5- Racconti notturni*
Il pavimento in parquet scuro li accolse attorno al tavolino da caffè imbandito con un grande tagliere e del buon vino. La voracità di Artemide, spinta dalla sua naturale vitalità esaltata dal nettare d'uva, era compensata dai gesti misurati ed eleganti di Temistocle. Lui non mangiava con voracità, al contrario, selezionava il boccone, lo ridimensionava e lo masticava in modo quasi impercettibile senza provocare alcun rumore.
«Come fai?» Gli occhi della ragazza si chiusero a fessura, mentre cercava di focalizzarsi sulla mandibola del suo ospite alla ricerca di un minimo rumore.
«Cosa?» Chiese Temistocle mentre sorseggiava il suo vino.
«A non fare rumore mentre mastichi?» Lo guardò come se fosse un animale da esposizione, con la curiosità di un esploratore che per la prima volta incontra una nuova specie.
«Boh... io mangio così...è diverso? Non ho mai sentito nessuno fare rumore mentre mastica, o forse non ci ho mai fatto caso, non capisco, adesso mi fai sentire strano...»
«Io quando mastico faccio un rumore strano con la mandibola, tipo uno schiocco, mi succede quando il cibo è un po' duro oppure quando ho fatto un boccone troppo grande, come adesso, non l'hai sentito? – Artemide si infilò un grosso pezzo di focaccia in bocca e lo masticò nel lato incriminato della bocca. Si avvicinò a Temistocle scostando i capelli dal volto – lo senti?» Chiese coprendo la bocca mentre ancora masticava.
Temistocle rimase inchiodato alla sua poltrona, si ritrovò il collo ed il volto di Artemide a pochi centimetri dalla sua faccia. Sentì persino il profumo della sua pelle, vide la piccola colonna di orecchini argentati sul suo orecchio, non li aveva notati prima, erano piccoli e discreti, lucevano mentre il movimento della mandibola faceva salire e scendere anche loro, in un movimento piccolo e ritmico. Guardò la pelle liscia, priva di segni di distinzione, osservò quella mandibola masticante provando un certo senso di stupore provocato dal suo essere così spontanea e priva di filtro. Fu allora che lo sentì. "Stock"
«Sentito?- Chiese Artemide mentre si allontanava. – Achille quando mangia fa un casino tremendo, si riempie la bocca e passa il bolo da una parta all'altra facendo un rumore schifoso e molliccio ... bleah! - Il suono della sua voce era attutito dal cibo che continuava a masticare non controllando propriamente la concitazione del racconto unitamente al finto brivido di raccapriccio – tu invece nulla, prova! »
Gli allungò un pezzo di focaccia, di quelle alte, morbide, con un leggero strato di sale in superficie. Così Temistocle si ritrovò con quella ragazza in piedi di fronte a lui, alta, slanciata, con quei piedi bianchi e nudi sul parquet della stanza da letto, con quella maglia leggera che le cadeva alla perfezione, un calice di vino nella mano destra ed il suo braccio proteso verso di lui con un pezzo di focaccia di tutto rispetto nella mano sinistra. Una mano bianca, con unghie naturali, corte, nessun anello, nessuna decorazione. Un piccolo neo sul pollice, proprio al centro. Non capiva cosa volesse bene da lui, ma in lui si fece strada l'idea di cosa gli sarebbe piaciuto.
«Ora che mi fai pensare,- disse piano, con voce calibrata, calda e setosa, con uno sguardo intenso con cui voleva avvolgerla e legarla al suo, senza muovere un dito, con le braccia rilassate appoggiate ai braccioli della poltrona antica – credo che il segreto sia nella grandezza del boccone – si mosse, con la mano inanellata prese la sua e la tenne ferma, senza distogliere lo sguardo le disse – devi saperle gestire le cose, un boccone troppo grande non ti permetterebbe di assaporare il cibo, così come un boccone troppo piccolo, forse ormai ho sviluppato la mia misura non ho bisogno di controllare, mi è sufficiente aprire la bocca... » così tenendole stretta la mano, guardandola negli occhi di ghiaccio che non avevano battuto ciglio, mangiò dalla sua mano. Artemide era completamente ipnotizzata. Le labbra che prima toccarono la bottiglia di acqua, ora erano a pochi centimetri dal suo pollice e quegli occhi la guardavano. La penombra delle piccole luci solari le permetteva di indugiare su quello sguardo. Temistocle si alzò e le si avvicinò per farla ascoltare mentre masticava. Erano a pochi centimetri l'uno dall'altra e lei non riusciva a distogliere lo sguardo da quel viso tanto pulito quanto misterioso.
«Niente – disse lei interrompendo il silenzio – non fai nessun rumore» disse con un filo di voce mentre il suo sguardo era passato dagli occhi alla bocca che ancora masticava piano, senza emettere nessun rumore. Quelle labbra così carnose, piene, rosee. Sembravano un frutto succulento che avrebbe voluto cogliere con le sue. A pochi centimetri dal suo viso. Temistocle deglutì:
«Visto? È il boccone!» Affermò convinto mentre sorseggiò un po' di vino senza spostarsi.
«Mangi sempre così?» chiese Artemide con un filo di voce.
«Non saprei, come ho mangiato? Diverso? Mi fai sentire strano... comunque questa focaccia è una bomba!» Con un gesto veloce riprese la mano ad Artemide e mangiò l'ultimo pezzo rimasto tra le sue dita, toccandole il pollice con le labbra morbide. Artemide trasalì, tutto il suo corpo vibrò. Un contatto inaspettato, un gesto imprevisto. Temistocle lo avvertì, colse quell'elettricità in movimento, la vibrazione. La guardò di nuovo negli occhi di ghiaccio ma il suo sguardo era cambiato, sorrideva. Artemide era impalata, una statua di sale, o di burro vista la velocità con cui sembrava si stesse sciogliendo. Temistocle, si scostò e bevve un altro sorso di vino mentre si spostava verso il mobile della tv.
«In America nemmeno se la facciamo in casa viene così buona, e ci hanno provato in tanti, sarà l'acqua che sa sempre di cloro o il lievito... non lo abbiamo mai capito. Ma così buona, come mi mancava. C'è ancora il panificio vicino a casa di tua nonna? Faceva del pane buonissimo. Se me lo ricordo così a distanza di anni doveva essere eccezionale.» Artemide uscì improvvisamente dal suo stato di sospensione.
«No, non più... - tentò di darsi un contegno - purtroppo no, ha chiuso quando sono arrivate le restrizioni energetiche. Inoltre le piccole botteghe non esistono praticamente più. Da noi la spesa arriva sempre con il drone. Qualche volta mia mamma va in uno dei pochi supermercati rimasti, per abitudine penso, più che per necessità. Era buono quel pane, anche le brioches erano buone. Credo sia finito in una delle grandi aziende che fanno pane, ma non ne ho idea – spiegò Artemide – mentre noi siamo qui al buio, sono poche le compagnie a cui è permesso avere la corrente, un piccolo panificio non sarebbe stato in grado di ottenere il permesso, così si sono tutti riuniti in aziende grandi per portare avanti il lavoro. Da voi non succede così?»
«A Los Angeles no, a Santa Barbara nemmeno. Mia madre, che non riesce mai a farsi i fatti suoi, è entrata nel consiglio comunale con il ruolo di addetto alle comunicazioni con la centrale a fusione che c'è in California. So che noi andiamo avanti grazie a quella, ma abbiamo anche i pannelli solari in vigneto e i droni che francamente sono una figata unica.»
«Ma non avete la focaccia buona!»
«Nooo, questa manca assolutamente. Puoi avere tutta la tecnologia del mondo, ma se non hai chi non ti fa la focaccia buona non hai nulla» Il volto del ragazzo si illuminò addentando un altro pezzo del pane speciale.
«Dimmi dei Droni» Fu la curiosità di Artemide a parlare senza pensare.
«I droni controllano il vigneto, non chiedermi come ma i nostri collaboratori riescono a capire l'acidità del terreno o se il vigneto è abbastanza nutrito, assolato o malato dalle video camere dei droni» Le sue mani eleganti tracciarono una sorta di volo e la sua voce aveva stupore e consapevolezza allo stesso tempo.
«Achille ne sarebbe entusiasta, sai che studia agraria? »
«Davvero? Interessante e un po' prevedibile» aggiunse Temy.
«A casa non lo hanno definito così... Anzi... ci volevano tutti e due dottori in qualcosa, - ricordò con una nota amara Artemide – Mia nonna poi... - uno sbuffo rabbioso la colse e le fece sobbalzare le spalle – non approvò mai le scelte mie e di Achille, era rabbiosa anche su questo. Diceva che per la mia lingua lunga ed i miei ragionamenti contorti avrei potuto fare l'avvocato o vendere qualcosa, tipo ghiaccio agli eschimesi, ma non è così, non sono per niente così» Sostenne la sua ragione con un tono piuttosto concitato arrabbiata a quel ricordo, bevendo un sorso di vino più abbondante.
«E cosa studi? Non te l'ho ancora chiesto.»
«Frequento l'indirizzo HORECA. Lavoro molto con le mani, i coltelli, le pentole, quelle cose lì. Concretezza, mi piace un mondo»
«HORECA?» La guardò curioso.
«Hotellerie, Restaurant, Café anche se io preferisco "catering"» Ella spiegò concisa.
«Questo è inaspettato, devo dire. Quando me ne sono andato ti ricordavo paladina dei più deboli, di come ti arrabbiavi quando facevamo gli scherzi a Eros, chissà che fine ha fatto, lo vedi ancora? Invece hai scelto una professione non certo facile. Come mai?» Chiese Temistocle curioso.
«I sorrisi.»
«I "sorrisi"?» Rimarcò.
«Sì, - affermò. Artemide volse il suo sguardo verso l'amico ritrovato chiedendosi se fosse veramente interessato alla sua storia. Erano seduti per terra, con le spalle appoggiate al tavolino da caffè, le gambe lunghe distese sul pavimento e accavallate. Spalla a spalla. Così rivolgendosi di nuovo al vuoto ed al silenzio intorno a loro, cercò di ricordare – era un pomeriggio come un altro, appena tornati da scuola, era un periodo come questo, oramai non avevamo compiti e nonna era sempre indaffarata per le sue cose. Eravamo a casa nostra, quella di via Quattro Novembre che ti ricordi, quindi lei aspettava solo che tornassero i miei. Achille era da qualche parte non so dove. Trovai questo libro di cucina, che era di mio padre, pensa un po'. Non mi colpirono tanto le ricette del libro, quanto una scritta a penna alla fine. C'era uno spazio che il libro stesso dedicava ad annotazioni e lì era trascritta la ricetta di questa torta di mele. Mi preparai tutti gli ingredienti, pesandoli e disponendoli in tante piccole ciotole e preparai questa torta. Giuro era la prima volta che la facevo, ma avevo visto tanti video su YouTube, avevo capito più o meno cosa significassero quelle parole, come "montare lo zucchero con le uova" o "aggiungere un po' alla volta"... mi ero fatta un'istruzione sui procedimenti e quella voleva essere una prova. Venne buonissima! Quella sera mia nonna rimase fino a tardi, i miei ebbero dei contrattempi, era nervosa, sembrava un lupo in gabbia. Quando la torta si fu raffreddata ne prese una fetta. Io la vidi da lontano, non avevo la forza di sopportare un suo rimprovero. Ma lo vidi: il sorriso. Fu splendido, una vera conquista. – una nota di rammarico e tristezza circondò quel ricordo – che si smontò subito quando urlò "Artemide! Guarda che casino che hai lasciato! Vieni a pulire prima che tornino i tuoi!" e tutto tornò alla normalità, ma fu quel sorriso a farmi capire che ero capace di rendere felici le persone.» Il suo ricordo finì così, con il suo sguardo rivolto al nulla e gli occhi lucidi.
Temistocle si scostò dal tavolino rimanendo seduto sul pavimento, voleva vederla così, voleva imprimerla nella memoria ora che aveva raccontato qualcosa della sua anima, della sua essenza, voleva coglierla pura com'era. Fu un istinto, nulla di calcolato, così, di nuovo, si ritrovarono a scavarsi negli occhi, ad osservarsi e scrutarsi. Sembrò un attimo infinito. Come se riuscissero a percepire la rotazione della terra, il loro respiro prima dell'esalazione, il loro cuore pulsare.
C'era qualcosa oltre al buio che li avviluppava, qualcosa di denso ma leggero, di fresco ma incredibilmente caldo, un sereno tumulto tamburellante.
«E tu?» Chiese Artemide con un filo di voce, sorpresa da quella densità.
«Io cosa?» Rispose Temistocle, chiedendosi se cercasse conferma che anche lui sentiva il tumultuoso denso tamburellare tra loro.
«Hai scelto?» Chiese ancora senza riuscire a staccare il suo sguardo, quasi stesse veramente chiedendo se avesse scelto lui di rimanere in quel denso tumulto tamburellante.
«Non capisco» Certo che non capiva, lui stava galleggiando facendo il morto in acque gelide e cristalline, sentendo la rotazione della terra, avvolto dalla densità. Non riusciva nemmeno a dare fiato a quella risposta insulsa.
Artemide non riusciva quasi a respirare. Avrebbe voluto fargli un'altra domanda, specificare cosa intendesse, approfondire la sua conoscenza, anzi, ricominciare a conoscerlo dopo tre anni di distanza. Avrebbe voluto fare la brava ragazza che era sempre stata, quella che ride e scherza con gli amici, che si impegna negli studi e nella difesa dei più fragili, che raramente commette follie se non qualche bicchiere di vino ogni tanto. Ma quello era un giorno difficile, se ci ripensava, credeva che fosse sbagliato essere lì in quel momento, provare un barlume di felicità il giorno della morte di sua nonna, provare una stuzzichevole eccitazione sotto quello sguardo nocciola. Non aveva mai provato quelle emozioni. Nessuno l'aveva mai portata a provare quelle emozioni. Era sempre tutto molto scontato.
Quella notte, tuttavia, era tantissime cose, ma certamente non scontata. Socchiuse le labbra, come se finalmente avesse trovato la forza ed il fiato per fare un'altra domanda. Ma non uscì nulla. Rimase lì con la bocca semi aperta a fissarlo, e lui, oramai a pochi centimetri dal suo volto era completamente annegato in quegli occhi di ghiaccio.
Angolo Autrice
Temistocle e Artemide si stanno conoscendo, si fanno confidenze, raccontano le loro vite fuori da quella stanza.
Li trovo teneri in questi momenti sospesi.
Ci leggiamo in giro
OD
Aggiornamento del 5 novembre 2023
Alcuni aggiustamenti, come i dettagli su come viene gestita l'energia in altri paesi e sulla distribuzione delle risorse in Italia. Accorpamenti di aziende per risparmiare energia.
Troppi dettagli o troppo pochi?
Fatemi sapere cosa ne pensate,
a presto
OD
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