita sessuale pur di accompagnarli nel loro percorso di Magister.
Hook, il suo manager, era solo una delle tante pedine messe sulla scacchiera. Non avrebbe alzato un dito senza riceverne prima un ordine. Inoltre, la vita da persona famosa non le era mai piaciuta. Tutti quei set fotografici, quelle riprese, quelle interviste, quei finti sorrisi; era una bella facciata, niente di più.
Inutile sorridere fuori quando dentro hai un deserto che ti devasta.
«Mi prenderò una pausa anche da quello» rispose Vell, poi tentennò un attimo e decise di essere franca. «Quanto tempo mi darai prima di correre da Marius a fare la spia?» Strinse la presa sulla maniglia della valigia, deglutì nervosamente chiedendosi perché tra lei e Faith, ma anche tra lei e le altre leonesse, fosse sempre stato tutto così difficile. Non si voltò per vedere cosa l'altra stesse facendo, sperò soltanto di essere rispettata almeno una volta nella sua vita e lasciata andare dove meglio credeva.
Dove, però, non lo sapeva nemmeno lei.
Faith vagò per la stanza, con le dita scivolò sui bordi degli altri letti. Cinque solo in quella camera. Altri dieci dislocati in altre due stanze. Ciò voleva dire che in tutto erano quindici leonesse. Marius di alcune nemmeno ricordava il nome. Era tutto così triste e disgustoso che non c'erano parole per descriverlo. «Devo fare delle commissioni per il nostro Erus. Mi ha chiesto di lavargli dei panni e di farglieli trovare sul letto immacolati. Ha ordinato una cena non troppo pesante e un bagno caldo con tanto di massaggio e sesso» rispose vaga, dandole una risposta che vera risposta in realtà non era.
«Capisco.» Vell si spostò verso la porta. «Non tornerò qui. Non tornerò mai più.» Solo allora si voltò per vedere l'altra leonessa.
Il volto di Faith era rigato di lacrime, stringeva uno straccetto tra le mani stropicciandolo con rabbia. «Bene! Vattene! Ma ricorda che... che se te ne andrai da qui, Marius ti ammazzerà. Lo sai che gli Erus possono fare ciò che vogliono del proprio harem.»
Vell sapeva anche questo. Era stata istruita bene. Non ci aveva mai dato peso prima, ma dopo aver compiuto i diciotto anni ed essere stata affidata a Marius era stato un pensiero che aveva accarezzato a lungo. Per anni, troppi anni. Cinque per l'esattezza, eppure le erano sembrati secoli. Aveva resistito fino a quel momento, un po' perché prima era stata debole, un po' perché ora era disposta a morire pur di non stare più lì. «La morte non mi fa più paura come un tempo. Restare qui già mi ha uccisa ogni giorno, per cinque lunghi anni.»
«E allora vattene. Vattene subito!» Faith si pulì rabbiosamente le lacrime con la manica della vestaglia. Pizzicò un lembo della veste e si morse il labbro parlando veloce, con un tono più sommesso: «Nel suo modo malato sei sempre stata la sua preferita, forse per la bellezza, per la tua irriverenza o la tua lingua troppo lunga o magari perché non sei mai stata una buona sottomessa. Quando scoprirà che sei scappata, impazzirà. Andrà su tutte le furie. Ti cercherà con ogni mezzo... e credimi, Vell... ti troverà e ti ammazzerà. Ti ammazzerà con le sue mani nel peggiore dei modi.»
Vell s'irrigidì, sentì la pelle d'oca e un brivido gelido le corse su e giù per la schiena. Si sfilò le scarpe e le lanciò in mezzo alla stanza restando scalza. Si guardò l'abito strappato e pensò fosse troppo tardi per aprire la valigia e metterne uno pulito. Scosse la bionda chioma incrostata dell'ultima dimostrazione di potere di Marius e sorrise. Sorrise a Faith, a quella vita che stava abbandonando, a quei sentimenti devastanti che voleva lasciarsi alle spalle annegandoli in un angolino della memoria fino a farli sparire, a Marius che mai le avrebbe perdonato quell'affronto. «Lo aspetterò. Aspetterò che venga a portarmi la sua condanna. Aspetterò la mia morte vivendo.»
E detto questo corse via nel buio della Villa, nel buio della notte.
Un abito strappato, niente mutandine, scalza, sporca come la peggiore tra le puttane ma viva.
Viva e pronta a vivere.
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